CAPITOLO VIII EXEUNT

Ma quel Venti Settembre è, anche per altro, un gran giorno. Perchè, notate, mentre il cavallo di Kellermann stramazza sotto di lui al Mulino di Valmy, i nostri nuovi Deputati Nazionali, che saranno una Convenzione Nazionale, gironzano e si raccolgono intorno alla sala dei Cento Svizzeri, con l'intento di costituirsi!

La dimane, verso mezzodì, l'Archivista Camus è occupato a «verificare i loro poteri»; già parecchie centinaia di loro sono qui. Onde l'antica Legislativa torna fuori solennemente per fondere le sue vecchie ceneri a guisa di Fenice nel corpo della nuova; – e, così, subito tutti ritornano solennemente alla Salle de Manège, ove siede una Convenzione Nazionale, al completo o quasi, con settecentoquarantanove Membri, presieduta da Pétion; – che comincia subito ad occuparsi degli affari. Leggi il resoconto della seduta di quel pomeriggio, o Lettore; poche sedute possono assomigliarle: il monotono Moniteur, col suo resoconto, diviene più drammatico dello stesso Shakespeare. Poichè l'epigrammatico Manuel si alza e dice cose strane: che il Presidente debba avere una Guardia d'Onore, e debba essere alloggiato alle Tuileries: – Respinto. E si leva e parla Danton; e si levano Collot d'Herbois, il Curato Grégoire e lo zoppo Couthon della Montagna, e in rapide stanze Melibee, ognuna di poche righe, propongono non poche mozioni: Che la pietra angolare della nostra nuova Costituzione sia la Sovranità del Popolo: che la nostra nuova Costituzione, sia accettata dal Popolo o divenga nulla; inoltre che il Popolo debba essere vendicato, ed avere giudici adatti; che le Imposte debbano continuare fino a nuovo ordine; che la proprietà della Terra e le altre proprietà siano sacre per sempre; finalmente che da qust'oggi «la Regalità sia abolita in Francia» – Tutto decretato, prima che suonino le quattro, con acclamazione del mondo! L'albero era tanto maturo; bastò scuoterlo per raccogliere delle carrettate di frutti maturi.

E così nella Regione di Valmy, non appena giungono le notizie, che è mai questo clamore che si sente, che si vede dalle nostre torbide alture di La Lune? Un evviva generale dei Francesi sul loro colle opposto; essi innalzano i berretti sulle baionette: è un suono come di République; Vive la République, è il suono indistinto portato dal vento! – Il mattino del domani, per così dire, Brunswick si pone in ispalla lo zaino prima di giorno, accende tutto il fuoco che ha; e marcia senza battere il tamburo. Dumouriez trova tracce orrende in quel campo; «latrines piene di sangue»! Il cavalleresco Re di Prussia, giacchè egli, come vedemmo, è qui in persona, non può che deplorare a lungo questo giorno; – guardare più freddo che mai quei Signori dallo Splendore offuscato, quei Principi francesi Speranza del loro paese; – e, dopo tutto, indossare il suo pastrano senza tanti complimenti, lieto di averne uno. Essi si ritirano, tutti si ritirano con una conveniente speditezza, attraversando la Champagne, divenuta per via del traffico tutta un pantano, sotto un diluvio di pioggia. Dumouriez, per mezzo dei suoi Kellermann e Dillon, li punge un po' a tergo. Un poco, non molto; ora pungendoli, ora patteggiando: perchè Brunswick ha gli occhi aperti, e Sua Maestà di Prussia è una Maestà pentita.

Nè l'Austria ha prosperato, nè il Cavallo di Legno di Thionville ha morso il suo fieno, nè la città di Lille s'è arresa. Le trincee di Lille si aprono il 29 del mese; piovono le palle, le bombe e le palle infocate; come se non trincee, ma il Vesuvio e l'Abisso si fossero aperti. Era spaventevole, dicono i testimoni oculari; ma senza risultato. Gli abitanti di Lille sono giunti a tanto; specialmente dopo le notizie dell'Argonne e dell'Est. Neppure uno dei Sans-indispensables in Lille si arrenderebbe per un riscatto da Re. Piovono le palle infocate, giorno e notte; «seimila», o giù di lì, e delle bombe piene internamente di olio di trementina, che scoppia infiammandosi, – specialmente sulle abitazioni dei Sansculottes e dei poveri; le strade dei ricchi sono risparmiate. Ma i Sansculottes si procurano secchie d'acqua e si organizzano per ispegnere il fuoco: «La bomba è in casa di Pietro! La bomba è in casa di Giovanni!» Essi dividono il tetto e la sostanza fra loro; gridano Vive la République; e non perdono coraggio. Una palla tuona attraverso la sala principale dell'Hôtel-de-Ville, mentre vi è riunita l'Assemblea del Comune; «Noi siamo in permanenza», dice uno freddamente, continuando il suo lavoro; e la palla rimane anche in permanenza conficcata nel muro, probabilmente sino ad oggi.

