Capitolo VIII. L'Agonia di Loménie

Il mattino seguente, che è il 3 maggio 1788, un Parlamento attonito si trova convocato e ascolta in silenzio il discorso con cui D'Espréménil fa noto l'inaudito misfatto. Un atto di tradimento, un atto della più nera empietà, quale il solo Dispotismo sa ideare! Denunzialo, o Parlamento di Parigi, ridesta la Francia, ridesta l'Universo; lancia i barili tonanti dell'eloquenza che tu possiedi; anche per te è il caso di dire: Ora, o giammai!

Il Parlamento non vien meno in questo critico momento. Nell'ora del suo estremo pericolo, il leone da prima s'eccita col ruggito, col batter della coda nei fianchi; così il Parlamento di Parigi. Sulla mozione di d'Espréménil, uno dei più patriottici giuramenti di solidarietà vien fuori unanime da tutte quelle gole; eccellente idea, tutta nuova, che non rimarrà senza imitazione negli anni avvenire. Segue poi una Dichiarazione indomabile, se non addirittura dei diritti dell'uomo, almeno dei diritti del Parlamento; Invocazione agli amici della Libertà della Francia nel tempo presente e in quello che verrà. Tutto questo, ovvero l'essenza di tutto questo, è messo in carta in un certo tono misto a qualche cosa di querulo che tempera lo slancio eroico. E così, dopo aver suonato la campana di allarme, che Parigi ode e che tutta la Francia udrà, dopo l'urlo di sfida gettato in viso a Loménie e al Dispotismo, il Parlamento si ritira abbastanza soddisfatto del lavoro compiuto nella prima giornata.

Ma quel che prova Loménie al vedere il suo uovo di basilisco (tanto indispensabile alla salvezza della Francia) rotto in una maniera così prematura, lo lascio immaginare ai lettori. Indignato, egli dà di piglio ai suoi fulmini (de Cachet, di Sigillo) e ne lancia due: un fulmine per D'Espréménil e un fulmine per lo zelante Goeslard, il quale, pel servizio reso circa il Secondo Ventesimo e la «Stretta valutazione», non è stato dimenticato. Tali fulmini, branditi prontamente nella notte e lanciati al sorgere del novello giorno, se non indurranno al ravvedimento questa Parigi agitata, provocheranno almeno un salutare stupore.

Fulmini ministeriali si può ben lanciarne; ma, se non colpiscono? D'Espréménil e Goeslard, messi sull'avviso, a quel che pare, dal canto di qualche occulto uccello, eludono la vigilanza degli sbirri di Loménie e fuggono travestiti a traverso abbaini e su pei tetti, fino al loro Palais de Justice: i fulmini non hanno colpito. Parigi, al divulgarsi della novella, è presa da stupore, ma non da un salutare stupore. I due Martiri della Libertà smettono il loro travestimento e indossano le loro lunghe zimarre. Notate bene: nello spazio di un'ora, con l'aiuto di Uscieri e di rapidi corrieri, il Parlamento coi suoi Ministri, Presidenti, Pari anche, siede nuovamente in assemblea. Il Parlamento riunito dichiara che quei suoi due Martiri non possono essere lasciati a libito di qualsiasi autorità sublunare; inoltre, che la seduta sia permanente, non ammettendo aggiornamenti di sorta fin che la persecuzione di costoro non sia cessata.

Così, fra l'eloquenza del foro, fra le denuncie e proteste, mentre vanno e vengono corrieri, il Parlamento, in uno stato d'esplosione che non cesserà nè giorno nè notte, attende una via d'uscita. Ridestatasi Parigi, inonda ancora una volta le Corti esterne; essa ferve, straripa a traverso tutte le avenues, più selvaggia che mai. Un subbuglio discordante, una confusione di parole, come quella delle genti di Babele non ancora disperse, al primo ritrovarsi colpite dalla mutua inintelligibilità!

Nella Città di Parigi si seguono i periodi quotidiani di lavoro e di riposo; ed ora, per la seconda volta, la più parte dei Mortali europei ed africani sono immersi nel sonno; ma qui, fra questo Turbine di parole, il sonno non è possibile; la Notte stende anche qui la sua coltre di Tenebre, ma invano. Nell'interno è il suono d'una invincibilità da martire, temperata da un opportuno accento querulo: all'esterno un bisbiglio infinito d'aspettazione, che va lentamente a sopirsi. E così s'è durato per trentasei ore.

