Danton intanto è stato richiamato da Arcis in gran fretta; egli deve tornare immediatamente, gridava Camillo, gridavano Phélippeaux e gli amici che sentivano il pericolo nell'aria. E ve n'era pericolo! Un Danton, un Robespierre, prodotti principali d'una Rivoluzione vittoriosa, si trovano ormai di fronte, in immediato contatto l'uno dell'altro; ed è necessario di accertarsi se potranno vivere insieme, reggere insieme la Cosa pubblica. Facilmente si concepisce la profonda incompatibilità reciproca che divide questi due uomini: con qual terrore d'odio femmineo la povera Formula verdemare guarda la mostruosa, la colossale Realtà e diviene più verde nel rimirarla; – la Realtà a sua volta si sforza a non pensar male d'un prodotto principale della Rivoluzione, mentre sente in cuor suo che questo prodotto non è che un pallone gonfiato dall'aria popolare; non un uomo col cuore d'uomo, ma un povero pedante spasmodico e incorruttibile, che ha al posto del cuore una formula di logica, e la natura d'un Gesuita o d'un Parroco Metodista; tutto un impasto di linguaggio sincero e d'incorruttibilità, di virulenza e di poltroneria; arido come il vento di Levante! Due di tali prodotti sono anche troppi per una sola Rivoluzione.
Gli amici, trepidanti intorno alle conseguenze d'un diverbio fra loro, fecero sì che s'incontrassero. «È giusto», disse Danton, contenendo la sua grande indignazione, «che si reprimano i Realisti; ma noi non dobbiamo colpire che dove può giovare alla Repubblica; noi non dobbiamo confondere l'innocente col reo». – «E chi vi ha detto», replicò Robespierre con uno sguardo velenoso, «che un solo innocente sia perito?» E Danton volgendosi all'amico Pâris, soprannominato Fabricius, Giurato al Tribunale Rivoluzionario: «Quoi non un solo innocente? Che ne dici tu, Fabricius?» – Gli amici, Westermann, quel Pâris e altri lo incitavano a mostrarsi, ad ascendere alla Tribuna ed agire. Ma quel Danton, non era uomo proclive a far mostra di sè, ad agire, a far baccano per la propria salvezza. Uomo di carattere noncurante, grande, pieno di confidenza, uomo dalle larghe vedute che sapeva stare in riposo. Dicono che egli restasse per ore ad ascoltare Camillo mentre parlava, e niente lo dilettava tanto. Gli amici lo incitavano a fuggire, e così pure sua moglie. «Dove fuggire?», rispondeva egli; «se la Francia libera mi scaccia, non vi saranno per me che carceri altrove. Non si può mica portarsi con sè il paese attaccato alle suole delle proprie scarpe!» E il virile Danton non si mosse. Neppur l'arresto dell'amico Hérault, membro del Salut, arrestato per opera del Salut, potè scuotere Danton. – La notte del 30 Marzo, il Giurato Pâris venne precipitosamente, con l'ansia nello sguardo: un segretario del Comitato della Salute gli aveva detto che era stato emesso il mandato di cattura contro Danton e che egli sarebbe stato arrestato quella stessa notte! Lo pregano, lo supplicano trepidanti la povera moglie, Pâris; e gli amici. Danton resta silenzioso per un po' di tempo, poi risponde: «Ils n'oseraient. Non oserebbero», e non volle prendere alcuna risoluzione. Mormorando poi «Non oserebbero», egli va a dormire come di solito.
Eppure il mattino seguente una strana voce circola per la città di Parigi; Danton, Camille, Phélippeaux, Lacroix sono stati arrestati nella notte! Ed è proprio così: i corridoi del Lussemburgo rigurgitano di gente: i Prigionieri si affollano per vedere quel gigante della Rivoluzione che viene in mezzo a loro. «Signori», disse Danton cortesemente, «io speravo di vedervi presto tutti fuori di qui, ed ecco che vi capito anch'io; non si sa dove s'andrà a finire». Il fatto si vocifera per tutta Parigi: la Convenzione si riunisce in gruppi, e mormora cogli occhi sbarrati: «Danton arrestato! Chi dunque può dirsi salvo?» Legendre sale alla Tribuna e proferisce, a tutto suo rischio, qualche debole parola in favore di lui, proponendo che egli sia udito a quella sbarra prima del giudizio; ma Robespierre lo atterrisce con queste parole: «Udiste voi Chabot? Udiste Bazire? Vorreste forse avere due pesi e due misure?» Legendre si fa piccino piccino; Danton, come gli altri, deve subire il suo destino.
