Armi vecchie e coscienza nuova.

La scomunica maggiore ha colpito il Loisy: questa pena non deve spaventare nè scandalizzare alcuno. A voler applicare strettamente tutti i canoni del diritto canonico, troveremmo che più della metà dei cattolici sopportano sulle loro spalle, senz'avvedersene, le più terribili scomuniche. È la parola che ancora ci turba, non il fatto della scomunica.
La nostra cultura storica, alcune figure grandi e care a noi Italiani, ci ridestano, purtroppo, nell'animo un senso quasi di angoscia e di isolamento. Ma la lieta realtà viene subito a liberarci da questo incubo. La scomunica, per la condizione del diritto canonico attuale e dei nostri Stati, liberi dal gioco del clericalismo, equivale praticamente alla esonerazione da un ufficio, la quale è imposta come pena dai moderni organismi burocratici.
Cosa singolare: il clericalismo e l'anticlericalismo borghese si trovano d'accordo nel dar importanza e valore alla scomunica, perchè preme a tutti e due di considerare la Chiesa come una grande amministrazione burocratica a limiti ben definiti, l'uno per dominarla a nome di interessi particolaristi, l'altro per rinserrarla come in una cerchia di ferro ed escluderla così dalla vita del mondo.
Noi che camminiamo con libertà e con sicurezza nel mondo e nella Chiesa, deploriamo tanto decadimento di questa, che risale, purtroppo, al dì che Roma, perduto il dominio sulla civiltà europea ha cominciato ad incrudelire con un'autorità senza ideale sulle timide pecorelle che, nei giorni della tempesta, erano restate nell'ovile. Sono fatti troppo noti e non amiamo, figli di Roma, rinfacciare a lei troppo alteramente le sue vergogne. V'è però, uno spirito separatista ed aristocratico, in fondo alle pretese ecclesiastiche dei teologi romani e in fondo all'indifferenza sprezzante di un anticlericalismo nelle cui vene scorre il più bel sangue clericale, che affligge profondamente il senso religioso e democratico del modernismo. Da qualche tempo in qua, un gruppo di teologi e di ambiziosi, che dice di essere tutta la Chiesa, agisce in tal maniera da far credere che la scomunica sia divenuta l'espressione normale della sua vita, perchè, e tutti lo sanno, a chi non ha più la forza unitiva dell'amore e della speranza non resta che maledire insultare e separarsi. In una vecchia novelletta romantica, l'ultimo erede di una nobile famiglia, rifugiato nella camera più buia del castello, non fa che gridare, colto da un delirio senile, «via tutti, qui sono il padrone!». Quei che lo assistono e lo amano ancora, sorridono tristemente e compatiscono quel cervello malato che espia le colpe dei parenti in un delirio di dominio. Intanto, le ampie finestre del castello vengono riaperte, rientrano nei saloni chiusi ostinatamente per tanti anni aria e luce, sale il rumore grato del mondo, e tutti attendono lietamente gli eredi.
Qualche cosa di simile avviene oggi nella vecchia Chiesa. Noi tutti l'amiamo di un amore immenso. Eppure, i rabbi acidi di Roma scrivono da circa un anno le prime pagine di un nuovo Talmud, il codice delle sterili maledizioni. Forse, le parole ardenti dei profeti e di Gesù, lo scomunicato, furono e saranno il lievito religioso degli uomini, ma abbiamo delle forti ragioni per credere che l'azione del Talmud, in cui s'irrigidì tutto lo sforzo di un ortodossia sdegnosa, non abbia affatto mutato il corso del mondo. Constatiamolo con tristezza: la scomunica, divenuta istituzione, è la liturgia delle comunità agonizzanti.
II Tyrrell, in un meraviglioso articolo ha dimostrato che la scomunica oggi è salutare, a chi la scaglia per la morte, e a chi la riceve per la vita. Ma è anche necessaria.
Rifacciamoci per un momento all'esperienza paolina della legge, con le sue proibizioni ed i suoi anatemi. È un peso, egli dice, ma non ribellatevi; subitela tutta ed interamente: essa vi fornirà nell'esperienza decisiva della sua impotenza quelle energie spirituali e quella brama di salvezza che voi cerchereste invano altrove. Il Cristo paolino è il primo a far questa esperienza decisiva della legge che finisce di vivere, crocifissa nelle carni di Gesù.
La legge clericale – mutatis mutandis – è divenuta oggi, nelle mani di alcuni teologastri, tutta una scomunica ed una soffocazione della vita: ebbene, perchè non possa più nuocere alla comunità cristiana che vive della più grande speranza religiosa che sia mai apparsa nel mondo, ed è vivificata da un soffio divino, è necessario che un numero sempre maggiore di uomini la subisca intieramente per un'opera di illuminazione e di salvazione collettiva. Il «necesse est ut unus homo moriatur pro populo» non è una fatalità solo nel mondo politico, ma anche nel mondo religioso. Nessuna apologia così seria dello scomunicato è stata mai fatta come nel pensiero cristiano del I secolo; la lettera così detta «agli ebrei» contiene delle idee che saranno sempre d'attualità nella storia religiosa finchè lo spirito umano troverà nell'energia religiosa la forma più alta delle sue rivendicazioni.
