CAPITOLO IV SETTEMBRE A PARIGI

A Parigi, una falsa Voce, che si rivelò poi profetica e veridica, rese nota la caduta di Verdun, qualche ora prima che avvenisse. È Domenica due Settembre, il lavoro manuale non impedisce quello del pensiero. Verdun è caduta (benchè alcuni ancora lo neghino); i Prussiani in piena marcia, col capestro, il fuoco e le fascine! Trentamila Aristocratici nelle nostre mura, e appena i quattro decimi di essi posti in prigione! Anzi, corre voce, che anche questi si rivolteranno. Il sieur Jean Julien, carrettiere di Vaugirard, messo alla gogna Venerdì scorso, si pose d'un tratto a gridare, ch'egli d'ora in poi sarebbe ben vendicato, che gli amici del Re in prigione si sarebbero slanciati fuori, avrebbero forzato il Temple, messo il Re a cavallo, e, aiutati dai non imprigionati, ci avrebbero calpestati tutti sotto i ferri dei loro cavalli. Questo proclamò il disgraziato carrettiere di Vaugirard con tutta la forza dei suoi polmoni; quando fu trascinato al Palazzo di città, vi persistette sempre ad alta voce; iersera, quando lo ghigliottinarono, morì con la schiuma di quelle parole sulle labbra. Poichè la mente d'un uomo incatenato alla gogna può giungere alla pazzia; e tutti gli uomini possono divenir matti, e «credergli», come i frenetici faranno, «... perchè è impossibile».

È dunque questo il nodo della crisi, e si è all'ultima agonia della Francia? Tenete testa a ciò, o Comune Improvvisata, o forte Danton, e chiunque sia forte! I lettori possano giudicare se la Bandiera della Patria in Pericolo aleggiò con blandizie o con furia sui cuori degli uomini, quel giorno.

Ma la Comune Improvvisata, ma il forte Danton non vengono meno, ciascuno dal canto suo. Manifesti immensi vengono incollati sui muri; alle due suoneranno le campane a stormo, sarà dato fuoco al cannone di allarme; tutta Parigi correrà allo Champ-de-Mars, e sarà arruolata. Senz'armi, invero, e senza disciplina; ma disperati, in preda alla forza della frenesia. Affrettatevi, o uomini; e voi, donne, offritevi a montare la guardia e a porvi in ispalla il fosco moschetto: deboli galline chioccianti, che nella disperazione si accenteranno al muso del mastino; e magari lo atterreranno con la loro veemenza! Lo stesso terrore, quando ha raggiunto un grado trascendentale, diviene una specie di coraggio; come una brinata molto intensa, secondo il poeta Milton, brucerà. – Danton, la scorsa notte, nel Comitato Legislativo della Difesa Generale, quando gli altri Ministri e Legislatori ebbero tutti manifestata la loro opinione, disse, che non bisognava lasciare Parigi per rifugiarsi a Saumur; che essi dovevano rimanere a Parigi; e tenere tale attitudine da far paura ai loro nemici, – faire peur; parola sua, che è stata spesso ripetuta e ristampata – in corsivo.

Alle due, Beaurepaire, come vedemmo, si è sparato a Verdun; e in Europa i mortali vanno al sermone pomeridiano. Ma a Parigi il clangore dei campanili non è pel sermone; il cannone di allarme, rimbomba di minuto in minuto; il Campo di Marte e l'Altare della Patria ribollono d'un disperato terrore che è coraggio: qual miserere sale al Cielo da questa capitale che fu un tempo del Re Cristianissimo! La Legislativa siede in uno stato che si alterna fra il timore e l'effervescenza. Vergniaud propone che i dodici debbano andare di persona a scavare su Montmartre; ed è decretato per acclamazione.

Ma meglio che andare a scavare di persona, fra gli applausi, guardiamo Danton che entra; – i neri sopraccigli rannuvolati, la figura colossale che s'avanza con passo grave; un'energia spaventevole che traspare da tutti i lineamenti dell'uomo rude! È forte, questo terribile Figlio della Francia e Figlio della Terra; una Realtà, non una Formula anch'egli: e, di certo, ora più che mai, essendo così bassamente vilipeso, è sulla Terra e sulle Realtà che egli riposa. «Legislatori», dice la voce stentorea, con parole che i giornali accora ci conservano, «non è il cannone d'allarme che voi udite: è il pas-de-charge contro i nostri nemici. Per conquistarli, per respingerli, di che abbiamo bisogno? Il nous faut de l'audace, et encore de l'audace, et toujours de l'audace! Osare, e sempre osare, osar senza fine!» Così va bene, o robusto Titano; non v'è per te altra via d'uscita. O vecchi, che l'udiste, voi potete dire come quella voce si ripercuoteva in tutti i cuori, in quel momento; o li gonfiava e li teneva avvinti, e si diffondeva penetrante in tutta la Francia, come una forza elettrica, come una parola detta opportunamente.

