CAPITOLO I IL POTERE DELIBERANTE

La Francia adunque ha condotto compiutamente a termine due cose: ha scacciati i suoi Invasori Cimmerî ben oltre le frontiere; ha ridotta in frantumi la sua interna Costituzione Sociale, fin alla sua fibra più minuta, dissolvendola, annientandola. Tutto è completamente innovato: dal Re fino alla Guardia Urbana della Parrocchia, tutte le Autorità, Magistrati, Giudici, le persone insomma che avevano il comando, avevano dovuto, d'un subito cambiarsi, in quanto era necessario; diversamente sarebbero state senza indugio costrette a cambiarsi e non senza violenza; un patriottico «Consiglio di Ministri Esecutivo», con un patriota, Danton, in esso, e poi tutta una Nazione e una Convenzione Nazionale ne hanno presa cura. Ogni funzionario, nel più remoto casale, che abbia detto De par le Roi, e mostrato fedeltà, non deve che ritirarsi, per far posto a un nuovo e più progredito funzionario che possa dire De par la République.

È tale un mutamento, che la Storia deve dire ai suoi lettori che l'immaginino, senza descriverlo. Un mutamento istantaneo di tutto il corpo politico, essendo tutta cambiata l'anima politica; tale un mutamento quale pochi corpi, politici o meno, possono esperimentare in questo mondo. È il caso forse di quel che avvenne al povero corpo della Ninfa Semele, quando ella volle, per un capriccio femminile, vedere il suo Giove Olimpico nella sua qualità di Giove; – e così resto, la povera Ninfa, in quel momento Semele, un momento dopo non più Semele, ma una Fiamma e statua di ceneri ardenti! – La Francia ha guardata la Democrazia, l'ha ben guardata in faccia. Gl'Invasori Cimmerî si riuniranno, con più umile spirito, con migliore o peggior sorte: la rovina e la dissoluzione si riformeranno in un Ordinamento sociale purchessia. Ma quanto alla Convenzione Nazionale, che tutte deve ricomporre, se, come si aspettano il Deputato Paine e la Francia in genere, compirà tutto «in pochi mesi», noi la diremo la più destra delle Convenzioni.

In verità è assai strano il vedere come questo mercuriale Popolo Francese passi d'un subito daVive le Roi a Vive la République; e va trillando e danzando mentre scuote ogni giorno (per così dire) e calpesta nella polvere le sue antiche insegne sociali, i suoi principî, le leggi della sua esistenza; e danza allegramente incontro allo Sregolato, all'Ignoto, col cuore pieno di speranza e niente altro che Libertà, Uguaglianza e Fraternità sul labbro.

Son forse due secoli, o soltanto due anni, da che tutta la Francia mandò simultaneamente il suo ruggito fino alla volta celeste, gridando tra il clamore e il fumo alla sua Festa delle Picche: «Viva il Restauratore della libertà francese». Appena tre anni addietro v'era ancora Versailles e un Oeil-de-Boeuf: ora v'è il Circuito del Temple sorvegliato, cinto dagli occhi di draghi dei Municipali, dove la Regalità, come nel suo limbo finale, giace estinta. Nel 1789, il Deputato Costituente Barrère «pianse» nel suo giornale Point-du-jour nel vedere un Re Luigi riconciliato; ora, nel 1792, il Deputato della Convenzione Barrère, a ciglio completamente asciutto, può prendere a considerare se il riconciliato Re Luigi debba essere oppur no ghigliottinato!

Le vecchie insegne, la vecchia veste sociale cadono così presto (diciamo noi) perchè sono ben logore, e vengono calpestate dalla danza Nazionale. E le nuove insegne dove son esse? E i nuovi costumi e le nuove leggi? La Libertà, l'Uguaglianza, la Fraternità: queste non sono vesti, ma desiderio di vesti! La Nazione è pel momento, in linguaggio figurato, nuda; essa non ha nè costumi nè vesti; ma è nuda, – è una Nazione Sans-culotte.

