Capitolo V RE ED EMIGRATI

Si son viste marciare Costituzioni in istato d'avanzato reumatismo, reggendosi in piedi, foss'anche barcollando e contorcendosi, per lunghi periodi, ad un patto, che la Testa fosse sana. Ma questa testa della Costituzione francese!... Ciò che Re Luigi è e non può a meno di essere, i Lettori già lo sanno. Un Re che non può mantenere la Costituzione, che non può respingerla, nè far altro che domandare miserevolmente: Che debbo fare? Un Re circondato da una confusione senza fine, nella cui mente non v'è germe di ordine. Residui di Nobiltà altera, implacabile, lottante cogli umiliati e pentiti Barnave-Lameth; che s'agitano in quell'elemento oscuro d'intriganti e di messaggeri, di rodomonti a Mezza-paga del caffè Valois, di Cameriere, di sussurroni e subalterni officiosi; mentre il Patriottismo violento tien sempre d'occhio dall'esterno tutto questo, sempre più sospettoso: che mai possono fare, in questa lotta? Nella migliore ipotesi, sopprimersi scambievolmente e produrre zero. Povero Re! Barnave e il nostro Senatoriale Jaucourts gli parlano ardentemente in un orecchio; Bertrand-Moleville, e i messaggeri di Coblenz gli parlano ardentemente nell'altro orecchio: la povera testa regale si volge da una parte all'altra, senza poter prender nessuna posizione stabile. Che la decenza stenda un velo su questo spettacolo: più dolorosa miseria raramente si vede al mondo. Questo singolo fatto per sè stesso piccolo, non porta forse la più triste luce su tante cose? La Regina così si lagna con Madame Campan. «Che debbo io fare? Quando costoro, i Barnave, ci consigliano a qualche passo che non piace alla Nobiltà, mi si tiene il broncio, nessuno viene alla mia tavola da giuoco; il ricevimento serale del Re è solitario». In tal caso d'incertezza, che bisogna fare? Andare inevitabilmente in ruina!

Il Re ha accettato questa Costituzione, sapendo in precedenza che sarà inutile; ed ora la studia, l'esegue nella speranza principalmente che si possa trovare inattuabile. I Bastimenti del Re s'infracidiscono nel porto, mentre i loro ufficiali si sono eclissati; l'Esercito è disorganizzato; i ladri percorrono le Strade maestre, che vanno in rovina per mancanza di riparazioni; i Pubblici Servizî sono trascurati e vanno a rotoli: il Potere Esecutivo non fa nessun sforzo, tranne quello di riversare il biasimo sulla Costituzione. Facendo la morta, «faisant la morte», qual Costituente può andare innanzi in questa maniera? «Essa non può che far crescere il disgusto della Nazione»: di certo sarà così; a meno che il disgusto della Nazione non si volga contro di voi! È il piano di Bertrand de Moleville e del Re; il migliore che possano formare.

Ma se questo piano, il migliore dei piani, arriva troppo tardi; se mancava il suo effetto? In previsione di questo, la Regina, avvolgendosi, nel più profondo mistero, «scrive tutti i giorni, in cifre, a Coblenz»; e l'ingegnere Goguelat, quello dellaNotte degli Speroni, liberato dalla prigione per l'Amnistia di Lafayette, galoppa avanti e indietro. Di tanto in tanto, quando se ne presenta l'occasione, una familiare visita regale vien fatta a quella Salle de Manége, con un discorso del Re, affettuoso e incoraggiante (senza dubbio sincero pel momento), mentre i Senatori tutti applaudono e quasi piangono. Nello stesso tempo Mallet du Pan ha visibilmente cessato di far l'editore, e clandestinamente porta in giro un autografo del Re, con cui sollecita l'aiuto dei Sovrani stranieri. Sventurato Luigi, fa' una cosa o un'altra, – purchè tu possa!