Ma, e la Comune che arruola al Campo di Marte? Ma, e il Comitato di Sorveglianza, che diviene ora Comitato della Salute Pubblica, di cui Marat è la coscienza? La Comune fa molti arruolamenti; provvede Tende in quel Campo di Marte, perchè si possa marciare all'alba della dimane: sia data lode a questa parte della Comune! Non lode a Marat e al Comitato della Sorveglianza; – e neppure biasimo, come si potrebbe esprimerlo in questi nostri dialetti insufficienti; piuttosto un silenzio espressivo, significativo! Il solitario Marat, l'uomo proibito, meditante da tempo nelle sue cantine che gli servivano da rifugio, sulla sua Colonna da Stilita, non poteva vedere la salvezza che in una sola cosa; nella caduta di «duecentosessantamila teste di Aristocratici». Con una quantità di Bravi Napoletani, ognuno con un pugnale nella mano destra e un manicotto nella sinistra, egli voleva attraversare la Francia per venire a capo. Ma il mondo rise, prendendo in gioco la severa benevolenza d'un Amico del Popolo; – la sua idea non poteva essere messa in atto, e doveva restare un'idea fissa. Ma ecco che egli dalla sua Colonna di Stilita, discende ad una Tribune particulière; qui, senza i pugnali, senza i manicotti almeno, anche se fossero divenuti possibili, – ora nel cuore delle crisi, quando la salvezza o la perdita pendono dall'ora!

La torre di Ghiaccio di Avignone fece molto rumore, e perdura nella memoria di tutti, ma gli autori non furono puniti; anzi, vedemmo Jourdan Coupe-têtes portato sulle spalle dagli uomini come un Portento di rame, «attraverso le città del Sud». – Quali fantasmi, squallidi, orridi, in atto di agitare i loro pugnali e i loro manicotti danzino nel cervello di Marat, in questo vertiginoso scampanio di miserere e di demenza universale, non cercare d'indovinarlo, o Lettore! Non indovinare ciò che pensava il crudele Billaud «nella sua corta veste bruna»; nè Sergent, non ancora Agate-Sergent; nè Panis, il confidente di Danton; – nè, in una parola, come l'Orco tenebroso genera nel suo fosco seno e foggia quei suoi mostri e quei suoi prodigi che sono gli Eventi, che tu gli vedi partorire. Il terrore è nelle strade di Parigi, terrore e rabbia, lagrime e demenza. Le campane fanno echeggiare nell'aria il loro miserere; la disperazione selvaggia spinge alla battaglia; le madri, cogli occhi inondati di lagrime e con la ferocia nel cuore, mandano i loro figliuoli a morire. «I cavalli delle carrozze son presi per le briglie», e menati a trasportare i cannoni; «tagliati i tiragli, le vetture sono abbandonate». In un tale scampanio di Miserere, in un tal fosco sbalordimento insano, non sono a portata di mano la Strage, Ate e tutte le Furie? A un lieve cenno – chissà quanto lieve! – non potrà venire la strage; e con la sua testa sfavillante di serpenti illuminare queste tenebre?

Come ciò avvenne, qual premeditazione vi fu, ciò che fu improvvisato e accidentale, non si saprà mai fin che non lo renda noto il gran Giorno del Giudizio. Ma con Marat per depositario della coscienza Sovrana... – E noi sappiamo qual'è l'ultima ratio dei Sovrani quando essi vi sono trascinati! Vi sono in questa Parigi degli uomini tanto perversi (un centinaio o più), che non ne esistono di simili in tutta la Terra: che si possono ingaggiare e fare agire; o lasciare che agiscano, per proprio conto, senza ingaggiarli. – Inoltre vogliamo notare che la premeditazione stessa non è esecuzione, non è sicurezza di esecuzione; che, tutt'al più, è, forse, la sicurezza di lasciare che chiunque il voglia, esegua. Dal proposito del delitto all'atto del delitto è un abisso: meraviglioso a immaginarsi. Il dito si ferma sulla pistola; ma l'uomo non è ancora un assassino; anzi, quando tutta la sua natura esita di fronte a tale consumazione, non vi è piuttosto una pausa confusa, – un ultimo istante di possibilità per lui? Non ancora un assassino; dipende da un nonnulla che la più fissa delle idee non vacilli. La lieve contrazione d'un muscolo, e il colpo mortale parte: egli diviene assassino e sarà tale per tutta l'Eternità; – e la Terra è divenuta per lui un Tartaro di pena; il suo orizzonte è cinto ormai non più dall'aurea speranza, ma dalle fiamme rosse del rimorso; voci dal profondo della Natura mormorano: Sia maledetto, sia maledetto!

