ACCADEMICO LINCEO.
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Infra tutti i viuenti,
Ergansi in aria à volo,
Guizzin per l'onde algenti,
O stampin l'orme in sul terreno suolo,
L'huom sol discorre; e solo
Sà, vale, intende, e vede
Sì, ch'agli Angeli appena altero ei cede.
Emulo di Natura,
Ciò ch'ella mai produce
Fingerlo anch'ei procura,
E lo fa sì, che merauiglia adduce;
L'intelletto ha per Duce,
Ed alto a la sua destra
Somministra valor l'arte mæstra.
S'à fera, od à sè forma
Imago somigliante,
Trouar ei sà la norma
Onde gli occhi, e le man muoua, e le piante.
Fe' per l'aria volante
Vna Colomba Archita
Di legno, e pur senso hauer parue, e vita
E quel saggio, che grande
Dal suo valor s'appella,
Diè con arti ammirande
La voce à finto labro, e la fauella.
Forma destra nouella
Simulato Augelletto,
E fa che tragga alta armonia dal petto.
Di puro vetro, e terso
Altri à compor s'accinse
Vn picciolo vniuerso;
E poi che di più Cieli intorno il cinse
Le stelle entro vi finse;
E lor diè moto, e giro
Pari à quel, ch'i sublimi Astri sortiro.
Lassù gli aperti, ed ampi
Spazij del ciel, sonori
Strali di foco, e lampi
Scorron talor con tema alta de cori.
Forma volanti ardori
L'huom anco, e con rimbombo
Sà fulminar da cauo ferro il piombo.
A i confini d'Alcide
Sicuro altri le spalle
Riuolge, e senza guide
Su cauo legno per l'ignoto calle
Della lubrica valle
Del Ocean profondo
Vassene, e aggiunge vn nouo Mondo al Mondo.
E più di questi audace
Oltre l'human costume,
Con la sua man sagace
Ali Dedal si fa di lieui piume;
E cotanto presume,
Ch'à volo s'erge, e quale
Veloce Augel per l'aria poggia, e sale.
E tu, s'io ben riguardo
Vigoroso, ed altero
Ti festi in guisa il guardo,
Che trapassa il mirar d'human pensiero,
Onde Talpa il Ceruiero
Appo te, GALILEO,
Fora, & argo senz'occhi, orbo Lincèo.
Nè sol de la tua fronte
I fortunati rai
Quelle virtù sì conte,
Han, ch'a lor tu co' tuoi cristalli dai:
Ma quel bel lume, c'hai
Dentro la mente accolto,
Quell'anco vince ogni veder di molto.
Onde ciò, ch'altrui cela
Natura entro nel seno,
Aperto si riuela
A l'vno, e l'altro tuo sguardo sereno.
Altri si crede appieno
Col saggio di stagira
Mirarlo ancor, ma vn'ombra sol ne mira.
Quello c'hor tu n'insegni,
Non da le carte antiche,
Non da i moderni ingegni
L'auesti nò, non da le stelle amiche;
Le tue lunghe fatiche,
Le proue tue, gli studi
Fur, che tante destaro in te Virtudi.
Qualunque i sensi adopra,
Se da te non l'apprende.
Come l'odor si scopra,
E man tocca, occhio mira, orecchio intende
Aperto ei nol comprende,
E non ben sà la lingua
Altrui ridir com'i sapor distingua.
Nè sà ben come il gelo,
Com'il caldo altri senta,
Come produca il Cielo
Ciò che più di stupor sù n'appresenta;
Tù v'hai sì l'alma intenta,
Ch'o vicino, o remoto
Oggetto alcun non miri à te mal noto.
Quei, che cercò là presso
A la Calcidia riua
Perche l'onda sì spesso
Colà d'Euripo à Variar veniua,
Se la cagion n'vdiua
Da te, cui non s'asconde,
Sommerso non si fora entro quell'onde.
E quei di te pria nati
Dotti Hipparchi, ed Atlanti,
S'intenti rimirati
Teco hauesser quei seggi alti stellanti,
Non detto haurian, quei tanti
Lumi, ch'in Cielo han loco,
Passar di mille il numero di poco;
Nè dato hauriano il dorso
Adeguato, e polito,
Nè dal ver lunge il corso,
Nè il numero di sette stabilito,
Nè concesso quel sito
Che non hanno, o confine,
A quei ch'erran lassù con aureo crine.
Altri erranti aggiungesti
A quegli tù sù doue
Per quei vani celesti
Và con rai sì benigni errando Gioue.
E vedi in forme noue
Chi sù men pronto suole
Mouersi in giro, e chi precorre il Sole.
E di quei rai sù fissi
Tanti gir ne mirasti
Per quegli immensi abissi,
Ch'occhio non v'è ch'a numerargli basti.
In quei confin sì vasti
Tanti il Ciel ne contiene,
Che pon del mar quasi adeguar l'arene.
Cedanti pure il vanto
Quei noui Tifi arditi,
Che glorioso han tanto
Perchè scoprir mari nouelli, e liti:
Poiche tu non additi
Terre quaggiù nouelle,
Ma nel sublime Ciel lucenti Stelle.
Nouelli solo à noi
Quei discopriro Imperi,
Non già noui àgli Eoi,
Che là per gli ondeggianti lor sentieri
Giunti v'eran primieri:
Ma scopri tù più scaltro,
Orbi à ciascun nouelli, e pria d'ogn'altro.
Molto a te l'huom, per tali
Trouati obietti, deue;
Ei co' tuoi vetri frali
Sen và fin presso al Ciel, spedito, e lieue;
Molto il Ciel, che riceue
Da te beltà più chiare,
Più nel sen luci, e in maggior forma appare.
E s'à spiar la via
Non giuan gli occhi tui
Del alto Ciel, qual pria
Ei fora ancor: tu sei, ch'i globi sui
Celati prima à nui,
Orni con auree chiome,
E lor dai moto, e loco, e vanto, e nome.
Onde se da la vista
De le tue luci accorte
Tante 'l Ciel pompe acquista,
Ei non permetterà, ch'vnqua t'apporte
Il fosco oblìo la morte;
Ma fin che gira intorno
Splenderai tu d'illustre gloria adorno.