Fra i varii argomenti delle letture di Galileo registrate nei Rotoli dell'Università Artista dello Studio di Padova, troviamo indicate le Questioni meccaniche di Aristotele, le quali fornirono il tema alle sue lezioni durante l'anno scolastico 1597-98. È probabile che il Trattato delle Meccaniche, che qui pubblichiamo, e del quale l'Autore si servì, se non per il pubblico, certo per il privato insegnamento, sia stato dettato nell'occasione in cui Galileo leggeva Meccanica nello Studio. Fra le scritture, infatti, stese dal Nostro «a contemplazione de' suoi scolari, nel tempo in cui fu lettore di matematiche nello Studio di Padova», lo annovera il Viviani, nella Vita del Maestro, e in alcune correzioni e giunte autografe a questa, gli assegna la data del 1593; e dalla testimonianza dello stesso Galileo, che molto più tardi ebbe a riconoscere espressamente per sua quest'opera, da taluno attribuita al Vieta, resulta averla egli composta prima del 1599.
Anche di questo Trattato, come de' due sulle Fortificazioni, non è giunto sino a noi l'autografo: ne possediamo invece molte copie manoscritte, delle quali ci sono note le seguenti:
a = Bibl. Naz. di Firenze; Mss. Gal., Par. V, T. II; c. 9-26.
b = Bibl. Naz. di Firenze; Mss. Gal., Par. V, T. II; in un fascicolo inserito nel Tomo senza far parte della numerazione complessiva.
p = Bibl. Palatina di Parma, cod. HH. IX. 53. 184, già CC, IX. 23; cart. 1-34.
m=Bibl. della Scuola di Medicina di Montpellier, cod. H. N. 475; car. 1-45.
r = Bibl. Naz. Vittorio Emanuele in Roma, cod. 23. S. Pant. 106; car. 145-190. Scritto da più mani.
t = Bibl. Naz. di Parigi, cod. Ita. 461, già Suppl. fr. 54017A; car. 2-21.
v = Bibl. Naz. di Parigi, cod. Ital. 1377, già St. Germain 1897; car. 1-20.
o = Bibl. Bodleiana di Oxford, cod. Savile 45.
n = Bibl. Naz. di Napoli, cod. XII. D. 75; car. 1-17. Di mano di Gio. Battista Suppa, Gesuita.
s = Bibl. di S. A. R. il Duca di Genova in Torino, cod. Saluzziano 85.
Tutti questi manoscritti, eccettuato s, appartengono al secolo XVII; anzi a, che è tra' più antichi, risale a' primi anni del secolo, t fu esemplato, a quanto pare, dal 26 febbraio al 10 marzo 1623, e v nel 1627. Il cod. s è invece scrittura de' primi anni del secolo presente. Aggiungeremo ancora che a è esemplato dalla stessa mano, la quale trascrisse il codice b del secondo Trattato di Fortificazioni, e, come questo codice, con cui doveva in origine formare un sol corpo, proviene dalla Riccardiana; è poi incompleto, restando in tronco la scrittura con le parole «di eguali» della pag. 181, lin. 19: b venne alla Collezione galileiana da Milano: p appartenne già al Convento dei Gesuiti di Parma: m, alla Biblioteca Albani, dov'era segnato col numero 1062, e perciò, con tutta probabilità, prima all'antica Biblioteca Lincea: r alla Libreria di S. Pantaleo: o è forse l'esemplare che un tempo appartenne al Wallis: s è il medesimo codice che, nell'Avvertimento alle Fortificazioni, indicammo come contenente il Trattato di Fortificazione,
Da' codici accettammo, anzitutto, il titolo del Trattato Le Mecaniche, che è confermato dall'antica versione francese, e da più luoghi di altre scritture, sia di Galileo, sia de' contemporanei.
Quanto al testo, i manoscritti si vengono a classificare, come ci dimostrò una diligente collazione, in due famiglie. Alla prima, che abbiamo chiamata A, più numerosa e genuina, appartengono i codici a, b, p, m, r, s; alla seconda, B, i codici t, v, o: fuori dell'una e dell'altra, e con particolari caratteri, rimane il codice n.
