Capitolo VII Non è una rivolta

A che intrattenersi su quel che segue? La foi d'officier d'Hulin si sarebbe dovuta mantenere, ma non si potette. Gli svizzeri stanno schierati, travestiti con dei camiciotti bianchi di tela; gl'Invalidi non hanno alcun travestimento, e le loro armi sono tutte ammucchiate contro il muro. La prima ondata di vittoriosi, in estasi per lo scampato pericolo di morte, «si precipita allegramente nelle loro braccia». Ma nuove schiere di vittoriosi si seguono in uno stato di esaltazione, che non è in tutto di gioia. Come dicevamo, era un diluvio vivente che s'avanzava precipitoso, e se le Gardes Françaises, col loro sangue freddo militare, non si fossero «messe in circolo con le armi spianate», centinaia, migliaia di persone si sarebbero suicidate precipitando nel fossato della Bastiglia.

Quel diluvio s'avanza a traverso corti e corridoi, indomabile nella furia dei suoi marosi, facendo fuoco dalle finestre – su sè stesso: in preda alla frenesia ardente del trionfo, del dolore, del desiderio di vendicare i suoi morti. I poveri invalidi son ridotti a mal partito; uno Svizzero, mentre scappa via nel suo bianco camiciotto, è ricacciato indietro con un colpo mortale. Si scortino i prigionieri al Palazzo Civico per essere giudicati! – Ohimè, già un povero Invalido ha la mano destra troncata netta; il suo corpo mutilato è trascinato nella Place de Grève e colà impiccato. Quella stessa mano destra, si dice, fece retrocedere De Launay dal magazzino della polvere, salvando per tal modo Parigi.

De Launay, «scoperto in marsina grigia col nastro color papavero», è sul punto di ammazzarsi con la spada del suo bastone. Ma egli dovrà andare all'Hôtel-de-Ville, scortato da Hulin, Maillard ed altri; Elie apre la marcia, «con l'atto di capitolazione sulla punta della spada». Si va innanzi fra muggiti e maledizioni, a via di gomitate, di urtoni, e alfine anche di percosse! La vostra scorta è scompigliata, messa fuori via, abbattuta; Hulin cade rifinito su un mucchio di pietre. Disgraziato De Launay! Egli mai entrerà nell'Hôtel-de-Ville, e solo «il codino della sua chioma sanguinante, tenuto alto da una mano lorda di sangue», entrerà come contrassegno. Il tronco sanguinoso giace su quei gradini; la testa è già lontana per le vie di Parigi, orridamente infilata a una picca.

L'austero De Launay è morto gridando: «Oh amici, uccidetemi subito!» Il pietoso De Losme deve morire; e, quantunque la Gratitudine lo stringa fra le sue braccia in quest'ora spaventevole e vorrebbe morire per lui, a nulla vale. Fratelli, la vostra ira è crudele! La vostra Place de Grève è divenuta la gola d'una Tigre, che emette ruggiti feroci e ha sete di sangue. Un altro Ufficiale è massacrato, un altro Invalido è impiccato alla lanterna, sormontando ogni difficoltà, con una generosa perseveranza, les Gardes Françaises cercano di salvare gli altri. Il Prevosto Flesselles, già da molto tempo pallido come un morto, deve discendere dal suo seggio, «per essere giudicato al Palais Royal»: – ohimè, per essere ammazzato con una fucilata, da una mano sconosciuta, alla prima voltata di via!

O cadente sole di Luglio, in quest'ora medesima i tuoi raggi obliqui riposano sui mietitori, nei pacifici campi, fra i boschi, sulle vecchie donne che filano nelle capanne, lontano lontano sulle navi nell'alto mare silente; sui Balli all'Orangerie di Versailles, dove le grandi Dame di Palazzo, imbellettate, anche in questo momento danzano cogli Ufficiali Ussari dalla doppia giubba, e sul mugghiante Portico Infernale dell'Hôtel-de-Ville! La Torre di Babele, con la confusione delle lingue, non può reggere al confronto, senza l'aggiunta di Bedlam con la conflagrazione dei pensieri. Una foresta d'acciaio, scompigliata, che non ha fine, si rizza di fronte a un Comitato elettorale, volgendosi con orridi lampeggiamenti contro il petto or di questo or di quell'accusato. Erano i Titani che guerreggiavano con l'Olimpo, e avevano quasi senza crederlo, riportato vittoria: prodigio dei prodigi; frenesia, – non poteva essere altro. La denuncia, la vendetta, la fiamma del trionfo nel nero campo del terrore: tutto all'interno, tutto all'esterno precipita in una rovina folle, generale!

II Comitato Elettorale? Anche quando avesse mille gole di bronzo, non riuscirebbe a sopperire. L'Abate Lefèvre, giù nei sotterranei, è nero come Vulcano, nel distribuire «cinquemila libbre di polvere»; figurarsi con qual pericolo, da quarant'otto ore! La notte scorsa, un Patriota, ubriaco di liquori, volle assolutamente sedersi e fumare sull'orlo di uno dei barili di polvere – là egli fumava, noncurante del mondo, – finchè l'Abbé «comperò la sua pipa per tre lire», e la gettò lontana.