Ma ottiene almeno la scomunica l'effetto che intende chi la scaglia? Riesce realmente a cacciare fuori della Chiesa chi n'è colpito? Sarebbe interessante quanto inopportuno esporre qui la storia delle mutazioni, nel campo della teologia, intorno alla natura e agli effetti della scomunica.
Piace in parte, e d'altra parte dispiace, aver ritrovato sì nei giudizi degli ortodossi che nei giudizi degli anticlericali e degli indifferenti, un consenso di criteri non teologici, ma pratici, cioè attinti a criteri più vasti, in cui si riflettono alcune orientazioni fondamentali della nostra vita contemporanea, nel giudicare dell'appartenenza o dell'esclusione dalla Chiesa.
Tutti convengono che il criterio per appartenere o no alla Chiesa sta tutto nella volontà, in caso di conflitto, esplicita di appartenere alla Chiesa.
È singolare come nella fretta di cacciare a forza il Loisy dal bell'ovile, i buoni teologi abbiano dimenticato il criterio teologico del battesimo e del suo carattere sacramentale indelebile, del suo rapporto strettissimo, da un punto di vista teologico, con l'ammissione nella Chiesa. Teniamo conto di questa distrazione, perchè non è poi fortuita.
Il buon criterio, però, si è applicato male. Clericali e non clericali posseggono un concetto così ristretto, così formale e giuridico della società ecclesiastica che devono concludere che il Loisy non è sincero, od almeno non logico, e quindi fuori della Chiesa.
La Chiesa è avanti tutto una comunione, non una autorità soltanto. Questa comunione si ottiene con l'amore che si porta al suo ideale e con i sacrifici che si fanno per lei. Il Loisy ha l'unico torto di aver sperato troppo in lei. La sua opera di esegeta e di teologo che si vuole ad ogni costo far passare per anticristiana, è nata in lui dal bisogno di essere un efficace e sincero espositore del Vangelo a delle signorine di un convitto ; questa origine così ecclesiastica, quasi pia, di tutto il suo lungo lavoro di esegeta cristiano, non deve essere dimenticata, e costituisce la sua più bella gloria di sacerdote e di cattolico. Mandarlo fuori dalla Chiesa, quando egli ha impegnato tutta la sua vita per lei, e s'è guadagnato il primo posto nel suo cuore, è parola vana. La comunione ecclesiastica è una cosa che ha un valore spirituale, mistico: chi scomunica oggi degli uomini come il Loisy, il Tyrrell ed altri, e chi si rallegra di queste scomuniche perchè logiche, dimostra che non ha il senso profondamente mistico della comunione delle anime: queste due categorie di persone sono dei miscredenti nel serio significato che deve esser dato a questo epiteto. Ma la società ecclesiastica non è una società di interessi materiali, nè la fede, un codice: un divorzio fra queste due profonde realtà ed un uomo che per esse ha compromesso il meglio della sua anima, è impossibile. Perchè la scomunica vorrebbe significare un divorzio dell'anima del fedele e della Chiesa: ma per chi ama veramente il divorzio è una non realtà.
Il Loisy, dicono molti, è un pericolo per il cattolicismo. Direi piuttosto: è un vero ammonimento. Ha mandato il grido della sentinella vigile; la guarnigione, infiacchita dall'ozio e dimentica oramai del suo dovere, non vuol più sentir parlare di pericoli: non resta che una soluzione: occidamus eum!
Il problema, però, è posto, e nessuno, senza stordirsi od illudersi, può evitarlo. La Chiesa, a chi l'ama sul serio, apparisce più grande e più nobile che non ai teologi fabbricatori di vane formule. Il Loisy è l'ecclesiastico per eccellenza, perché parla meno per sè che per la Chiesa, e sacrifica tutto al dovere della sincerità. I suoi risultati potranno essere qua e là modificati oggi stesso e domani col progredire delle scienze esegetiche, ma l'impressione che si ricava dalle sue opere è che il problema delle origini del Cristianesimo non possa porsi altrimenti, da un punto di vista storico. Il problema non è nato con lui e non sparirà con lui. Ha tentato francamente una soluzione, ecco tutto. La sua posizione non è quella di un capo scuola. Non esiste una scuola loysiana in esegesi. Qui si rivela l'inutilità della condanna. «Percutiam pastorem et oves disperdentur» non è questo il caso, buoni teologi delle congregazioni! Non avete più dalla vostra, in quest'ora di débacle intellettuale e morale del clericalismo, la voce compiacente di qualche antico amico del Loisy che, per amore di una futura sede episcopale o per altri motivi più nobili, vi dia l'illusione che il problema non esiste: anche queste voci, nel vostro acciecamento, avete soffocate.