Ciò che il Governo del Re fece, fu un continuo, insensato dimenarsi d'una in altra contraddizione; e manipolando l'imeneo del Fuoco con l'Acqua, s'avvolse nel suo vapore cinereo e sibilante. Danton e i Patrioti bisognosi suscettibili di corruzione sono chetati con regali pecunari, che accettano; essi si rinvigoriscono così e si tracciano la propria via. Inoltre il Governo del Re ingaggiò i suoi Plaudenti, o claqueurs, per farsi applaudire. Il sotterraneo Rivarol ha 1500 uomini pagati dal Re alla ragione di 10.000 sterline al mese, che egli chiama «lo stato maggiore del genio»: Scrittori di Articoli, Giornalisti di Manifesti, duecentottanta Applauditori a tre scellini al giorno; uno dei più strani Stati maggiori che mai comandò l'uomo. Le note e i libri di conti di tutto ciò ancora esistono. Lo stesso Bertrand-Moleville, in una maniera che egli ritiene assai abile, immagina d'infarcirne le Gallerie della Legislativa; v'introduce dei Sanculotti pagati che applaudono a un segnale convenuto, credendo che Pétion li diriga; lo strattagemma non fu scoperto per quasi una settimana. Un abile strattagemma; quasi che un uomo, trovando che il giorno passi troppo presto, muova a suo talento le sfere dell'orologio; si fa presto a farlo.

Ma notiamo qui un'apparizione inaspettata, quella di Filippo d'Orléans alla Corte: l'ultima sua apparizione al Ricevimento mattinale d'un Re. D'Orléans, da un po' di tempo, nei mesi d'inverno, a quel che appare, era stato elevato al grado d'Ammiraglio, in antico tanto ambito – quantunque solo pel comando di bastimenti che marciavano nel porto. Il desiderio era appagato troppo tardi! Pure egli viene da Bertrand-Moleville per ringraziare; anzi, per dichiarare che intende ringraziare Sua Maestà in persona; che, malgrado le orribili cose dette e cantate, egli è ben lungi dall'essere nemico di Sua Maestà; oh ben lungi nel fondo! Bertrand disimpegna il messaggio, ottiene l'Intervista regale, che ha luogo con soddisfazione del Re; mostrandosi D'Orléans chiaramente pentito e determinato a cominciare una nuova pagina della sua vita. Senonchè, che cosa vediamo mai la domenica seguente? «La domenica seguente», dice Bertrand, «egli venne al ricevimento mattinale del Re; ma i cortigiani, ignari di ciò che era accaduto, e la Folla dei Realisti che solevano recarsi colà, quel giorno specialmente, per fare la corte ai Sovrani, lo ricevettero nella maniera più umiliante. Gli si fecero intorno, cercando, apparentemente senza volerlo, di calpestargli i piedi, lo spinsero a gomitate verso l'uscio e non lo fecero più entrare. Allora egli discese agli appartamenti della Regina, ove era apparecchiata la tavola; ma non appena si mostrò, sorse un mormorio dappertutto. Messieurs, badate ai piatti, quasi egli recasse il veleno in saccoccia. Gl'insulti, cui dette luogo ovunque la sua presenza, lo costrinsero a ritirarsi senza aver visto la Famiglia Reale: la folla lo seguì sullo scalone della Regina; nello scendere ricevette uno sputo (crachat) sul capo e parecchi altri sugli abiti. La rabbia e il dispetto apparivano manifesti sul suo volto». E invero, come avrebbe potuto essere altrimenti? Egli attribuisce l'accaduto al Re ed alla Regina, che non ne sanno nulla, o che ne sono magari dolenti; e così ridiscende nel suo Caos. Bertrand si trova allo Château quel giorno, testimone oculare di quel fatto.

I Preti Nongiuranti e le persecuzioni cui son fatti segno terranno occupata del resto la coscienza del Re; i Principi Emigranti e la Nobiltà lo costringeranno ad un doppio giuoco; un veto seguirà l'altro; fra l'indignazione sempre crescente della gente. Giacchè il Patriottismo, come dicevamo, tien gli occhi addosso dal di fuori e diviene sempre più sospettoso. La tempesta dell'indignazione patriottica va addensandosi, folata a folata, dall'esterno; mentre all'interno poi è tutto un turbinio intenso, inorganico d'Intrighi e di Pettegolezzi! Inorganico, pettegolo, da cui l'occhio rifugge. De Staël intriga pel suo amante Narbonne, perchè sia fatto Ministro della Guerra, e non smette finchè non sia fatto. Il Re fuggirà a Rouen; là col galante Narbonne «modificherà la Costituzione». È lo stesso gagliardo Narbonne, che l'anno scorso tolse d'imbarazzo a forza di dragoni le povere Zie del Re; si dice che egli sia di fatto il loro Fratello, od anche più, tanto scandaloso è lo scandalo. Egli corre adesso in vettura con la sua De Staël verso gli eserciti, alle Città della Frontiera; mostra dei Rapporti color di rosa, non troppo degni di fede; perora, gesticola, si pone in vista per un momento, giungendo in alto; poi vacilla, va giù a capofitto, travolto dalla marea del Tempo.

