Intanto, purtroppo, neppure il Municipio è senza timori, il basso mondo del Sanculottismo è stato soppresso fino a quest'ora: ma, e il mondo dell'Alta Corte? Vi sono dei sintomi che l'Œil-de-Bœuf sta riannodando le file.
Più d'una volta nel Sinedrio del Municipio, e spesso da coloro che formavano le sopradette code dai fornai, s'era espresso il desiderio: Oh, se il nostro Restauratore della libertà francese fosse qui, e potesse vedere coi propri occhi, non cogli occhi falsi delle Regine e delle Cabale, e il suo cuore veramente buono potesse essere illuminato! Poichè la falsità ancora lo circonda; gl'intrighi del Duca de Guiche; le Guardie del Corpo; le vedette di Bouillé: una nuova volata d'intriganti ora che l'antica s'è dileguata. Che altro indica questa venuta del Régiment de Fiandre, che entra in Versailles, come sentiamo, il 23 settembre, con due cannoni? Non prestava servizio la Guardia Nazionale di Versailles allo Château? Non avevano Svizzeri, cento Svizzeri e le Gardes-du Corps, cosidette Guardie del Corpo? Inoltre si direbbe che il numero delle Guardie del Corpo in servizio fosse stato raddoppiato con una manovra: il nuovo Battaglione di ricambio giungeva a suo tempo; ma il vecchio non partiva!
Certo si è che si bisbiglia negli Alti Circoli meglio informati, e si afferma con un cenno, il che è più portentoso del bisbiglio, che Sua Maestà debba fuggire a Metz; e si vocifera d'un contratto (per appoggiarlo in questa impresa), firmato dalla Nobiltà e dal Clero, le cui firme raggiungono l'incredibile numero di trenta o anche sessantamila. Lafayette freddamente lo bisbiglia e freddamente lo assevera al Conte d'Estaing durante il pranzo; e a d'Estaing, uno dei più coraggiosi uomini, batte il cuore, per tema che qualche lacchè venga per caso a saperlo; e tutta la notte si volta e rivolta pensieroso, senza poter dormire. Il Reggimento delle Fiandre, come dicevamo, è proprio arrivato. Sua Maestà, dicono, esita alquanto a sancire il Quattro di Agosto: fa osservazioni, un po' ostiche, sugli stessi Diritti dell'Uomo! Inoltre, non possono discernere tutti, a cominciare dalle Code dei fornai, per le strade di Parigi, il più stupefacente numero di Ufficiali in licenza, Croci di S. Luigi, e simili? Alcuni calcolano che vi sono da «mille a milleduecento» Officiali che vestono tutte le uniformi; anzi si vede una uniforme mai capitata sott'occhio, verde con le mostre rosse! La coccarda tricolore non è sempre visibile: ma che cosa, in nome del Cielo, possono simboleggiare queste coccarde nere, che portano alcuni?
La Fame acuisce tutto, specialmente il Sospetto e la Indignazione. Le realtà medesime, in questa Parigi, sono divenute non più reali, ma soprannaturali. I Fantasmi ancora una volta dominano nel cervello della Francia affamata. – O voi codardi e poltroni, si grida con voce stridula dalle Code, se voi aveste cuore di uomini, prendereste le vostre picche e i vostri fucili di seconda mano e cerchereste di vederci chiaro, per far sì che le vostre mogli, le vostre figliuole non fossero condannate a morire di fame, assassinate e peggio! – Pace, o donne. Il cuore dell'uomo è amareggiato, abbattuto; il Patriottismo, messo al bando dal Pattuglismo, non sa che risolvere.
La verità è che l'Œil-de-Bœuf si è organizzato fino a un certo punto di cui s'ignora l'estensione. Un Œil-deBœuf tutto mutato; le Guardie Nazionali di Versailles, nelle loro coccarde tricolori, prestano servizio colà: una Corte abbagliante di tricolore! Eppure anche in una Corte tricolore gli uomini si organizzeranno. Voi cuori fedeli dei seigneurs spossessati, raccoglietevi intorno alla vostra Regina! Con dei desiderî, che produrranno speranze, che alla loro volta produrranno tentativi!