Di tale materia siam fatti noialtri; su tali mine di polvere d'infinita nequizia e criminalità cammina il più puro di noi, – «se, come ben si dice, non è frenato da Dio». Vi sono nell'uomo profondità che vanno al più basso dell'Inferno, come vi sono altezze che raggiungono il sommo del Cielo; – poichè non sono forse il Cielo e l'Inferno, fatti di lui, e da lui, miracolo sempiterno e mistero quale egli è? – Ma guardando su questo Champ-de-Mars, con le sue tende che si ergono e il suo arruolamento frenetico; su questa fosca e gorgogliante Parigi, con le sue prigioni zeppe (credute sul punto di scoppiare), col suo scampanio di Miserere, con le madri in lagrime, coi soldati che fanno echeggiare i loro addii; – l'anima pia avrebbe pregato quel giorno perchè la grazia di Dio vi ponesse un freno, un gran freno; altrimenti al più piccolo cenno o indizio, la Follia, l'Orrore, l'Eccidio apparirebbero, e quel giorno di Settembre, quel Sabato, diverrebbe un Giorno nefasto negli Annali degli uomini.

Lo scampanio diviene sempre più alto, gli orologi suonano le Tre senza essere uditi, quando il povero Abbé Sicard con un'altra trentina di preti Nongiuranti, in sei carrozze, percorrono le vie, partendo dalla loro prima Casa di Detenzione al Palazzo Civico, diretti all'Ovest verso la Prigione dell'Abbadia. Tante carrozze sono abbandonate per le vie; solo queste sei si muovono, – tra una moltitudine furiosa, che impreca mentre passano. Maledetti Tartufi Aristocratici, a questo punto ci avete ridotti! Ed ora volete forzare le prigioni e porre Capeto Veto a cavallo facendolo passare sui nostri corpi? Vergogna, oh preti di Belzebù e di Moloch; della tartuferia, di Mammone e delle Forche Prussiane, – che voi chiamate Madre Chiesa e Dio! – Questi rimproveri e peggio debbono sopportare i poveri Nongiuranti, che i Patrioti frenetici gettano loro sul viso, montando fin sulle predelline delle carrozze; e le guardie possono a stento frenarli. Volete tirar su le persiane? – No! Risponde il Patriottismo, battendo la sua zampa callosa sulle persiane delle carrozze e facendole ricadere. La pazienza nell'oppressione ha i suoi limiti: siamo presso all'Abbadia e la cosa è andata per le lunghe: un povero Nongiurante, di carattere più vivace, colpisce col bastone la zampa callosa; anzi, trovandovi un po' di sollievo, colpisce la testa scarmigliata con forza, e con più forza una seconda volta – in modo che noi vediamo chiaramente e tutti vedano. Ed è l'ultima cosa che vediamo distintamente. Ohimè, un momento dopo, le vetture sono accerchiate e bloccate da una folla tumultuante di straccioni, con urli sordi al grido implorante grazia, cui si risponde con la spada immersa nel cuore. I trenta Preti sono tutti malmenati, massacrati presso la Porta della Prigione, l'un dopo l'altro; – solo il povero Abbé Sicard, che conosceva un corto Moton, orologiaio, che eroicamente cercò di salvarlo nascondendolo nella Prigione, sfugge per farne il racconto; – ed è Notte, Orco; e la testa del Delitto scintillante di serpi è sorta nelle tenebre!

