In conseguenza, il Venerdì 31 Maggio 1793, appare alla luce del sole estivo una delle scene più strane. Il Maire Pache con la Municipalità arriva alle Tuileries nell'Aula della Convenzione; mandato là perchè Parigi è in visibile fermento; e reca le più strane novelle.
Nel mentre, quel grigio mattino, sedevamo al Palazzo Civico, occupandoci della cosa pubblica, s'introducevano, proprio come il Dieci Agosto, novantasei persone estranee, che si dichiaravano in stato d'insurrezione e dicevano di essere Commissari Plenipotenziarî delle Quarantotto Sezioni, le quali Sezioni o Membri del Popolo Sovrano, erano tutte in istato d'insurrezione; e che noi, in nome del detto Sovrano Insorto, eravamo dispensati dal nostro ufficio. A seguito di ciò, noi deponemmo le nostre fasce e ci ritirammo nell'adiacente Salone della Libertà. Dopo uno o due minuti eravamo richiamati e reintegrati nell'Ufficio, perchè piaceva al Sovrano di crederci ancora degni di fiducia. Onde, avendo prestato un nuovo giuramento, d'un subito ci siamo ritrovati Magistrati Insurrezionali, con un estraneo Comitato dei Novantasei sedente accanto a noi; un Cittadino Henriot, che alcuni accusano di Settembrismo, è fatto Generalissimo della Guardia Nazionale; e dalle sei le campane suonano a stormo e si batte il tamburo. – In queste circostanze peculiari, che cosa vorrà un'Augusta Convenzione Nazionale suggerirci di fare?
Sì, questa è la questione! «Annientare le Autorità Insurrezionali», rispondono alcuni con veemenza. Vergniaud alla fine vuole che «i Rappresentanti Nazionali muoiano tutti al loro posto»; questo è giurato con pronte e alte acclamazioni. Ma quanto ad annientare le Autorità Insurrezionali, – mentre noi ancora discutiamo, che è mai questo rumore? È lo strepito del Cannone d'Allarme sul Pont-Neuf, cui per Legge non si può dar fuoco senza un nostro ordine, pena la vita!
Nondimeno esso fa udire il suo rimbombo, che si ripercuote in tutti i cuori. E la campana a martello si esprime con una musica austera; mentre Henriot ci stringe con la sua Forza Armata! La Sezione succede alla Sezione durante tutta la giornata, e chiedono con una oratoria da Cambise, con lo strepito dei moschetti, che i traditori, Ventidue o più, siano puniti, – che la Commissione dei Dodici sia irrevocabilmente distrutta. Il cuore della Gironda è colpito a morte, sono distanti i Settantadue Dipartimenti rispettabili, e questa focosa Municipalità è qui presso! Barrère è per una via di mezzo, per accordare qualche cosa. La Commissione dei Dodici dichiara che senza aspettare d'esser disciolta, si scioglie da sè stessa, e non esiste più. Il Relatore Rabaut vorrebbe in ogni modo dire la sua ultima parola anche in nome della Commissione, ma è sopraffatto dagli urli. Fortuna che i Ventidue sono lasciati ancora inviolati! – Vergniaud arriva tant'oltre nella raffinatezza, da dichiarare, con meraviglia di alcuni, che «le Sezioni di Parigi s'erano rese benemerite del loro paese». Allora, in un'ora tarda della sera, le benemerite Sezioni si ritirano alle loro rispettive dimore. Barrère redigerà analogo rapporto. Egli siede appartato, col cervello e la penna in moto; per lui non vi sarà riposo questa notte. Così è finito il Venerdì dell'ultimo di Maggio.
Le Sezioni si sono ben comportate; ma non avrebbero dovuto far di meglio? La Fazione e il Girondinismo sono abbattuti pel momento, e accettano di essere nullità; ma non risorgeranno in un altro momento, con maggior lena, e non dovrà la Repubblica esser salvata loro malgrado? Così ragiona il Patriottismo sempre permanente; così ragiona la figura di Marat visibile nel fosco mondo della Sezione, la dimane. Per convinzione degli uomini! – E così, il Sabato alla sera, quando Barrère aveva dato una verniciatura alla cosa mediante il lavoro d'una notte e d'un giorno, e il suo Rapporto stava per partire con la posta della sera, la campana a martella ricomincia il suo scampanio. Si batte la Générale; uomini armati prendono posto nella Place Vendôme e altrove, per la notte; forniti di provvigioni e di liquori. Quivi, sotto le stelle d'estate, passeranno la notte in attesa di quel che si deve vedere e di quel che si deve fare; Henriot e la Municipalità daranno il debito segnale.
