Dorma chi vuole, cullato dalla speranza e dalla corta veduta, come Lafayette; il quale «sempre nel pericolo che è passato vede l'ultimo pericolo che lo minaccerà». Non è tempo di dormire nè tempo di seminare.
Quel sacro Collegio di Araldi di una nuova Dinastia, vogliamo dire dei sessanta e più Attacchini con le loro marche di piombo, non dorme. Essi quotidianamente, con le loro pentole di colla e con le loro pertiche, rivestono a nuovo i muri di Parigi di tutti i colori dell'iride; autorevole e araldico collegio, come dicevano, o addirittura quasi magico-taumaturgico; poichè nessun Manifesto-Giornale, che essi attaccano, mancherà di convincere un'anima o delle anime di uomini. Gli Strilloni di piazza schiamazzano, e così i cantori di ballate: il gran Giornalismo soffia e strepita, da Parigi, a traverso tutte le sue gole, in direzione di tutti gli angoli della Francia, come una Caverna d'Eolo, mantenendo vivi i fuochi d'ogni specie.
Di queste gole o Giornali che siano, se ne contano circa centotrentatrè; di vario calibro, a cominciare dai vostri Chénier, Gorsasa e Camille, venendo giù fino al vostro Marat, ed ora fino al vostro incipiente Hébert del Père-Duchesne; costoro a volte con argomenti impetuosi, a volte con baie spiritose e leggere, si battono per i diritti dell'Uomo; i Durososy, Royou, Peltier, Sulleau, con una tattica mista, che racchiude, strano a dirsi, una buona dose di Parodia profana, si scalmanano pel Trono e per l'Altare. Quanto a Marat, l'Amico del Popolo, la sua voce è simile a quella del ranocchio o della rana- toro presso gli stagni solitari; egli, non visto dagli uomini, gracida un brontolìo aspro, incessante, d'indignazione, di sospetto, di dolore inguaribile. «Il popolo sprofonda incontro alla ruina e s'appressa alla fame». Ed egli esclama: «Fratelli miei, la vostra indigenza non è frutto del vizio, nè dell'ignavia; voi avete diritto alla vita, precisamente come Luigi XVI, o il più felice del secolo. Quale uomo può dire che egli ha diritto a mangiare quando voi non avete pane?» Da un lato il popolo che sprofonda, dall'altro un disgraziato Sieur Motier, un traditore Riquetti Mirabeau; sempre traditori e altre ombre e simulacri di ciarlatani si veggono in alto ovunque voi guardiate! Uomini che fanno mostra di sè e con ogni specie di smorfie tengono discorsi bene spazzolati, vacui all'interno. Ciarlatani politici, ciarlatani scientifici, ciarlatani accademici; tutti animati da uno spirito di solidarietà fra loro e teneri dello spirito pubblico ciarlatanesco! Nè il grande Lavoisier, nè alcuno dei Quaranta, può sfuggire a questa lingua tagliente, che non manca di sincerità fanatica, nè, quel ch'è più strano, d'un rude senso caustico. Eppoi le «tremila case da giuoco», che sono a Parigi, veri luoghi immondi di scelleratezza; fogne di nequizia e di depravazione: – dove non sono i buoni costumi, la Libertà è impossibile! Là, in quegli antri di Satana, conosciuti e denunziati con insistenza, i mouchards del Sieur Motier bazzicano e si accomunano, cibandosi, come vampiri, d'un Popolo presso a morire d'inedia. «O Peuple!» grida, egli sovente, con un accento che lacera il cuore. Tradimento, delusione, vampirismo, scelleratezza, da Dan a Bersabea! L'anima di Marat è ammalata a tal vista; ma come rimediare? Rizzare «Ottocento forche in bell'ordine, e cominciare dall'issare Riquetti sulla prima di esse!» Tale è il breve recipe di Marat, Amico del Popolo.
Così soffiano e strepitano i Centotrentatrè; nè, a quel che pare, sono bastevoli; poichè vi sono angoli reconditi in Francia ove i giornali non giungono; e ovunque «è un così grande appetito di notizie come mai il simile in nessun paese». Parte uno sbrigativo Dampmartin, in congedo, per tornare a casa da Parigi, e non può proseguire, «perchè i contadini lo fermano sulla strada maestra, opprimendolo di domande»; il Maître de Poste non si decide a metter fuori i cavalli prima che vi siate quasi bisticciato con lui, e intanto, seguita a domandare: «Quali nuove?» Ad Autun, ad onta della notte buia e dei rigori del gelo, poichè siamo al Gennaio 1791, non c'è da esimersi; e, rassettate le vostre stanche membra e raccolti i vostri pensieri, dovete «parlare alla moltitudine da una finestra che sporge sulla piazza del mercato». È la maniera più spiccia: questo, o buon popolo cristiano, è invero ciò che un'Augusta Assemblea mi parve stesse facendo; queste e non altre sono le notizie:
Ora chiudo le mie stanche labbra;
Lasciatemi, lasciatemi riposare!
