Italiani, a voi!

Chiudendo questa appendice, io voglio brevissimamente riassumere i caratteri del modernismo, il suo significato nello sviluppo della mentalità contemporanea, le sue probabili ripercussioni nella storia politica e sociale di Italia.

Chi studi da vicino la evoluzione del sentimento religioso, si persuade agevolmente che esso è di due tipi profondamente diversi: si può cioè distinguere la religiosità a tipo individualistico e la religiosità a tipo collettivistico. La prima è la religiosità dei mistici e dei contemplativi: semplice rapporto dell'anima individuale col suo Dio, pura ricerca di mezzi atti a stabilire una comunicazione profonda, sensibile, con Lui. La seconda è la religiosità di ogni movimento profetico, nel quale l'individuo sente per un atteggiamento non analizzabile della sua psiche che il problema più alto dell'esistenza non è quello dei propri personali rapporti con la divinità, bensì quello della elevazione collettiva verso uno stadio di più alto e più sereno benessere. Il profeta parla costantemente in nome di tutti i propri fratelli; sente che il proprio essere si perde come in un mare, nella coscienza e nelle aspirazioni collettive; prevede che un più alto arricchimento di sè sarà solo possibile mediante un arricchimento di tutti e una più pura elevazione della propria esistenza potrà attuarsi solamente attraverso l'elevazione dei propri fratelli. Una tale posizione costituisce un superamento dell'individualismo o dell'altruismo schematici. Abitualmente si scorge fra questi due atteggiamenti etici una antinomia irriducibile. Ma a torto: si può concepire e si attua nel mondo psicologico una fusione dei due termini in base alla quale l'individuo scorge nel miglioramento di tutti l'unico mezzo del miglioramento proprio. Tale fusione avviene nell'anima religiosa.

In linea di fatto la religiosità individualistica rappresenta una derivazione e forse una deformazione della religiosità a tipo collettivistico. Tanto vero che le grandi religioni storiche nascono da una predicazione profetica iniziale, nella quale l’atteggiamento religioso è costituito esclusivamente da una intensa speranza di un immenso bene futuro, al cui godimento sono chiamati tutti coloro che nella ingenua gioia della fiducia hanno risposto alla chiamata del nuovo messaggio. Solo più tardi, per incanalare il movimento religioso suscitato dalla parola del profeta, per assicurarne il successo, per conservarne i benefici etici, la speranza che era alla base della predicazione escatologica, si trasforma nel senso vago di un bene personale da raggiungere e nella coscienza di un rapporto di dipendenza da misteriose forze soprannaturali, da cui siamo dominati. La storia del cristianesimo primitivo ci mostra di questa evoluzione un esempio eloquente. “Il regno di Dio, inaugurato dall'imminente ritorno del Cristo, a cui seguirà uno stato intermedio di felicità, chiuso dalla risurrezione e dal giudizio finale: queste, e solo queste sono le idee patrocinate e inculcate da Gesù. Egli espresse con le parole più alte e più pure una delle forme più nobili della speranza che alimenta lo spirito umano; trovò gli accenti più teneri e più forti per esprimerne l'universalità; ebbe luminosamente come mai dopo, la visione di una vita collettiva migliore che prende il posto della presente, piena di dolore e di ingiustizia. La sua anima mite e sublime aveva lungamente ascoltato, con il fremito della commozione, il canto della speranza che scaturiva da secoli dagli strati più profondi della coscienza ebraica. Un giorno il Cristo uscì dall'umile negozio, dove le mani sue si erano incallite, si mescolò fra il popolo, e dalle sue labbra sorridenti uscì il più alato inno all'imminente giorno del Signore. E la folla colse nelle parole del fabbro la più diretta e piena espressione dei suoi istinti, lungamente inconsapevoli. Gesù ha nobilmente ma fedelmente rispecchiato le tendenze del suo tempo, e l'originalità del suo Vangelo è semplicemente nel carattere più elevato e più universale della speranza escatologica da Lui inculcata. La prima e l'ultima parola del suo insegnamento, è: sperate... Ma il sentimento religioso rappresentato e suscitato dal Cristo non poteva rimanere in quello stato di vaga indeterminatezza che la natura della speranza messianica imponeva. Come nell'individuo i sentimenti profondi che contribuiscono a imprimere un nuovo orientamento al corso dell'esistenza, passano necessariamente allo stato riflesso, così il cristianesimo primitivo si svolse prendendo l'aspetto di una teodicea. Le cause che lo guidarono nella sua evoluzione furono da una parte la necessità di formulare in proposizioni dogmatiche i nuovi principi etico-psicologici che trasformavano gli atteggiamenti religiosi dei fedeli, fatti sempre più numerosi, dinanzi al soprannaturale; dall'altra, lo stimolo interno ad adattarsi alla mentalità dei gentili convertiti. S. Paolo e il IV evangelista segnano le prime due, ma decisive tappe della evoluzione. Il convertito di Damasco con il suo concetto del Cristo preesistente, e l'ardito metafisico del vangelo spirituale con la sua equazione posta tra Cristo e il Logos, hanno radicalmente trasformato il concetto cristiano dei sinottici: al miraggio del futuro Messia hanno sostituito la contemplazione di un'entità soprannaturale, misteriosamente coesistente a Dio e suo strumento di operazione nel mondo. Noi cogliamo qui sul vivo la sostituzione della fede in un fatto passato alla speranza di un evento futuro…. Così all'escatologia vissuta da Gesù, d'indole collettiva, aspirante cioè alla perfezione del Regno sulla terra, veniva sostituendosi l'escatologia individuale, poggiante sulla dottrina della immortalità dello spirito personale” .

