Capitolo I. ASTRAEA REDUX

Un Filosofo paradossale, spingendo all'estremo questo aforisma di Montesquieu: «Felice il popolo i cui annali sono noiosi», ha detto: «Felice il popolo i cui annali sono vuoti». In questo detto, per quanto sembri strano, non si può rinvenire un granellino di ragione? Poichè se veramente, come è stato scritto, il silenzio è Divino e Celeste, anche nelle cose terrestri v'è un silenzio preferibile a qualunque favella. Tutto considerato, l'Evento, la cosa di cui si parla e che si rammenta, è in fondo altro che una rovina, una soluzione di continuità? Quand'anche l'avvenimento sia d'esito felice, sempre implica un mutamento, una perdita di forza attiva; e, dopo tutto, permane sia nel passato sia nel presente una irregolarità, un fatto morboso. La perseveranza più pacifica sarebbe per noi una benedizione; non più dislocazioni, non più cambiamenti, fin che si potessero evitare.

La quercia cresce silenziosa nella foresta per mille anni; e sol quando, nel millesimo anno, arriva il taglialegna con la scure, se ne ode l'eco nelle solitudini, e la quercia annunzia la sua presenza quando cade al suolo e il rumore si ripercuote lontano. Anche la ghianda si pianta in silenzio, seminata dal seno del vento che passa! E quando la quercia fiorisce o mette le sue foglie (i suoi felici avvenimenti) con quanto rumore non dovrebbe essere tutto questo proclamato! Eppure è già troppo se il più fine osservatore spende una parola per rilevarlo. Questo cose non accaddero, ma si compirono lentamente, non in un'ora ma in un giro di giorni: che vi sarebbe dunque a narrare? L'ora presente sembra uguale a quella che fu e a quella che sarà.

È un fatto costante che la stolta Fama non divulga mai ciò che fu compiuto, ma semplicemente ciò che venne fatto male o non venne fatto punto; e la Storia parimenti stolta (sempre più o meno una sinossi compendiata dalla Fama) sa ben poco, e sa quel che sarebbe meglio ignorare. Le Invasioni di Attila, le Crociate di Gualtiero il Senza Denaro, i Vespri Siciliani, la Guerra dei trent'anni altro non sono che delitto e miseria; non lavoro, ma ostacolo al lavoro! Per altro, in tutto quel periodo il verde e il giallo della messe rimuneratrice si seguirono ogni anno sulla Terra; la mano dell'operaio, la mente del pensatore mai sostarono; onde, dopo tutto e malgrado tante vicende, questo Mondo dalla volta celeste sussiste glorioso e fecondo; e la storia povera ben potrebbe domandare meravigliata: Donde viene tutto questo? Infatti essa conosce tanto poco quest'opera rigeneratrice, mentre sa anche troppo degli ostacoli che si frapponevano al suo sviluppo e ne avrebbero reso impossibile il compimento. Ma, nondimeno, sia per necessità, sia per erronea scelta, la Storia segue e pratica questo sistema, onde il paradosso: «Felice il popolo i cui annali sono vuoti», non è scevro di verità.

Intanto qui cade acconcio notare che v'è una calma, non prodotta da un progresso senza ostacoli, ma da un'inerzia passiva, ch'è indizio di catastrofe imminente. Come silenziosa è la vittoria, così è la disfatta. Delle due forze opposte, la più debole si è eclissata; la più forte procede, silenziosa pel momento, ma rapida, inevitabile, fino al sovvertimento e alla caduta, che poi non saranno del pari silenziosi. Tutto cresce, come l'erba del prato, abbia il suo periodo annuale, o centenario, o millenario! Tutto cresce e muore a seconda delle sue leggi meravigliose, della meravigliosa sua natura; così anche le cose spirituali di tutte più mirabili. Imperscrutabili anche pei più savî sono queste ultime, che non possono essere vaticinate nè intese. Quando voi vedete la quercia ritta in tutto il suo rigoglio, non potete dubitare che il suo cuore sia sano; ma non è così dell'uomo e tanto meno della Società, della Nazione degli uomini! Anzi, possiamo affermare che, in questi casi, l'aspetto superficiale e anche i caratteri di sanità interna sono tristi presagi. Perchè il più delle volte è d'apoplessia, per così dire, o d'affezione pletorica inerente ai corpi pigri, che muoiono i Culti, i Reami, le Istituzioni sociali. È fatale quando una tale Istituzione, nella sua pletora, dice a sè stessa: Vivi tranquilla, tu hai assicurato il fatto tuo: – proprio come il folle del Vangelo cui fu risposto: Oh Insensato, questa notte la tua vita ti sarà richiesta!