La Convenzione, al suono della Générale, si affretta a tornare nell'Aula; ma solo nel numero di cento; e fa ben poco lavoro, rimandando tutto alla dimane. I Girondini non vi compaiono, e all'incontro si danno attorno in cerca di rifugi per la notte. Il povero Rabaut, nel mattino del domani, tornando al suo posto con Louvet e alcuni altri, traverso strade tutte in fermento, si torce le mani ed esclama: «Illa suprema dies!» È domenica, il 2 Giugno dell'anno 1793 vecchio stile; col nuovo stile, il 1° anno della Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Siamo ormai all'ultima scena, che dà termine a questa storia del Senatoriato Girondino.
È dubbio che alcun'altra Convenzione terrestre si sia trovata in tali circostanze in cui si trova questa Convenzione Nazionale. Le campane suonano a stormo; le Barriere sono chiuse; tutta Parigi guarda stupìta o è sotto le armi! Si contano centomila uomini sotto le armi: la Forza Nazionale, i Volontarî armati che avrebbero dovuto volare alle Frontiere e a La Vendée ma che non vollero finchè era impunito il tradimento, non fanno che andare qua e là! Tutti questi armati circondano le Tuileries e i Giardini Nazionali. Vi sono cavalli, fanteria, artiglieria, zappatori con la barba; si può vedere l'artiglieria con le sue fornaci da campo in questo Giardino Nazionale, mentre arroventa le palle, e la miccia è accesa. Henriot, tutto piumato, cavalca nel mezzo d'uno Stato Maggiore piumato; tutti i posti e tutte le uscite sono custoditi; le riserve vegliano fino al Bosco di Boulogne; i più scelti Patrioti sono più vicino alla scena. Notiamo un'altra circostanza: che una Municipalità accurata, larga nel concedere fornaci da campo, non ha dimenticato i carri di provvigioni. Nessun Membro del Popolo Sovrano ha bisogno ormai d'andare a casa per pranzare; ma può restare tra le file, – poichè le vettovaglie circolano spontaneamente in gran copia. Non comprende questo Popolo l'Insurrezione? Voi, Gualches, non mancate d'inventiva!
Perciò lasciate che una Rappresentanza Nazionale, «mandataria del Sovrano», vi pensi. Espulsione dei vostri Ventidue e della vostra Commissione dei Dodici: noi resteremo qui fin che ciò non sarà fatto! Una Deputazione dopo l'altra, con un linguaggio sempre più forte, vengono con questo messaggio. Barrère propone una via di mezzo: – Non potrebbero i Deputati accusati consentire a ritirarsi volontariamente; a dare una generosa dimissione, sacrificando sè stessi al bene della patria? Isnard, che si pentiva d'aver detto che si cercherebbe su quale sponda della Senna si ritrovava Parigi, si dichiara pronto a dimettersi. Anche pronto è Te-Deum Fauchet; il vecchio Dusaulx della Bastiglia, «viux radoteur, vecchio rimbambito» come lo chiama Marat, è anche pronto. Al contrario, il Bretone Lanjuinais dichiara che v'è un uomo il quale mai si dimetterà volontariamente; ma protesterà fino all'ultimo, fin che avrà voce. Così egli continua a protestare, in mezzo alla rabbia e al clangore; e Legendre grida alfine: «Lanjuinais, scendi dalla Tribuna o ti butto giù, ou je te jette en bas!» Poichè le cose son giunte agli estremi. Taluni zelanti della Montagna afferrano Lanjuinais; ma non possono buttarlo giù, perchè egli «s'aggrappa alla balaustra e i suoi abiti sono lacerati». Bravo Senatore, degno di pietà! Nè si dimetterà Barbaroux; egli ha giurato di morire al suo posto, e manterrà il giuramento. A quel punto le Gallerie s'alzano tutte con un impeto d'esplosione; alcuni brandiscono le armi e si precipitano dicendo: «Allons, dunque; noi dobbiamo salvare il nostro paese!» Tale è la seduta di questa Domenica 2 Giugno.