Fino a questo punto e in tal modo hanno trionfato i vostri patrioti Brissot, Guadet. Le visioni di Ezechiele Vergniaud sulla caduta di troni e corone, di cui egli parlò ipoteticamente e profeticamente nella Primavera dell'anno, si sono di repente compiute nell'Autunno! I nostri eloquenti patrioti della Legislativa, come potenti Stregoni, con le parole della loro bocca hanno spazzato il Regalismo insieme ai suoi antichi costumi, alle sue antiche formule, dandolo in preda dei venti; ed ora governeranno una Francia libera da formule. Libera da formule! Eppure l'uomo non vive che con le formule, coi costumi, con le maniere di fare e di vivere: nessun testo è più vero di questo; che si riscontra vero dalla Tavola da tè e dal Desco del sarto, su su, risalendo, fino all'Alte Camere del Senato, Templi Solenni; anzi traverso ogni regione della Mente e dell'Immaginazione e fino ai più remoti confini dell'Essere articolato, – ubi homines sunt, modi sunt. Ovunque sono uomini, sono costumi. È la più profonda legge della natura umana; onde l'uomo è un artigiano, «un animale che usa l'utensile»; non lo schiavo dell'Impulso, del Caso, della Natura bruta, ma in una certa misura il loro Signore. Venticinque Milioni d'uomini che si spogliano repentinamente dei loro usi e vi danzano sopra a quel modo, sono una ben terribile cosa da governare.

Frattanto, gli eloquenti patrioti della Legislativa debbono precisamente risolvere questo problema. Sotto il nome e pseudonimo di «uomini di Stato, hommes d'État», di «uomini moderati, modérantins», Brissotins, Rolandins, e finalmente Girondins, diverranno famosi in tutto il mondo nel risolvere questo problema. Poichè i Venticinque milioni hanno inoltre l'effervescenza Gallica; – invasi, sia dalla speranza dell'ineffabile universale Fraternità e Età dell'Oro; sia dal terrore dell'ineffabile Europa Cimmeria che si collega per piombare su noi. È un problema come ve ne son pochi. Invero, se l'uomo, come vantano i Filosofi, potesse guardare innanzi e dietro a sè, che sarebbe mai di lui in tanti casi? Che cosa ne sarebbe in questo caso, di quei Settecentoquarantanove uomini? La Convenzione che vedesse chiaramente il futuro e il passato, sarebbe una Convenzione paralizzata. Vedendo chiaramente non oltre il proprio naso, non è paralizzata.

Per la Convenzione non v'è incertezza nè nel lavoro nè nel metodo: fare la Costituzione; difendere la Repubblica fin che sia fatta. Quindi abbastanza rapidamente s'è messo insieme un «Comitato della Costituzione»: Sieyès, antico Costituente, edificatore di Costituzioni per mestiere; Condorcet atto a cose migliori; il Deputato Paine, straniero Benefattore della Specie, «con quella faccia rossa piena di carbonchi e quegli occhi neri luminosi»; Hérault de Séchelles, ex Parlamentare, uno dei più belli uomini della Francia: questi, insieme a confratelli inferiori, sono lietamente congiunti nel lavoro; «faranno un'altra volta la Costituzione», speriamolo, con migliore effetto dell'altra volta. Che la Costituzione possa farsi, chi ne dubita? – o sarebbe il vangelo di Jean Jacques venuto al mondo invano? Invero la nostra ultima Costituzione capitombolò nell'anno, così lamentevolmente. Ma che perciò? – facciamo la cernita dei calcinacci e dei ciottoli, e riedificheremo meglio di prima. «Allargate la vostra base», da un lato fino al suffragio universale, se occorre; escludete i materiali avariati, come il Regalismo e simili, dall'altro lato. In breve: edificate, oh impareggiabile Sieyès e compagnia, edificate senza stancarvi! Il frequente e pericoloso precipitare delle impalcature e della zavorra, sia per voi stimolo, non iscoraggiamento. Riponetevi all'opera, scartando i frantumi; se le vostre membra saranno rotte, i vostri cuori siano interi; ma edificate, ripetiamo, in nome del Cielo, – finchè il lavoro non si raffermi, o l'uman genere l'abbandonerà e i Costruttori della Costituzione saranno ripagati col riso e con le lagrime! In un buon tempo, nel corso dell'Eternità, era designato che questa parte del Contratto Sociale dovesse esser messa alla prova. E così il Comitato della Costituzione eseguirà l'arduo lavoro: con la speranza e con la fede; – nessun lettore di queste pagine lo disturberà.