Anche la bella Principessa di Lamballe, amica del cuore della Regina, intriga, suscitando lo sdegno del Patriottismo. Perchè mai questa Bella Sfortunata tornò dall'Inghilterra? A che mai poteva giovare, nello zufolio del nero turbine del mondo, la sua tenue voce argentina? E il turbine, avvolgendola, la scaglierà, povero fragile uccello di paradiso, contro orride rocce. Lamballe e De Staël intrigano in maniera visibile, ciascuna per conto proprio o insieme: ma chi potrebbe calcolare quanti altri intrigano, in quante infinite maniere, nell'ombra! Non v'è forse un così detto «Comitato Austriaco», che risiede clandestinamente nelle Tuileries, centro d'un'invisibile Ragnatela Antinazionale, il quale, poichè noi dormiamo tra i misteri, stende i suoi fili fino agli estremi della Terra? Il Giornalista Carra ha ormai la più chiara certezza della sua esistenza: pel Patriottismo Brissotin, o per la Francia in genere, diviene sempre più probabile.

O Lettore, non hai tu pietà di questa Costituzione? Nelle sue membra,lancinate di dolori reumatici, vapori idrocefalici e isterici premono sul suo cervello: una Costituzione divisa contro sè stessa, che mai potrà camminare, e quasi neppur muoversi! Perchè Drouet e il Procuratore Sausse non erano nei loro letti quella malaugurata notte di Varennes! Perchè, in nome del Cielo, non lasciarono andare la Berlina di Korff dove le piacesse! Incoerenze e incompatibilità inaudite, prodigi forse, di cui il mondo ancora rabbrividisce, sarebbero state risparmiate.

Ed ora vien la terza cosa che fa mal presagire del cammino di questa Costituzione Francese: oltre il Popolo Francese, oltre il Re Francese, vien terzo – il mondo europeo coalizzato. È necessario ormai di fermar lo sguardo anche su questo. La bella Francia è tanto luminosa: e tutt'intorno ad essa è la torbida Notte Cimmeria. I Calonne, i Breteuil volteggiano nell'ombra, or qua, or là, lontano involgendo tutta l'Europa in una rete d'intrighi. Da Torino a Vienna, a Berlino, al remoto Pietroburgo, tra i ghiacci del Nord! Il gran Burke ha levato da tempo la sua gran voce, dimostrando eloquentemente che è venuta la fine d'un'Epoca, e, secondo ogni probabilità, la fine del Tempo Civile. Molti gli rispondono: Camillo Desmoulins, Clootz l'oratore del Genere Umano, Paine, il Sarto ribelle, ed onorevoli Rivendicatori della Gallia, in un paese o in un altro; ma il gran Burke rimane inconfutabile; «l'Età della Cavalleria è scomparsa», e non poteva essere altrimenti, avendo ora prodotta un'Età ancora più indomabile: l'Età della Fame. Tanti altari, come quelli Dubois-Rohan, che si mutano in quelli di Gobel e Talleyrand, passano per rapido tramutamento a... dobbiamo dirlo il vero proprietario di essi? La Selvaggina francese e i Guardiacaccia si fermarono sulle Rupi di Dover, emettendo urli di dolore. Chi può dire che non sia venuta la fine di tante cose? Una setta di mortali è sorta, la quale crede che la Verità non è una Speculazione stampata, ma un Fatto pratico; che la Libertà e la Fratellanza siano possibili su questa Terra, che s'era supposto dovesse esser sempre di Belial, e retaggio del «Ciarlatanismo Supremo!» Chi può dire che la Chiesa, lo Stato, il Trono, l'Altare non siano in pericolo; che il Sacro-Forziere stesso, ultimo Palladio d'una logora Umanità, non possa essere con irriverenza manomesso, senza rifare i suoi cardini?