È la pace salutare o la fatale malattia che incombe sulla Francia da dieci anni? Su questo periodo lo Storico può passare rapidamente, senza fermarsi, giacchè per ora niente vicende, niente azione. Non potremmo chiamare questo tempo di sole e di quiete, come molti lo credono, una nuova Età dell'Oro? Chiamiamolo, se non altro, l'Età della Carta, ch'è in più modi la succedanea dell'oro. Carta pei biglietti di banca, con cui potete fare le vostre compre in mancanza di oro; carta pei libri, splendide opere teoriche, filosofiche, morali, che non rappresentano soltanto la nobile arte di rivelare il pensiero, ma eziandio quella di nasconderne la deficienza! Nella carta, fatta dai brandelli delle cose che esistettero un tempo, sono infinite proprietà. Qual Filosofo, foss'anche il più savio, avrebbe potuto profetizzare in quel periodo sereno e senza eventi, l'avvicinarsi dell'evento degli eventi avvolto nella confusione e nelle tenebre? La Speranza approda alla Rivoluzione, al modo stesso che il terremoto è preceduto da uno splendido tempo. Il Cinque Maggio, quindici anni dopo, non sarà più un vecchio Luigi che manderà in cerca dei suoi sacramenti; ma un nuovo Luigi, suo nipote, che con tutta solennità promulgherà alla Francia meravigliata, ebbra, l'apertura degli Stati Generali.

Il dominio delle Dubarry coi loro d'Aiguillon è scomparso per sempre. V'è un Re giovane, docile ancora e ben intenzionato; una Regina del pari giovane e ben intenzionata, come buona e bella: tutta la Francia, per così dire, ringiovanisce. Maupeou e il suo parlamento scompaiono nelle più fitte tenebre; Magistrati rispettabili che stanno a cuore della Nazione, non foss'altro perchè furono in opposizione con la Corte, discendono liberi dalle loro «erte rocce di Croe in Combrailles», e da altri siti, cantando inni di laude: il vecchio Parlamento di Parigi riassume le sue funzioni. In luogo d'un dissoluto bancarottiere qual'era l'Abbé Terray, abbiamo ora per Controllore Generale il Turgot, virtuoso filosofo che ha tutto un piano di riforme della Francia nella sua mente. Per mezzo suo quanto v'ha d'irregolare sia nella Finanza che in ogni altra cosa dev'essere il più ch'è possibile raddrizzato. Non si direbbe che la Saggezza in persona debba avere d'ora innanzi il suo seggio e la parola nel Reale Consiglio? Turgot è entrato ad esercitare il suo ufficio, pronunziando un discorso improntato a nobile franchezza, che il Re ha ascoltato con la più nobile fiducia. «È vero», obbietta Re Luigi, «che egli, a quanto dicono, non va mai a messa»; ma la Francia liberale non lo stima meno per questo; e la Francia liberale risponde: «l'Abate Terray v'andava sempre». Il Filosofismo, che vede per la prima volta al potere un Filosofo (o sia pure un Filosofante), lo seconda, facendo plauso ad ogni suo atto; e il vecchio e leggero Maurepas non verrà ad ostacolarlo, se facilmente potrà esimersene.

