SCENA III.

BATTISTINO, vestito da Arlecchino, mette la testa fra i paraventi che ha socchiuso. Detti.

Arlec. — Signorie!

Gold. — Arlecchino? Che cos'è questa baracca?

Arlec. — Se me lo permettono, vorrei dire una parola, senza contare le altre, in italiano e non nel mio bergamasco, per riguardo ad una parte della civile udienza...

Tutti. — Parla! Parla!

[238] Ant. — Qui sul canapè colla zia.

Gold. — Ho capito, anche una recita! che cari matti! (seggono tutti)

Arlec. (uscito fuori dai paraventi e inchinatosi). — Cittadine belle ed amabili sempre, e cittadini... amabili... qualche volta e belli... io ho l'onore di annunziarvi quale capocomico — molto comico e niente capo — delle principali maschere dell'antica commedia dell'arte, non meno ragguardevoli per l'abilità — modestia a parte — quanto per la nobiltà di ventidue secoli, tutte proprietarie..... d'una infinità di generi brighelleschi tanto d'entrata che d'uscita — che non pagano dazio — che avremo l'onore di recitare colle principali maschere prima un prologo di nostra composizione e poi, senza papere e senza suggeritore, la commedia di Carlo Goldoni Il Burbero benefico, per rendere il maggior omaggio possibile al principe dei poeti comici italiani, al riformatore immortale delle nostre scene.

Gli altri (meno Goldoni). — Bravi! Bravi!

Gold. — O quante sorprese!

Nicol. — Che buoni amici!

Arlec. — Quanto ai costumi, si sa, in tempo di rivoluzione si tira via e le migliori intenzioni se ne vanno troppo sovente a monte..... di pietà; ma, in un'epoca così sbracata, loro sono ormai avvezzi a non badare troppo al sottile. (apre i paraventi, ripiegandoli in modo che il primo serva di quinta alla porta al proscenio a sinistra, e l'altro copra il pianoforte) La scena rappresenta al vivo, come vedete, la città di Venezia: di qua a sinistra, il palazzo ducale tutto duro come un marmo, e così vero, che pare dipinto. Lì accosto, San Marco, che si metterebbe sotto una campana di vetro, tant'è meraviglioso e originale..... Lei di lì non lo vede... e neanche più in là... e glielo dico in segreto il perchè: San Marco, modesto, sa che siamo in tempi di rivoluzione e per timore di essere confuso colla gente che si fa avanti, preferisce di starsene indietro... bel caso! Poi la torre dell'orologio e le Procuratie... Qui Marco e Todero; dinnanzi il mare infinito; bucintori, gondole, peote e barche rotte — che sono giusto le meglio dipinte. Ora do il segnale per la sinfonia.

Gold. — Anche la sinfonia?

[239] Arlec. — Diamine, un capocomico che rispetta l'arte!... Ma, stante il gran concorso, ho messo i suonatori fra le quinte, violini e violoni, tube e catube, fagotti, corni e pifferi, speriamo senza ritorno, ma tutti al vostro servizio.

Nicol. — Ma non vedo gli istrumenti.

Arlec. — Oh gli istrumenti... si ommettono per brevità; ma non ci perderete nulla, anzi! La sinfonia, per il gradimento universale della musica e la fortunata allusione del titolo, è quella di Giannina e Bernardone (s'inchina a Carlo e Nicoletta) Ora giù il sipario... cioè no, niente sipario... se il sipario non va nè su, nè giù, ma che non lo sappia neanche l'aria, sopratutto l'aria che potrebbe averselo a male, è soltanto per risparmiare all'illustre poeta ed alla gentile udienza un raffreddore, col quale, inchinandomi, ho il piacere di lasciarvi!

(S'inchina verso tre parti e poi sparisce dietro il paravento che ha alla sua destra)

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