CAPITOLO VIII PLACE DE LA REVOLUTION

A questa conclusione sei dunque arrivato, oh sventurato Luigi! Il Figlio di Sessanta Re deve morire sul Palco a termini di Legge. Sotto Sessanta Re questa stessa forma di Legge, questa forma Sociale s'è venuta plasmando nel periodo di mille anni; ed è divenuta, in un modo e in un altro, la più strana Macchina. Certo, per quanto necessaria, è anche spaventevole questa Macchina: senza vita, cieca, non quale dovrebbe essere; che con un colpo subitaneo o con una tortura fredda, lenta, ha desolato le vite e gli animi d'innumerevoli uomini. Ed ecco che ora, proprio un Re, o piuttosto il Reame nella sua persona, è sul punto di spirare qui fra torture crudeli; – come un Falaride chiuso nel ventre del suo rovente Toro di Rame! È sempre così; e tu dovresti saperlo, o uomo altero e tiranno: l'ingiustizia genera l'ingiustizia; la maledizione e la falsità «sempre tornano a casa propria», per quanto errino lontano. L'innocente Luigi porta i peccati di molte generazioni: anch'egli impara per esperienza che il tribunale dell'uomo non è su questa Terra; che se non ve ne fosse uno più Alto, sarebbe finita per lui.

Un Re che muore con una tale violenza, produce un grande effetto sull'immaginazione; come deve essere, ed è necessario che sia. Eppure dopo tutto non è il Re che muore, è l'uomo! Il Reame è una veste: la gran perdita è quella della pelle. Quando a un uomo voi togliete la Vita, tutto il mondo collegato contro di lui che potrebbe fargli di più? Lally andò sul carro del supplizio; col bavaglio in bocca. I più miserabili mortali, condannati come borsaiuoli, hanno tutta una Tragedia in cinque atti nel loro interno, in quel dolore muto, con cui si recano al patibolo, fatti segno al disprezzo universale; essi bevono alla coppa del terrore fino alla feccia. Pei Re e pei Mendicanti, pei condannati colpevoli e per quelli innocenti, è assai duro morire. Compatiscili tutti: la tua più grande pietà, con tutti gli aiuti e i rimedi; con tutti i contrasti del trono e del palco, sono ben povera cosa a confronto di questa cosa che tu compatisci!

È venuto un Confessore; l'Abbé Edgeworth, di stirpe irlandese, che il Re conosceva da buone informazioni, è venuto prontamente per questa missione solenne. Lascia dunque la Terra, oh sventurato Re; e la Terra percorrerà la sua via coi suoi mali, tu percorrerai la tua. Una scena dolorosa ancora rimane: la separazione dai tuoi cari. Buoni cuori circondati dal medesimo spaventoso periglio; di dovere restar qui. Che il lettore guardi con gli occhi del valletto Cléry, attraverso quelle porte a vetri, dove anche la Municipalità veglia, e miri la più crudele delle scene.

«Alle otto e mezzo, si aprì la porta dell'anticamera: prima comparve la Regina, conducendo il figlio per mano; veniva poi Madame Royale e poi Madame Elizabeth; tutti si gettarono nelle braccia del Re. Regnò per qualche minuto il silenzio, interrotto solo dai singhiozzi. La Regina fece un movimento per condurre Sua Maestà verso la camera interna, dove M. Edgeworth, a loro sconosciuto, attendeva. «No», disse il «Re, «andiamo nella stanza da pranzo, solo là io posso vedervi». E là entrarono; io chiusi la porta, che era a vetri. Il Re si mise a sedere, avendo a destra la Regina, a sinistra Madame Elizabeth, quasi di fronte Madame Royale; il giovane Principe stava in piedi tra le gambe di Suo Padre. Essi si chinarono tutti verso di lui e spesso lo tenevano abbracciato. Questa scena dolorosa durò un'ora e tre quarti; noi non potemmo udir nulla; potemmo solo vedere che ogniqualvolta il Re parlava, raddoppiavano i singhiozzi delle Principesse e duravano parecchi minuti; indi il Re ricominciava a parlare». – E così le nostre riunioni e le nostre separazioni sono giunte al termine! I dolori che ci siamo procurati reciprocamente; le povere gioie che fedelmente dividemmo, i nostri affetti e le nostre sofferenze e le nostre fatiche sotto il Sole terrestre sono finiti. Io non ti vedrò mai più, o anima buona, mai più per tutti i secoli! – Mai! Conosci tu, o Lettore, questa dura parola?