Dal giorno in cui, attraverso la speculazione ellenistica, la grande speranza messianica suscitata dal Cristo sembrò cristallizzarsi nella fede in alcune formole dogmatiche e nell'aspettativa di un premio da conquistare al di là della tomba, il cattolicismo non rappresentò altro che lo sforzo tenace di organizzare i dati del pensiero dogmatico, di disciplinare la pratica liturgica, di legiferare i rapporti tra i fedeli e la casta gerarchica. Questo sforzo, aiutato da un'infinità di circostanze storiche, ha messo capo alla teocrazia papale. Non si può disconoscere che nel lungo corso della sua storia, essa ha favorito in genere lo sviluppo della nostra civiltà: almeno fino al giorno in cui una parte dell'Europa, obbedendo ad altre esigenze di progresso materiale e spirituale, si è staccata da lei, ripensando il dogma della redenzione, e formulandone una teoria particolare. In quel giorno Roma, preoccupata di conservare i suoi fedeli superstiti immuni dal contagio delle tendenze liberatrici, fissò i confini dell'ovile, e vi strinse intorno le barriere insormontabili di una ortodossia rigida e sospettosa: il Concilio di Trento rappresentò il massimo sforzo di difesa dell'ecclesiasticismo medioevale, e noi, a tre secoli di distanza, siamo ancora sotto l'infausta efficacia di esso.

Ma questo tentativo immane di prevenire e di reprimere ogni tendenza della civiltà, che naturalmente non ha cessato di camminare da Trento in poi, ha esaurito le forze della chiesa e ne ha compromesso ogni prestigio. D'ogni intorno, nelle forme più svariate della vita, il mondo ha progredito: si è vestito a nuovo, ha intonato nuovi canti di gioia e nuovi auguri di letizia, capace ormai di sollevarsi dalle forme barbare della sua vecchia esistenza, di inaugurare nuovi schemi di organizzazione sociale sulla terra. E la Roma del cattolicismo medioevale, ostinatamente e tristemente, ha gettato l'anatema su questo mondo fervido di aspettative e di previsioni. Il mondo era andato avanti, trascurandola. La nuova società, mistico viandante verso una nuova alba storica, si cominciava ad abituare a non tener nè pur conto di essa: a passare dinanzi all'edificio delle vecchie tradizioni cattoliche, torcendo lo sguardo, e scuotendo, in atto di noncuranza e di disprezzo, la testa. Ma con il ripudio della chiesa, la società contemporanea ha dato sembianze di voler combattere ogni forma, il nome stesso di religiosità. E questo è un gravissimo male. Il progresso umano è un fatto: ma le leggi che lo governano sfuggono all'analisi e giacciono nelle sfere meno esplorate della coscienza umana. La scienza – fatuo nome e pericoloso idolo – è incapace di decifrarle: solo l'idealismo religioso riesce a far sentire tutta la capacità di bene che è nella volontà dell'altruismo e dell'abnegazione.

