XX lL PAPATO POLITICO E IL NEOPAGANESIMO

L'inquinamento progressivo della Curia papale nell'epoca del nostro cosiddetto Rinascimento è rappresentato graficamente a grandi linee nell'opera di L. Elliot Binns, D. D., The History of the Decline and Fall of the Medieval Papacy (London, Methuen & Co. Ltd.). La grande opera di Ludovico Pastor, Storia dei Papi, dalla fine del Medioevo, ha bisogno di essere qui appena menzionata. Come è universalmente riconosciuto, è un'opera di erudizione e di esplorazione archivistica letteralmente formidabili, a cui si possono rimproverare, se si vuole, preconcetti nelle valutazioni e molti presupposti tendenziosi, ma la cui ricchezza di dati, la copia dei riferimenti, la utilizzazione sconfinata degli archivi, conferiscono un valore eccezionale e, diciamo pure, inconsumabile. Anche i riferimenti bibliografici possono sempre trovarsi lí minuti e vagliati.

Una questione piú grossa, sulla quale si può dire pende ancora incerta la sentenza dei nostri studiosi, è quella che coinvolge l'essenza stessa del nostro Rinascimento umanistico e il valore religioso della età tutta della Rinascita. Proprio mentre noi veniamo registrando questi ragguagli bibliografici, si pubblica, intorno al Rinascimento, una raccolta di saggi di Giovanni Papini, alla cui valutazione celebrativa dell'epoca presa a studiare, da un punto di vista cristiano, noi non ci sentiamo affatto di sottoscrivere.

L'opera di Ernst Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento (Traduzione dal tedesco di Federico Federici, Firenze, La Nuova Italia), ci pare veramente di fondamentale importanza.

Nella «Biblioteca della Rinascita» diretta da Giovanni Papini, Bruno Cicognani ha pubblicato il De Hominis Dignitate di Giovanni Pico della Mirandola, nel testo originale e in una squisita traduzione corredata di coscienziose note.

In questa nostra ricostruzione delle tappe di sviluppo del cristianesimo nella storia, noi non potevamo metterci che da un punto di vista strettamente religioso. Come i nostri lettori hanno visto, la nostra esposizione e la nostra valutazione possono peccare, caso mai, per eccesso di originalità. Abbiamo voluto soprattutto indagare la logica intima che ha presieduto al passaggio dall'apocalittismo gioachimita alla concezione umanistica del mondo e della vita. E nel tracciare le linee di questo sviluppo siamo stati automaticamente portati a rievocare, come paradigma normativa e parallelismo eloquente, quel che era stato il processo di transizione, nel cristianesimo antico, dalla esperienza messianica alla speculazione apologetica, del secondo e del terzo secolo.

Perché però i nostri lettori abbiano un orientamento, qualora intendano controllare le nostre asserzioni e i nostri giudizi di valore, indicheremo qui, come riferimenti bibliografici praticamente utili, non solamente l'opera classica per quanto ormai invecchiata del Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, ma anche le opere piú recenti che hanno allargato e spostato le visuali correnti in argomento. K. Burdach: Riforma, Rinascimento, Umanesimo (trad. ital., Venezia, 1928); Rienzo und die geistige Wandlung seiner Zeit, in «Vom Mittelalter zur Reformation», II, 1, Berlino, 1913-26; W. Goetz, Mittelalter und Renaissance, nella «Historische Zeischrift» (1907); K. Brandi, Das Werden der Renaissance, Gottingen, 1910; E. Troeltsch, Renaissance und Reformation, nelle «Gesammelte Schriften», IV, Tübingen, 1924.

