EGISTO dalla destra. Detti.
Carlo. ― Arrivi a proposito. ― Non avete mai inteso parlare di certe cucine economiche per cui in alcune grandi officine l'artigiano è sottratto all'avidità degli speculatori? Ebbene, il mio cugino qui presente ha pensato...
Egisto. ― Non ho mai pensato a nulla, non penso mai io.
Carlo. ― Insomma, non sareste contenti di avere per lo stesso prezzo di poca frutta cattiva un pezzo di buona carne od una scodella di buon brodo?
Genn. ― Eccellenza, se fosse un piatto de' maccheroni a' sughillo, passi; ma a' carne!
Mart. ― Per mi se fosse un pittin de fainà...
Ambr. ― Ah! s'el fudess l'oss büs!...
Cencio. ― O un po' di baccalaretto fritto...
Carlo. ― Basta, basta; non se ne parli più. Buona festa [104]a tutti; ma mi raccomando, figliuoli, non dimenticate che la peggiore delle ignoranze è l'imprevidenza... m'avete capito. Savelli, io vi lascio in libertà; a domattina. (chiude cassa e registri)
Franc. ― Signori, buon giorno. (esce dal fondo seguito da tutti gli operai)
Egisto. ― Buon giorno. ― Ricusano la mia cucina, gli ingrati!
Carlo. ― Il signor Faustini ha fatto la stessa cosa nella sua officina; ma siccome ciò che vende è caro e cattivo, e se non si va da lui, diventa un'ira di Dio, così i miei operai sospettano forse che colla cucina economica mi voglia anch'io ripigliare le paghe. Vedi che cosa vuol dire un cattivo padrone?
Egisto. ― Di' piuttosto che il mio istinto non s'inganna mai. Tu vuoi procacciar loro delle buone digestioni, grullo! Quella gente lì bisogna lasciarla com'è!
Carlo. ― Abbi pazienza, Egisto; ma sono uomini tutti come te.
Egisto. ― Sarà; ma fatti ad immagine di Dio o io solo o loro soli, che proprio tutti è impossibile!