Ma, ascoltate! Che è mai questo calpestio, nel silenzio, a mezzanotte? Un calpestio come d'uomini armati, di fanteria e cavalleria: sono Gardes Françaises, Gardes Suisses che marciano a questa volta con regolarità silenziosa, a lume di torcie! Vi sono anche gli zappatori muniti di scuri e sbarre di ferro, evidentemente per forzare gli usci se non si volesse aprirli! È il Capitano D'Agoust, che viene in missione da Versailles. D'Agoust, uomo di nota fermezza, il quale una volta costrinse lo stesso Principe di Condé, semplicemente perchè lo aveva guardato con insistenza, a dargli soddisfazione e a battersi.

Egli ora s'avanza munito di scuri e torcia verso il santuario della Giustizia. È un sacrilegio; ma come evitarlo? Quell'uomo è un soldato, non fa che eseguire gli ordini ricevuti, e, impassibile, s'avanza come una macchina inanimata.

All'intimazione, le porte si aprono, senza bisogno di scuri, l'una dopo l'altra; ed ecco che appaiono i Senatori di Francia dalle lunghe zimarre; sono centosessantasette, a quel che si dice, tra cui diciassette Pari, e siedono maestosi in «seduta permanente». Se quell'uomo non fosse un militare, se non fosse corazzato di ferro, quella vista, quel silenzio in cui echeggia il cigolio dei suoi stivali, lo farebbero titubare! Perchè i centosessantasette lo ricevono in perfetto silenzio, che alcuni paragonano a quello del Senato Romano caduto nelle mani di Brenno; altri a quello d'una accolta di falsi monetarî sorpresi dagli Agenti della Polizia. «Messieur, disse D'Agoust, de part le Roi!». D'Agoust ha ricevuto ordini formali, e a lui incombe il triste dovere d'arrestare due individui: M. Duval d’Espréménil e M. Goeslard de Monsabert; e poichè egli non ha l'onore di conoscere questi rispettabili individui, essi sono invitati, in nome del Re, ad arrendersi. Silenzio profondo. Indi un bisbiglio che divien poi mormorio: «Noi siamo tutti D'Espréménils!», si arrischia a dire una voce, ed altre voci lo ripetono. Il Presidente gli chiede se ricorrerà alla violenza. Il Capitano D'Agoust, onorato d'una commissione di Sua Maestà, è tenuto ad eseguire gli ordini di Sua Maestà; sarebbe ben lieto per altro di farlo senza ricorrere alla violenza; ma dovrà farlo in ogni modo; accorda all'augusto Senato un po' di tempo perchè deliberi qual metodo preferisce. Ciò detto, D'Agoust con grave cortesia militare si ritira pel momento.

Che fare, o augusti Senatori? Tutte le vie sono chiuse dalle baionette puntate. Galoppa il vostro corriere alla volta di Versailles nella notte rugiadosa; ma torna poi galoppando, con la notizia che l'ordine è autentico, irrevocabile. Le corti esterne rigurgitano d'un pubblico ozioso; ma le fila dei granatieri di D'Agoust son là piantate come cateratte immobili; nè contate su una rivolta che possa liberarvi. «Messieurs!» così parlò D'Espréménil: «Quando i Galli vittoriosi entrarono in Roma da loro presa per assedio, i Senatori Romani, vestiti delle loro porpore, sedevano nelle loro sedie curali con un contegno altero e tranquillo, aspettando la schiavitù o la morte. Tale è lo spettacolo che voi in questo momento offrite all'universo dopo avere generosamente...» e tant'altre parole di simil genere, che si possono ancora leggere.

In vano, o D'Espréménil! Qui v'è D'Agoust, il Capitano di ferro, col suo contegno militare; ed eccolo che ritorna. Il dispotismo, la costrizione, la distruzione ondeggiano tra le sue piume. D'Espréménil è costretto a tacere, e eroicamente si arrende per timore di peggio. Goeslard eroicamente lo imita. Fra una commozione, espansiva in alcuni, muta in altri, si gettano nelle braccia dei loro confratelli parlamentari in un ultimo abbraccio: così, fra gli applausi e i lamenti, che partono da centosessantacinque gole; fra l'ondeggiare delle mani che salutano; fra i singulti e tutta una folata di sospiri del dolore Parlamentare, essi sono condotti a traverso tortuosi corridoi fino alla porta d'uscita; ove, alla luce grigia del mattino, si scorgono due vetture che son là ad aspettare con gli Exempts. In quelle vetture debbono montare le vittime; le baionette son dietro in atto di minaccia. Alla triste domanda di D'Espréménil al popolaccio «se ha del coraggio», si risponde col silenzio. Montano e partono; nè il levarsi del sole di Maggio (è il mattino del sei), nè il suo tramonto illumineranno quei cuori; essi avanzano senza tregua: D'Espréménil va verso le estreme isole di Santa Margherita o Hyères (che qualcuno ha supposto, se ciò può riuscire di conforto, esser l'isola di Calipso); Goeslard va verso la fortezza di Pierre-en-Cize, allora esistente presso la città di Lione.