Quest'agonia dura per circa due ore; poi, con uno sforzo, si dividono. «Prometteteci che ci rivedremo domani». Egli promise. – Ah sì, sì; ancora una volta; ed ora andate, miei amati; pregate Dio per voi e per me! – Fu una ben dura scena, ma è finita. Egli non li vedrà più domani. La Regina, passando per l'anticamera, guardò i cerberi Municipali e, con veemenza di donna, disse fra le lagrime: «Vous êtes tous des scélérats».

Il Re Luigi dormì profondamente fino alle cinque del mattino, quando Cléry, secondo gli ordini ricevuti, lo svegliò. Cléry lo pettinò; in quel frattempo, Luigi prese un anello dal suo orologio e se lo provò al dito; era il suo anello nuziale, che voleva rimandare alla Regina come un muto addio. Alle sei e mezzo egli prese il viatico; e seguitò a pregare e a conversare con l'Abbé Edgeworth. Egli non rivedrà la sua Famiglia: sarebbe troppo doloroso a sopportare.

Alle otto, entrano i Municipali: il Re dà loro il suo Testamento, delle commissioni e degli effetti; di cui essi in sulle prime ricusano brutalmente di assumere l'incarico: egli dà loro un rotolo di monete d'oro, centoventicinque luigi, da rendersi a Malesherbes che le aveva prestate. Alle nove Santerre dice che è giunta l'ora. Il Re chiede di ritirarsi ancora per tre minuti, al termine dei quali Santerre ripete che è giunta l'ora. «Battendo col pie' destro il suolo, Luigi risponde: Partons, Andiamo». – Come il rullo di quei tamburi giunge attraverso i bastioni e i baluardi del Temple, fino al cuore d'una Regina, d'una Moglie, che ben presto sarà vedova! Dunque, egli è partito, senza vederci? Piange amaramente una Regina, e piangono una Sorella e i Figli di un Re. Anche su questi Quattro è sospesa la morte: tutti periranno miseramente, meno uno; ella, la Duchessa d'Angoulême, vivrà. – non felicemente.

Alla Porta del Temple si ode qualche debole grido, che parte forse da donne pietose: «Grâce! Grâce!» Per tutte le altre strade v'è un silenzio come di tomba. Non è permesso a nessun uomo non armato di trovarsi là: quelli armati, se anche avessero sentito pietà, non avrebbero osato di manifestarla, poichè ognuno è tenuto d'occhio da tutti i suoi vicini. Tutte le finestre sono chiuse; nè si vede alcuno guardare in istrada. Tutte le botteghe son chiuse. Nessuna vettura circola quel mattino per le vie, tranne una. Ottantamila uomini armati stanno in fila come statue armate di uomini; son puntati i cannoni, i cannonieri tengono la miccia accesa, ma senza una parola, senza un movimento: è come una città resa per incanto muta e impietrita: lo strepito di un carro con la sua scorta che s'avanza lentamente, è il solo rumore che s'ode; Luigi legge nel suo libro di devozioni le Preghiere dei Morenti; il rumore di questa marcia funebre risuona più sinistro all'orecchio nel gran silenzio; ma il pensiero si sforzerebbe volentieri di dimenticare la Terra, librandosi verso il Cielo.

