SCENA I.

MARTINO e CARLOTTA che assettano i mobili.

Mart. (a Carlotta che vorrebbe provarsi con lui a mutare di posto lo scrittoio). ― No, no; potreste farvi male, bella figliuola... Aspettiamo che arrivi qualcheduno dei miei compagni, e facciamo intanto quattro chiacchiere fra di noi due...

Carl. ― (Sta a vedere che mi faccio un damo anche quassù). Che cosa mi volete dire?

Mart. ― Sentite, Carlotta; nè io, nè voi siamo di questo paese... Tutti e due italiani, s'intende; ma nati in diverse nazioni... Ora ditemelo francamente, non vi piglia mai, con licenza parlando, quel certo male che si sente quando si è lontani di casa sua, la nostra... la strono... una parola che finisce in ia... Il capo-fabbrica l'aveva sempre in bocca!

Carl. ― Ah! l'astronomia...

Mart. ― Giusto l'astronomia.

Carl. ― Il padrone ne parlava ieri a Cesarino. Sì, mi piglia qualche volta quando penso ai miei di casa.

Mart. ― Ma se qui aveste una persona che senz'essere dei miei, di casa vostra, vi volesse bene...

[88] Carl.― E se questa persona, con licenza parlando, foste voi, volete dire?

Mart. ― Già; il male non vi sembrerebbe minore?

Carl. ― Insomma, Martino, a farla corta, voi volete fare all'amore con me.

Mart. ― Sì, se mi credete per la quale, eccomi qui tutto per voi: sono il più bello dei figliuoli di mia madre.

Carl. ― Quanti fratelli avete?

Mart. ― Nessuno, sono figlio unico di madre vedova... come lo scudo che ho in tasca.

Carl. ― C'è un guaio, Martino.

Mart. ― Vi paio troppo brutto forse?

Carl. ― Oh ne ho visto dei peggio!

Mart. ― Grazie tante... Allora avete paura che la padrona...?

Carl. ― Che! Me ne importa assai della padrona! Il guaio si è che Carlotta non fa all'amore che con quello che la vuole sposare.

Mart. ― Ed io son bell'e pronto a sposarvi dinanzi a Santa Madre Chiesa anche subito.

Carl. ― Che, mi pigliate per una grulla voi? Prima si va al Municipio, e poi in parrocchia.

Mart. ― Ma io vado anche dal campanaio se vi piace!

Carl. ― Ma come si sta a quattrini? Che cosa avete voi di vostro?

Mart. ― Io di vostro... cioè di mio... che sarà anche vostro, ho tutto questo; ma state bene attenta!

Carl. ― Sentiamo che meraviglie.

Mart. ― Meraviglie? nessuna; ma cinque camicie quasi buone, quattro lenzuola quasi nuove, tre belle lire e mezzo al giorno che piglio quasi sempre, due buone braccia e un cuore pieno d'amore...

Carl. ― Adagio col pieno; se foste un pollo ve lo potrei dire... C'è un guaio, ora che ci penso; voi amate troppo il vino!

Mart. ― Se amo il vino è tutta colpa dell'astronomia. Ma per far piacere a voi non berrò più!... mai più!... altro che la domenica.

Carl. ― Vien gente; acqua in bocca, veh!

[89] Mart.― Oggi no, che è festa. Siamo intesi adunque?

Carl. ― Ci penserò, e a rivederci poi. Addio, moro. (via dalla destra)

Mart. ― Pensateci subito, bella morettina, e rivediamoci senza il poi! Cara e svelta!... Ma faccio poi bene a prender moglie con tre lire e mezzo?

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