CARLO, CENCIO, MARTINO, GENNARO, BOBI, ORESTE, AMBROGIO e BARTOLO seguiti da molti altri operai, dalla sinistra. Quindi FRANCESCO dal fondo. DETTA.
Carlo (ad Agnese). ― Appena finito, sono tuo per tutto il giorno.
Agnese. ― Ti aspetto; ma intanto non ti affaticare troppo: pensa anche alla tua salute. Buon giorno, buon giorno. (esce dalla destra salutata dagli operai)
Carlo (aperta la cassa). ― Ambrogio Carnevali. (Ambrogio va allo scrittoio, Carlo lo paga) Vi siete rimesso?
Ambr. ― Olter che rimesso! L'è stato un ciccino d'indigestione, perchè a tucc i solennità me mandeno de cà quai coss de bon da pacciare, e mi, quando me vedi dinanz quela roba, me par d'essere nel mio paeso, e come se dice in buon tuscano, ghe dò dentro!
Mart. ― (Anche lui patisce l'astronomia!)
Carlo. ― Restate, ho da parlarvi. Cencio Bandettini, eccovi la vostra paga e quella dei vostri limatori. Sapete che l'osservazione fatta da voi sulla bollitura dei fusti è giustissima?
Cencio. ― Sono tanti anni che c'ho la mano!
Carlo. ― No, Cencio: siete troppo modesto; voi mi provate di quanto soccorso può essere l'esperienza dell'operaio all'inventore, quando l'operaio è, come voi, attento ed intelligente, ed io ve ne ringrazio. ― Gennaro Majella. Voi siete un buon operaio, ma prima delle quattro ricordatevi che non si può cantare.
Genn. ― Eccellenza, io non canto, sulfeggio.
Carlo. ― Canto o solfeggio, aspettate dopo le quattro.
Genn. ― Va buono, aspetterò, eccellenza; ma per me sulfeggià [103] è come respirà. Nui se nasce e se more cantanno, cioè sulfeggianno. State buono, eccellenza... vi bacio le mani.
Carlo. ― Martino Tavella. Queste sono le paghe dei massellatori: questa la vostra.
Mart. ― Scusi... ma, con licenza parlando, mi pare che manchino tre lire e mezzo.
Carlo. ― Già: per la giornata di lunedì che avete passato a smaltire la sbornia di domenica; e badate che sia l'ultima.
Mart. ― Sissignore; ma che vuole, coi fiaschi non si sa mai quello che si è bevuto finchè non sono finiti!
Carlo. ― E lui li finisce! ― Oreste, perchè piangevi ieri sera?
Oreste. ― Non era nulla. (Se parlo ripicchiano!)
Carlo. ― Sarà; ma si ricordi cui tocca che se mettere le mani addosso è sempre brutto, battere chi non può difendersi è da vile. Ora un'ultima parola e vi lascio in libertà. Questo è il nuovo capo-fabbrica, signor Francesco Savelli; ubbiditelo, che lo merita, come ubbidite a me stesso.