Il Capitano D'Agoust può da questo momento aspirare al grado di Maggiore, di Comandante delle Tuileries...; nello stesso tempo sparirà dalla Storia, benchè destinato a compiere una cosa notevole. Poichè, non solo D'Espréménil e Goeslard sono al sicuro e vanno di carriera verso il Sud; ma lo stesso Parlamento è costretto ad uscire immantinenti: a tal punto arrivano gli ordini inesorabili di D'Agoust. Tirate su le loro zimarre, i Centosessantacinque sfilano fra le due linee dei poco simpatici granatieri; spettacolo agli dèi e agli uomini. Il popolo non si rivolta, ma si meraviglia e mormora. Eziandio, dobbiamo notarlo, questi poco simpatici granatieri sono Gardes Françaises, che un giorno diverranno simpatiche! In una parola, il Palais de Justice è spazzato da cima a fondo, le porte sono chiuse a catenaccio, e D'Agoust ritorna a Versailles con la chiave in tasca, essendosi, come abbiam detto, guadagnata la promozione.

Quanto al Parlamento di Parigi, messo fuori in istrada, noi lo lasceremo senza riluttanza dove si trova. I Letti di Giustizia che esso ebbe a sopportare nei quindici giorni che seguirono, a Versailles, nel registrare o piuttosto nel rifiutare la registrazione di quella nuova covata di Editti; le sue riunioni nelle taverne e nelle sale d'osterie allo scopo di protestare; il suo gironzare sconsolato con la zimarra sparsa al vento, senza un punto di ritrovo, ridotto a consegnare la sua Protesta «a un Notaio», e alfine a restar neghittoso (in uno stato di vacanza forzata) e a non fare più nulla; tutto ciò è ormai naturale, come il seppellimento dei morti dopo la battaglia, e non deve interessarci. Il Parlamento di Parigi ha compiuta la sua parte: facendo e disfacendo, fin qui; ma difficilmente potrebbe ancora commuovere il mondo.

Loménie ha dunque distrutto il male? Niente affatto: se mai il sintomo del male, o meglio la dodicesima parte del sintomo, nè più nè meno, esacerbando le altre undici parti! Gl'Intendenti delle Provincie, i Comandanti militari si trovano ai loro posti nel giorno stabilito, l'otto maggio: ma in nessun Parlamento, se si eccettua quello unico di Douai, possono essere registrati i nuovi Editti. Nessuna firma pacifica con l'inchiostro: ma minacce, spargimento di sangue, appelli alla primitiva legge del bastone! Contro questi Bailliages, contro questa Corte Plenaria, Temi esasperata fa dappertutto il viso dell'armi; la Nobiltà Provinciale vi si associa e chiunque odia Loménie e questo rio tempo; coi suoi avvocati e i suoi addetti essa fa proseliti fino nel popolaccio. A Rennes, in Bretagna, ove lo storico Bertrand de Moleville è Intendente, da un continuo succedersi di duelli fra la milizia e l'alta borghesia si passa alle battaglie sulle vie a colpi di pietre e di moschetti; ma ancora non si registrano gli Editti. I malcapitati Bretoni fanno pervenire le loro rimostranze a Loménie, mediante una Deputazione di Dodici; la quale per altro vien rinchiusa nella Bastiglia dopo che Loménie l'ha udita. Ad una seconda Deputazione più numerosa egli manda incontro i suoi esploratori, che per via di persuasioni o intimidazioni l'inducono a tornarsene. Ma alfine una terza Deputazione ancora più grande è inviata per vie diverse dai Bretoni indignati, al suo arrivo le si rifiuta l'udienza; i suoi componenti si riuniscono per prendere consiglio, invitando Lafayette e tutti i patrioti Bretoni residenti a Parigi ad assistervi; essi si agitano e fondano il Club Breton, primo germe della... Società dei Giacobini.