Far dunque la Costituzione e tornare a casa con animo lieto dopo pochi mesi: questa è la profezia che la nostra Convenzione Nazionale fa a sè stessa; con questo programma scientifico procederanno le sue operazioni e i suoi eventi. Ma dal più scientifico dei programmi, in tal caso, all'esecuzione reale, qual differenza! Ogni riunione di uomini, non è forse, come spesso abbiam detto, una riunione d'incalcolabili Influenze di cui ogni unità è un microcosmo d'influenze? Come può dunque la scienza calcolare o profetizzare su di esse? La scienza che non può con tutti i suoi calcoli, differenziali, integrali e di variazioni, calcolare il Problema di tre Corpi gravitanti, dovrebbe qui tacere, e dire soltanto: In questa Convenzione Nazionale vi sono settecentoquarantanove stranissimi Corpi, che gravitano e fanno ben altro; – che, probabilmente in una stupefacente maniera, eseguiranno i decreti del Cielo.

Su Assemblee, Parlamenti, Congressi Nazionali che hanno seduto a lungo; che sono di temperamento saturnino; che sopratutto non sono «davvero terribili» si può calcolare e far delle congetture: eppure anche questi sono una specie di Mistero in azione, – onde noi vediamo che il Giornalista Reporter trae la sua sussistenza: anche questi alle volte sono balzati pazzamente fuor di strada. Tanto maggiormente una povera Convenzione Nazionale di veemenza francese; spinta a tal velocità, senza regolamento, senza rotaie, senza traccia, senza limiti, e in cui ogni uomo è spaventevolmente ardente! È alla lettera tale un Parlamento quale non vi fu mai in niuna parte del mondo. Sono uomini nuovi, non organizzati; e sono essi il cuore, il centro principale d'una Francia completamente caduta nel più folle disordine. Da tutte le città, da tutti i casali, dai più remoti lembi di questa Francia, con i suoi Venticinque Milioni d'anime veementi, dense correnti d'influenze rigurgitano in quello stesso Cuore, nella Salle de Manège, e si precipitano fuori: tal focosa circolazione delle vene e delle arterie è la funzione di quel Cuore. Settecentoquarantanove individui, lo ripetiamo, mai sedettero insieme sulla nostra Terra in circostanze più originali. La più parte di costoro erano individui comuni, o non molto lontani dal comune; eppure in virtù della posizione che occupavano, erano tanto notevoli. In questo clangore selvaggio del turbine delle umane passioni, tra la morte e la vittoria, tra il terrore e il coraggio, ove tutte le altitudini, tutte le profondità ne ripercuotono l'eco, come questi uomini, abbandonati a sè stessi, potranno parlare e agire?

I lettori ben sanno come questa Convenzione Nazionale Francese (proprio contrariamente al suo Programma) divenne lo stupore e l'orrore del genere umano; una specie di Convenzione Apocalittica, un fosco Sogno divenuto reale; di cui raramente parla la Storia se non a mo' di interiezione; come coprì la Francia di maledizione, di delusione, di delirio; e dal suo seno balzò la Morte sul pallido Cavallo. È facile odiare questa povera Convenzione Nazionale; lodarla, amarla non è sembrato impossibile. Essa è, lo abbiam detto, un Parlamento nelle circostanze più originali. Per noi, in queste pagine, sia come un fuligginoso e terribile mistero, ove il Sommo s'è incontrato con l'Imo; e, in quell'alternarsi dello splendore e dell'oscurità delle tenebre, il povero mortale abbacinato non sa qual'è il Sommo, qual'è l'Imo; e si tormenta, si precipita all'impazzata come fanno i mortali in questi casi. Una Convenzione che si consumerà da sè stessa, che compirà il suo suicidio, e diverrà cenere morta – insieme a tutto il suo Mondo! Noi dunque non dobbiamo entrare ad esplorare le sue profondità fosche e confuse; ma dobbiamo guardare con occhi intenti il suo svolgersi e quali notevoli fasi ed eventi ne balzeranno fuori successivamente.