Suonano le dieci, ed eccoci nella Place de la Révolution, un tempo Place de Louis Quinze: la Ghigliottina è drizzata presso l'antico Piedestallo ove s'innalzava la Statua di quel Luigi! Tutt'intorno cannoni puntati ed uomini in armi; gli spettatori si affollano dietro. D'Orléans Egalité vi si trova in cabriolet. Rapidi mesaggeri, hoquetons, sono spediti all'Hôtel de Ville ogni tre minuti; là presso siede la Convenzione, – che vuole vendetta per Lepelletier. Noncurante di tutto, Luigi legge le sue Preghiere dei Morenti; aveva appena finito da cinque minuti, quando il carro si aprì. In qual disposizione d'animo era egli? Dieci testimoni differenti ci daranno dieci differenti versioni. Egli è in preda alla collisione di tutti i sentimenti; giunto ormai al nero Maelstrom e al declivio della Morte; è tutto un insieme di dolore, d'indignazione, di rassegnazione, lottando per rassegnarsi. «Abbiate cura del signor Edgeworth», egli dice rigidamente, rivolgendosi al Luogotenente che è seduto con loro: poi tutt'e due scendono.

Battono i tamburi. «Taisez-vous! Silenzio!» egli grida con voce terribile, d'une voix terrible. E sale sul palco non senza indugio; indossa un soprabito color pulce con pantaloni grigi e calze bianche. Si toglie il soprabito e resta in farsetto di flanella bianca con le maniche. Gli Esecutori si appressano per legarlo; egli li respinge con disdegno, resiste; l'Abbé Edgeworth gli rammenta che il Salvatore, in cui gli uomini hanno fede, si sottomise ad essere legato. Le sue mani sono legate, la sua testa è nuda: il momento fatale è giunto. Egli s'avanza fino all'orlo del Palco, col viso tutto arrossato, e dice: «Francesi, io muoio innocente: ve lo dico dal Palco e sul punto di comparire innanzi a Dio. Perdono i miei nemici; desidero che la Francia...». Un generale a cavallo, Santerre o un altro, s'avanza caracollando con la mano alzata: «Tambours!» I tamburi coprono la voce. «Esecutori, fate il vostro dovere!» Gli esecutori, per non essere essi medesimi uccisi (poichè Santerre e le sue File armate colpiranno, se non vedranno colpire), afferrano con violenza la sventurato Luigi: son sei che lottano disperatamente contro uno che reagisce con tutta la forza, fin che lo legano alla loro tavola. L'Abbé Edgeworth, chinandosi gli dice: «Figlio di San Luigi, salite al Cielo». Cade la Mannaia: la Vita d'un Re è recisa. È lunedì 21 gennaio 1793. Egli aveva trentotto anni, quattro mesi e ventotto giorni.

L'Esecutore Samson mostra la Testa: si levano grida feroci di Vive la République, e vanno sempre crescendo; si pongono i berretti sulla punta delle baionette, si agitano i cappelli; gli studenti del Collegio delle Quattro Nazioni prendono quella testa e la portano nei lontani Quais, mostrandola a tutta Parigi; D'Orléans si allontana nel suo cabriolet; i Consiglieri municipali si fregano le mani, dicendo: «È fatto, è fatto». Dei fazzoletti sono stati bagnati nel sangue, e anche delle punte di picche. Il Carnefice Samson, benchè dopo lo abbia negato, vende ciocche di capelli; brani del soprabito color pulce si portano dopo, a lungo, negli anelli.

E così in circa mezz'ora tutto è fatto; la moltitudine s'è allontanata. I pasticceri, i caffettieri, i lattai modulano le loro triviali grida quotidiane; il mondo è in moto, quasi questo fosse un giorno come un altro. Nei caffè quella sera, dice Prudhomme, il Patriota stringe la mano al Patriota, in una maniera più cordiale della consueta. Nè, prima d'alcuni giorni, secondo Mercier, gli uomini pubblici videro quanto fosse grave la cosa.

Senza dubbio è una cosa grave; ed avrà conseguenze. Il domani mattina, Roland, che da tempo ne ha fino alla gola di disgusto e di scontento, manda le sue dimissioni. Il suo rendiconto è pronto, corretto, esatto fino all'ultimo soldo. Egli desidera che sia esaminato, per poi ritirarsi nella più remota oscurità, in campagna, fra i suoi libri. Ma quei conti non saranno mai esaminati; mai egli si ritirerà in campagna.