Fino ad otto Parlamenti sono esiliati; e per altri ancora potrebbe occorrere un tal rimedio, ma non ne è sempre facile l'applicazione. A Grenoble, per esempio, dove un Mounier e un Barnave non se n'erano stati con le mani in mano, il Parlamento ricevette bensì l'ordine (per Lettres-de-Cachet) di partire per l'esilio; ma il mattino seguente, in cambio delle vetture in ordine, la campana d'allarme s'agita con violenza, emettendo sinistri rintocchi, e per tutto il giorno s'ode il suo rimbombo assordante. I montanari vengono giù a frotte armati di scuri ed anche di archibugi; e, quel che più è deplorevole, i soldati non mostrano gran voglia di venire alle mani con costoro. «Con la scure sul capo», il povero Generale è costretto a firmare la capitolazione, impegnandosi che le Lettres-de-Cachet non avrebbero effetto e che l'amato Parlamento rimarrebbe al suo posto. Besançon, Dijon, Bordeaux, non sono quali dovrebbero essere. A Pau, in Béarn, ove il vecchio Comandante era stato debole, il nuovo (un Grammont loro concittadino) è ricevuto da una processione di cittadini che recano la Culla di Enrico IV, il Palladio della loro Città; essi lo scongiurano in nome della venerazione che professa a quel vecchio Guscio di testuggine in cui fu cullato il grande Enrico, di non conculcare la libertà Bearnese; nello stesso tempo lo informano che i cannoni di Sua Maestà sono tutti al sicuro custoditi dai cittadini di Pau, fedeli sudditi, e sono ora puntati sulle mura, pronti all'azione.

In queste condizioni, i vostri Grands Bailliages corrono il rischio d'avere una tempestosa infanzia. Quanto poi alla Corte Plenaria, essa è letteralmente morta in sul nascere. Gli stessi Cortigiani cominciarono a guardarla malsicuri; il vecchio Maresciallo Broglie declinò l'onore di farne parte. Assalita dalla tempesta universale mista di ridicolo e di esecrazione, questa povera Corte Plenaria s'aduna una sola volta e poi mai più. Scombussolato paese! La Discordia si erge con le sue biforcute lingue d'idra ovunque il povero Loménie mette il piede. «Che un Comandante, un Commissario del Re», dice Weber, «si provi ad entrare in uno di questi Parlamenti perchè gli si registri un Editto, e tutto il Tribunale sparirà, lasciandolo solo con lo scrivano e il Primo Presidente. Registrato l'Editto e partito il Comandante, l'intero Tribunale s'affretterà a tornare per dichiarare nulla questa registrazione. Le strade maestre sono gremite di grandi Deputazioni parlamentari, che procedono alla volta di Versailles per ottenere la cancellazione delle loro registrazioni dalla mano del Re, o che ne tornano, pronti a coprire una nuova pagina con una nuova risoluzione ancora più audace».

Tale è la Francia di quest'anno 1788. Non è più una Età dell'Oro o della Carta dominata dalla Speranza, con le sue corse di cavalli, coi suoi palloni frenati e le squisite sensibilità del cuore: oh come tutto questo è scomparso; com'è impallidito il suo aureo splendore, ottenebrato in così strano modo, involto nel turbine che corre verso la tempesta soprannaturale! Come nel naufragio di Paolo e Virginia di Saint-Pierre «una smisurata e immota nube» (che noi diremo la nube del Dolore e della Indignazione) «cinge tutto il nostro orizzonte, si libra con le chiome sparse, contornata da riflessi di rame, su un cielo del colore del piombo». È immota, «ma altre piccole nubi» (come i Parlamenti esiliati e simili) «si staccano da essa, volano sullo zenit con la velocità di uccelli»; e alfine con un urlo acuto irrompono insieme i Quattro Venti; tutto il mondo esclama allora: Ecco il turbine! Tout le monde s'écria: Voilà l'ouragan!

Del resto, in tale condizione di cose, il Prestito Progressivo, naturalmente, non si colloca: nè invero può quella imposta del Secondo Ventesimo, non sulla «stretta valutazione» almeno, essere levata con buon risultamento. «I prestatori», dice Weber nella sua maniera isterica e veemente, «temono la rovina; i riscuotitori della tassa temono di essere impiccati». Il Clero medesimo volge la faccia; e quando è convocato in Assemblea straordinaria, non fornisce alcun dono gratuito (don gratuit), se si esclude il dono dei consigli; anche qui, invece di dar denaro, s'invocano tumultuariamente gli Stati Generali!