Qual «dolcezza» di costumi! Il vizio perde le sue brutture, e diviene décent (come succede di tutte le cose che affermano il loro dominio, adottando una forma a garanzia della propria convenienza) e quasi si trasforma in una «dolce» virtù! Quale abbondanza d'intelligenza, irradiata dallo spirito e dall'arte del conversare! Il Filosofismo s'asside giocondo nei brillanti saloni, convitato dall'Opulenza divenuta ingenua, accanto ai Nobili orgogliosi d'avvicinarlo, e predica, sorpassando tutte le Bastiglie, un millennio a venire. Dalla lontana Ferney il Patriarca Voltaire dà il segnale, e i Veterani Diderot e d'Alembert che hanno vissuto nell'attesa di questo giorno, insieme ai più giovani come Marmontel, Morellet, Chamfort, Raynal, allietano le aromatiche mense d'una qualche ricca Vedova ministeriale o d'un filosofico Appaltatore Generale. Che notti, e che pranzi divini! Una verità da tempo dimostrata viene ora a realizzarsi: «La Epoca delle Rivoluzioni s'avvicina» (come scrisse Jean Jacques), di quelle rivoluzioni felici e benedette. L'uomo si ridesta dal suo lungo sonnambulismo e scaccia i fantasmi che l'assediavano, l'ammaliavano. Mirate il nuovo mattino che scintillando s'avanza dall'Oriente; fuggite, falsi Fantasmi, fuggite innanzi ai suoi dardi di luce; e fugga per sempre l'Assurdo, abbandonando questa bassa Terra; perchè la Verità e Astraea Redux (sotto le spoglie del Filosofismo) regneranno d'ora innanzi. Perchè mai fu creato l'uomo, se non per essere «felice?» Egli è ormai sul punto di conseguire una felicità grande, dovuta al trionfo dell'Analisi e al Progresso della Specie. I Re possono divenire filosofi, o meglio, i filosofi Re. Che la Società sia una buona volta costituita equamente, con la scorta dell'Analisi trionfante. Lo stomaco vuoto sarà riempito, la gola arida sarà bagnata dal vino; lo stesso lavoro, non più gravoso, ma piacevole, sembrerà un riposo, Ma, penserà qualcuno: e i campi di frumento, venendo a mancare il lavoro umano, come potranno crescere, senza cultura; senza quella fatica che consuma l'uomo? A meno che non si sopperisca con le macchine. Sarti gratuiti e Restaurateurs anche gratuiti sorgeranno all'occorrenza; ma non se ne sa ancora il modo. Tuttavia, se ognuno, secondo la legge della Filantropia, sarà tenuto ad aver cura di tutti, nessuno potrà esser negletto. Anzi, chissà che col progresso della scienza gli uomini non giungano a prolungare infinitamente la vita, sino a liberarsi addirittura dalla Morte, come si sono liberati dal Diavolo? Allora saremo completamente felici a dispetto della Morte e del Diavolo. Tali cose predica il magniloquente Filosofismo nel suo Redeunt saturnia regna.

Il cantico profetico di Parigi e dei suoi filosofi echeggia fino all'Œil-de-Bœuf di Versailles, e l'Œil-de-Bœuf tutto intento alla beatitudine più prossima, può rispondere tutto al più con un cortese: «Perchè no?» Quel buon vecchio di Maurepas è un troppo allegro Primo Ministro, per venire a cozzare con la gioia del mondo. Basti ad ogni giorno il male che ha in sè stesso. È un vecchio buontempone che ama le facezie e percorre spensierato il suo cammino, col mantello bene aggiustato in direzione del vento, per poter piacere a tutti. Il semplice e giovane Re, che Maurepas non ha neppur l'idea di turbare con gli affari, s'è ritirato nell'interno dei suoi appartamenti, taciturno, irresoluto, benchè qualche volta abbia degli scatti di volontà; alfine egli si dedica a un po' di lavoro da fabbro e diviene apprendista di un Sieur Camain (che un giorno non avrà proprio ragione di benedire) e impara a far serrature. Pare che conoscesse anche la geografia e fosse in grado di leggere l'inglese. L'infantile fiducia di questo giovane Re disgraziato in quel folle vecchio di Maurepas meritava ben altro in ricambio. Ma amici e nemici, il destino ed egli stesso, tutto pareva che congiurasse per la sua rovina.