Sarebbe interessante avere i pensieri di Danton nella prigione; ma non se ne possiede gran copia; invero pochi uomini tanto notevoli sono rimasti così oscuri per noi come questo Titano della Rivoluzione. Egli fu udito a dire con slancio: «Or sono dodici mesi, da che io stesso promossi la creazione di questo Tribunale Rivoluzionario. Ne chiedo perdono a Dio e agli uomini. Essi sono tutti Fratelli come Caino; Brissot mi avrebbe fatto ghigliottinare come fa ora Robespierre. Io lascio tutti gli affari in una spaventevole confusione (gâchis épouvantable): nessuno di loro comprende qualche cosa di governo. Robespierre mi seguirà; io trascinerò con me Robespierre. Oh, sarebbe stato meglio essere un povero pescatore che mischiarsi del governo degli uomini». La giovane e bella moglie di Camillo, che lo aveva reso ricco non solo di danaro, si aggira intorno al Lussemburgo, come uno spirito incorporeo, giorno e notte. Le lettere che Camillo le inviava di nascosto ancora esistono, con le tracce delle lagrime di lui. «Io porto la mia testa come un Saint-Sacrement?», fu udito a mormorare Saint-Just; «forse egli porterà la sua come un Saint-Denis».
Sventurato Danton, e più sventurato di te il brillante Camillo, un tempo brillante Procureur de la Lanterne, anche voi siete dunque arrivati agli Estremi Limiti della Creazione, ove, come Ulisse Polytlas al limite e alla ultima Gades del suo viaggio, spingendo lo sguardo nel fosco Deserto di là dalla Creazione, l'uomo vede l'Ombra di sua Madre, pallida, impalpabile; – e i giorni allorchè sua Madre lo allevava e lo vestiva fanno un contrasto ben triste con quel giorno! Danton, Camille, Hérault, Westermann e gli altri, sono stranamente confusi con Bazire, i bindoloni Chabot, Fabre d'Églantine, il Banchiere Frey; la più variopinta Infornata, «Fournée», come è il caso di chiamarla, si trovava schierata alla Sbarra di Tinville. Siamo al 2 Aprile 1794. Danton non aveva avuti che tre giorni da passare in prigione, poichè il tempo stringe.
Qual'è il vostro nome? La vostra dimora? e così via, domanda Fouquier, secondo le formalità. «Il mio nome è Danton», egli risponde; «un nome abbastanza noto nella Rivoluzione; la mia dimora sarà presto il Nulla (dans le Néant); ma io vivrò nel Pantheon della Storia». L'uomo cerca sempre di dire qualche cosa di efficace, per quanto più o meno conforme alla sua natura. Hérault osserva epigrammaticamente che egli «sedette in questa sala e ch'era detestato dai Parlamentari». Camillo risponde: «La mia età è quella del bon Sansculotte Jésus: età fatale ai Rivoluzionari». O Camillo, Camillo! Eppure in quel Processo Divino, lasciate che lo diciamo, appariva, fra l'altre cose, il più fatale Rimprovero che fu mai pronunziato quaggiù contro mondana Rappresentanza politica; «il fatto più saliente», come dice il pio Novalis, «nei Diritti dell'Uomo». La vera età di Camillo era, a quel che pare, di trentaquattro anni. Danton aveva un anno di più.
Sino a cinque mesi addietro, il Processo dei Ventidue Girondini era il più grande che Fouquier avesse mai fatto. Ma adesso ve n'è uno ancor più grande, tale che occupa tutta la mentalità di Fouquier, tale che agita perfino il suo cuore. Poichè è la voce di Danton che ora risuona tra quelle volte, con parole piene di passione che penetrano nell'anima con la loro sincerità rude, col loro impeto di collera. I vostri migliori Testimoni egli li annienta d'un sol colpo; e chiede che gli stessi Uomini del Comitato vengano come Testimoni, come Accusatori; egli «vuole coprirli d'ignominia». Egli si erge in tutta la sua alta persona, scuote la sua grande testa nera, i suoi occhi mandano bagliori di fuoco, – che penetrano in tutti i cuori repubblicani: al punto che anche le Gallerie, benchè le avessimo riempite di gente ammessa con biglietto, mormorano con simpatia e pare debbano prorompere e sollevare il Popolo e liberarlo! Egli si lagna altamente d'essere stato messo a livello degli Chabot e degli Speculatori sui fondi pubblici, e che il suo Atto d'Accusa è una sequela d'insulsaggini e d'orrori. «Danton nascosto il 10 Agosto?» risuona la sua voce, come ruggito di leone preso al laccio; «dove sono gli uomini che dovettero spingere Danton a mostrarsi, quel giorno? Dove sono queste anime così sublimi da cui egli attinse energia? Che vengano questi miei Accusatori: io ho la piena coscienza del dominio di me stesso quando chiedo di vederli.» «Io voglio smascherare quei tre inetti ribaldi», les trois plats coquins Saint-Just, Couthon, Lebas, «che adulano Robespierre e lo trascinano verso la sua distruzione. Che vengano qui; io li ricaccerò nel Nulla, donde mai avrebbero dovuto uscire». Il Presidente agita nervosamente il campanello e ingiunge la calma in una maniera veemente. «Che t'importa del modo come io mi difendo?», grida l'altro «Il diritto di condannarmi è sempre tuo. La voce d'un uomo che parla per il suo onore e la sua vita può ben superare il tintinnìo del tuo campanello!» Così parla Dauton in tono sempre più alto, fin che la sua voce leonina «non s'estingue nella sua gola»; la parola non può esprimere ciò che vi è in quest'uomo. Le Gallerie mormorano in atteggiamento sinistro. Così finisce la Seduta del primo giorno.