La povera Assemblea Costituente agisca come si voglia con delicatezza e diplomazia; dichiari pure che rinunzia ad ogni intromissione nelle cose dei suoi vicini, ad ogni conquista all'estero, e così via; ma la cosa che poteva predirsi fin dal principio, è che la vecchia Europa e la nuova Francia non potrebbero sussistere insieme. Una Gloriosa Rivoluzione che rovescia le Prigioni di Stato e il Feudalismo; che pubblica al rombo del Cannone Federale, al cospetto di tutta la Terra, che l'Apparenza non è la Realtà, come può sussistere fra Governi in cui, se l'Apparenza non è la Realtà – è non si sa che cosa? Potrà solo convivere con essi in una lotta mortale, in un combattimento, in una battaglia internecina; non altrimenti.

I Diritti dell'Uomo, stampati su Fazzoletti di Cotone, in vari dialetti dell'umana favella, sono mandati alla Fiera di Francoforte. Che dico, alla Fiera di Francoforte? Essi hanno attraversato l'Eufrate e il favoloso Hydaspes; si sono logorati passando gli Urali, gli Altai, l'Imalaia; impressi con la stereotipia in legno, riprodotti nella pittorica Scrittura cuneiforme, sono balbettati, cinguettati nella Cina e nel Giappone. Ove tutto ciò s'arresterà? Kien-Lung subodora il pericolo; nè il più remoto Dalai-Lama manipolerà ora in pace le sue palle. Odiosi per noi come la notte! Agitatevi, o Difensori dell'Ordine! Essi si agitano: tutti i Re e i Reucci coi loro arredi spirituali e temporali, col ciglio atteggiato a minaccia. Gli emissarî diplomatici fuggono veloci; le Assemblee, i Conclavi segreti si riuniscono; le savie parrucche tentennano appigliandosi a quel partito che è loro dato.

Inoltre, come dicevamo, scrittori di Pamphlets impugnano la penna da un lato e dall'altro; pugni zelanti battono il pulpito. Non senza successo! E Birmingham, la città del ferro, non proruppe nel grido di «Chiesa e Re», senza sapere il perchè, lo scorso Luglio, in preda alla rabbia, all'ebrezza, al fuoco? E i vostri Priestley e gente di simil genere, banchettando nel giorno della Bastiglia, non si abbandonarono follemente ad ogni eccesso incendiario? Cosa scandalosa! Nello stesso giorno, notiamolo, gli alti Potenti, l'Austriaco e il Prussiano, andavano allegramente cogli Emigrati verso Pilnitz, in Sassonia; quivi il 27 Agosto, conservando per sè stessi quant'altro in un «Trattato segreto» vi potesse o non vi potesse essere, pubblicarono le loro speranze e le loro minaccie e la loro Dichiarazione che questa era la «causa comune dei Re».

Dove è desiderio di contesa, là v'è anche il motivo per giungervi. Ricordano i nostri Lettori quella notte di Pentecoste, il 4 Agosto 1789, allorchè il Feudalismo fu abbattuto in poche ore? L'Assemblea Nazionale, nell'abolire il Feudalismo, promise che sarebbe dato un «compenso», e tentò di darlo. Senonchè, l'Imperatore d'Austria risponde che i suoi Principi Germanici non possono esser privati della feudalità; che hanno possedimenti nell'Alsazia francese, e diritti feudali incontestabili, per cui non v'è compenso che possa bastare. Onde questo fatto dei Principi possidenti, «Princes Possessionés», è bandito di Corte in Corte; e finora ha formato un cumulo di carta diplomatica: una cosa da annoiare il mondo. Kaunitz disputa da Vienna; Delessart risponde da Parigi, quantunque non abbastanza vivacemente. L'Imperatore e i suoi Principi possessori vogliono evidentemente venire ad esigere il compenso – in quanto possono ottenerlo. Non si potrebbe addirittura ripartire la Francia, come abbiamo fatto e stiamo facendo per la Polonia; e pacificarla, facendone vendetta?

