Durante queste straordinarie operazioni, cioè il pagamento dei due quinti in Carta e il cambiamento del Primo Ministro, Besenval era stato assente, in giro pel Distretto sotto il suo Comando; e a dire il vero, negli ultimi mesi se n'era andato pacificamente a bere le acque di Contrexéville. Ritornando ora, alla fine di Agosto, verso Moulines, e «non sapendo nulla», giunge una sera a Langres, e trova tutta la città in istato di subbuglio (grande rumeur). Senza dubbio si tratta d'una sedizione; una cosa tanto comune a quei tempi. Nondimeno egli smonta, e chiede a un individuo «piuttosto ben vestito»: Che è mai successo? «Come», risponde costui, «non sapete la notizia? L'Arcivescovo è sbalzato, e il Signor Necker è richiamato; tutto accenna ad andare pel meglio!»
Quella rumeur e il vocio delle acclamazioni avevano circondato M. Necker «fin dal giorno in cui egli usciva dagli Appartamenti della Regina» dopo la sua nomina a Ministro. Era il 24 Agosto: «le gallerie del Castello, le corti, le strade di Versailles; in poche ore la capitale, e, come la notizia si diffuse, tutta la Francia, echeggiarono del grido di: Vive le Roi, Vive M. Necker!» Senonchè, a Parigi quel grido divenne disgraziatamente oggetto di «torbidi». Petardi e razzi vengono lanciati nella Place Dauphine, passando parecchio la misura. Un Fantoccio di vimini (Mannequin d'osier) in abito d'Arcivescovo, fatto simbolicamente per tre quinti in raso e per due quinti in carta, è portato, non in silenzio, alla sbarra del tribunale popolare; ivi vien giudicato, e fatto confessare da un contraffatto Abbé de Vermond; poi è solennemente consumato dal fuoco a piè della statua di Enrico sul Pont Neuf. Con tal foga nel lanciare petardi e tali urli che lo Chevalier Dubois e le sue guardie di città trovarono alfine opportuno di caricare la folla (cosa più o meno inutile). Non si mancò di bruciare le garette delle sentinelle, di forzare i corpi di guardia, ed anche di «gettare nella Senna i cadaveri nel corso della notte» per evitare nuove effervescenze.
Così, i Parlamenti torneranno dall'esilio: la Corte Plenaria, i Pagamenti per due quinti in carta sono svaniti, andati in fumo a piè della statua di Enrico. Gli Stati Generali (con un Millennio Politico) sono ormai certi; anzi nella fretta del nostro desiderio, saranno annunziati pel prossimo Gennaio; e tutto, come disse l'uomo di Langres, «vuol andare pel meglio».
All'occhio profetico di Besenval un'altra cosa è più che apparente; cioè, che l'Amico Lamoignon non può conservare il suo Portafoglio della Marina; nè egli nè il Ministro della Guerra Conte di Brienne! Di già il vecchio Foulon, che aspira a divenire Ministro della guerra, si agita dietro le quinte. È quello stesso Foulon detto âme damnée du Parlement; uomo incanutito nella perfidia, oppressore, pronto ad ogni macchinazione, intrigo, nequizia. Egli, quando, a proposito d'un suo progetto di finanza, gli si obbiettò: «E il Popolo che farà?», rispose nell'ardore della discussione: «Il Popolo può mangiare erba». Parole inconsiderate che volano e si divulgano tornando poi sotto forma di fatti!
Foulon, a soddisfazione del mondo, cade questa volta, e sempre cadrà. D'altra parte ciò non è di giovamento a M. de Lamoignon; nè vale a quest'uomo condannato l'avere una intervista col Re, donde fu visto tornare radieux, raggiante. Lamoignon è l'uomo odiato dai Parlamenti; il Conte di Brienne è fratello del Cardinale Arcivescovo. Il 24 Agosto è stato, e il 14 Settembre non è ancora venuto, allorchè ambedue, come fece il loro gran Principale, cadranno sul morbido espressamente preparato.