Allontanandosi, contemporaneamente che dalla chiesa, da ogni senso religioso la nostra società avrebbe sottratto alla causa del proprio sviluppo la migliore energia. Il modernismo nasce appunto dalla coscienza viva della necessità di ricorrere al sentimento religioso, separato da ogni clericalismo, per rafforzare la volontà del miglioramento collettivo. I1 modernismo consiste nel tentativo di riportare l'esperienza religiosa dall'individualismo pietistico alla forma di quelle forti esaltazioni collettive che hanno fatto di essa nei momenti difficili della storia, il migliore coefficiente del progresso umano. Ecco perchè, i medesimi teologi della curia, quando hanno dovuto definire il genere di eresia contenuto nelle dottrine modernistiche, si sono intesi disarmati, e l'hanno definite il cumulo di tutte le eresie. Un modernista aveva già detto prima di loro che la crisi della coscienza cattolica non consisteva già nella maniera di comprendere l'uno o l'altro domma; non già nel discutere qualche problema particolare di dommatica o di disciplina; bensì di rinnovare ab integro la nostra religiosità e riportarla a quella pura esperienza messianica, che venti secoli di storia hanno, beneficamente e inevitabilmente sì, ma comunque deformato.

Per questo il modernismo accenna ad essere nella storia della religiosità un fatto di grandissima importanza. È necessario che il pubblico se ne convinca. Per quanto il Vaticano cerchi con i mezzi più ignominiosi di isolare le poche voci modernistiche; di affievolirne il suono e disperderne l'eco; di neutralizzare con sapienti conquiste della stampa e quindi dell'opinione pubblica, l'opera tenace del modernismo italiano, l'Italia laica si deve ricordare una buona volta delle sue origini schiettamente anticlericali, e deve mirare al modernismo come a un movimento destinato forse a ridare al paese non soltanto una forte coscienza idealistica ma anche un altissimo rango, se non proprio un primato, fra le nazioni che lavorano per il progresso nel mondo. L'anticlericalismo verbale è una vana parata e una sterile protesta di masse ineducate ed incomposte. L'anticlericalismo vero, efficace, rinnovatore, è quello che sapendo distinguere la religiosità pura dalle forme parassitarie depositatevi intorno dalle caste e dai pregiudizi, cerca di riscattarla da questi detriti di un passato che agonizzi e restituirla alla qualità di stimolo al miglioramento umano. Il modernismo è anticlericale in questo senso: e perciò ha diritto alla vostra simpatia, al vostro interesse, al vostro favore, o italiani.

Vi dicono un popolo di scettici e di indifferenti. Ma chi pronuncia questo giudizio si fa illudere da una parziale considerazione della storia italiana: quella storia cioè che si svolse quando governi tirannici cercarono ogni modo per soffocare nelle piccole cure e nella rou tine le facoltà native dei vostri liberi spiriti: e dimentica quella luminosa tradizione d'idealismo che ha dato alla storia d'Italia il movimento francescano, il rinascimento, i moti per l'indipendenza nazionale. Noi non crediamo allo scetticismo della nostra razza. Figli noi stessi di questa grande e gentile terra, non riusciamo a credere che gl'ideali da cui siamo animati, sorti tra i dolori e le ansie di una profondissima crisi, possano rimanere senza eco in un paese che ha ancora da compiere il suo spirituale riscatto. La certezza di contribuire a questo, la speranza di non vedere spegnersi anzi tempo il nostro sforzo isolato, ci stimolano a lavorare indefessi.

Il modernismo è una libera reviviscenza d'idealismo religioso, così improntato alla serenità che deve dominare ogni sana concezione della vita, che a noi pare naturalmente chiamato ad attrarre le simpatie di una razza equilibrata come la nostra. Riusciremo noi nella nostra propaganda? Non ci è possibile dubitarne.

Che importa se la nostra esistenza si spezzerà prima di cogliere i risultati tangibili del nostro lavoro? Con la mano, piena di germi, piegata sul solco, noi siamo certi di lavorare per una mietitura lontana. La causa del nostro immancabile successo è qui: nella certezza di lavorare non per l'oggi o per il domani, ma alteri saeculo.

Cristo un giorno ai farisei rimproveranti la sua immancabile letizia e la sua ilare partecipazione ai banchetti, rispose: “lasciate che la gioia riempia i miei fidi, finchè lo sposo è presente”. Anche la nostra gioia è piena e imperitura: perchè le brevi esistenze si piegano, come fiori avvizziti, ma lo sposo è sempre presente. Esso è il Genere Umano!

Roma, 30 marzo 1908.

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