SCENA XIII.

EGISTO dalla destra. Detti.

Carlo. ― Arrivi a proposito. ― Non avete mai inteso parlare di certe cucine economiche per cui in alcune grandi officine l'artigiano è sottratto all'avidità degli speculatori? Ebbene, il mio cugino qui presente ha pensato...

Egisto. ― Non ho mai pensato a nulla, non penso mai io.

Carlo. ― Insomma, non sareste contenti di avere per lo stesso prezzo di poca frutta cattiva un pezzo di buona carne od una scodella di buon brodo?

Genn.Eccellenza, se fosse un piatto de' maccheroni a' sughillo, passi; ma a' carne!

Mart.Per mi se fosse un pittin de fainà...

Ambr.Ah! s'el fudess l'oss büs!...

Cencio. ― O un po' di baccalaretto fritto...

Carlo. ― Basta, basta; non se ne parli più. Buona festa [104]a tutti; ma mi raccomando, figliuoli, non dimenticate che la peggiore delle ignoranze è l'imprevidenza... m'avete capito. Savelli, io vi lascio in libertà; a domattina. (chiude cassa e registri)

Franc. ― Signori, buon giorno. (esce dal fondo seguito da tutti gli operai)

Egisto. ― Buon giorno. ― Ricusano la mia cucina, gli ingrati!

Carlo. ― Il signor Faustini ha fatto la stessa cosa nella sua officina; ma siccome ciò che vende è caro e cattivo, e se non si va da lui, diventa un'ira di Dio, così i miei operai sospettano forse che colla cucina economica mi voglia anch'io ripigliare le paghe. Vedi che cosa vuol dire un cattivo padrone?

Egisto. ― Di' piuttosto che il mio istinto non s'inganna mai. Tu vuoi procacciar loro delle buone digestioni, grullo! Quella gente lì bisogna lasciarla com'è!

Carlo. ― Abbi pazienza, Egisto; ma sono uomini tutti come te.

Egisto. ― Sarà; ma fatti ad immagine di Dio o io solo o loro soli, che proprio tutti è impossibile!

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