CAPITOLO LXII LA SEPOLTURA

Un sasso!
Che distingue le mie dall’infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte.

(Foscolo)

Io, idolatra del Carme dei sepolcri del grandissimo poeta, sono per l’onoranza ai morti e veramente, credo, che onorare la virtù nei defunti serva d’incentivo ai viventi per imitarli. Ma quando si pensa alle smodate cerimonie con cui il pretismo accompagna il viaggio finale della salma d’un potente non si può a meno di deplorare le spese e lo sfarzo.

La morte! quel tipo vero dell’uguaglianza che distrugge inesorabilmente ogni superiorità mondana e confonde in un ammasso di putredine gli avanzi dell’imperante e del mendico! la morte deve stupire di tanta differenza fra i funerali del povero e quelli del ricco! Deve stupirsi di tanto apparato alla sepoltura d’un cadavere, ridere direi (se la morte potesse ridere) per tante fandonie di lutto che sovente altro non è che gioia nell’animo del vorace erede e nei più, indifferenza.

E i piagnistei per moneta non sono cose da far compassione? Io ho veduto in Moldavia (e lo credo uso d’altri paesi) all’accompagnamento del cadavere d’un Bojardo una frotta di donne pagate per piangere.

E che pianto! e che grida, mandavano quelle sciagurate! Del dolore che ne risentivano, lascio giudicare i miei lettori.

Codesti piagnistei li ho ricordati qualche volta, alla lettura delle discussioni parlamentari, ove certa gente pagata o che spera d’esserlo si sfiata ripetendo dei bravo, bravissimo alle insulse e sovente liberticide ragioni di questo o di quell’altro primo ministro.

Il feretro del principe T. fu seguito da molta gente perché si seppe egli essere un principe e nella massa degli uomini che accompagnavano il titolo per altro colla maggiore indifferenza, si distinguevano pure alcune fisonomie meste e queste erano i veri amici del defunto: Attilio, Muzio e Gasparo. Quest’ultimo si vedeva chiaro avere gli occhi gonfi dal pianto.

La fiera natura del vecchio sovrano della campagna di Roma era stata scossa dalla perdita del suo amico e padrone a cui s’era affezionato sinceramente il che provava la buona indole dell’uno e l’eccellente cuore dell’antico proscritto.

Piangeva egli il principe? No! egli piangeva l’amico, il benefattore!

Quanti amici potrebbero avere i grandi della terra ed a poco costo se volessero aprire l’anima loro alla beneficenza e far sentire men dura l’ingiustizia della sorte a coloro cui fu matrigna.

Molti io conosco tra i grandi benefici, anzi angeli di bontà tra il sesso vezzoso, ma sono pochi in paragone delle moltitudini sofferenti e la maggioranza dei favoriti della fortuna non solo è indifferente pei tapini ma li sprezza, li scaccia da sé, li scortica in mille modi.

Cura di governo dovrebbe essere quella di migliorare la condizione del povero e non è così sventuratamente. I governi pensano alla propria conservazione e per consolidarsi corrompono gran parte del popolo col fine d’avere dei satelliti e dei complici.

La massa dei benestanti potrebbe in gran parte correggere questo capitale difetto dei governi sorreggendo i miseri e migliorandone la sorte ma non lo fanno. Pure loro sarebbe facile! se soltanto volessero privarsi d’una parte del loro superfluo. Il povero manca del necessario per sostentarsi e il ricco nuota tra le copiose vivande e gli squisiti e variati vini il più delle volte nauseato dell’abbondanza e dalla penosa sazietà.

«A che tanto dolore per la perdita d’un nostro nemico, signor Capitano?» Queste parole furon precedute da un picchio sulla spalla destra dato a Gasparo da una figura singolare che gli veniva dietro nel funebre convoglio. Il vecchio voltossi, stette un momento a considerare il famigliare suo interlocutore, e poi con una esclamazione poco convenevole alla santità della circostanza e con sorpresa dei vicini «Accidenti ai settandue! Ma sei proprio tu Marzio?!» «E chi ha da essere altro che il tuo luogotenente, mio venerabile comandante!».