O Tinville, o Presidente Herman, che farete voi? Essi ne hanno ancora per due giorni, secondo la più stringata Legge Rivoluzionaria. Le Gallerie già mormorano. Se questo Danton rompesse le maglie della vostra rete! – Strano pensiero, invero. La cosa pende da un capello: che scandalo allora! La Giustizia e il Reo cambierebbero posto; e tutta la Storia di Francia sarebbe cambiata! Poichè in Francia solo questo Danton è l'uomo che potrebbe ancora governare la Francia. Egli solo, il selvaggio, l'amorfo Titano; – e quell'altro individuo, forse, dalla faccia olivastra, Ufficiale d'Artiglieria a Tolone, che abbiamo lasciato a farsi strada nel Sud!
La sera del secondo giorno, andando le cose di male in peggio, Fouquier e Herman, dall'aspetto smarrito, corrono al Salut Public. Che bisogna fare? Il Salut Public d'un subito macchina un nuovo Decreto; onde, se qualcuno «insulta la Giustizia», può essere «espulso dal Dibattimento». Poichè non v'è, per di più, anche un Complotto nella Prigione del Lussemburgo? Il ci-devant Generale Dillon e altri Sospetti non complottano con la moglie di Camillo per distribuire assegnati, forzare le prigioni e rovesciare la Repubblica? Il Cittadino Laflotte, Sospetto egli medesimo ma desideroso della libertà, ci ha rivelato questo Complotto: – una rivelazione che porterà i suoi frutti! Basta, il mattino seguente, la Convenzione obbediente approva il Decreto. Il Salut se ne impossessa e corre in aiuto di Tinville, ormai ridotto quasi agli estremi. E allora: Hors des Debats, Fuori del Dibattimento, insolente! Guardie, fate il vostro dovere! In questo modo, con uno sforzo sovrumano il Salut, Tinville, Herman, Leroi Dix-Août e tutti i fedeli giurati vi si pongono con tutto il cuore e con tutte le forze; il Giurì è «abbastanza illuminato». La sentenza è pronunziata e spedita mediante un Officiale, e lacerata e calpestata: Morte quest'oggi. È il 5 Aprile 1794. La povera moglie di Camillo può smettere dall'aggirarsi intorno a quella Prigione; anzi dia un abbraccio ai suoi poveri figli e si prepari ad entrarvi alla sua volta e a seguire suo marito!
Danton conservava sul Carro della morte uno sguardo altero. Non così Camillo: quale scompiglio per lui in una settimana! una moglie angelica in lagrime; l'amore, le ricchezze, la fama di rivoluzionario, tutto ha lasciato alle porte della prigione; una Canaglia carnivora gli urla intorno. Palpabile eppure incredibile; come il sogno d'un folle. Camillo si dibatte, s'agita convulso; alle scosse delle spalle l'abito slacciato gli pende aggrovigliato, perchè ha le mani legate; «Calma, amico mio», gli disse Danton; «non badate a questa vile canaglia (laissez là cette vile canaille)». A pie' del palco, si udì Danton che diceva: «O moglie mia, mia diletta, non ti rivedrò mai più!», poi s'interruppe, e rivolgendosi a sè stesso: «Niente debolezza, Danton!» Poi disse a Hérault Sechelles, che si faceva avanti per abbracciarlo: «Le nostre teste s'incontreranno là dentro», nel sacco del Carnefice. Le sue ultime parole furono rivolte al Carnefice Samson: «Tu devi mostrare la mia testa al popolo; essa è degna d'essere mostrata».
Così, come un masso gigantesco, un impasto di coraggio e di ostentazione, di furore e d'amore, dotato di una forza, d'una virilità selvaggia di rivoluzionario, questo Danton passa all'ignota dimora. Era di Arcis-sur-Aube; nato da «buoni agricoltori». Aveva molte colpe; ma la peggiore di tutte le colpe non ebbe mai: l'Ipocrisia. Non era un vacuo Formalista, ingannatore di sè stesso e degli altri, uno di quelli che sono fantasmi per chi ha il senso della natura; ma un vero uomo: con tutte le sue scorie, egli era un Uomo, una fiera realtà uscita dal grande, dall'ardente seno della Natura. Egli salvò la Francia da Brunswick; andò diritto pel suo aspro sentiero ovunque lo menasse. Potrà vivere per parecchie generazioni nella memoria degli uomini.