Capitolo I. PATTUGLIE! PATTUGLIE!

No, Amici, questa Rivoluzione non è d'un genere consolidabile. Il fuoco, la febbre, i semi sparsi, le sostanze chimiche, gli uomini, gli eventi – tutte le emanazioni della Forza che operano in questo miracoloso Complesso di Forze, chiamato Universo – non vanno sempre crescendo, e compiono le loro fasi naturali e i loro sviluppi, ciascuno secondo la sua natura; e raggiungono la loro altezza, poi la loro visibile decadenza, finchè sprofondano, si dileguano, giungono al punto che noi diciamo la morte? Tutti crescono, non v'è nulla che non cresca e non si spinga innanzi nella sua speciale espansione, – dato che abbia avuto facoltà di spuntare. È da notare anche che ciascuno cresce con una rapidità proporzionata al grado di follia e d'insalubrità che è in esso: lo sviluppo lento, regolare, quantunque dovrà pur finire con la morte, è ciò che noi chiamiamo salute e sanità.

Un Sanculottismo, che ha atterrate le Bastiglie, che si è fornito di picche e di moschetti, che ora va bruciando castelli, che prende le sue determinazioni e arringa sotto i tetti e sotto la volta del cielo, si può dire che è spuntato; e, per legge di Natura, deve crescere. A giudicare dalla follia e dalla infermità che ha in sè, e dal marcio e dagli elementi in cui si trova, si può immaginare che la sua rapidità e la sua mostruosità saranno estreme.

Molte cose, inoltre, specialmente quelle malsane, crescono a sbalzi, di scatto. La prima grande uscita, il primo colpo del Sanculottismo fu quello in cui Parigi conquistò il suo Re; poichè la figura rettorica di Bailly era purtroppo una triste realtà. Il Re è conquistato, e ha ottenuta la libertà sulla sua parola; alla condizione cioè, di un'assoluta buona condotta, che in queste evenienze, sventuratamente, vuol significare addirittura mancanza di condotta. Una posizione affatto insostenibile, quella della Maestà impegnatasi a serbare buona condotta! Ahimè, non è naturale che tutto ciò che vive cerchi di serbarsi in vita? Onde la condotta di Sua Maestà presto diverrà riprensibile; e il secondo grande atto del Sanculottismo, quello di metterla in prigione, non può essere lontano.

Necker, nell'Assemblea Nazionale, fa udire il suo lamento, come di solito, intorno al suo Deficit: le Barriere e le Dogane bruciate; i Collettori di tasse, che, in luogo di dare la caccia, la ricevono; il Tesoro regio completamente vuoto. Il rimedio è un Prestito di trenta milioni; poi, in termini ancora più allettanti, un prestito di ottanta milioni: senonchè, sventuratamente, nè l'uno nè l'altro di questi prestiti gli speculatori si arrischieranno a concedere. Lo Speculatore non ha patria, eccettuata la sua nera laguna dell'Aggio.

Eppure, in questi giorni, per gli uomini che hanno una patria, qual fuoco di patriottismo arde in più d'un cuore; penetrando nel suo interno, per giungere fino alla sua borsa! Così, fin dal 7 agosto, un Don Patriotique, «Patriottico Dono di gioielli d'un considerevole valore», è stato fatto solennemente da alcune donne parigine, e solennemente accettato con menzione onorevole. Incontanente tutti prendono ad imitarle e ad emularle. Regali Patriottici, accompagnati sempre da un'eloquenza eroica, cui il Presidente deve rispondere e l'Assemblea ascoltare, affluiscono da lontano e da vicino, in tal numero, che la menzione onorevole può essere solo effettuata mediante «liste che si pubblicano ad epoche determinate». Ognuno dà quello che può: anche i calzolai si sono condotti con munificenza; un proprietario di terra dà una foresta; la società elegante dà le fibbie delle sue scarpe, mettendo mano allegramente alle stringhe. Disgraziate femmine danno quello che hanno accumulato con l'amore. L'odore d'ogni specie di denaro, come pensava Vespasiano, è buono.

Lo slancio è bello, eppure inadeguato! Il Clero deve essere «invitato» a fondere il Superfluo della sua argenteria ecclesiastica nella Zecca Regale. Di più, bisogna decretare una patriottica contribuzione forzata, quantunque di malavoglia; pagate almeno per questa volta la quarta parte della vostra rendita annua riconosciuta; così un'Assemblea Nazionale sarà in grado di fare la Costituzione, senza essere frastornata dalla preoccupazione dell'insolvenza. I loro salarî sono stabiliti il 17 agosto a sole lire diciotto al giorno, per ognuno; ma il Pubblico servizio deve avere il suo nerbo, il suo denaro. Per mitigare, non per «combler, o colmare il Deficit», anche se voi, ad ogni mortale foste da tanto! Poichè dopo tutto, come fu udito a dire Mirabeau, «è il Deficit che ci salva».