Nella prima famiglia, il codice a lascia di gran tratto indietro tutti gli altri per bontà di lezione; esso è il solo che dia un testo quasi costantemente corretto e ragionevole, e fornito altresì di tutti i caratteri dell'autenticità. Copia di a, e, come questo, incompleto, è il Saluzziano: b, p, m, r sono, quale più e quale meno, spropositati, e mostrano d'essere stati copiati da amanuensi che non capivano quel che scrivevano: tra essi tuttavia il migliore e più vicino ad a è p; laddove r in certe pagine quasi non dà senso, e da a si discosta anche più spesso degli altri. Speciali affinità offrono i codici p, b, m (ed in modo particolarissimo p e b), la cui concordia, per brevità, notammo con la sigla V; indicammo invece con Z l'accordo, che pur talora si presenta, di p, b, m, r contrapposti ad a.
Così la classe B, come il codice n, presentano un testo spesse volte più breve di quello, che lo ha generato, della classe A: ma differiscono tra di loro in ciò, che n compendia il pensiero dell'Autore, omettendo talora quanto all'intelligenza dell'argomento non sia necessario, e serva più che altro per adornamento dell'esposizione; la classe B, invece, senza nulla tralasciare quanto al pensiero, abbrevia la frase in modo più materiale, sostituendo, poniamo, ad una forma verbale di più parole un'altra di una sola, persino ad una parola più lunga una più breve: inoltre, n compendia in certi tratti, e in certi altri segue fedelissimamente, il testo della classe A; la classe B, invece, altera bensì meno profondamente, ma quasi ad ogni linea. Ne' passi in cui il codice n riproduce il testo senza compendiarlo, si avvicina in modo particolare al codice a, ed acquista perciò notevole importanza, soprattutto per il tratto in cui manca quest'ultimo codice. Anche i codici della classe B qualche volta confermano la lezione di a meglio che i fratelli di questo, che abbiamo detto essere assai scorretti. In tale classe, gli esemplari parigini t e v sono trascritti, secondo ogni probabilità, da copisti francesi, pratici tuttavia della nostra lingua; e tutto induce a credere che v sia copia di t.
Da quanto fin qui abbiamo detto appare chiaro che non poteva rimaner dubbio intorno alla scelta del codice da prendere come fondamento alla nostra edizione. Noi non esitammo infatti a seguire il codice a per tutta quella parte in cui ci fu conservato; e per le ultime pagine del Trattato prendemmo per iscorta il codice p, come quello che complessivamente più si accosta ad a. Il codice a però, abbiamo seguito quasi costantemente, e anche in qualche passo in cui, restando esso solo a testimonio di una data lezione di fronte a tutti gli altri codici che attestavano una variante pur ragionevole, poteva nascere il sospetto che la sua stessa bontà fosse il prodotto di qualche ben avveduta correzione: dal codice p, invece, e da quelli che più gli stanno presso, abbiamo dovuto non una sola volta allontanarci, per seguire la lezione dei codici della classe B o di n in cui fondatamente presumemmo, in questi casi, di riconoscere una lezione più genuina, e quale ce l'avrebbe offerta, il codice a, se ci avesse soccorso fino al termine del Trattato. In pochi luoghi fummo, infine, costretti ad emendare la lezione corrotta di tutti gli esemplari manoscritti.
Stabilito con queste norme il testo, raccogliemmo a piè di pagina alcune delle più notabili varianti degli altri codici. Trascurammo però sempre le differenze, altrettanto gravi, quanto sicuramente arbitrarie, offerteci dalla classe B e da n, nei passi in cui abbreviano il testo di A; e notammo le varietà di detti codici quasi soltanto ne' casi, in cui esse venivano ad avere importanza relativamente alle varietà de' codici della classe A. Perciò il non trovare registrata, tra le varianti di un dato passo, la lezione di B o di n, non si può avere come indizio che B od n leggano conforme al testo da noi preferito. Nè sempre abbiamo tenuto conto di differenze offerte dalla maggior parte degli altri codici, o anche da tutti, contro il solo a; poichè questo fatto ci persuadeva soltanto che la lezione buona di a non aveva avuto seguaci, laddove quella scorretta di molti altri codici risaliva ad un solo esemplare, guasto, ma che era stato largamente prolifico. Nel resto, sia quanto al seguire rispetto alla grafia il codice preferito, sia nell'annotare le varianti, si tennero criteri analoghi a quelli che avemmo occasione di esporre a proposito delle Fortificazioni.
