La preghiera universale, dunque, è sul punto di venire esaudita! Sempre, nei tempi di perplessità nazionale, quando gli errori abbondarono e non si vedeva via di salvezza, si ricorse a questo rimedio degli Stati Generali; vi ricorse un Malesherbes, vi ricorse un Fénelon anche; e i Parlamenti che li reclamarono ebbero un seguito di benedizioni. Ed ecco che ora s'è raggiunto l'intento: gli Stati Generali vi saranno davvero!
Dire: Vi siano degli Stati Generali, era facile; ma dire in qual modo essi dovevano essere, non era facile. Fin dal 1614 non s'erano convocati Stati Generali in Francia, ed ogni loro traccia s'era cancellata dalle abitudini vive degli uomini. La loro forma, le loro attribuzioni, la loro procedura che non ebbero mai norme prestabilite, sono divenute ormai una cosa completamente vaga e incerta. Una creta cui il pentolaio può dare una forma purchessia; o meglio venticinque milioni di pentolai; giacchè ormai questo numero raggiungono più o meno quelli che hanno facoltà di deliberare. Che forma dare agli Stati Generali? Questo è il problema. Ogni Corporazione, ogni Nucleo privilegiato, ogni Classe organizzata ha in questa cosa le sue segrete speranze, le sue segrete delusioni; perchè, badate, quella mostruosa Classe di venti milioni, che finora aveva rappresentato il muto gregge alla mercè di altre classi non ad altro intente che a mettersi d'accordo sulla maniera di tosarlo; anche quella Classe sorge ora con le sue speranze! Essa ha smesso o va smettendo il suo mutismo, e parla a traverso i Pamphlets, o, in mancanza d'altro, strepita e brontola appiattata dietro di questi, all'unisono, accrescendo in maniera meravigliosa il loro volume di suono.
Quanto al Parlamento di Parigi, esso s'è subito dichiarato fautore «della vecchia forma del 1614». La quale aveva questo vantaggio, che il Tiers Etat, Terzo Stato, o la Borghesia, figurava colà, nient'altro che per mostra; mentre che la Nobiltà e il Clero non aveano da fare altro che evitare i dissidii fra di loro, e allora potevano deliberare senza ostacoli ciò che meglio loro talentava. Questa fu la esplicita opinione del Parlamento di Parigi. Ma, accolta da una tempesta di fischi e d'urli tale opinione si dileguò ratta come il vento, e con essa la popolarità del Parlamento, per mai più tornare. La parte del Parlamento, come già dicemmo, fu presto recitata e compiuta; per altro v'è qualcosa da notare in rapporto ad esso, cioè la prossimità delle date: fu il 22 Settembre che il Parlamento tornò dalle sue «vacanze» o dal suo «esilio» nel suo dominio, per esservi instaurato con giubilo immenso di tutta Parigi. Fu precisamente il giorno dopo che questo stesso Parlamento manifestò «la sua franca opinione»; ed ecco che la dimane, dopo questo fatto, voi lo vedete «coperto d'oltraggi»: la sua corte esterna è tutta un echeggiare di fischi; la gloria s'è di là dipartita per sempre. Una popolarità di ventiquattr'ore non era a quei tempi un fatto anormale.
E, passando ad altro: come fu superfluo l'invito di Loménie: l'invito ai pensatori! Pensatori e non pensatori, circa un milione d'individui, sono spontaneamente al loro posto, facendo del loro meglio. I Clubs lavorano: la Société Publicole, il Club Bretone, il Club degli Arrabbiati, il Club des Enragés, sono all'opera. Non mancano i pranzi al Palais Royal; i vostri Mirabeau, i Talleyrand vi desinano insieme agli Chamfort, ai Morellet, ai Dupont e agli ardenti parlamentari; adunanze che hanno il loro scopo! Poichè un certo Provveditore di Lione, neckeriano, di cui si potrebbe fare il nome, li riunisce in quel luogo, quando non è l'idea del pranzo che ve li fa recare di propria iniziativa. E, quanto ai Pamphlets, a dirla in linguaggio figurato, «è addirittura una nevicata, e come neve bloccano le vie del Governo»! Ora è il tempo degli Amici della Libertà., sani o insani che siano.