Nè collocandosi da un punto di vista puramente storico, nè da un punto di vista intieramente teologico in cui è implicata una particolare visione storica del Cristo e della sua opera, è possibile valutare le conseguenze religiose dell'opera loysiana. (S'intende che per capire e valutare in sè stesso «Les évangiles synoptiques» è necessario porsi sul terreno storico e letterario sul quale unicamente si muove il Loisy). Questo punto, che è fondamentale nella polemica attuale pro e contro il modernismo, non può essere qui sviluppato, e ci basta per ora averlo ricordato.
A quelli che vedono nell'opera strettamente esegetica del Loisy la rovina del cristianesimo, faremo osservare, con un argomento ad hominem come oggi, nelle migliori correnti religiose del modernismo, rivive proprio quello che il Loisy ha indicato come l'essenza del Vangelo, cioè la speranza del Regno. Lo storico, che non penetra nel valore degli avvenimenti che studia, potrà chiamare l'opera e la predicazione di Gesù anche un sogno: ma lo spirito religioso trova che non sono un sogno, ma la realtà suprema. Il cristianesimo, dopo molti secoli dal giorno in cui lo storico può dire che l'opera di Gesù è storicamente fallita, si colloca di nuovo sull'asse della predicazione evangelica. È un fenomeno questo così importante che ci meraviglia come sia stato trascurato dai critici più intelligenti del modernismo . La storia non è un buon criterio per avventurarsi nel dominio dello spirito religioso. Il clericalismo teologico, sembra strano, ci ha abituati a considerare le cose dello spirito con l'occhio carnale e con la corta vista della considerazione fenomenica contingente.
Sembra davvero che non sia in possesso di profonde realtà spirituali chi riduce il cristianesimo a pochi avvenimenti storici, e ne fa dipendere l'esistenza unicamente da questi.
Ritornando alla scomunica, perchè di questa volevamo unicamente intrattenerci, aggiungeremo che ci sembra in questo triste momento di crisi, anche una cosa inutile. Già S. Agostino, nel pieno delle lotte ecclesiastiche del IV secolo, sente che non è più un buon criterio, e si rimette al giudizio di Dio. (De doctrina Christiana, VI).
La scomunica è un criterio di selezione ed un mezzo di preservazione. Oggi tutte le anime rette che sanno la storia intima del movimento reazionario nella Chiesa, vedono che la scomunica non ha più questa funzione e cominciano a sentire come per loro e per gli altri non possa più essere una realtà spirituale. Chi lavora veramente per la Chiesa e chi la combatte? A questa domanda, la lista degli scomunicati non può fornire che una risposta fallace. Il problema così com'è oggi, è angoscioso per molti, ma nessuno deve disperare di trovare finalmente una via di soluzione. Non turbetur cor vestrum! La forza della scomunica, in quanto ha di non cristiano nel suo concetto di punizione, cade di fronte allo sviluppo della solidarietà sociale e di un più delicato senso dell'amore cristiano. Il progresso, piace ricordarlo, è nel senso dell'amore. Per questo, molte anime, sinceramente cristiane, sono state turbate dal linguaggio così anacronistico di alcune pagine della Pascendi, in cui sembrava di sentire come una nostalgia del rogo e del capestro da parte della vecchia Curia che altre volte ebbe a sua disposizione la S. Inquisizione.
A Roma, in primavera, quando s'avanzano sulla città dalla montagna o dal mare nubi temporalesche, su una delle più belle chiese suona a stormo una campana. Tutte le sere, a notte inoltrata, da uno dei più alti campanili, suona lungamente un'altra campana per indicare la via ai romei sperduti nella campagna. Il rumore della città moderna non permette di sentire più questi lugubri suoni; nessuno teme il temporale, e nessuno si sperde nella luce che inonda le vie della città e dei suburbi la sera. E le due campane continuano a suonare. Perchè dunque ancora quelle campane? Noi diciamo: lasciatele suonare, non disturbano alcuno, e solo chi le suona n'è stordito talvolta...

Che un gruppo di preti (che ci siano dei preti nella redazione di Nova et Vetera è facile arguirlo) e di laici sia così nettamente giunta a dissociare la religiosità dal clericalismo cattolico, a rivendicare l'eredità del Vangelo contro il monopolio e le deformazioni del Vaticano autocratico, a spezzar l'efficacia delle più solenni misure disciplinari che Roma abbia a sua disposizione, pur affermando di voler continuare la tradizione cattolica, di cui sogna una realizzazione più alta, ecco il grande fatto nella storia religiosa contemporanea.

Le sue conseguenze, che solo oggi cominciano ad apparire, saranno immense.

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