Ed ora, quasi che l'ultimo peso le si fosse tolto dal cuore, e la sicurezza fosse divenuta completa, Parigi prorompe di nuovo in un giubilo estremo. La Basoche mostra a voce alta il suo contento che il cattivo genio del Parlamento sia caduto; la Nobiltà, la Borghesia, il Popolo se ne sono rallegrati e tuttora se ne rallegrano. Anzi ora, con nuova enfasi, balzando repentinamente dai suoi bassifondi, sorgerà a manifestarsi anche la Canaglia, perchè anche laggiù è penetrato il nuovo Vangelo Politico in una forma rude o in un'altra. È Lunedì, e siamo al 14 Settembre 1788: la Canaglia si assembra di nuovo, in gran forza, nella Place Dauphine; lancia petardi, dà fuoco a spingarde con incredibile resistenza, senza tregua, per otto ore di seguito. Appare di nuovo un Fantoccio di vimini, «Mannequin d'osier», fatto segno ad urli senza fine. Anche il ritratto di Necker, carpito o comperato in qualche bottega di stampe, è portato in processione sulla punta della pertica, accompagnato da evviva: – un esempio degno di memoria.
Specialmente sul Pont Neuf, ove il Grande Enrico in bronzo si erge sublime, s'accalca la folla. Tutti i passanti debbono far sosta fin che non si siano inchinati al Re del Popolo e non abbian detto in maniera da farsi udire: Vive Henri Quatre; au diable Lamoignon! Nessuna carrozza può passare senza fermarsi; neppur quella di Sua Altezza d'Orléans. Gli sportelli delle carrozze vengono aperti: il signore deve compiacersi di sporger fuori la testa e inchinarsi; oppure, se refrattario, deve smontare addirittura e inginocchiarsi; per la signora, un lieve ondeggiare delle sue piume, un sorriso sul suo bel volto, senza muoversi dal suo posto, è quanto basta; naturalmente poi qualche moneta elargita dalle Alte Classi amiche della Libertà (per comperarne fusées) non era fuor di luogo. Questo stato di cose si prolunga per più giorni, e a rendere il sollazzo più grossolano non mancano dei calci. La Guardia civica non può far proprio nulla, e appena è in grado di salvare la propria pelle; poichè negli ultimi dodici mesi, come abbiamo osservato qualche volta, era divenuto un passatempo il dar la caccia alla Guardia. Besenval, a dir vero, è a portata di mano coi suoi soldati; ma essi hanno ordini di evitare il fuoco e non sono punto disposti a muoversi.
La esplosione dei petardi cominciò il lunedì mattina; ora è circa la mezzanotte del mercoledì e il «Mannequin di vimini» dev'essere sepolto... apparentemente all'antica maniera. Lunghe file di torce lo seguono, andando in direzione del palazzo Lamoignon, «ma un mio servo» (di Besenval) è corso a darne avviso, e intervengono i soldati. No, il tristo Lamoignon non morrà nel furore della rivolta, nè questa notte, nè per un anno ancora; ma morrà poi d'un colpo di fucile (non si sa se volendosi suicidare o per un accidente). La Canaglia, respinta, brucia il suo Manichino di vimini sotto le finestre di lui; frantuma il casotto della sentinella e s'allontana per assaltare Brienne e il Capitano delle Guardie Dubois. Senonchè ora tutti si danno da fare: Gardes Françaises, Invalidi, Guardie del Corpo; la processione delle torcie è ricevuta a colpi di fucile, di baionetta, di sciabole. Anche Dubois esegue una carica con la sua cavalleria ed è la più crudele di tutte: «vi sono molti feriti e molti morti»; non senza clangore e lamenti, con tutto un seguito di processi penali e di persone officiali che muoiono di crepacuore!. Frattanto, con la scopa d'acciaio, la Canaglia è stata spazzata via e gettata nelle sue più remote profondità, e le vie sono rimaste monde.
Per un secolo e mezzo la Canaglia non aveva osato di farsi avanti in tal guisa, nè durante un così lungo periodo aveva mostrato la sua smisurata e rozza fisonomia alla piena luce del giorno. Una Meraviglia, una Cosa tutta nuova: quella gente nel suo allegro sgambettare fa ricordare il burlesco viaggio a Brobdignag; essa non è priva d'originalità e quasi non sente la collera; eppure nel suo riso vacuo, grossolano, si nasconde un'ombra truce... e chissà che non possa venir fuori una volta o un'altra!
Intanto, i pensatori invitati da Loménie sono molto innanzi coi loro pamphlets. Gli Stati Generali, per altro, con un progetto o con un altro, si aduneranno in ogni modo, se non nel Gennaio, come una volta si sperava, al più tardi nel Maggio. Il vecchio Duca di Richelieu, moribondo in questi giorni d'autunno, apre ancora una volta gli occhi e mormora: «Che avrebbe detto Luigi Decimoquarto!...» (che egli ricorda), poi richiude gli occhi per sempre, prima dei tempi calamitosi.