Poichè invero, essendo la propria conservazione una legge di natura, che farà mai una Corte così riunita, se non tentare, fare ogni sforzo, o dite pure complottare – con quella saggezza o insania che ha in sè? Fuggire, scortati, a Metz, dove comanda il bravo Bouillé, e là innalzare il regale stendardo: le firme del patto diverranno uomini armati. Se il Re non fosse così languido!... Il loro patto, se si vuole che sia tutto coperto di firme, deve essere firmato senza la sua autorizzazione. – Sventurato Re, egli non ha che un volere: evitare una guerra civile. Dopo tutto, egli ancora va a caccia, avendo cessato di fare il fabbro; ancora dorme e digerisce; è creta nelle mani del pentolaio. Andrà a finir male in un mondo in cui ognuno pensa ai casi suoi; dove, come è stato scritto, «chiunque non è martello dev'essere incudine»; «anche l'issopo cresce, cresce là sul muro in un crepaccio, perchè l'intero Universo non potrebbe impedire il suo crescere»!
Ma quanto alla venuta del Reggimento di Fiandra, non può essere stata provocata dalle petizioni di Saint-Huruge e dai continui ammutinamenti per la farina? Dei soldati disciplinati, vi sia oppur no un complotto, o soltanto elementi incerti di un complotto, sono sempre opportuni. E la Municipalità di Versailles (monarchica di antica data, non ancora rifusa nelle idee democratiche) non secondò immantinenti la proposta? Inoltre la medesima Guardia Nazionale di Versailles, stanca del continuo servizio allo Château, non vi si oppose; solo Lecointre, già mercante di drappi, ed ora Maggiore, scosse la testa. – «Sì, Amici, di certo era naturale che si mandasse a chiamare questo Reggimento di Fiandra, dacchè si poteva averlo. Era naturale che alla vista delle bandoliere militari il cuore dell'Œil-de-Bœuf riorganizzato rivivesse; e le Damigelle e i Gentiluomini di onore dicessero parole confortanti ai difensori dalle spalline e tra loro, reciprocamente. Era anche naturale, e appariva un semplice atto di cortesia, che le Guardie del Corpo, un Reggimento di gentiluomini, invitassero i loro fratelli di Fiandra a un pranzo di benvenuto! – Tale invito è fatto negli ultimi giorni di Settembre, e accettato.
I pranzi sono definiti come «atti definitivi di comunione»; uomini che non possono avere comunione in nient'altro, possono con simpatia mangiare insieme; possono ancora raggiungere un certo calore di fratellanza mercè le vivande e il vino. Il pranzo è stabilito per giovedì 1° Ottobre; e dovrebbe avere un eccellente effetto. Di più, poichè questo pranzo forse si estenderà alquanto, ed anche i non autorizzati, i borghesi, potranno esservi introdotti per vedere e sentire, non si potrebbe ottenere all'uopo la sala dell'Opéra di Sua Maestà, che è rimasta affatto silenziosa dacchè fu qui il Kaiser Giuseppe? La sala dell'Opéra è accordata; il salone dell'Ercole sarà sala da ricevimento. Non solo gli Ufficiali di Fiandra, ma quelli degli Svizzeri, dei Cento Svizzeri, e ancora della Guardia Nazionale di Versailles, quelli fra questi ultimi che dettero prova d'una certa fedeltà, parteciperanno alla festa: sarà un pranzo come pochi.