Una circostanza generale e superficiale dobbiamo rilevare con lode: la forza della Cortesia. A tal punto il senso della civiltà è penetrato nella vita dell'uomo, che nè un Drouet, nè un Legendre, foss'anche nel più furente calore della mischia, può prescinderne. I dibattiti dei Parlamenti in terribile effervescenza raramente sono presentati al mondo con franchezza; altrimenti il mondo ne stupirebbe. Lo stesso Gran Monarca non iscacciò una volta il suo Louvois brandendo un paio di molle? Ma leggendo i lunghi volumi dei Dibattiti di questa Convenzione, tutti spumanti d'un furioso ardore, al punto che tante volte è questione di vita e di morte, si è piuttosto colpiti dal grado di continenza che manifestano nel parlare, e come in quella furiosa ebollizione v'è una specie di regola di cortesia che cerca d'imporsi; e le forme di vita sociale mai scompaiono del tutto. Quantunque questi uomini minaccino col pugno destro chiuso, non si afferrano mai pel colletto; non mettono fuori i pugnali, eccetto che per propositi oratorii, e non frequentemente: la bestemmia è quasi sconosciuta, quantunque i Resoconti siano abbastanza fedeli; non troviamo che una o due imprecazioni in tutto, imprecazioni di Marat.

Del resto, che vi sia «effervescenza», chi ne dubita? Parecchia effervescenza; Decreti approvati per acclamazione oggi, sono revocati per vociferazione domani; ambiente saltuante, d'una mutabilità rotatoria, sempre eccessivo! La «voce dell'oratore è coperta dai rumori»; un centinaio di «onorevoli Membri si slanciano minacciosi verso la parte sinistra della sala»; il Presidente «ha rotti tre campanelli di seguito», – e si caccia in testa il cappello in segno che il paese è prossimo alla rovina. Feroce e effervescente assemblea Gallica-antica! – Ah, come le rumorose attristanti voci di Discussione e di Vita, che è poi anch'essa una discussione, si sprofondano silenti una dopo l'altra; così alte ora, così basse poco dopo! Brenno e gli antichi Capitani Gaelici, in cammino per Roma, per la Galazia ed altri di quei posti verso i quali solevano marciare nella maniera più feroce, ebbero senza dubbio Discussioni del pari effervescenti; quantunque nessun Moniteur le abbia riportate. Si azzuffavano in Celtico gaelico quei Brenni; nè erano Sanculotti; anzi i calzoni (braccae, di feltro o di duro cuoio) erano la sola cosa che avessero, essendo, come attesta Livio, nudi fino alle anche; – ebbene, notate, è lo stesso lavoro, sono gli stessi uomini ora che hanno indosso degli abiti e parlano con accento nasale una specie di Latino corrotto! Ma, dopo tutto il TEMPO non travolgerà forse la presente Convenzione Nazionale, come fece di quei Brenni e degli antichi augusti Senati in brache di feltro? Di certo il Tempo ed anche l'Eternità. Fosco crepuscolo del Tempo, – o meriggio che diverrà crepuscolo; poi la notte e il silenzio; e il Tempo con tutti i suoi rumori fievoli è inghiottito nel mare tranquillo. Pietà del tuo fratello, oh figlio d'Adamo! L'irato vacuo gergo che egli proferisce, non è forse il piagnucolio d'un bimbo che non può esprimere la sua pena, ma che di certo ha un malore nel suo interno che lo fa gemere, piagnucolare di continuo, finchè sua madre non lo prenda, e l'addormenti?