L'Arciduchessa d'Austria (sorella della Regina) vuol vedere essa stessa il fuoco rovente dell'artiglieria: «nella loro fretta di soddisfare un'Arciduchessa, due mortai esplodono e uccidono trenta persone». Ma tutto è vano; Lille, spesso in fiamme, vede sempre spento l'incendio; Lille non cederà. Anche i ragazzi destramente strappano le micce alle bombe cadute; un uomo afferra col suo cappello una palla rotolante, il cappello prende fuoco; quando s'è raffreddato, lo coronano con un bonnet rouge». È memorabile anche quello spensierato barbiere, che, quando scoppiò la bomba dietro di lui, ne raccolse un pezzo, vi fece dentro una saponata, ed esclamò: «Voilà mon plat a barbe! E rase quattordici persone», sul posto. Bravo, o spensierato barbiere, «degno di radere l'antico Spettro dal Mantello rosso, e di trovare i tesori!» – L'ottavo giorno di questo assedio disperato, il sei Ottobre, l’Austria, trovandolo infruttuoso, si ritira con un non piacevole sentimento. Dumouriez vi si dirige rapidamente; e Lille, nera di cenere e di fiamme soffocate, ma in preda a una gioia che arriva fino al cielo, spalanca le sue porte. Il plat à barbe divenne di moda; «nessun patriota elegante», dice Mercier parecchi anni dopo, «si rade senza la scheggia d'una bomba di Lille».

Quid multa? Perchè tante parole? Gl'invasori sono in fuga; l'esercito di Brunswick, di cui un terzo è rimasto morto, si trascina in una maniera disastrosa per le vie profonde della Champagne; spargendosi nei «campi d'una creta dura e spugnosa, di color rosso»: – «come Faraone in un mare rosso di fango», dice Goethe; «poichè anche qui giacciono carri rotti e sembra che cavalleria e fanteria debbano affondare». Il mattino dell'undici Ottobre, il Poeta Mondiale, cercandosi a fatica una via verso Nord, fuori Verdun, ove era entrato dalla parte del Sud cinque settimane innanzi, in un ordine tutto differente, osservò il seguente fenomeno e formò parte di esso.

«Verso le tre del mattino, senz'aver punto dormito, eravamo per montare nella nostra vettura che attendeva alla porta, quando un insuperabile ostacolo ci si parò innanzi: passava fra i ciottoli della via, che erano ammucchiati dall'un lato e dall'altro, una colonna ininterrotta di carri d'ammalati, che attraversava la città, e tutti camminavano come in un pantano. Mentre noi aspettavamo per vedere che si poteva fare, il nostro padrone di casa, Cavaliere di Saint-Louis, passò in fretta dinanzi a noi, senza salutarci. Egli era stato un Notabile di Calonne nel 1787, poi era emigrato; era tornato a casa sua, giubilante, coi Prussiani; ma ora deve tornare di nuovo nel mondo immenso, seguito da un servo che porta un piccolo fagotto sul bastone».