Le Chiese si riempiscono, nell'Europa Cristiana, e poi si vuotano; ma la Convenzione non si vuota; un giorno di strepitose contese, di agonia, d'umiliazione, si lacerano le falde degli abiti: illa suprema dies! Tutt'intorno stanno Henriot e i suoi Centomila uomini copiosamente ristorati dai vassoi e dai cesti; inoltre egli «distribuisce cinque franchi per ciascuno»; noi Girondini lo vediamo coi nostri occhi; cinque franchi per mantenere il loro coraggio! E la confusione, il tumulto degli armati ingombra i nostri banchi, invade la nostra Sbarra; noi siamo prigionieri nella nostra Aula. Il Vescovo Grégoire non potè ottenere d'uscire per un besoin actuel senza essere scortato da quattro gendarmi! Che è mai divenuto il carattere d'un Rappresentante Nazionale? Ed ora la luce del sole cade più gialla sulle finestre occidentali, e i fumaioli lanciano nugoli più lunghi; ma nè i Centomila refocillati nè le loro ombre si muovono! Che fare? Si presenta una mozione, superflua si potrebbe pensare, perchè la Convenzione esca in corpo, per accertarsi coi proprî occhi se essa è libera oppur no. Ed ecco che dalla Porta ad Oriente delle Tuileries si avvia per uscire una Convenzione tribolata col bell'Hérault Séchelles alla sua testa; egli col cappello in testa, in segno di pubblica calamità, gli altri a capo scoperto – vanno verso la Porta del Carrousel; meraviglioso spettacolo: verso Henriot e il suo Stato Maggiore piumato. «Nel nome della Convenzione Nazionale lasciateci passare!» Henriot non si sposta d'un pollice. «Io non ricevo nessun ordine, fin che il Sovrano vostro e mio non sia stato ubbidito». La Convenzione insiste, Henriot retrocede col suo Stato maggiore d'una quindicina di passi: «All'Armi! Cannonieri, ai vostri cannoni!» – e tira fuori del fodero la sua spada possente, e così fanno tutto lo Stato Maggiore e gli Ussari. I Cannonieri brandiscono la miccia accesa; la Fanteria presenta le armi, – purtroppo, orizzontalmente, come per fare fuoco! Hérault, coperto del suo cappello, riconduce il suo gregge sequestrato, traverso il parco delle Tuileries, passando pel Giardino, verso la Porta del lato opposto. Ecco la Terrazza dei Feuillants; ohibò, ecco la nostra antica Salle de Manège; ma neppure da questa porta del Pont-Tournat v'è uscita. Si cerca di qua, si cerca di là: punto uscite! Noi erriamo sconsolati tra le file armate che salutano, è vero, con Viva la Repubblica, ma anche con Morte alla Gironda. Spettacolo simile nel Primo Anno della Libertà mai vide il Sole Morente.
Ed ora, guardate, Marat ci viene incontro, dopo averci seguito di lontano in quella nostra Processione Supplichevole, avendo alle sue calcagna un centinaio di Patrioti eletti; egli ci ordina, in nome del Sovrano, di tornare al nostro posto e di fare ciò che ci è comandato e imposto. La Convenzione ritorna. «Non vede la Convenzione», dice Couthon, con un aspetto singolarmente imperioso, «che essa è libera», – che è solo circondata da amici? La Convenzione riboccante di amici e di Sezioni armate prende a votare come le è stato ordinato. Molti non vogliono votare, e rimangono silenziosi; qualcuno protesta con parole; la Montagna ha un'aperta unanimità. La Commissione dei Dodici e i Ventidue denunziati, ai quali aggiungiamo gli Ex Ministri Clavière e Lebrun, sono quelli che con qualche piccola modificazione immediata (un qualunque oratore propone e Marat dispone), a seguito di votazione, «sono dichiarati in arresto nelle proprie case»: Brissot, Buzot, Vergniaud, Guadet, Louvet, Gensonné, Barbaroux, Lasource, Lanjuinais, Rabaut, – trentadue, ci si riferisce; tutti quelli che abbiamo conosciuti come Girondini, e altri ancora. Essi, «sotto la salvaguardia del Popolo Francese», e subito dopo la salvaguardia di due Gendarmi per ognuno, dimoreranno pacificamente nelle proprie case, come Non-Senatori, fino a nuovo ordine. Così finisce la Séance di quella Domenica del 2 Giugno 1793.
Alle dieci, illuminati dalla dolce luce delle stelle, i Centomila, compiuto il loro lavoro, ritornano alle loro case. Quello stesso giorno, il Comitato Centrale dell'Insurrezione ha arrestata Madame Roland, imprigionandola all'Abbaye.
Roland è fuggito non si sa per dove.
Così caddero i Girondini, per opera dell'Insurrezione, e si estinsero come Partito, non senza un sospiro della maggior parte degli Storici. Gli uomini erano uomini di parte, di cultura filosofica, e si conducevano a modo; non degni di biasimo, in quanto furono nient'altro che Pedanti, e non seppero far di meglio; non degni di biasimo, ma di pietà. Volevano una Repubblica della Virtù, alla cui testa dovevano stare essi medesimi; e non potettero ottenere che una Repubblica delle Forze, ove altri e non essi si trovavano a capo.
Quanto al resto, Barrère ne farà Rapporto. La serata si chiude con una passeggiata civica a lume di torce. Non è di certo lontano ormai il Regno della Fraternità!