E ora supponiamo che la parte solida di questo pranzo sia già compiuta e che sia stata vuotata la prima bottiglia. Supponiamo che i soliti brindisi di fedeltà siano stati fatti, alla salute del Re e della Regina, con evviva assordanti; che quello alla Nazione sia stato «omesso», o magari «respinto». Supponiamo che lo champagne trabocchi fra i valorosi discorsi, eccitati dalla musica strumentale; e che le teste vuote piumate divengano sempre più rumorose, per la loro stessa insipienza, eccitandosi l'una l'altra nello scambievole rumore. A S. M. la Regina, che appare insolitamente triste (S. M. il Re siede stanco dalla caccia del giorno) dicono che la vista di quella festa la rallegrerebbe. Eccola! Ella entra, uscendo dalle sue sale, come la luna dalle nuvole, la bellissima e sventurata Regina dei Cuori; il suo Sposo regale le sta a fianco e il giovane Delfino fra le braccia! Ella scende dalle logge, fra lo splendore e le acclamazioni; gira intorno alle tavole col suo regale portamento; graziosamente scortata con tutta la grazia del suo saluto; il suo sguardo è pieno di dolore e nello stesso tempo di gratitudine, di sicurezza, con la speranza della Francia sul suo seno materno! Ed ora che la banda intona, O Richard, o mon Roi, l'universe t'abandonne (O Riccardo, o mio Re, il mondo ti abbandona), chi può non sentirsi compreso dalla più profonda pietà, dal coraggio più fedele? Potevano i giovani Alfieri piumati ricusare di prendere le bianche coccarde borboniche, presentate loro dalle belle dita; potevano a meno di agitare le spade sguainate alla salute della Regina; di calpestare le coccarde Nazionali; di scagliarsi sulle logge donde vengono forse rumori importuni; di manifestare insomma in quale stato di sussulto e di vacuità si trovassero, con la vociferazione, il tripudio, il suono, la furia e la follia dentro e fuori? Finchè lo champagne e il tripudio compiono l'opera loro, e tutti giacciono silenziosi, in posizione orizzontale, sonnecchiando passivamente, e sognando le ricompense della battaglia!
Un pranzo come un altro: in tempi ordinarî, una cosa innocente, ma ora fatale, come quello di Tieste; come quello dei figli di Giobbe, allorchè un forte vento scosse i quattro angoli della casa del banchetto! Povera, malconsigliata Maria Antonietta; dotata della veemenza d'una donna, e non della previdenza d'una sovrana! La cosa era così naturale, eppure così poco savia! Il dì seguente, in un pubblico discorso di cerimonia, S. M. la Regina si dichiara «entusiasta di quel Giovedì».
Il cuore dell'Œil-de-Bœuf s'illumina di speranza, di audacia, prematura invero. Damigelle d'onore ralliées, servite da Abati, cuciono «bianche coccarde»; le distribuiscono, accompagnandole con parole, con occhiate ai giovani delle spalline, che, in ricambio, possono baciare non senza fervore le belle dita che le hanno cucite. Capitani di cavalleria e di fanteria se ne vanno impettiti con «delle enormi coccarde bianche»; ed anzi un Capitano della Nazionale di Versailles fa lo stesso, tanto suggestivi erano stati le parole e gli sguardi, da fargli mettere da banda il suo tricolore! Può bene il Maggiore Lecointre scuotere la testa con uno sguardo severo; e pronunziare a voce alta parole risentite. Ma uno spaccamontagne, con un'enorme coccarda bianca, udendo per caso il Maggiore, lo invita insolentemente, una volta per tutte a ritrattarsi, o diversamente, a battersi in duello. All'ultima condizione il Maggiore dichiara di non volersi uniformare, almeno finchè si tratta di farlo con le leggi riconosciute della scherma; ma che è disposto, secondo la semplice legge di natura, a «sterminare» con la daga e con la spada «qualunque vile gladiatore» che possa insultare lui o la Nazione; in seguito di che (mentre il Maggiore era già sul punto di tirar fuori la sua arma), «son divisi», e nessuna gola è tagliata.