Il Conte, o sedicente Conte, d'Aintrigues, «giovane gentiluomo di Linguadoca», con l'aiuto probabilmente di Chamfort il Cinico, monta in un furore quasi Pitico, violento fra i più violenti. A questo giovane mattoide, gentiluomo di Linguadoca, «che fu fra i primi emigrati», dovrà poi toccare di fuggire sdegnosamente alla frontiera col Contratto Sociale in saccoccia, lanciato nel vuoto delle tenebre, incontro a ingrati intriganti, a un ignis-fatuus aleggiante, e incontro a morte di stiletto! L'Abbé Sieyès ha lasciata la cattedrale di Chartres, il canonicato e gli scaffali coi libri, s'è fatta sparire la tonsura e viene a Parigi con una testa da secolare delle più irrefragabili, per fare tre domande, cui risponde egli medesimo: Che cosa è il Terzo Stato? Tutto. Che cosa è stato finora con la nostra forma di governo? Nulla. Di che ha bisogno? Di divenire qualche cosa.
D'Orléans che, sul sentiero del Caos, si trova nel folto della mischia, promulga le sue Délibérations alle quali dà la sua paternità, ma sono scritte da Laclos delle Laisons Dangereuses. La conclusione balza fuori semplicemente. «Il Terzo Stato è la Nazione!» Per contrapposto, Monseigneur d'Artois, con altri Principi del Sangue, pubblica, sotto forma d'un solenne Memoriale al Re, che, se si dà ascolto a tali aforismi, il Privilegio, la Nobiltà, la Monarchia, la Chiesa, lo Stato e il Tesoro sono in pericolo. Sì, in pericolo, è vero; ma, se non vi si dà ascolto sono forse meno in pericolo? È la voce di tutta la Francia questo grido che s'innalza immenso, multiforme, fragoroso come l'irrompere tumultuoso delle acque: chi era da tanto da trovare dove rifarsi, se non voleva fuggire sulle montagne e nascondersi?
Come un ideale, onniveggente Governo di Versailles dato che si reggeva con tali principî, in tale ambiente, avrebbe potuto regolare la sua condotta in questa nuova situazione, è pure problematico. Un Governo siffatto avrebbe senza dubbio intuito che il suo lungo còmpito era per esaurirsi; che sotto le sembianze degli Stati Generali, omai inevitabili, un nuovo onnipossente Incognito prendeva vita dalla Democrazia; al cospetto di questo non v'era Governo di Versailles che potesse o volesse sussistere in una forma meno che provvisoria. A farlo poi agire nella sua forma provvisoria, oltre ogni dire importante, sarebbero occorse nient'altro che le sue facoltà; e così un'opportuna Abdicazione, pacifica, graduale e ben condotta e un Domine, dimittas ne sarebbero stati l'uscita!
Questo avrebbe fatto il nostro ideale, onniveggente Governo di Versailles; ma che farà il presente, irrazionale Governo di Versailles? Ohibò, questo è un Governo che esiste colà solo pel proprio interesse; senza diritto, se se ne eccettua quello del possesso, ed ora anche senza potere. Esso non vede e non prevede nulla; senza uno scopo in sè stesso, ha pur tante mire... e soprattutto l'istinto che tutto ciò che esiste debba lottare per conservare la propria esistenza. È tutto un insieme vorticoso, in cui vani consigli, allucinazioni, menzogne, intrighi e imbecillità turbinano come frusti avanzi tra l'incrociarsi dei venti! L'Œil-de-Bœuf se ha le sue paure, ha pure le sue speranze irrazionali. Se finora tutti gli Stati Generali non hanno fatto quasi nulla, perchè dovrebbero questi di ora fare di più? I Comuni invero hanno aspetto poco rassicurante; ma, dopo tutto, una rivolta sconosciuta a cinque generazioni non è forse un'impossibilità? Sapendosi maneggiare, si può ben mettere i Tre Stati in antagonismo fra loro; il Terzo allora, come in altro tempo, parteciperà pel Re, e, per dispetto e per proprio interesse, sarà accanito nel tassare e vessare gli altri due. Così gli altri due cadranno legati nelle nostre mani, di maniera che noi potremo scorticarli a nostro talento. Con questo metodo, ottenuto il danaro e generata la discordia fra i Tre Stati, si potrà congedarli e abbandonarsi agli eventi del futuro! Il buon Arcivescovo Loménie soleva dire: «Vi sono tanti accidenti, e noi non abbiamo bisogno che di uno per salvarci». È vero; ma quanti non ve ne sono per distruggerci?