Elie è nella grande Aula, sotto gli occhi del Comitato Elettorale, «con la sua spada sguainata, storta in tre punti»; con l'elmo ammaccato, poichè egli era del Reggimento di Cavalleria della Regina; con l'uniforme lacerata e il viso abbruciacchiato e lordo, comparabile, dicono alcuni a «un antico guerriero» in atto di giudicare il popolo, compila una lista degli Eroi della Bastiglia. Amici, non macchiate di sangue i più verdi allori che si siano mai guadagnati in questo mondo: tale è il ritornello della canzone di Elie. E magari gli si fosse dato ascolto! Coraggio, Elie! Coraggio, Elettori Municipali! Il declinare del sole, il bisogno di vettovaglie, il bisogno di narrare le novelle, faranno tornare la calma, e la gente si disperderà: tutte le cose terrene hanno la loro fine.

Per le strade di Parigi circolano sette Prigionieri della Bastiglia portati a spalla, sette Teste sulle picche, le Chiavi della Bastiglia, e tant'altre cose. Guardate anche le Gardes Françaises che procedono con la loro risoluta andatura militare verso le loro caserme, avendo benevolmente formato un quadrato intorno agl'Invalidi e agli Svizzeri. È un anno e due mesi da che quei medesimi uomini s'astennero dal prender parte con Brenno d'Agoust al fatto del Palazzo di Giustizia, quando il Fato colpì d'Espréménil; ed ora sì che hanno portato il loro concorso e seguiteranno a portarlo. Non più Gardes Françaises d'ora in poi, ma Grenadiers del Centro della Guardia Nazionale, uomini dalla disciplina e dal carattere di ferro – e neppure mancanti, fino a un certo segno, d'idee.

Frattanto i massi della Bastiglia ancora rimbombano nel crepuscolo; i suoi archivi di carte si spargono al vento. Gli antichi segreti vengono alla luce; la Disperazione da lungo tempo sepolta ritrova la sua voce. Leggete questo frammento d'un'antica lettera: «Se per mia consolazione Monseigneur volesse concedermi, per amore di Dio e della Santissima Trinità, che io potessi avere notizie della mia cara moglie; foss'anche soltanto il suo nome su d'un biglietto, per mostrarmi che è viva, sarebbe la più grande consolazione che io potessi ricevere; ed io per sempre benedirei la magnanimità di Monseigneur». Povero prigioniero: tu ti sottoscrivi col nome di Quéret-Démery, e non hai altra storia – ella è morta, quella tua cara moglie, e tu sei morto! Sono cinquant'anni ormai che il tuo povero cuore spezzato faceva questa domanda; che non prima di ora dovesse essere udita, trovando una lunga eco nel cuore degli uomini.

Ma come il crepuscolo di Luglio s'addensa, Parigi, come fanno i fanciulli malati e tutte le creature insane, s'abbatte alfine in una specie di sonno. Gli Elettori Municipali, meravigliati di trovarsi con le teste ancora sul collo, sono a casa; solo Moreau de Saint-Méry, di nascita e di cuore tropicali, e di mente assai fredda, insieme ad altri due, resta in seduta permanente nel Palazzo Civico. Parigi dorme; splende nell'alto la città illuminata: le pattuglie s'incrociano senza una comune parola d'ordine, circolano voci, allarmi di guerra; nientemeno che «quindicimila uomini attraversano il sobborgo di Saint-Antoine», il quale mai fu attraversato. Dal disordine del giorno giudicate quello della notte. Moreau de Saint-Méry, «prima di lasciare il suo posto, dette tremila ordini». Qual testa! Comparabile alla Testa di Bronzo del frate Bacone! Ad essa è sottoposta tutta Parigi. Pronta dev'essere la risposta, giusta o ingiusta: in Parigi non esiste altra Autorità. Seriamente, è una testa delle più chiare, equilibrate, per cui tu, o bravo Saint-Méry, in molte attribuzioni, da augusto Senatore a Commesso di Mercante, da Commerciante di libri a Vice-Re, in molti luoghi, a cominciare dalla Virginia fino alla Sardegna, troverai, sempre da bravo, il tuo impiego.

Besenval ha levato le tende sotto un nugolo di polvere, «tra una grande affluenza di popolo», che non gli ha fatto alcun male; egli marcia, con passo sempre più lento, giù, lungo la sponda sinistra della Senna, tutta la notte, verso lo spazio infinito. Lo stesso Besenval sarà richiamato per essere giudicato, e difficilmente sarà assolto. Le sue truppe del Re, i suoi Royal-Allemands, si sono allontanati per sempre.

Il Ballo di Versailles con le relative limonate è finito; l'Orangerie è immersa nel silenzio e non s'odono che gli uccelli notturni. Su, nella Salle des Menus, il Vice-Presidente Lafayette, coi lumi non smoccolati, «insieme a un centinaio di Membri o giù di lì, sdraiati su tavole intorno a lui», sta in piedi contemplando l'Orsa. Quest'oggi una seconda Deputazione solenne si presenta a Sua Maestà, poi una terza: senza alcun effetto. Quale sarà la fine di tutto questo?

Nella Corte tutto è mistero, non senza un bisbiglio di terrore; quantunque voi sogniate di limonate e di spalline, o donne leggere! Sua Maestà il Re, tenuto in una ignoranza beata, sogna forse i fucili a doppia canna e i boschi di Meudon. Tardi, nella notte, il Duca di Liancourt, che aveva il diritto ufficiale di entrata, ottiene l'accesso agli appartamenti reali; e narra con la più spiccata chiarezza, dal suo spunto di vista costituzionale le tristi notizie. «Mais», disse il povero Luigi, «c'est une révolte. Ma questa è una rivolta!» «Sire», rispose Liancourt, «non è una rivolta... è una rivoluzione».

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