CENCIO dalla sinistra. Detti.
Carlo. ― Appunto voi, Cencio: che lavoro si potrebbe dare ad un convalescente?
Cencio. ― Lo metta al mantice, al posto di Bernardo che sta meglio alla trafila.
Carlo. ― Sta bene. Paga per ora due lire. Datemi il vostro libretto.
Bobi. ― (Non ho che quello dei sogni io!) L'ho dimenticato all'ospedale.
Carlo. ― Il vostro nome?
Bobi. ― Zanobi Lascifare... Lascifare. (Carlo scrive e poi lo congeda)
Cencio. ― Venite. Martino è il capo massellatore, io il capo limatore.
Bobi. ― Ed io sarò il capo mantice. (escono dalla sinistra)
Carlo. ― (Tutti capi... ameni.) A voi.
Franc. ― Ho sentito che ha bisogno di un capo-fabbrica.
Carlo. ― Sicuro; ma voi vi sentite?...
Franc. ― Perchè non sono bene in arnese non posso essere capace?
Carlo. ― Oh giusto io che guardo all'abito! Sarei contentissimo che mi poteste servire, se possiamo intenderci.
Franc. ― (Non è antipatico, ma sarà qualche asino arricchito dal caso.) M'interroghi.
Carlo (preso un disegno di macchina dal tavolo di Oreste). ― A voi: che cosa è questa macchina?
[96] Franc.(dopo un istante). ― Deve essere un argano; anzi è una taglia... da otto a dieci cavalli di forza... e con una semplificazione di congegno che non ho mai veduto.
Carlo. ― Ma bene, a meraviglia! È di mia invenzione, sì; e grazie ad un processo di fusione, scoperto anche da me e che mi dà una rilevante economia di carbone, può lottare sui mercati stranieri coi prodotti francesi ed inglesi. Ho una importante commissione di queste macchine per il primo di agosto; eppure, sul meglio del lavoro, ho dovuto licenziare il capo-fabbrica, il quale dimenticava troppo spesso che se l'inventore ed il capitale hanno bisogno della mano d'opera, la mano d'opera non può sussistere senza l'inventore ed il capitale.
Franc. ― Il capitale lo ha lei e mi pare inutile parlarne altro.
Carlo. ― Pur troppo che non l'ho; ma che l'abbia io o che l'abbiate voi, non muterebbe punto la cosa. Senza capitale non c'è industria, come non c'è industria senza mano d'opera.
Franc. ― Dica piuttosto che finchè la società è costituita così, lei comanda ed io sono condannato a lavorare.
Carlo. ― Condannato, come se parlaste d'una galera? Ma non sapete che mentre io potrei vivere con una certa agiatezza senza far nulla, mi alzo col sole per lavorare, e quando tramonta vorrei poterlo fermare come Giosuè per fare almeno un terzo di quello che mi sta qui?
Franc. ― Padronissimo lei di fermare il sole, io di maledire il lavoro, spero!
Carlo. ― Maledire il lavoro, l'unica cosa che faccia lieta la vita, che ripari la fatalità del nascer poveri, l'unica cosa che facendoci superiori alla materia ed al tempo, ci renda quasi eguali a Dio?! Oh no! È impossibile che egli cacciando il primo uomo dai paradiso terrestre, gli abbia detto: va, ti condanno a lavorare!... (mutando tuono, quasi commosso) No, no; ma va, disgraziato, e lavora, perchè col lavoro solo ti potrai consolare; col lavoro solo ti potrai rifare un paradiso!
Franc. ― Senta; io sono venuto qui per offrirle il mio lavoro, ma glielo dico subito, non per discutere intorno a cose che non ci possono trovare d'accordo, e tanto meno poi per sentire delle prediche!
[97] Carlo.― Io non predico, ma quando sento certe ragioni...
Franc. ― Buone o cattive, non sono qui per venderle.
Carlo. ― E chi vi dice che io voglia comprarle?
Franc. ― Ma allora lei non capisce...
Carlo. ― Non alzate la voce, che capisco, e capisco più di quello che vorrei.
Franc. ― Si spieghi, si spieghi.
Carlo. ― Sicuro che mi spiego, e dico che voi sapete senza dubbio il vostro mestiere; ma diportandovi in questo modo date luogo a sospettare che il vizio o l'orgoglio abbiano fatto di voi uno di quegli artigiani che invece di cercare il motivo della loro miseria nella propria condotta, trovano più comodo di accusarne l'ordinamento della società.
Franc. ― E sia pur così di me; ma lei non sarebbe per caso uno di quei padroni per cui l'operaio dev'essere uno schiavo senza pensiero e senza diritto, uno strumento che frutta tanto al giorno, e che appena non è più capace si butta fuori?