CAPITOLO III I CARRI DELLA MORTE

La settimana seguente, non siamo ancora che al 10 Aprile e ne abbiamo altri Diciannove: Chaumette, Gobel, la        Vedova di Hébert, la Vedova di Camillo; anche questi fanno il loro viaggio fatale; la nera Morte li divora. La Vedova del vile Hébert piangeva, e la Vedova di Camillo cercava di dirle delle parole di conforto. O voi, teneri Cieli, azzurri, belli, eterni dietro alle vostre tempeste e alle nubi, non avete un po' di pietà per tutti? Gobel, a quel che pare, si pentì; chiese l'assoluzione di un Prete; morì come meglio poteva un Gobel. Quanto ad Anassagora Chaumette, la cui testa lucente è ormai denudata del suo bonnet rouge, che speranza v'è per lui? A meno che la Morte non sia «un sonno eterno»! Sventurato Anassagora, Dio ti giudicherà, non io.

Così Hébert è partito, e con lui gli Hébertisti; coloro che spogliarono le chiese e adorarono la Ragione azzurra in berretto rosso. Sono pure scomparsi il gran Danton e i Dantonisti. Giù, in fondo alle catacombe, anch'essi sono divenuti silenti! Non v'è Municipalità di Parigi, nè Setta, nè Partito di questo o quel colore che possa resistere al volere di Robespierre e del Salut. Il Maire Pache, non abbastanza pronto a denunziare i complotti di Pitt, se ne felicita adesso di gran cuore; ma non serve! Anch'egli va verso il Lussemburgo. Noi nominiamo un Fleuriot-Lescot, Maire per interim in sua vece: «un architetto venuto, dicono, dal Belgio»; uomo su cui si può contare. Il nostro nuovo Agente Nazionale è Payan ultimamente Giurato; di cui Robespierre è anche la stella polare.

Così dunque, noi scorgiamo che questa nuvola confusa, pregna d'elettricità, quest'Erebo di Governo Rivoluzionario, ha in qualche modo alterata la sua forma. Due masse o ali appartengono ad essa: una superelettrica massa di rabidi Cordeliers, e una massa meno elettrica di Dantonisti Moderati e uomini inclini alla Clemenza; – queste due masse, fulminandosi l'una l'altra, si sono annientate scambievolmente. Poichè la nuvola-Erebo, come spesso notiamo, è di natura suicida, e fatta di sinuosità irregolari, scaglia i suoi fulmini nel suo interno. Ma essendosi queste due masse discrepanti reciprocamente distrutte, si direbbe che la nuvola-Erebo abbia conseguita una sistemazione interna, e rovesci il suo fuoco infernale solo sul Mondo che giace al disotto. Più semplicemente parlando, il Terrore della Ghigliottina non fu mai così terribile finora. Sistole, diastole, sempre più rapida opera la Scure di Samson. Le accuse a grado a grado finiscono d'avere anche una parvenza di plausibilità. Fouquier sceglie nelle Dodici Case di Arresto delle Infornate, «Fournées», com'egli suol dire, una ventina e più d'accusati a un tempo; i suoi Giurati sono incaricati di fare feu de file, fin che il suolo sia spazzato. Il rapporto del Cittadino Laflotte sul complotto del Lussemburgo veramente porta i suoi frutti! Se non esiste nessuna plausibile imputazione contro un uomo, o una Infornata di uomini, Fouquier ha sempre questa a sua disposizione: un Complotto nella Prigione. Rapido e sempre più rapido procede Samson; si raggiunge finalmente il numero di sessanta e più in una Sfornata. È il gran giorno della Morte: tutto ritorna, e solo i Morti non tornan più.

O fosco D'Espréménil, che giorno è mai questo, il 22 Aprile, il tuo ultimo giorno! La sala del Palais è quella stessa sala di pietra ove tu cinque anni addietro sorgesti a perorare, in mezzo al pathos senza fine d'un Parlamento ribelle, alla luce incerta del mattino; costretto a marciare con d'Agoust alle Isole di Hyères. Le pietre son quelle medesime; ma tutto il resto? Gli Uomini, la Ribellione, il Pathos, la Perorazione, mirate! tutto è scomparso come una banda di Spiriti schernitori, come i fantasmi d'un cervello morente. Con d'Espréménil nella stessa fila di carri è la più triste miscela. Vi è Chapelier, il ci-devant Presidente popolare della Costituente, che le Menadi e Maillard incontrarono nella sua carrozza sulla Via di Versailles. Vi è Thouret, del pari ci-devant Presidente, l'autore delle Leggi Costituzionali; colui il quale noi udimmo dire, tanto tempo addietro, a voce alta: «l'Assemblea Costituente ha compiuta la sua missione!». E il nobile e vecchio Malesherbes, che difendeva Luigi e non potè parlare, simile a una antica roccia grigia che si dissolve all'impeto dell'acque: egli viaggia adesso coi suoi congiunti; coi figli, con le figlie, coi nipoti, e i Lamoignon e gli Chateaubriand, silenzioso verso la Morte. – Solo un giovane Chateaubriand erra fra i Natchez in mezzo allo strepito delle Cascate del Niagara, al gemito delle foreste sterminate. Onore a te, o grande Natura selvaggia ma non falsa, non priva di bontà nè d'amore materno; tu non sei una formula, nè una rabida giostra d'Ipotesi e d'Eloquenza Parlamentare, nè una fabbrica di Costituzione e Ghigliottina; parlami, o Madre, canta al mio cuore infermo la tua mistica e sempiterna ninna-nanna, e che tutto il resto sia lontano da me!