Si sa qual è la concezione del nostro Rinascimento posta in circolazione dal rappresentanti del nostro idealismo hegeliano. Rimandiamo ad ogni modo alle seguenti opere: B. Spaventa, Rinascimento, Riforma, Controriforma, Venezia, 1928; G. Gentile, Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, 2a ed., Firenze, 1925; Studi sul Rinascimento, ivi, 1923; I problemi della Scolastica e il pensiero italiano, 2a ed., Bari, 1923; G. Saitta, La filosofia di Marsilio Ficino, Messina, 1923; Filosofia italiana e umanesimo, Venezia, 1928.

Come singolare tentativo per togliere all'Italia la sua posizione di preminente efficienza nella formazione della cultura rinascimentale, segnaliamo l'opera discutibilissima di I. Nordstrom, Le Moyen Age et la Renaissance, Parigi, 1933.

Alla figura di Girolamo Savonarola noi abbiamo dedicato una attenzione che potrà apparire a molti insufficiente e inadeguata. In realtà, preoccupati innanzi tutto di seguire il processo di sviluppo del pensiero e della tradizione religiosa nel cristianesimo, noi non avevamo ragioni decisive per indugiarci di piú sulla singolare figura del predicatore, che accese nella Firenze medicea del Quattrocento cadente un incendio cosí precario. Ad ogni modo si sa come al Savonarola abbiano dedicato monografie storiche ampie e ricche di particolari, prima il nostro Pasquale Villari, e poi Giuseppe Schnitzer, il cui lavoro è stato pubblicato in lussuosa versione italiana (Savonarola – Traduzione di Ernesto Rutili, in 2 volumi con 20 illustrazioni, Milano, Treves, 1931).

La figura di Alessandro VI ha troppo occupato gli storici per la sua vita privata e per la sua condotta nel contrasto con Girolamo Savonarola perché rimanesse adeguato modo di valutare la posizione di rilievo che questo discusso Pontefice ha avuto nella storia del mondo, per le sue decisioni riguardo alla assegnazione politica delle scoperte d'oltre Atlantico, effettuate da Cristoforo Colombo.

Si sa come fin dall'indomani del primo viaggio colombiano il Portogallo non tardò a sollevare la questione circa il diritto di possesso per le nuove terre, facendo appello al trattato di Toledo che aveva assegnato ai Portoghesi le terre e le isole scoperte o da scoprire a sud delle Canarie e di fronte alla Guinea. Tali diritti portoghesi erano stati confermati da una serie di Bolle papali, determinate dal fatto che i Portoghesi avevano accampato i loro peculiari meriti sulla lotta contro gli infedeli e sulla diffusione della fede. Gli Spagnuoli ne ebbero buon gioco per fare ricorso alla medesima autorità pontificia e per invocare le medesime benemerenze religiose, onde vedere cosí sanzionato da Roma il loro diritto di possesso. Alessandro VI, spagnuolo di nascita e strettamente vincolato alla politica della Spagna, emanava cosí una serie di Bolle, mercè cui le concessioni alla Spagna venivano progressivamente ampliate. piú importante di tutte la Bolla del 4 maggio 1495, con la quale si fissava la memoranda raya o linea divisoria fra possessi spagnuoli e possessi portoghesi, a cento leghe ad ovest dalle Azzorre, di modo che alla Spagna vennero riconosciuti il possesso e il diritto di conquista su tutti i territori ad ovest, sia a nord, sia a sud, delle isole Canarie, mentre al Portogallo doveva essere attribuito tutto quello che si trovasse ad est. Le contestazioni non cessarono per questo, ma ad ogni modo merita particolare rilievo questo fatto, che un Papa spagnuolo, e un Papa della qualità di Alessandro VI, sia stato dal destino posto in grado di prendere, chiamato in causa dalla Spagna, decisioni arbitrali di tanto rilievo nello sviluppo della moderna civiltà oltreoceanica.

Oltre l'opera del Pastor, dove ad Alessandro VI si dà una trattazione tanto ampia nel vol. III della sua Storia dei Papi, non sarà superfluo segnalare qui la monografia di L. Geiger, Alexander VI und sein Hof, 10a ed., Strasburgo, 1920.

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