Intanto la bella e giovane Regina incede nei suoi saloni di gala, come una dea della Bellezza, una stella polare che attrae tutti gli sguardi. Ella non s'occupa ancora degli affari, non si dà pensiero del futuro, e tanto meno lo paventa. Weber e Campan l'hanno dipinta – fra le sue reali tappezzerie, nei brillanti boudoirs, al bagno, in peignoir, nella Grande e nella Piccola Toilette; con tutto un mondo brillante, che in atto ossequente aspetta un suo sguardo. Oh bella giovane figlia del Tempo, quante cose il Tempo ha in serbo per te! Come la più luminosa Apparizione sulla Terra, ella s'avanza con grazia, circondata dalle grandezze della Terra, realtà e visione magica a un tempo; e non sarà forse, come una visione, ingoiata dalle Tenebre, più dense? Quel giovane tenero cuore adotta gli orfanelli, dà la dote alle fanciulle meritevoli, s'allieta nel soccorrere il povero, quel povero che incontra pittorescamente sulla sua via, di guisa che viene in voga la cosa; e, a quel che si dice, la Filantropia inizia il suo regno. Nei suoi rapporti con la Duchessa di Polignac e con la Principessa di Lamballe, ella gode quasi le dolcezze dell'amicizia; ed ora, dopo sette lunghi anni, ha una figliuola e subito dopo anche un Delfino; così le è dato, per quanto può una Regina, di godere le gioie della famiglia.

E gli avvenimenti? I più importanti avvenimenti sono le Feste di costumi (Fêtes de moeurs) a scopo di beneficenza, con Premi e Discorsi; le Processioni Poissardee alla culla del Delfino; e sopratutto le Civetterie nel loro sorgere, nel loro progredire, nel loro declinare e nella loro caduta. Vi sono statue di neve erette dai poveri, nel rigido inverno, a quella Regina che aveva fornito loro il combustibile. Vi sono mascherate e teatri; abbellimenti al piccolo Trianon; compera e riparazione di St. Cloud; viaggi dall'Eliseo d'estate all'Eliseo d'inverno. Non mancano i bronci e le invidiuzze delle Cognate Sarde (poichè anche i Principi hanno moglie); piccole gelosie che l'Etichetta di Corte riesce a moderare. In complesso: la frivola e passeggera spuma della Vita; una spuma artificiosamente raffinata, che, al pari di quella dello Champagne, sarebbe piacevole, se non costasse troppo.

Monsieur, il maggiore de' fratelli del Re, tenuto in conto d'uomo di spirito, propende pei filosofi. Monseigneur d'Artois strappa la maschera ad una bella impertinente; in conseguenza si batte in duello e per poco non si sparge sangue. Costui suol portare dei pantaloni d'una foggia affatto nuova, che par fino favolosa; perchè «bisogna,», dice Mercier, proprio come se l'avesse veduto, «che quattro alti lacchè lo sollevino in aria, per poi lasciarlo ricadere nei suoi pantaloni, senza che si produca la più piccola grinza; la sera poi, con lo stesso sistema e con uno sforzo maggiore, quei quattro lo debbono liberare da quel rigido fodero». Questo Principe, divenuto ormai grigio e logoro dagli anni, dimora desolato a Gorizia, avendo liquidato il suo destino nei Tre giorni. In tal guisa i poveri mortali sono spazzati via e sballottati qua e là.

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