Il martedì, dimissioni di Roland. Il mercoledì, ha luogo il funerale di Lepelletier St.-Fargeau, e il suo trasporto al Pantheon dei Grandi Uomini: notevole come lo spettacolo selvaggio d'un giorno invernale. Il Corpo portato in alto, è mezzo nudo; la coltre mortuaria lascia scorgere la ferita mortale; sono esposti la sciabola e gli abiti insanguinati; una «musica lugubre» esegue dolorose næniæ. Corone di quercia piovono dalle finestre; il Presidente Vergniaud segue il corteo, con la Convenzione, con la Società Giacobina e tutti i Patrioti d'ogni colore, fraternamente in gramaglie.

Notevole anche sotto un altro rapporto questo Funerale di Lepelletier: fu l'ultimo atto che quegli uomini compierono di concerto! Tutti i Partiti e tutte le forme di opinione che agitano questa Francia demente e la sua Convenzione si trovano ora, per così dire, faccia a faccia con l'arma impugnata; la vita del Re, intorno a cui tutti si azzuffavano e combattevano, è stata distrutta. Dumouriez, che stava conquistando l'Olanda, scontento, grugnisce sinistramente, alla testa degli eserciti. Gli uomini, dice Dumouriez, hanno bisogno d'un Re. Il Deputato Fauchet, nel suo Journal des Amis, scaglia i suoi anatemi, con più amarezza di Giobbe; invoca i pugnali dei Regicidi, della «Vipera d'Arras» o di Robespierre, di Pluto Danton, degli orrendi Legendre il Beccaio e l'Istrione d'Herbois, perchè lo mandino speditamente a un altro mondo che non sia il loro . Questo è Te Deum Fauchet, della vittoria della Bastiglia, del Cercle Social. Fu acerba la gragnuola mortale che scrosciò intorno ad una Bandiera parlamentare in quel giorno della Bastiglia; ma fu lieve cosa in confronto del naufragio d'una grande Speranza come questa; una Nuova Età dell'Oro che diviene piombo impuro, o tenebre sulfuree del Buio sempiterno!

Nell'interno questa Uccisione d'un Re ha divisi tutti gli amici; all'estero ha uniti tutti i nemici. Fraternità dei popoli, Propaganda rivoluzionaria; Ateismo, Regicidio; distruzione totale dell'ordine sociale in questo mondo! Tutti i Re, tutti quelli che amano i Re e quelli che odiano l'Anarchia si coalizzano come in una lotta per l'esistenza. L'Inghilterra significa al Cittadino Chauvelin, Ambasciatore, o piuttosto Ambasciatore di ripiego, che egli deve lasciare il paese nel termine di otto giorni. L'Ambasciatore di ripiego e quello vero, Chauvelin e Talleyrand, a seguito di ciò, partono. Talleyrand, implicato nell'affare dell'Armadio di ferro delle Tuileries, pensa di mettersi al sicuro, recandosi in America.

L'Inghilterra ha scacciata l'Ambasciata, e dichiara la guerra, essendovi principalmente determinata, in apparenza dalla condizione della Schelda. La Spagna dichiara la guerra per altre ragioni; che senza dubbio indicherà il Manifesto. Eppure, sappiamo che non furono nè l'Inghilterra, nè la Spagna che per le prime dichiararono la guerra ma proprio la Francia che dichiarò la guerra a entrambe: – punto d'un immenso interesse parlamentare e giornalistico a quei tempi, ma che è divenuto di nessun interesse attualmente. Tutti dichiarano la guerra. La spada è sguainata, il fodero è buttato via. È proprio come disse Danton in una delle sue gigantesche figure: «I Re coalizzati ci minacciano; e noi scagliamo ai loro piedi, come guanto di sfida, la Testa di un Re».

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