Abbiamo creduto di poter trascurare del tutto le varianti offerte dalle edizioni. Il presente Trattato fu pubblicato la prima volta in Ravenna nel 1649 da Luca Danesi, quando già da quindici anni era stato tradotto in francese e stampato a Parigi dal P. Marino Mersenne. L'edizione del Danesi mostra d'essere stata condotta, sopra un codice spesso assai vicino a quelli della classe B, sebbene anche da questi si discosti, talora, com'è probabile, in conseguenza di mutamenti arbitrari dell'editore: de' quali mutamenti, però, noi non abbiamo certo a meravigliarci, poichè il Danesi, osando assai di più, cercò persino di far credere, aver egli compilato il Trattato da manoscritti di Galileo; e riuscì in ciò così bene, che il «Trattato di Mecaniche cavate dal Galilei» fu compreso anche in una raccolta degli scritti del Danesi fatta, a Ferrara nel 1670. La stampa Bolognese delle Opere di Galileo del 1656, pur conoscendo l'esistenza dell'edizione Ravennate, non la seguì; ma dovette essere fatta sopra un codice affine a quelli della classe A. Per la Fiorentina del 1718, se fu riprodotta la Bolognese, fu però anche tenuto a riscontro un altro codice, pur della classe A; inoltre, il testo fu ritoccato secondo emendamenti congetturali, e ammodernato quanto all'ortografia. L'edizione Padovana del 1744 si tenne a ristampare, con lievissime mutazioni, la Fiorentina. In queste tre ultime edizioni è poi omesso quanto nella presente si legge da pag. 161, lin. 9, a pag. 163, lin. 17, rimandando, per gli argomenti qui discorsi al secondo dei Dialoghi delle Nuove Scienze. L'ultima stampa Fiorentina riprodusse, invece, questo tratto, e si giovò anche de' codici a e b, non seguendoli però nè con la conveniente fedeltà, nè con norma costante.
Al Trattato propriamente detto abbiamo fatto seguire, conforme l'esempio di tutti i codici e delle precedenti edizioni, un capitolo sopra la forza della percossa, argomento al quale pure rivolse Galileo la propria attenzione nel tempo del suo soggiorno a Padova. Di tale capitolo, oltre gli otto codici contenenti intero il Trattato delle Meccaniche, conosciamo una copia (Mss. Gal., Par. V, T. V, car. 98), che certamente è quella medesima che Giovan Battista Baliani mandò, come appare da una sua lettera del 19 agosto 1639, a Galileo, desiderando sapere dal sommo filosofo, il quale sembra non serbasse più memoria di questo lavoro giovanile, se lo riconosceva per suo. Tale copia infatti è della medesima mano dalla quale il Baliani fece scrivere, firmandole poi, e la lettera or ora ricordata e quella del 9 settembre dell'anno medesimo, in cui si rallegra che Galileo abbia riconosciuto per proprio il discorso della percossa; e porta, inoltre, sul tergo del foglio bianco che la accompagna (car. 99 v.), le parole: «Della percossa. Discorso mio primo et antico», le quali possiamo ben credere siano state dettate dalla bocca stessa di Galileo, che ormai più non poteva scriverle di suo pugno. Questa copia, ancora che per tali rispetti abbia importanza notabile, non ne ha però veruna quanto al testo; che anzi è non poco scorretta; e fa classe coi codici p, b, m, r. Abbiamo perciò seguito anche per tale discorso il codice p, notando questa copia nelle varianti con la lettera π.
Come compimento poi del capitolo sulla percossa ci parve bene soggiungere un tratto della seconda Lezione Accademica, tenuta da Evangelista Torricelli sopra questa medesima materia, nel quale il grande discepolo rende conto di alcune esperienze fatte a tale proposito dal Maestro mentre era a Padova. Riproducemmo detto frammento sopra l'autografo del Torricelli (Coll. Gal., Div. IV, T. XXXIX, car. 21 v.-23 r.), annotando a piè di pagina anche qualche lezione che l'Autore poscia corresse, ma che ancora si legge sotto le cancellature; senza invece tener conto alcuno delle mutazioni, certamente arbitrarie, che ci erano offerte da una copia di pugno di Vincenzio Viviani (Coll. Gal., T. cit., car. 44 v.-46 r.), da due di mano di Lodovico Serenai (T. cit., car. 70 v.-71 r., e car. 95 r.-96 v.), e più ancora da una quarta, contenuta nel codice 587 (car. 116 r.-117 r.), della metà del secolo XVII, appartenente al principe D. Baldassarre Boncompagni, dove il testo del Torricelli è rimaneggiato con mutazioni profonde, ma prive d'ogni valore. Nella nostra edizione, da ultimo, le esperienze di cui parla il Torricelli sono illustrate da una figura, che manca nelle stampe della Lezione, ma che ci è offerta dall'autografo, dalla seconda copia del Serenai e dal codice Boncompagni.