«L'attività del nostro solerte Lisieux si rivelò in tutta la sua estensione, ed anche in questa occasione ci trasse d'impaccio; egli si cacciò in un piccolo vuoto della fila dei carri, e tenne indietro il tiro che s'avanzava, fin che noi, coi nostri quattro e sei cavalli, c'intercalammo; dopo di che, io potei respirare più liberamente nel mio leggero e piccolo carrozzino. Noi eravamo ora in cammino, a passo di funerale, ma sempre in cammino. Spuntava il giorno; noi ci trovammo all'uscita della città, in mezzo a un tumulto, a un frastuono che sorpassavano ogni misura. Ogni sorta di veicoli, alcuni cavalieri, una quantità immensa di gente a piedi s'incrociavano sulla grande spianata innanzi alla porta della Città. Noi volgemmo a destra con la nostra Colonna, verso Estain, per una stretta via fiancheggiata da fossati. La propria conservazione in una ressa così grande, non conosceva ormai nè pietà nè rispetto verso chicchessia. Non lungi da noi cadde il cavallo d'un carro di munizioni; tagliarono i finimenti e lo lasciarono a terra. Ed ora poichè gli altri tre non potevano più sostenere il peso del carro, li slegarono e rovesciarono il pesante veicolo nel fosso; noi poi, col minor ritardo possibile, dovemmo passar diritto sul cavallo, che si stava rialzando, ed io ben mi accorsi che le sue gambe scricchiolarono e s'infransero sotto le ruote.

«Cavalleria e fanteria cercavano di uscire dalle vie strette e faticose, per gettarsi nei campi, ma anche questi erano rovinati dalla pioggia; inondati dall'acqua che si riversava dai fossati pieni, la comunicazione dei sentieri era dappertutto interrotta. Quattro soldati francesi dall'aspetto di gentiluomini, belli, ben vestiti, guadarono per un po’ di tempo a lato della nostra carrozza, lindi e netti in una maniera meravigliosa; ed avevano tale un'arte nel fare i loro passi, che le loro calzature rivelavano non più su della caviglia il fangoso pellegrinaggio che aveva dovuto subire quella buona gente.

«Che in quelle circostanze si vedessero nei fossi, nei prati, nei campi, dappertutto, cavalli morti, era ben naturale; ma presto ne trovavate anche di scorticati, ai quali era stata tagliata la carne: triste indizio della miseria generale.

«Così noi andavamo innanzi; ogni momento in pericolo, perchè al più piccolo arresto, poteva capitare anche d'essere mandati a capitombolare fuor della via; in tale emergenza, veramente, l'accurata destrezza del nostro Lisieux non potrebbe essere abbastanza lodata. Dello stesso talento dette prova ad Estain: vi giungemmo verso mezzogiorno; e scorgemmo in quella bella cittadina, bene edificata, nelle vie e nelle piazze, un tumulto di cui non s'intendeva la ragione; la massa andava di qua e di là; tutti lottavano per farsi avanti, ciascuno era d'impedimento all'altro. Inaspettatamente, la nostra carrozza s'arrestò innanzi ad una maestosa casa, nella piazza del mercato; il padrone e la padrona della magione ci salutarono a reverente distanza. L'accorto Lisieux, a nostra insaputa, aveva detto che noi eravamo il fratello del Re di Prussia!

«Ed ora dalle finestre del pianterreno che guardavano sulla piazza del mercato, ci apparve l'immenso tumulto, per così dire, quasi palpabile. Ogni specie di gente, soldati in uniforme, malandrini, cittadini e contadini dall'aria risoluta ma triste, donne e fanciulli che si pigiavano, si urtavano l'un l'altro fra veicoli d'ogni specie: carri di munizioni, vagoni di bagagli, carrozze ad un cavallo, a due od a molti cavalli; una miscellanea di centinaia di tiri requisiti o legalmente posseduti, facendosi strada, urtandosi, ostacolandosi a vicenda, che andavano di qua e di là, a destra e a sinistra. Anche il bestiame cornuto era ivi in moto, probabilmente armenti presi in requisizione. Cavalieri se ne vedevano pochi, ma le eleganti carrozze degli Emigrati, di variopinti colori, verniciate, dorate e inargentate, evidentemente dai migliori costruttori, davano nell'occhio.

«Ma la crisi della ressa si verificò un po' più oltre, dove l'affollata piazza del mercato metteva capo in una via, – veramente diritta e buona, ma, in proporzione, troppo stretta. Nella mia vita non ho visto mai niente di simile; il suo aspetto potrebbe forse paragonarsi a quello d'un fiume gonfio che dilaga impetuoso per campi e prati, ed è poi di nuovo costretto a cacciarsi sotto uno stretto ponte e a scorrere nei limiti del suo alveo. Giù nella lunga strada, tutta in vista dalle nostre finestre, cresceva di continuo la stranissima marea: un'altra carrozza da viaggio a doppio posto troneggiava sul torrente di cose. Noi pensammo alle belle donne di Francia che avevamo visto al mattino. Non erano esse, per altro; era il Conte Haugwitz, che potevate vedere, con una specie di malizia sardonica farsi avanti dondolandosi, a passo a passo».