Il povero Necker, in questa specie di anarchia, fa quanto è possibile. Egli fissa in essa lo sguardo, ostinatamente, animato dalla speranza; loda la nota rettitudine della mente regale; ascolta con indulgenza le note perversità della Regina e della Corte; emette qualche proclama o decreto con cui qualche volta favoreggia il Tiers Etat; ma non conclude niente e, sorvolando, cerca di tenersi da parte, perchè opina che le cose da sè stesse troveranno la loro via.
I grandi problemi per ora si sono ridotti a due: la Doppia Rappresentanza e il Voto per Capo. Debbono i Comuni dare una «doppia rappresentanza», vale a dire altrettanti membri quanti ne hanno in complesso la Nobiltà e il Clero? Debbono gli Stati Generali, una volta adunati, votare e deliberare in un sol corpo, o in tre corpi distinti, «votare per testa o per classe», per ordre, com'essi dicono? Queste sono le questioni di diritto che riempiono tutta la Francia di rettorica, di logica, di eleuteromania. A metter fine alle dispute, pensa Necker, non sarebbe opportuna una seconda convocazione di Notabili? E questa seconda convocazione è decisa.
Il 6 novembre dell'anno 1788, i Notabili, come s'era convenuto, si sono riuniti, dopo un intervallo di diciotto mesi all'incirca. Sono gli antichi Notabili di Calonne, ancora quei Centoquarantaquattro. Si è ricorso ai medesimi per dar prova d'imparzialità e per risparmiar tempo. Essi siedono ivi ancora una volta, nei loro Sette Bureaux, in una rigida stagione invernale, la più rigida dopo quella del 1709; il termometro è sotto lo zero Farenheit, la Senna è tutta ghiacciata. Freddo, miseria, clamori eleuteromaniaci: tutto un mondo mutato da quando i medesimi Notabili «si sciolsero», nel maggio, un anno addietro! Essi son là per vedere se con la guida dei loro Sette Principi del Sangue, nei loro Sette Bureaux, possono risolvere la questione del diritto.
Con sorpresa del Patriottismo, questi Notabili, un tempo così patrioti, pare che inclinino verso la cattiva strada, dalla parte antipatriottica. Tentennano sulle questioni della Doppia Rappresentanza e del Voto per Testa: non v'è decisione affermativa, si tratta della semplice discussione, ma questa non si presenta con buoni auspicî. E invero, non appartenevano quei Notabili, essi medesimi, alle Classi Privilegiate? Un tempo costoro gridavano forte; ora hanno i loro presentimenti; fanno le loro dolorose riflessioni. Lasciate che svaniscano per esaurimento, che non tornino mai più! Dopo una sessione d'un mese scompaiono, il 12 dicembre 1788: son gli ultimi Notabili terrestri che se ne vanno, per non più ricomparire nella Storia del Mondo.
Onde, continua sempre lo schiamazzo, continuano i Pamphlets; non si vedono che proclami patriottici sempre più altisonanti, che si rovesciano su noi da tutti gli angoli della Francia... e Necker, al termine di quindici giorni, prima che finisca l'anno, deve presentare il suo Rapporto , raccomandando, sotto la sua responsabilità, la Doppia Rappresentanza in questione; anzi quasi imponendola; tale era il diapason che avevano raggiunto il gergo e l'eleuteromania. Quante incertezze, e che giro di cose! Durante questi sei mesi di rumore (che cominciò con Brienne, nel luglio), non è stato un continuo seguirsi di rapporti, un continuo incalzarsi di proclami?
Tuttavia, la prima questione di diritto è ormai risoluta. Quanto alla seconda, cioè il votare per Testa o per Ordine, sfortunatamente è ancora sospesa. Sospesa, per così dire, fra gli Ordini Privilegiati e i non Privilegiati; premio di vittoria e nello stesso tempo segnacolo di guerra fin dall'inizio. Chiunque giungerà a impossessarsi di quel premio, potrà da quel momento innalzarlo come una bandiera di guerra, coi più felici presagi!
Alfine, da un Editto Reale del 24 gennaio, la Francia impaziente nell'attesa, non solo acquista la certezza che i Deputati nazionali dovranno riunirsi, ma intravede la possibilità (fino a questo punto e non oltre andava il Regolamento regale) d'iniziarne l'elezione.