Oh il buon Dampmartin! – Ma dopo tutto, le Nazioni non sono straordinariamente fedeli al loro carattere nazionale, che pur circola nel loro sangue? Millenovecento anni addietro, Giulio Cesare, col suo occhio rapido e sicuro, notò come i Galli traevano in agguato gli uomini. «È loro consuetudine» egli dice «di fermare i viaggiatori, foss'anche con la forza, ed informarsi di ciò che ognuno di loro potesse avere udito o saputo; nelle loro città il popolino assedia di domande il mercante che passa, per sapere da quali regioni egli venga, di quali cose è venuto a conoscenza colà. Nell'eccitazione di quelle voci e di quelle comunicazioni, decidono intorno alle cose della più grande importanza; e necessariamente sono costretti a pentirsi, nel più breve tempo, di quello che han fatto con la guida d'incerte referenze; poichè molti viaggiatori rispondono con mere invenzioni, per compiacerli, e potersi partire». Millenovecento anni; e il buon Dampmartin, rotto dalla fatica del viaggio, in un rigido inverno, probabilmente al tenue lume delle stelle o a quello dell'olio di pesce, perora ancora da una finestra d'albergo! Questo popolo non è più chiamato Gallico, ed è divenuto completamente braccatus, indossa pantaloni e ha subìti molti cambiamenti. Alcuni fieri Germani Franchi irruppero con impeto su di esso, e, per così dire, saltarono sul suo dorso; e poi sempre alla sua maniera feroce e tenace, lo cavalcarono dopo avergli messa la briglia; poichè il Germano è, per via del suo stesso nome, uomo di Guerra, o uomo che combatte e lotta. E così il Popolo, come diciamo, è ora chiamato Franco o Francese: eppure non è l'antico popolo Gallico o Gallo-Celtico, con la sua veemenza, la sua prontezza effervescente, con quanto aveva di buono e di cattivo, che si rivela, soltanto alcun po' adulterato?
Dopo tutto, come in questa fermentante confusione, il Clubismo prosperi e dilati, non è a dire. Già la Madre del Patriottismo, sedente ai Giacobini, rifulge suprema, e ha fatto impallidire la povera luce lunare di quel Club Monarchico presso all'estinzione finale. Essa, come dicevamo, rifulge suprema, cinta dalla luce del sole, non ancora dalle fiamme infernali; rispettata non senza timore, dalle Autorità Municipali; contando i suoi Barnave, Lameth, Pétion, d'un'Assemblea Nazionale, e con più compiacimento, il suo Robespierre. I Cordeliers poi, coi loro Hébert, Vincent, il Bibliopola Momoro, fanno udire il loro lamento, perchè un sindaco tiranno e un Sieur Motier li straziano con gli acuti tribula della Legge, avendo lo scopo evidente di sopprimerli a via di tribolazioni. Come la Giacobina Società Madre, secondo s'è accennato innanzi, dissemina da un lato i Cordeliers e dall'altro i Feuillants; i Cordeliers «un elixir o una doppia distillazione del Patriottismo Giacobino»; gli altri, una estesa e debole diluizione di questo; come essa riassorbirà i primi nel suo Seno materno, e tempestosamente disperderà gli altri nel nulla; come essa generi e tiri su Trecento Società Figlie, e le allevi e corrisponda con esse e si adoperi in un continuo lavoro; come, sotto un'antica figura, il Giacobinismo lanci i suoi filamenti organici fin agli angoli più remoti d'una Francia confusa e disfatta, riorganizzandosi di nuovo: – è questo propriamente il gran fatto del Tempo.
Pel Costituzionalismo passionato, e più ancora pel Realismo, i quali vedono tutti i loro Clubs declinare e morire, il Clubismo naturalmente finirà per sembrare di più in più la radice d'ogni male. Eppure il Clubismo non è la morte, ma piuttosto una nuova organizzazione, la vita che scaturisce dalla morte: distruttore invero dei resti del Vecchio, ma importante, indispensabile pel Nuovo. Che l'uomo possa cooperare ed avere comunione con l'uomo: in ciò consiste la sua forza prodigiosa. Nel tugurio o nel casale, il Patriottismo non geme più, come la voce nel deserto; esso può incamminarsi verso la più vicina Città ed ivi, nella Società Figlia, concretare le sue giaculatorie in una orazione articolata, in un'azione cui dà impulso la stessa Madre del Patriottismo. Tutti i Clubs dei Costituzionalisti e simili vengono a mancare l'un dopo l'altro come fontane poco profonde; il solo Giacobinismo è andato nelle profondità sotterranee fino alle scaturigini dell'acqua; e può, a meno che non sia occluso, scorrere copioso, continuo come un pozzo artesiano. Finchè la grande Sorgente non si sia dissecata, fin che tutto non sia inondato e sommerso, e il Diluvio di Noè non sia a sua volta sopraffatto da un diluvio più forte ancora!