O Loménie-Brienne, dalla povera mente inferma tutta sconvolta, dal corpo logorato da «tre cauterî permanenti»; sul punto di morire d'infiammazione o di crepacuore, di dieta lattea, di dartres vives et maladie... (meglio non tradurre); tu che presiedi una Francia affetta da innumerevoli cautères actuels, anch'essa morente d'infiammazione e di tutto il resto! fu savio da parte tua il lasciare le boscose verzure di Brienne e il tuo nuovo castello marmoreo con quel che conteneva, per venire a far questo? Che ombre carezzevoli, che morbidi prati erano ivi; eran dolci gl'inni di quei poetastri come le blandizie delle Grazie imbellettate: eppure, così tu come l'altro Filosofo, il Morellet (che non considerava nè te nè sè un Prete spretato), potreste esser tanto felici facendo dei felici! Inoltre (se tu lo avessi saputo!) nella Scuola Militare in quei pressi si ritrovava a studiar matematiche un taciturno Fanciullo, dal colorito bruno, che portava il nome di: Napoleone Bonaparte! Dopo cinquant'anni di sforzi, e dopo una suprema lotta vitale, tu hai fatto un cambiamento! Hai ottenuta alfine la toga presidenziale, come Ercole ebbe la camicia di Nesso.

Il 13 luglio dello stesso anno 1788, nell'imminenza del ricolto della messe, cadde una gragnuola delle più spaventevoli, devastando furiosamente tutti i frutti di quell'anno, che già avevano sofferto tanto per la siccità. Per sessanta leghe intorno a Parigi, specialmente, la rovina fu quasi totale. Così, a tanti altri malanni bisogna aggiungere la carestia e forse la fame.

Alcuni giorni prima di questa tempesta di grandine, il 5 luglio, e più decisamente alcuni giorni dopo, l'8 agosto, Loménie annunzia che gli Stati Generali si convocheranno senz'altro nel prossimo venturo maggio. A dopo quel tempo sono rimandati la Corte Plenaria e tutto il resto. Inoltre, poichè Loménie non ha nessun piano quanto alla formazione e all'applicazione dei tanto desiderati Stati Generali, «sono invitati i pensatori» a fornirgliene uno per mezzo della discussione con la pubblica stampa!

Che poteva fare un povero Ministro? Ancora dieci mesi di respiro: un pilota sul punto di naufragare getterà via tutti gli oggetti, a cominciare dal suo sacco di biscotti, dal suo piombino, dalle sue loche, dalla bussola e dal quadrante, prima di affondare egli stesso. L'idea di affondare e l'incipiente delirio della disperazione ci fanno spiegare il quasi miracoloso «invito ai pensatori». Invito al Caos che voglia avere la gentilezza di costruire con quei tumultuosi pezzi galleggianti un'Arca di Salvezza per lui! In questi casi, più che un invito, un comando è sempre riuscito più opportuno. Quella sera la Regina se ne stava pensosa nel vano d'una finestra, con lo sguardo rivolto al Giardino. Il sou Chef de Gobelet l'aveva seguita recandole ossequiosamente una tazza di caffè, e s'era poi ritirato mentr'ella lo sorbiva. Sua Maestà fece cenno alla Dame Campan di avvicinarsi: «Grand Dieu!» mormorò ella, tenendo in mano la tazza, «quali novità si renderanno pubbliche oggi! Il Re concede gli Stati Generali». Poi, volgendo gli occhi al cielo (se Campan non s'ingannò), soggiunse: «Questo è il primo colpo di tamburo di cattivo augurio per la Francia. Questa Nobiltà ci rovinerà».

Durante tutto quell'affaccendarsi intorno alla Corte Plenaria, mentre Lamoignon aveva aspetto così misterioso, Besenval gli aveva rivolta una domanda significativa: se, cioè, avevano danari. Al che, avendo Lamoignon risposto come sempre (sulla fede di Loménie) che il danaro era assicurato, il giudizioso Besenval replicò che in quel caso tutto era salvo. Eppure resta il triste fatto che i forzieri regali sono pressochè letteralmente vuoti. In vero, a prescindere da ogni altra considerazione, quell'«invito ai pensatori» e il gran cambiamento ormai vicino sono quanto basta per «arrestare la circolazione del capitale» e promuovere soltanto quella dei pamphlets. Poche migliaia di luigi d'oro è tutta la moneta o l'equivalente della moneta che resta nel tesoro del Re. In un altro accesso di disperazione, Loménie invita Necker a tornare e a divenire Controllore delle Finanze! Necker ha altro in vista che venire a controllare le Finanze per conto di Loménie, e, con un rifiuto secco, resta in silenzio al suo posto, aspettando il tempo opportuno.