Questa Convenzione non ha ancora quattro giorni di vita, e le melodiose stanze melibee che rovesciarono la Regalità sono ancora fresche nelle nostre orecchie, quando risuona un nuovo diapason, – disgraziatamente di discordia questa volta. Poichè si è parlato di una cosa di cui è difficile dir bene: i Massacri di Settembre. Come giudicare quei Massacri di Settembre, e la Comune di Parigi che vi presiedette? Una Comune di Parigi, odiosamente terribile, dinanzi a cui la povera e impotente Legislativa doveva tremare e star queta. Ed ora, se una Convenzione giovane, onnipotente, non vuole parimenti tremare e restare inerte, che dovrà mai fare? Abbia una Guardia Dipartimentale da essa stipendiata, rispondono i Girondini e gli amici dell'Ordine. Una Guardia Nazionale di Volontarî, mandata in missione da tutti gli Ottantatrè o Ottantacinque Dipartimenti, per questo fine speciale; – essa terrà i Settembrizzatori e le Comuni tumultuose in un debito stato di sommessione, e la Convenzione in un debito stato di Sovranità. Così hanno risposto gli Amici dell'Ordine, sedenti in Comitato, e ne hanno redatto rapporto; anche un decreto è stato reso su questo tenore. Alcuni Dipartimenti, anzi, come il Dipartimenti del Var e Marsiglia, nella semplice aspettativa e assicurazione di un Decreto, hanno il loro contingente di volontarî già in marcia; quei bravi Marsigliesi, i primi nel 10 agosto, non saranno qui gli ultimi; «i padri dettero ai loro figliuoli un moschetto e venticinque luigi» – dice Barbaroux, «e ordinarono loro di marciare».

V'è forse niente di più regolare? Una Repubblica che voglia fondarsi sulla giustizia ha bisogno d'investigare i Massacri di Settembre; una Convenzione che si chiama Nazionale, non deve esser guardata da una forza Nazionale? – Ohimè, Lettore, sembra così a prima vista; eppure v'è tanto da dire e da discutere. Ed ecco che cominci a vedere il lieve principio d'una Controversia, che la semplice logica non potrà dirimere. Due piccole sorgenti, Settembre e Guardia Dipartimentale, o piuttosto in fondo non è che una sola, una medesima sorgente, che s'ingrosserà, si dilaterà in acque di amarezza; e ogni sorta di ruscelli e di torrenti sussidiarî di amarezza vi affluiranno da uno e da un altro sito; fin che non divenga un largo fiume di amarezza, di rabbia e di separazione, – che può aver pace solo nelle Catacombe. Questa Guardia Dipartimentale, decretata da una maggioranza schiacciante e poi abrogata per amore della pace e non per insultare Parigi, si torna poi a decretare più d'una volta; anzi, è parzialmente in funzione, e proprio gl'individui che ne faranno parte, fanno visibile mostra di sè nelle strade di Parigi, e una volta, alquanto ebbri, gridano: «À bas Marat, Abbasso Marat!». Benchè decretata più spesso che mai, è sempre revocata, e continua per circa sette mesi a non essere altro che una Ipotesi alimentatrice di collera e di rumore; una bella Possibilità che lotta per divenire Realtà, ma che mai sarà tale; che, dopo lotte senza fine, nel prossimo Febbraio, cadrà in istato di quiescenza – traendo seco tante cose. Così strana è la condotta degli uomini in genere e degli onorevoli Membri in ispecie.

