all'illustrissimo ed eccellentissimo signore
e patrone osservandissimo
il Signor Don CARLO DE' MEDICI.
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Signore Eccellentissimo,
Molte sono state le cagioni che m'hanno indotto a scrivere e dedicarle queste mie Considerazioni sopra il Discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono: delle quali è stata la principale il cognoscere che allei per ragion ereditaria si deve la difesa delle buone arti e della filosofia. Imperciochè ella, per la rivoluzion de' tempi e per il mancamento della greca favella avendo molto oscurato il suo antico splendore, fu dalla sua Serenissima Casa, non senza infinita gloria di tanta magnificenza, in quello antico splendore restituita: cose che, per essere note a ciascuno, con troppa ingiuria della generosità di sua stirpe verrebbano particularizzate nelle magnificentissime azioni di Cosimo il Vecchio, che con simili mezzi s'aquistò il cognome di Padre della Patria, del magnifico Lorenzo, di Leone il decimo, del gran Cosimo primo Gran Duca della Toscana, e, nella nostra etade, del Suo Serenissimo Padre; onde si può dire che questo sia come arredo e pregio dovuto al generosissimo suo legnaggio. È adunque lei, per obligo di sua nobiltà, tenuta preservar le scienzie, le quali, quasi fulgentissime gioie ricevendo la luce dai raggi di Sua Eccellenza, in guisa tale ne ravviveranno loro splendore, che elleno refletteranno alla vista di ciascheduno quella luce che le tenebre di oscure nebbie gli avessero potuto offuscare, le quali nebbie, come esalazioni nubilose, all'apparir del sole di V. E. saranno sforzate al tutto dissolversi e svanire. Prenda dunque questo mio discorso, nel quale io intendo difender la filosofia, in quella guisa che l'immortale Iddio prende i piccoli doni de' mortali; il qual dono soddisfacendole, tutto attribuirò a grazia di V. E., sì come ancora de l' esser da lei con tal mezzo annoverato nel numero de' suoi affezionati servitori, del che ne la supplico.
Di Fiorenza, questo dì 2 di giugnio 1613.
Di Vostra Eccellenza Illustrissima
Umilissimo Servo
Vincenzio di Grazia.
A' LETTORI.
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Furono sempre, a presso i saggi, tutte quelle azioni in pro della verità adoperate non solamente gradevoli e care, ma ancora degne di perpetua lode; quindi è ch'io in difesa di quella e d'Aristotile, ne' Ploblemi naturali autor di essa, mi son messo a fare queste mie brevi Considerazioni sopra 'l Discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che stanno in su l' acqua o che in quella si muovono. Nelle quali io non presumo di difendere Aristotile (non facendo mestieri a sì grand'uomo di mia difesa), ma sì bene in dichiarandolo di mostrare, lui da per se stesso dalle calunie impostegli esser bastevole a difendersi: imperciochè tutte le ragioni che in esse si ritrovono dall'opere aristoteliche sono raccolte, e se niuna vene è mia propia, sarà qualche esperienza o argomento particulare, che agevolmente dai suoi universali si deduce. Il che acciò a tutti sia manifesto, mi è paruto conveniente secondo la vulgata divisione d'Averroe citar i luoghi d'Aristotile di donde si trarranno gli argomenti: onde maggiormente apparirà, come diceva Plutarco, Aristotile niuna cosa senza gran ragione affermare, e i Peripatetici alle sue ragioni, e non alla sua autorità, risguardare; ancora vedrà s'il Sig. Galileo, come e' dice, per capriccio, o per non aver letto o inteso Aristotile, si parte dalla sua opinione.
Nello scrivere filosofiche dubitazioni, di propia natura dificultose, nella nostra favella, non dirò incapace di esse, ma a quelle per ancora non molto assuefatta, suole essere non piccolo carico a coloro che lo 'mprendano a sostenere; il che cognoscendo il Sig. Galileo, quasi un anno intero impiegò nel finire e publicare il suo doctissimo Discorso: onde non ispero che 'l troppo indugio nel mandar fuori queste mie Considerazioni debba essere occasione ad alcuno di darmi biasimo; la quale speranza tanto più prende vigore, quanto il mio ritardamento dalla fortuna è stato favoreggiato. Imperciochè, parendo al Sig. Galileo essere stato nel suo Discorso alquanto oscuretto, volse, per sua cortesia, doppo cinque o sei mesi con nuove aggiunte molto meglio esplicarsi. Il perchè, oltre all'avermi reso più cauto, mi ha maggiormente aperto il campo a rispondere alle sue ragioni, come che mi abbia ancora dato grand'occasione di dubitare che per entro la mia opera molte imperfezioni non si ritrovino, e che io non abbia conseguito il mio intento in queste mie scritture. Onde mi protesto che, se in essa scrittura dal Sig. Galileo o da altri qualche imperfezione mi sarà dimostrata, non solo l'avrò per male, ma ne prometto obligo e gratitudine a singular benefizio dovuta. Questo è quello, graziosi lettori, che mi occorre dire intorno a queste mie Considerazioni, le quali spero che a voi, come desiderosi della verità, non abbino a essere discare. Vivete felici.