In questa non trionfale processione ha messo capo il Manifesto di Brunswick! Anzi in qualcosa di peggio: «nei negoziati con quei miserabili». – Le prime notizie di questo fatto produssero tale un disgusto negli Emigrati, che il nostro scientifico Poeta Mondiale «teme per la ragione di parecchi». Non v'è rimedio; debbono seguitare a vivere, quei poveri Emigrati, stizziti contro tutti e tutto, e venire in uggia a tutti nella disgraziata condizione in cui si sono cacciati. Il Padrone e la Padrona di casa vi dicono alla table-d'hôte, come siano insopportabili quei Francesi; come, malgrado tale umiliazione, la povertà e la probabile indigenza, lottano sempre per la precedenza, con lo stesso spirito invadente e senza alcuna discrezione. Altamente onorato, alla testa della tavola, potete osservare coi vostri occhi, non un Signore, ma un automa di Signore rimbambito, ancora adorato, servito con reverenza e nutrito. Seduto promiscuamente è un miscuglio di soldati, commissarî, avventurieri; che consumano in silenzio le loro barbariche vettovaglie. «Su tutte le fronti si può leggere un triste destino; tutti sono silenziosi, poichè ognuno ha le proprie sofferenze da sopportare, e vede innanzi a sè una miseria sconfinata». Un viandante frettoloso entra e mangia senza disgusto ciò che gli si pone davanti, e il padrone non gli fa pagare quasi niente. «Egli è», mi dice in disparte il padrone, «il primo di quel popolo maledetto che ho visto piegarsi a gustare il nostro pane nero tedesco».

E Dumouriez è a Parigi; lodato e festeggiato; messo in mostra nei brillanti Saloni, affluiscono intorno a lui le più belle vesti di blonda, gli abiti più maestosi, ammirandolo con gioia. Senonchè, una notte, nello splendore di una di queste scene, egli si vede repentinamente apostrofato da una squallida, lugubre Figura, introdottasi senz'essere invitata, anzi malgrado il divieto dei servi: una lugubre figura! La squallida e lugubre figura è venuta con «una missione espressa da parte dei Giacobini», per avere esplicite informazioni, meglio allora che più tardi, intorno ad alcune cose: «al fatto, per esempio, delle sopracciglia rase ai Volontarî Patrioti». Anche, «sulla vostra minaccia di farli fare a pezzi». Inoltre, «perchè non avete perseguitato Brunswick con più calore,» così, con una voce aspra e chioccia, inquirisce la Figura. – «Ah, c'est vous qu'on appelle Marat, Voi siete quello che chiamano Marat!», risponde il Generale, e freddamente gira sui tacchi. – «Marat!» Le vesti di blonda rabbrividiscono come erba tremula; le marsine fanno circolo; l'Attore Talma (poichè ciò accade in casa di Talma) e forse anche la luce dei candelieri divengono lividi; finchè questo Spettro osceno, fosca Apparizione Visiva non terrestre, svanisce, per tornare nella sua Notte nativa.

Il Generale Dumouriez, dopo pochi giorni, torna a partire pei Paesi Bassi; attaccherà i Paesi Bassi, quantunque d'inverno. Il Generale Montesquiou, al Sud-Est, s'è recato da Sua Maestà di Sardegna, e, quasi senza tirare un colpo, gli ha tolto la Savoia, assai desiderosa di far parte della Repubblica. Il Generale Custine, al Nord-Est, s'è scagliato con impeto su Spira e sul suo arsenale, e poi, non senza esservi invitato, sull'Elettorale Magonza; ove si trovano ora i Democratici Tedeschi e neppur l'ombra di un Elettore. Onde negli ultimi giorni di Ottobre, Frau Forster, una figliuola di Heyne, alquanto democratica, passeggiando fuori la porta di Magonza con suo marito, trova dei soldati francesi che giuocano a boccia con le palle dei cannoni. Forster salta allegramente su una bomba di ferro, gridando: «Viva la Repubblica!» Una Guardia Nazionale dalla barba nera risponde: «Elle vivra bien sans vous. Forse ella vivrà indipendentemente da voi».

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