Oh Dumas! Oh romanzieri francesi! che magnifica scena per voi! Qui, avevate veramente il tipo del brigand italien.

Il vegliardo, in molti mesi di vita principesca, avea alquanto ripulita la sua fisionomia brigantesca, ma Marzio conservava il feroce aspetto del masnadiero romano. Alto della persona e quadrato, era difficile sopportare senza un brivido di timore lo sguardo tagliente che due nerissimi occhi vi lanciavano saettandovi. La sua chioma, nera e pulita come l’ala del corvo contrastava colla lunga barba dello stesso colore brizzolata di grigio in molte parti. Le sue vesti eran forse poco diverse da quelle portate, quando spargeva il terrore per le romane campagne ma alquanto più pulite. Il famoso farsetto di velluto nuovo, non mancava, e se non si vedevano al di fuori di quell’indispensabile accessorio del brigante pistole o daghe. Un coltello-pugnale era di certo religiosamente nascosto dalla parte di dentro. I cappelli sono portati in diversa foggia anche dai briganti e Marzio portava il suo un po’ inclinato sulla destra, però di forma somigliante ad un cappello d’operaio. Le ghette di cuoio erano state abbandonate da Marzio ed il suo abito di color azzurro con ampie saccoccie non offriva oltre l’ampiezza alcun’altra singolarità.

La circostanza non era opportuna a lunghe espansioni.

Si leggeva però su quelle due straordinarie fisonomie un vero e mutuo sentimento di piacere e di simpatia.

Tant’è; io sono innamorato dei briganti e se fossi una donna chi sa, che non diventassi una brigantessa.

In questi tempi ove la gloria e l’onore italiano hanno avuto certi spiacevoli sfregi, dico il vero: quel pugno d’uomini chiamati briganti che per sette anni si sostiene contro un esercito numeroso altri due eserciti di carabinieri e di guardie di pubblica sicurezza un quarto esercito di guardie nazionali ed un’intiera ostile popolazione; quel pugno d’uomini dico: chiamateli come volete, sono almeno uomini di grande coraggio. E se voi signori governanti in luogo di mantenere la scellerata istituzione prete vi foste adoperati all’istruzione del popolo quegli stessi briganti in luogo di essere stromenti di reazione pretina sarebbero oggi nelle file nostre dandovi l’esempio del come si combatte, uno contro venticinque.

Dunque: Viva i briganti! meno gli assassini, s’intende.

E ancora una parola all’orecchio, signori alto-locati che m’intend’io! Quando voi assaltaste le mura di Roma (per devozione lo si sa) foste voi meno briganti derubando e sgozzando un povero popolo che vi credeva amici. Voi, non solo siete briganti, ma per di più traditori!

Ma mi direte: quelli erano repubblicani, gente infesta al mondo. E cosa eravate voi, signor Menzogna? non repubblicano certamente, perché per esserlo bisogna essere onesto. E... quanto ad onestà vi lascio metter la mano sulla coscienza... se pure ne avete una.

E a Castelfidardo, a Gaeta, non erano republicani che assaltavate! Con che legalità, con che diritto di genti? né più né meno di quello che vanti un brigante sulla strada od in casa colla sola differenza, che il brigante spoglia, e non sempre uccide, e vi siete imbrattate le mani nel sangue innocente.

Chiedo perdono al lettore d’averlo piantato per tanto tempo nel poco piacevole funerale d’un principe per disgredire favellando di grande e piccolo brigantaggio.

Giunto il convoglio al camposanto e sepolto il cadavere non una voce vi fu che in suo onore dicesse una parola di orazione funebre. Il povero principe con tutta la sua volontà di fare il bene n’era stato impedito da prematura morte.

E che cosa si sarebbe potuto dire di bontà, d’eroismo o d’altre qualità commendevoli non avendo egli avuto il tempo d’esercitarle?

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