Ma, come dicevamo, il quarto giorno dell'esistenza della Convenzione, che è il 25 Settembre 1792, viene il rapporto del Comitato su quel Decreto della Guardia Dipartimentale, e un discorso per la sua revoca; vengono denunzie di Anarchia, d'una Dittatura, – che danno da pensare all'incorruttibile Robespierre; vengono denunzie d'un certo Journal de la République, una volta chiamato Ami du Peuple; e poi viene, salendo visibilmente, restando ritto visibilmente, sulla Tribuna, pronto a parlare, – lo Spettro Corporeo dell'Amico del Popolò, Marat! Urlate, voi, settecentoquarantanove; è veramente Marat, proprio lui, non un altro. Marat non è un fantasma creato dall'immaginazione, o una semplice invenzione tipografica; ma un essere materiale fatto di nervi e di tendini, di statura alquanto piccola; rimiratelo nella sua nerezza, nel suo miserabile squallore, frazione vivente del Caos e della Notte Antica; visibilmente incarnato; desideroso di parlare. «Pare», dice Marat all'Assemblea che urla, «che qui moltissime persone mi sono nemiche». – «Tutti! Tutti!» gridano centinaia di voci, bastevoli a sommergere ogni Amico del Popolo. Ma Marat non vuol lasciarsi sommergere; egli parla e si spiega gracchiando; gracchia con tale ragionevolezza, con un'aria di tanta sincerità, che una pietà di pentimento raddolcisce la collera, e gli urli si calmano, o addirittura divengono applausi. Poichè questa Convenzione è sfortunatamente la più capricciosa delle macchine: essa sarà volta verso l'Est con una violenza estrema, in questo momento; e poi, toccando abilmente nient'altro che una molla, tutta la macchina, schiamazzando e scuotendosi settecento volte, girerà con uno scroscio immenso, e un momento dopo si vedrà volta all'Ovest! Così Marat, assoluto e applaudito, vittorioso in questo assalto, mentre continua la discussione, è di nuovo punto da qualche abile Girondino; allora gli urli si rinnovano, e l'Atto d'Accusa è sul punto di passare; senonchè il fosco Amico del Popolo si protende di nuovo dall'alto; gracchia ancora con una calma persuasiva, e l'Atto d'Accusa è sommerso. Dopo di che egli tira fuori una pistola, e, puntandola contro la sua testa, sede di pensiero e di profezia, dice «che se fosse passato l'Atto d'Accusa, egli, l'Amico del Popolo, si sarebbe fatto saltare le cervella». Un Amico del Popolo ha questo potere in sè. Del resto, quanto al fatto delle duecentosessantamila Teste di Aristocratici, Marat dice candidamente: «C'est là mon avis, questa è la mia opinione». Inoltre non è incontestabile che: «Nessun potere sulla Terra può impedirmi d'intuire i traditori e di smascherarli data la mia superiore originalità di mente?» Pochi Parlamenti sulla Terra ebbero un onorevole membro pari all'Amico del Popolo.

Osserviamo, per altro, che questo primo attacco degli Amici dell'Ordine, per quanto rapido e pronto, è fallito. Nè Robespierre, accusato d'aver parlato di Dittatura e salutato con lo stesso grido nel presentarsi, può esser messo in prigione o in istato d'Accusa; quantunque Barbaroux faccia aperta testimonianza contro di lui, e firmi la sua deposizione scritta. Con quell'umiltà santificata, l'Incorruttibile volge al percuotitore la sua guancia verdemare; alza la sua voce esile, e con abilità gesuitica si difende con successo; domandando alfine con sicurezza: «Ma quali testimoni ha il Cittadino Barbaroux in appoggio della sua testimonianza?» «Moi!» grida il bollente Rebecqui, in piedi, picchiandosi con ambo le mani il petto, e ripetendo: «Io!» Nondimeno il Verdemare perora di nuovo e si giustifica. Il lungo tumulto, «semplicemente personale», mentre tante cose d'interesse pubblico sono trascurate, è finito con l'ordine del giorno. Oh amici della Gironda, perchè volete occupare le vostre auguste sedute con meschine Questioni Personali, mentre la Grande Nazionalità giace in tale stato? – La Gironda ha toccato quest'oggi la macchia sudicia e nera del suo bel Dominio della Convenzione; l'ha calpestata, ma non l'ha eliminata. Ohimè, noi lo dicemmo, questa macchia è una sorgente che mai scomparirà!

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