Dal Sud al Nord! Poichè ormai si tratta della «causa comune dei Re». Gustavo di Svezia, Cavaliere giurato della Regina di Francia, capitanerebbe gli eserciti coalizzati; – se Ankarström non gli avesse sparato a tradimento; v'erano dunque, come si vede, guai più vicino a casa propria. L'Austria e la Prussia parlarono a Pilnitz, e tutti ascoltarono intenti. Sono partiti da Torino rescritti imperiali; vi sarà a Vienna una Convenzione segreta. Caterina di Russia mostra di aderire; aiuterà quando sarà pronta. Il Borbone di Spagna s'agita fra i suoi guanciali; da lui, sì, anche da lui, verrà un aiuto. Il macilento Pitt, «il Ministro dei preparativi», guarda dalla torre di vedetta in Saint-James, in atteggiamento sospettoso. I Consiglieri complottano, i Calonne volteggiano nell'ombra; – ohimè, dei birri gironzano apertamente, servendosi d'ogni mezzo, pei mercati delle città tedesche, reclutando il valore cencioso! Ovunque guardiate, un oscurantismo incommensurabile circonda questa bella Francia, la quale non si farà aggirare. L'Europa ha le doglie; un attacco segue l'altro; qual grido fu mai quello di Pilnitz! Il parto sarà: Guerra!

Ma il peggior lato della cosa è quest'ultimo non ancora menzionato: gli Emigranti a Coblenz. Migliaia di essi si schierano in file, animati dall'odio più amaro e in atto di minaccia: i Fratelli del Re, tutti i Principi del sangue, eccettuato il malvagio D'Orléans; il vostro spadaccino De Castries, il vostro eloquente Cazalès; Malseigne dalla testa taurina, un dio della guerra Broglie; Signori della Conocchia, Officiali insultati; tutti quelli, insomma, che avevano passato il Reno; – D'Artois che riceve l'Abbé Maury con un bacio, stringendolo pubblicamente sul suo cuore regale! L'emigrazione, che affluisce alle Frontiere, ora a gocce, ora a ondate, con un umore vario di paura, di petulanza, di rabbia e di speranza, da quei primi giorni della Bastiglia, quando D'Artois venne per «umiliare i cittadini di Parigi», – è cresciuta fino a raggiungere le proporzioni d'un Fenomeno del mondo. Coblenz è divenuta una piccola Versailles extra-nazionale; una Versailles in partibus; brogli, intrighi, favorite, pornocrazia anche, si dice, non mancano quivi; tutte le antiche passioni riprodotte su piccola scala, rese più vive dalla sete di vendetta.

L'entusiasmo del lealismo, dell'odio, e della speranza, ha raggiunto il colmo; in ogni osteria di Coblenz ne vedete la manifestazione nei discorsi e nei canti. Maury assiste all'interno Concilio; tante cose vi si decidono: si formano liste con le date dell'emigrazione; un mese più presto o più tardi determina un maggiore o un minor diritto nella futura Divisione del Bottino. Lo stesso Cazalès, per aver parlato in una occasione in senso costituzionale, era in sulle prime guardato freddamente: tanto son puri i nostri principî. A Liegi si fabbricano armi; «tremila cavalli» trottano a questa volta dalle Fiere di Germania; s'arruola la Cavalleria, al pari della Fanteria, in giubbe azzurre, dai farsetti rossi, dai pantaloni di nankin . Essi hanno le loro segrete corrispondenze domestiche, e quelle palesi con l'estero: coi Dissimulati Aristocratici disgustati, coi Preti dissidenti, col Comitato Austriaco nelle Tuileries. Sono incoraggiate le diserzioni da attivi sensali; quasi tutto il Royal-Allemand è partito. È tracciato il percorso verso la Francia e la divisione del bottino, purché l'Imperatore sia pronto. «Si dice, che essi vogliono avvelenare le sorgenti»; ma, soggiunge il Patriottismo che ne fa rapporto, «non potranno avvelenare le sorgenti della Libertà»; al che «on applaudit», e noi non possiamo che applaudire. Inoltre vi sono fabbriche di Falsi Assegnati, e persone che circolano nell'interno, distribuendoli e sborsandoli; una di queste persone noi la denunziamo al Patriottismo legislativo; è un uomo chiamato Lebrun, sui trent'anni, con copiosa chioma bionda; egli ha pel momento un occhio ammaccato, œil poché; va in un wiski «con un cavallo nero», – e non abbandona mai il suo Birroccio!