Che farà un Primo Ministro disperato? S'è già impadronito della cassa forte del Teatro del Re; s'era istituita qualche Lotteria pei danneggiati dalla grandine, e Loménie, nel suo estremo bisogno, anche su queste ha messo le mani. Fra non guari diverrà impossibile il provvedere, a qualsiasi condizione, ai bisogni quotidiani. Il 16 Agosto il povero Weber udiva a Parigi e a Versailles degli strilloni, dalla voce soffocata e sorda (voix étouffée, sourde), che annunziava per le vie, con tono strascicato e nasale, un Editto concernente i Pagamenti (tale era il titolo dolce che Rivarol gli aveva dato). Tutti i Pagamenti della Tesoreria Reale sarebbero stati fatti d'ora innanzi per tre quinti in denaro contante e i rimanenti due quinti in Boni ad interesse! Il povero Weber cadde quasi in deliquio nell'udire quelle voci scordanti, col loro presagio di corvi, e mai dimenticherà l'effetto che produssero in lui.

Ma quale effetto producono su Parigi, sul mondo in genere? Dai bassifondi dell'Aggiotaggio, dalle sommità dell'Economia politica, dal Neckerismo e dal Filosofismo; da tutte le gole articolate e inarticolate partono schiamazzi ed urli, come mai orecchio ha udito. La sedizione può essere imminente! Monseigneur d'Artois, indotto dalla Duchessa di Polignac, sente il dovere di recarsi da Sua Maestà la Regina, e francamente le espone lo stato della crisi. «La Regina pianse»; anche Brienne pianse; – perchè è ormai chiaro, evidente che egli debba andar via.

Senonchè la Corte, cui le sue maniere e la sua loquacità furono sempre gradite, renderà dolce la sua caduta. Il vecchio rapace ha già ottenuto che il suo Arcivescovado di Tolosa venga cambiato con quello più ricco di Sens: e ora, in questo momento di pietà, avrà il Coadiutorato per suo nipote (il quale appena raggiunge la dovuta età), un posto di Dama di palazzo per sua nipote, un Reggimento pel marito di lei, per sè un cappello rosso da Cardinale, e una Coupe de Bois (taglio da farsi nelle foreste regali): in complesso da cinque a seicento mila lire di rendita; e, finalmente, suo fratello, il Conte di Brienne, seguiterà ad essere Ministro della Guerra. Circondato da così morbidi capezzali, da così smisurati letti di piume della Promozione, lasciate che cada ormai, come più dolcemente è possibile!

Così Loménie si diparte: ricco, se i titoli di Corte e la carta-moneta possono arricchirlo; ma, in caso contrario, il più povero forse di tutti gli esseri umani. «Accolto a fischi dal popolo di Versailles», egli parte alla volta di Jardi, e poi si reca a sud, diretto a Brienne, per ristabilirsi in salute. Di là passa e si ferma alquanto in Italia; ma tornerà egli, sguisciando avanti e indietro, trepido, offuscato, schiacciato dai terribili eventi, fin che la Ghigliottina... spegnerà la sua debole esistenza? Ohimè, peggio ancora: egli è spento, forse strozzato ignominiosamente, da far pietà, sulla via della Ghigliottina! Nel suo palazzo di Sens, rozzi Birri Giacobini gli fecero bere con loro il vino delle sue cantine, lo fecero gozzovigliare insieme con loro con le vivande delle sue dispense; e il mattino seguente il miserabile vecchio si trovò cadavere. Tale è la fine del Primo Ministro, Cardinale Arcivescovo Loménie de Brienne. Raramente un più misero mortale fu destinato a compiere una tale somma di male, ad avere una vita così invidiata nella sua spregevolezza, una così spaventosa fine.Acceso, è la parola, di ambizione, spento come un cencio in fiamme, trastullo dei venti, senza seguire nè questa nè quella direzione, ma tutte le direzioni, andava difilato incontro a quella mina a polvere.... che egli stesso accese! Compiangiamo lo sventurato Loménie, perdoniamolo; e dimentichiamolo quanto più presto è possibile.

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