Un'altra fila di Carri dobbiamo notare: quella in cui trovasi Elisabetta, la sorella di Luigi. Il suo processo fu come gli altri: Complotto e sempre Complotto. Ella era una delle donne più buone, più innocenti. Si trovava con lei, insieme ad altre ventiquattro, una Marchesa di Crussol, timida un tempo, divenuta ora coraggiosa, che le professava la più sentita fedeltà. A piè del Palco, Elisabetta, con le lagrime agli occhi, ringraziò questa Marchesa e le disse che era dolente di non poterla ricompensare.

— Ah, Madame, se vostra Altezza Reale si degnasse di abbracciarmi, i miei voti sarebbero compiuti!

— Ben volentieri, Marchesa de Crussol, e con tutto il cuore –. Ciò avvenne a pie' del Palco. La Famiglia Reale s'è omai ridotta a due persone: a una fanciulla e a un ragazzetto. Il ragazzo, una volta chiamato Delfino, fu tolto a sua madre mentr'ella ancora viveva, e dato a un tale Simon, di mestiere calzolaio, e allora di servizio alla Prigione del Temple, perchè lo educasse ai principi del Sanculottismo.

E Simon gl'insegnò a bere, a bestemmiare e a cantare la Carmagnole. Simon è ora passato alla Municipalità, e il povero ragazzo nascosto in una torre del Temple, donde non vuol muoversi, in preda allo spavento, smarrito, divenuto decrepito innanzi tempo, vi sta deperendo; la «camicia non gli vien cambiata per sei mesi»; lo squallore e le tenebre lo circondano miseramente, – come non accade a nessun fanciullo, tranne ai poveri figli dei contadini e simili, destinati a perire, senza rimpianto!

La Primavera porta le sue verdi foglie, e il tempo splendido e il Maggio luminoso, più che mai luminoso; la Morte non s'arresta. Lavoisier, il famoso chimico, non deve più vivere, deve morire. Il chimico Lavoisier fu anche il Fermier Général Lavoisier, ed ora «tutti i Ricevitori generali sono in arresto»; tutti, e debbono dar conto del loro danaro e delle loro rendite, e morire «per aver messa l'acqua nel tabacco» che vendevano. Lavoisier pregò che gli fossero accordati altri quindici giorni di vita, per finire alcuni esperimenti: ma «la Repubblica non ha bisogno di queste cose»; la mannaia deve compiere il suo lavoro. Il cinico Chamfort, nel leggere quelle iscrizioni di Fratellanza o Morte, dice: «È una Fratellanza da Caino». Arrestato, poi rilasciato, e sul punto di essere arrestato di nuovo, questo Chamfort si taglia, si sfregia furiosamente con la sua mano inesperta, e non senza difficoltà raggiunge il soggiorno della morte. Condorcet s'è tenuto ben nascosto per molti mesi, mentre con occhi d'Argo lo si è spiato e si è andati in cerca di lui. Il suo nascondiglio è divenuto pericoloso per lui e per altri; deve fuggire di nuovo, rintanarsi attorno Parigi, rifugiandosi nelle macchie e nelle cave di pietre. Un fosco mattino di Maggio entra nel villaggio di Clamars un uomo lacero, dalla barba incolta, affamato, e chiede da mangiare all'osteria. Egli ha l'apparenza d'un sospetto! «Tu dici che sei un servo senza posto?» Il Presidente del Comitato dei Quaranta Soldi gli trova indosso un Orazio in latino; «Non sei tu uno di quei ci-devants che erano avvezzi ad aver servi? Sospetto!» Egli è trascinato, prima che finisse di far colazione, alla volta di Bourg la Reine, a piedi; rifinito di forze vien messo sul cavallo d'un contadino, e poi è cacciato nell'umida cella d'una prigione; la dimane, ricordandovi di lui, voi entrate: Condorcet giace morto sul pavimento. Muoiono, scompaiono presto le Notabilità della Francia, l'una dopo l'altra, come lumi in un Teatro, che voi andate spegnendo.