Dal pomeriggio di Domenica (esclusi gli intervalli e le pause non finali) fino alla sera del Giovedì, si seguono consecutivamente Cento Ore. Queste cento ore debbono essere annoverate con le ore della strage di S. Bartolomeo, dei Massacri di D'Armagnac, dei Vespri Siciliani, o di quanto v'è di più selvaggio negli annali del mondo. È orribile l'ora in cui l'anima dell'uomo, nel suo parossismo, rovescia le barriere e le leggi; e mostra che caverne, che abissi racchiude! La Notte e l'Orco, lo ripetiamo, come fu da tempo profetizzato, sono piombati qui, in questa Parigi, dalla loro prigione sotterranea; che orrore, che confusione! fa pena ad arrestarvi lo sguardo; eppure tutto ciò non può e non deve essere dimenticato.

Il Lettore che guarda intensamente attraverso questa annebbiata Fantasmagoria dell'Abisso, discernerà pochi oggetti fissi e certi; e pochi soltanto. Osserverà in questa Prigione dell'Abbadia, compiuto il repentino massacro dei Preti, una strana Corte di Giustizia, o Corte della Vendetta, della Giustizia Selvaggia che dir si voglia, che immediatamente si forma e prende posto intorno ad una tavola, coi Registri dei prigionieri dinanzi; – Stanislao Maillard, l'eroe della Bastiglia, famoso capo delle Menadi, è alla presidenza. O Stanislao, si sperava d'incontrarti in tutt'altro luogo che questo; o furbo Usciere cavalcante e con un barlume di Legge! Anche questo lavoro tu devi fare; poi – devi scomparire per sempre dal nostro sguardo. Alla Force, allo Châtelet, alle Conciergerie, si forma la stessa Corte, cogli stessi accompagnamenti; ciò che fa un uomo, tutti gli uomini possono fare. Vi sono a Parigi sette prigioni, e tutte son piene di Aristocratici che cospirano; – neppure Bicêtre e la Salpétrière sfuggiranno coi loro Fabbricatori di Assegnati; e vi sono settanta volte settecento cuori di patrioti in istato di frenesia. I cuori scellerati neppur mancano, perfetti come ne contiene il Mondo – se questi sono necessarî. Per i quali la legge non esiste, e l'uccisione, comunque si voglia chiamarla, non è che un lavoro da compiere.

Così siedono queste improvvisate Corti di Giustizia Selvaggia, coi registri delle prigioni dinanzi; con un insolito tumultuare furioso tutt'intorno; mentre i Prigionieri stanno nell'interno in preda al terrore dell'attesa. Alla lesta: è chiamato un nome; cigolano i chiavistelli, un prigioniero è là. Si fanno poche domande; rapidamente il Giurì improvvisato decide: cospiratore Realista, o no? È chiaro che no: in questo caso il prigioniero è rilasciato con un Vive la Nation. Probabilmente sì; anche allora il prigioniero è rilasciato, ma senza Vive la Nation; ovvero si ordina: Che il prigioniero sia condotto alla Force. Alla Force poi la loro formula è: Che il prigioniero sia condotto all'Abbadia. «Alla Force, allora!» I birri volontarî prendono il prigioniero; egli è alla porta esterna; «libero», o «scortato»; non è condotto alle Force, ma in mezzo a un mare urlante; sotto un arco di sciabole selvagge, di scuri e di picche, è fatto a pezzi. Ne sprofonda un altro e un altro ancora; si accumula ivi un mucchio di cadaveri, e si formano dei rigagnoli rossi. Immaginate gli urli di quegli uomini, i loro visi bagnati di sudore e di sangue; gli urli più crudeli di quelle donne, poichè vi sono anche le donne; un fratello mortale è lanciato nudo là in mezzo! Jourgniac de Saint-Méard ne ha visto di battaglie, ha visto un effervescente Régiment du Roi in rivolta; ma il cuore più coraggioso non può reggere a tanto. I Prigionieri Svizzeri, avanzi del Dieci Agosto, «si avviticchiano l'uno all'altro spasmodicamente», e indietreggiano; grigi veterani gridano: «Grazia, Signori; ah, grazia!» Ma non v'era grazia. D'un subito «però, uno di quegli uomini si fa innanzi. Indossava una giubba azzurra; sembrava di circa trent'anni, la sua statura era al disopra della comune, il suo sguardo nobile e marziale. «Io vado pel primo», disse, «giacchè così dev'essere: addio!» Poi, scagliando con forza il suo cappello dietro di lui. «Da qual parte?» gridò ai briganti. «Indicatemela, dunque!» Essi aprono le porte a due battenti, e lo annunziano alla moltitudine. Egli resta un momento immoto, poi si slancia tra le picche, e muore di mille ferite».