Disgraziati Emigranti, era questa la loro sorte, e la sorte della Francia! Essi ignorano tante cose che dovrebbero sapere: ignorano sè stessi e ciò che li circonda. Un partito politico che non sa quando è battuto, può divenire una delle cose più fatali a sè stesso e agli altri. Niente arriverà a convincere questi uomini che non possono dissipare la Rivoluzione Francese al primo soffio della loro tromba di guerra; che la Rivoluzione Francese è tutt'altro che una chiassosa Effervescenza di schiamazzatori e di declamatori, i quali al fulgore delle spade cavalleresche, allo stridio delle corde della forca si cacceranno nel più profondo degli antri. Ma, quale è l'uomo in grado di conoscere e misurare sè stesso e ciò che lo circonda, – foss'anche ove si tratta d'una lotta tutt'affatto materiale? Mai, finchè non saranno divise in due parti, quelle teste crederanno che un braccio di Sanculotto ha in sè del vigore: e quando saranno divise in due parti, sarà troppo tardi per credervi.

Si può dirlo, senza rancore contro i poveri fratelli erranti d'ogni parte, che più d'ogni altro errore, quello dei Nobili Emigrati fu fatale alla Francia. Oh se essi avessero saputo, se avessero compreso! Al principio del 1789, uno splendore e un terrore ancora li circondava: l'incendio dei loro castelli, acceso da mesi di ostinazione, sorse dopo il quattro Agosto; e sarebbe continuato, se essi avessero saputo quel che dovevano difendere, e quel che non era possibile difesa. Essi erano ancora una Gerarchia graduata di Autorità, o l'accreditata similitudine di questo: essi rappresentavano il punto d'unione tra il Re e il Popolo, trasmettendo e traducendo a grado a grado il comando dell'uno nell'obbedienza dell'altro, rendendo ancora possibile il comando e l'obbedienza. Se avessero compreso il loro posto, e quel che dovevano fare a quel posto, quella Rivoluzione francese che esplose in anni e mesi, si sarebbe compiuta da una a un'altra generazione, e molte cose avrebbero trovato la loro fine, non in una morte spasmodica, ma in una placida euthanasia.

Ma quegli uomini erano orgogliosi e alteri, e non avevano la saggezza di mettersi a considerare: tutto respingevano con odio sdegnoso, sguainavano la spada, gettando via il fodero. La Francia non solo non ha più la Gerarchia delle Autorità per tradurre il comando in obbedienza; ma la Gerarchia delle Autorità, fuggita presso i nemici della Francia fa appello ai nemici della Francia, perchè intercedano con le armi, ed essi non aspettano che un pretesto per farlo. Re ed Imperatori, gelosi, vi hanno tenuti su gli sguardi da tempo, meditando l'intervento, e un po' per paura, un po' per vergogna non si sono fatti avanti; ma ora non sono forse i Fratelli del Re, tutti i Nobili della Francia, Dignitari e Autorità, liberi di parlare, come non è il Re medesimo, – che c'invitano con ardore in nome del Diritto e del Potere? Reggimentati a Coblenz, da Quindici a Ventimila uomini aspettano con le armi brandite, al grido di: Avanti, avanti! Sì, signori, voi andrete avanti, – e parteciperete alla divisione del Bottino, secondo le date della vostra emigrazione.

Di tutte queste cose una povera Assemblea Legislativa e la Francia patriottica sono informate da amici che denunziano, dal nemico che trionfa. I pamphlets di Sulleau, dello Stato Maggiore del Genio di Rivarol, circolano, annunziando la speranza suprema. I manifesti di Durasoy tappezzano le mura. Chant du coq, canta il giorno, beccato dall'Ami des Citoyens di Tallien. L'Amico del Re Royou, Ami du Roi, può statuire con cifre esatte, matematiche, il contingente dei vari Potentati invasori: in tutto quattrocentodiciannovemila combattenti esteri con quindicimila emigrati, senza calcolare le diserzioni d'ogni giorno, d'ogni ora, che un editore deve quotidianamente registrare, d'intere Compagnie, di Reggimenti addirittura, al grido di: Vive le Roi, Vive la Reine, che marciano a bandiera spiegata; tutto menzogna, tutto vento; non vento pel Patriottismo però; nè, purtroppo, per Royou, un giorno! Il Patriottismo, quindi, può bene scalmanarsi e ciarlare, per alcun poco; ma le sue ore sono contate: l'Europa sta per venire con quattrocentodiciannovemila uomini e la Cavalleria della Francia; il patibolo, è a sperarlo, compirà la sua opera.

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