In queste circostanze, non vi par singolare, quasi commovente, vedere la città di Parigi tutta intenta, quelle dolci notti di Maggio, alla cerimonia civica, che essi chiamavano «Souper fraternel, Cena fraterna?»

Nei giorni dodici, tredici e quattordici Maggio hanno avuto luogo queste cerimonie più o meno spontanee. Nella Rue Saint-Honoré e nelle principali vie e piazze, ciascun cittadino reca all'aria aperta, quel tanto di cena che lo stringato Maximum gli permette; l'unisce alla cena del suo vicino, ad una tavola comune, allegramente illuminata da molti lumi e modestamente arredata di cristalli e d'altro vasellame, e mangiano frugalmente insieme sotto le benefiche stelle. Mirali, o Notte! Brindano allegramente con le coppe colme e trincano ineggiando al Regno della Libertà, dell'Uguaglianza, della Fraternità, con le mogli adorne dei loro migliori nastri e i figliuoli che si rincorrono intorno alla tavola, i cittadini nella frugale Festa d'amore. La notte nel suo impero sconfinato non vede nulla di simile. O fratelli miei, perchè non è venuto il Regno della Fraternità? È venuto, dev'essere venuto, dicono i cittadini trincando frugalmente. – Ahimè – queste stelle sempiterne guardano, «come occhi luccicanti, fissandosi con un bagliore di pietà immortale sulla sorte dell'uomo!» – Una lamentevole cosa invero è quella, che degli individui tenteranno di Assassinare i Rappresentanti del Popolo. Il Rappresentante Collot, Membro anche del Salut, ritornando a casa, «verso l'una del mattino», probabilmente dopo aver alquanto abusato di liquori, come suol fare, sente sulle scale il grido di «Scélérat!» ed anche lo scatto d'una pistola, che non prende fuoco e manda un guizzo, che gli fa scoprire a quel momentaneo chiarore un paio d'occhi truci e provocanti e un volto bruno e arcigno. Egli lo riconosce: è un coinquilino, il cittadino Amiral, già «commesso del Lotto!» Collot grida: Assassino! con una tal voce da svegliare tutta la Rue Favart; Amiral fa scattare una seconda volta la pistola, la quale per la seconda volta non prende fuoco; poi si precipita nel suo appartamento, ove, dopo di aver tirato ancora invano un colpo di moschetto contro sè stesso e un altro contro colui che voleva farlo prigioniero, è preso e menato in prigione. Era un uomo iracondo questo piccolo Amiral, Meridionale d'indole e di aspetto, e d'una «considerevole forza muscolare». Egli non nega che intendeva «purgare la Francia d'un Tiranno», anzi confessa che aveva messo l'occhio sull'Incorruttibile in persona, ma prese poi Collot trovandolo più conveniente!

Si fa un gran parlare di questo fatto; le congratulazioni a Collot salgono fino al cielo; egli riceve abbracci fraterni, ai Giacobini e altrove. Eppure si direbbe che l'andazzo di assassinare divenga contagioso. Due giorni dopo – non è che il 23 Maggio – verso le nove di sera, Cécile Rénault, figlia d'un cartolaio, giovane dal viso dolce e fresco, si presenta dall'ebanista della Rue Saint-Honoré: desidera vedere Robespierre. Robespierre non si può vedere; ed ella brontola in maniera irriverente. Allora s'impadroniscono di lei. Ella ha lasciato un paniere in una bottega là vicino; nel paniere v'è un abito femminile di ricambio e due coltelli! La povera Cecilia, esaminata dal Comitato, dichiara che «aveva desiderio di vedere com'era fatto un tiranno»: «il vestito di ricambio mi occorreva pel luogo dove sarei andata». «Qual luogo?» «La Prigione, e poi la Ghigliottina», rispose. – Tali cose derivano da Charlotte Corday; in un popolo ligio all'imitazione e alla monomania! Uomini collerici e cupi tentano di fare come Charlotte, e la loro pistola non dà fuoco: giovanette dal viso dolce e fresco tentano alla loro volta, e risolute solo a mezzo, lasciano i loro coltelli in una bottega.

O Pitt, o Fazione degli Stranieri, mai avrà dunque riposo la Repubblica, sarà sempre tormentata da lacci, da mine, da agguati d'ogni genere? Il bruno Amiral, la bella e giovane Cécile, e tutti quelli che li conobbero e molti che non li conobbero, giacciono sotto chiave, aspettando lo scrutinio di Tinville.

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