Un uomo dopo l'altro è fatto a pezzi; le sciabole hanno bisogno d'essere affilate, gli uccisori si ristorano con boccali di vino. Procede, procede sempre il macello; gli alti urli si affievoliscono in bassi grugniti. Una moltitudine triste dai visi furbi li guarda, approvando o disapprovando tristemente, riconoscendo tristemente che ciò è necessario. «Un Inglese con un pastrano nocciuola fu visto, o si credette di vederlo, che distribuiva liquore con una bottiglia d'acquavite; con quale scopo, se non era ad istigazione di Pitt», Satana e lui lo possono sapere! Lo spiritoso dottor Moore si sentì male nell'avvicinarsi a quel luogo, e dovè cambiare strada. Abbastanza alla lesta procede questa Corte di Giustizia; e rigorosamente. Non sono risparmiati nè i bravi, nè i belli, nè i deboli. Il vecchio M. de Montmorin, il fratello del Ministro, è assoluto dal Tribunale dei Diciassette ed è rimandato, sballottato dalle gallerie che schiamazzano; ma non è assoluto qui. La Principessa di Lamballe s'era adagiata sul letto. «Signora, voi dovete essere trasportata all'Abbadia». «Io non desidero d'essere trasportata, sto abbastanza bene qui». Ma è necessario il trasporto. Allora ella vuole un po' aggiustare le sue vesti; e voci rudi le dicono: «Non è mica lontano che dovete andare». Anche lei, è condotta alla porta dell'Inferno; perchè è una manifesta amica della Regina. Ella retrocede alla vista delle sciabole sanguinanti; ma di là non si ritorna: Avanti! Quella bella testa è spaccata dalla scure; è separata dal collo. Quel bel corpo è tagliato a pezzi; con indegnità, con orrori osceni di mustacchio grandes-lèvres, che la natura umana dovrebbe senz'altro trovare incredibili; – che saranno letti solo nel linguaggio originale. Ella era bella, era buona e non aveva conosciuta la felicità. I giovani cuori delle generazioni che si seguiranno, penseranno nel loro intimo: Oh, degna d'adorazione, che discendevi da Re, che discendevi da Dio; oh povera sorella! perchè non ero io là con una Spada di Balmung o un Martello di Thor in mano? La sua testa è fissata su una picca ed esposta sotto le finestre del Temple, perchè una persona ancora più odiata, Marie Antoinette, possa vederla. Un Municipale, che si trovava in quel momento coi Regali Prigionieri nel Temple, disse: «Guardate fuori». Un altro bisbigliò con premura: «Non guardate». Il circuito del Temple è guardato, in quelle ore, da un esteso cordone tricolore; vi penetra il terrore, e il clangore d'un tumulto infinito; finora, non si tratta del regicidio, quantunque anche a questo si può arrivare.

Ma è più edificante il notare quali profondità di affetto, quali frammenti di virtù selvagge balzano fuori da queste scosse che disgiungono l'esistenza umana; poichè anche in questo v'è una proporzione. Notate il vecchio Marchese Cazotte: egli è condannato a morire; ma la sua giovine figliuola lo avvince tra le sue braccia, con una ispirazione di eloquenza, con un amore che è più forte della morte: il cuore degli uccisori è tocco, il vecchio è risparmiato. Intanto egli era reo, se il cospirare per il proprio Re è delitto: dieci giorni dopo, una Corte di Giustizia lo condannava, ed egli dovè morire altrove, legando alla sua Figliuola una ciocca dei suoi vecchi capelli grigi. Notate il vecchio Signor de Sombreuil, che anche aveva una figlia; – «Mio padre non è un Aristocratico. O buoni Signori, io lo giurerò, lo attesterò, lo proverò in mille modi; noi non siamo Aristocratici; noi odiamo gli Aristocratici!» «Vuoi tu bere il sangue degli Aristocratici?» L'uomo le presentò il sangue (se si deve prestar fede alle voci); la povera fanciulla bevve. «Questo Sombreuil è innocente, allora!» Sì, certo, ed ora notate, sopratutto, come le picche insanguinate, a questa novella, s'abbassano rumoreggiando al suolo; e gli urli da tigre divengono scoppî di giubilo per un fratello salvato; e il vecchio e la sua figliuola sono stretti da quei seni coperti di sangue, con calde lagrime; e portati a casa in trionfo, al grido di Vive la Nation, e gli uccisori rifiutano anche il danaro! Non sembra strano questo loro carattere? Eppure il fatto pare accertato e provato dalla testimonianza di Realisti in altri esempi; ed è molto significativo.

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