D'altra parte, Claudio Fauchet, per preparare al genere umano una Età dell'Oro che appare a portata di mano, ha aperto il suo Cercle Social, coi suoi commessi, i suoi ufficî di corrispondenza, e così via, nei pressi del Palais Royal. È Te-Deum Fauchet, quello stesso che predicò sulla morte di Franklin nella immensa, medicea rotonda delle Halles-aux- blés. Egli, qui, questo inverno, mediante un Torchio e un melodioso Eloquio sparge la sua fama fino alle ultime barriere della città. «Diecimila persone rispettabili» attendono quivi per ascoltare questo «Procureur Général de la Vérité, Procuratore Generale della Verità», come s'era qualificato egli stesso, col suo saggio Condorcet, o altro eloquente coadiuatore. Eloquente Procurator Generale! Egli mette fuori, bene o male, tutte le cose mature o immature che sono in lui; non senza suo pro, poichè ciò mena a un vescovado, foss'anche un vescovado Costituzionale. Fauchet si rivela buon parlatore, dai polmoni forti, dal cuore umanitario; vi è in lui tanta materia fluente e invero del miglior genere, intorno al Diritto, alla Natura, alla Benevolenza, al Progresso; e, sia essa panteistica o pot-teistica, solo una mente ingenua, in questi giorni, sente il bisogno di esaminare. L'affaccendato Brissot era da molto tempo dell'avviso di stabilire precisamente qualche Circolo Sociale rigeneratore; ed anzi ne aveva tentato l'esperimento in «Newman-street Oxford-street» della Babilonia nebbiosa, e n'era seguìto un fallimento che alcuni dicono fraudolento, con appropriazione della cassa. Fauchet, non Brissot, era destinato ad essere l'uomo fortunato; peraltro il generoso Brissot con animo sincero canterà un intonato Nunc Domine . Ma «diecimila persone rispettabili»: qual mole hanno certe cose in proporzione della loro grandezza! E questo Cercle Social pel quale Brissot canta con voce sincera e intonata quel Nunc Domine, che cosa è mai? Purtroppo nient'altro che vento e ombra. La principale verità che troviamo ormai in esso è forse questa: che un «Procurator Generale della Verità» prese una volta forma corporea, qual figlio d'Adamo, sulla nostra Terra, nient'altro che per mesi, per momenti, e diecimila persone rispettabili erano presenti, prima che il Caos e la Notte lo riassorbissero ancora.
Centotrentatrè Giornali di Parigi; un Circolo Sociale rigeneratore; eloquenza ovunque, nella Società Madre e nelle Società Figlie, dai balconi degli Alberghi, accanto al camino, a tavola, – la polemica, che molte volte va a finire in duelli! Aggiungete a tutto ciò il costante accompagnamento in tono di basso profondo: scarsezza di lavoro, scarsezza di cibo. L'inverno è duro e freddo: la coda di cenciosi dinanzi ai Forni, che pare lo stendardo nero e lacero della miseria, s'avanza e s'agita a quando a quando. È il terzo degli anni della fame questo nuovo anno di una Rivoluzione gloriosa. Il ricco, quando è invitato a un pranzo, in questo tempo di miseria, si sente in dovere di recare il suo pane in saccoccia; e il povero come fa a mangiare? La vostra gloriosa Rivoluzione è causa di tutto ciò, grida qualcuno. La nostra gloriosa Rivoluzione è astutamente pervertita dai più neri traditori, degni della Lanterna, grida qualche altro. Qual pennello dipingerà la voragine immensa in cui la Francia, fatta a brani da un'incoerenza selvaggia, rotea in rapidi avvolgimenti? Lingua umana non potrebbe dire qual dissenso regnava sotto ogni tetto di Francia, in ogni cuore francese, e le cose insensate che si pronunziavano e si compievano, il cui assieme costituiva la Rivoluzione Francese; nè le leggi d'azione che operavano non vedute nel fondo di quella incommensurabile, cieca Incoerenza! Gli uomini guardano l'Incommensurabile con stupore, non con misura; senza conoscere le sue leggi: vedendo con differenti gradi di percezione, quali nuove fasi, quali risultati delle sue leggi genereranno. La Francia è come una mostruosa Massa Galvanica in cui forze e sostanze più strane delle forze chimiche, galvaniche o elettriche, lavorano, elettrizzandosi a vicenda, positive e negative, riempendo d'elettricità le vostre bottiglie di Leyda, – nel numero di Venticinque Milioni. Come le bottiglie saranno sature, vi sarà, di tempo in tempo, per una lieve occasione, una esplosione.