Verso la fine di Agosto, la nostra Assemblea Nazionale è arrivata coi suoi lavori costituzionali fino alla questione del Veto; deve Sua Maestà avere diritto a un Veto sugli atti dell'Assemblea Nazionale, oppur no? Che discorsi si facevano dentro e fuori; che logica chiara, passionata anche, e che imprecazioni, che minacce, cadute fortunatamente per la maggior parte nel Limbo! Per mezzo del cervello guasto e dei polmoni sani di Saint-Huruge, il Palais-Royal si ribella al Veto. Il giornalismo si dà da fare, la Francia risuona tutta del Veto. «Io non dimenticherò mai», dice Dumont, «la mia andata a Parigi uno di quei giorni, con Mirabeau; e la folla di popolo che attendeva la sua carrozza presso alla bottega del libraio Le Jay. La gente si slanciò verso di lui, scongiurandolo, con le lagrime agli occhi, di non permettere il Veto Absolu. Essi erano esaltati: «Signor Conte; voi dovete difenderci contro quei furfanti che si adoperano pel ritorno del dispotismo. Se il Re ottiene questo Veto, a che vale l'Assemblea Nazionale? Noi siamo schiavi; tutto è finito». Amici, se il cielo cade, vi sarà modo di prendere molte allodole! Mirabeau, soggiunge Dumont, fu eminente in questa occasione: egli rispose vagamente, con una imperturbabilità di Patrizio, e non prese nessun impegno.

Vanno Deputazioni all'Hôtel-de-Ville; pervengono lettere anonime agli Aristocratici nell'Assemblea Nazionale, con la minaccia che quindicimila, o a volte sessantamila persone, «marceranno per illuminarvi». I distretti di Parigi sono in moto; si firmano Petizioni: Saint-Huruge muove dal Palais Royal con una scorta di millecinquecento individui, per esercitare di persona il diritto di petizione. Risoluto, almeno in apparenza, è il gigantesco e velloso Marchese, risoluto è il Café de Foy: ma ugualmente risoluto è il Comandante Generale Lafayette. Le vie sono tutte assiepate dalle Pattuglie: Saint-Huruge vien fermato alla Barrière des Bons Hommes; egli può muggire come i tori del Bashan, ma deve tornare senz'altro. I confratelli del Palais Royal «circolano tutta la notte», e fanno mozioni sotto la vôlta del cielo, essendo chiusi tutti i Caffè. Nondimeno Lafayette e il Municipio hanno la prevalenza; Saint-Huruge è messo in prigione; il Veto Assoluto si emenda in Veto Sospensivo, proibizione non per sempre, ma temporanea; e questo clamore del Destino diverrà a grado a grado silenzioso, come hanno fatto tutti gli altri clamori.

Fino a questo punto avea progredito la Consolidazione, quantunque con difficoltà, reprimendo il basso mondo del Sanculottismo; e la Costituzione sarà fatta, con difficoltà, fra il giubilo e la carestia, fra i Doni Patriottici e le code innanzi ai Forni; non escluse le arringhe dell'Abbé Fauchet, cogli Amen che partono dagli squadroni di moschetteria! Scipio-Americanus ha meritato i ringraziamenti dell'Assemblea Nazionale e della Francia. Gli vengono offerti stipendi e emolumenti di gran conto, e tutto ciò egli, desideroso di ben altre benedizioni, che non hanno che vedere col semplice danaro, alla sua cavalleresca maniera, ricusa senza scrupolo.

Al Parigino comune, frattanto, una cosa rimane inconcepibile: che ora, pur essendo caduta la Bastiglia e restaurata la libertà della Francia, il grano continui ad essere così caro. I nostri Diritti dell'Uomo sono votati, il Feudalismo ed ogni specie di tirannia aboliti; eppure, guardate, noi stiamo in queue! Che non siano incettatori gli Aristocratici, i cui intrighi trovano favore alla Corte?... V'è qualche cosa di marcio in un luogo o in un altro.

Intanto, ahimè, che fare? Lafayette con le sue pattuglie proibisce tutto, anche le lagnanze. Saint-Huruge e altri eroi del Veto giacciono in carcere. L'Amico del Popolo, Marat, fu preso; gli stampatori dei giornali patriottici sono incatenati e interdetti; anche i merciaiuoli ambulanti non possono gridare, finchè non abbiano ottenuto la licenza e il debito contrassegno. Le Guardie Nazionali turchine dissipano senza pietà ogni gruppo, perlustrano con le baionette inastate anche il Palais Royal. Voi passate, pei vostri affari, per la via Taranne; la Pattuglia, presentando la sua baionetta, grida: A sinistra! Voltate per Via Saint-Bonoît, là vi si grida: A destra! Un Patriota giudizioso (come Camillo Desmoulins in questo frangente) è costretto, per amore della pace, a prendere il rigagnolo.

O Popolo tanto sofferente, la nostra gloriosa Rivoluzione si evapora in cerimonie tricolori e arringhe di complimenti. Delle quali ultime, come Loustalot calcola con acredine, «più di duemila ne sono state pronunziate durante l'ultimo mese, al solo Municipio». E le nostre bocche vuote di pane, debbono esser chiuse, con minaccia di pena? Il Caricaturista promulga la sua emblematica pittura: Le Patrouillotisme chassant le Patriotisme, il Patriottismo scacciato dal Pattuglismo. Pattuglie senza pietà; lunghe e sopraffine arringhe; e pagnotte scarse e mal cotte, più somiglianti a pezzi di mattoni, che producono un certo effetto sugl'intestini!.... Dove andrà a finire tutto questo? Nella consolidazione?

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