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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Memorie

AUTORE: Garibaldi, Giuseppe

TRADUTTORE:

CURATORE: Nathan, Ernesto

NOTE: Il testo è presente in formato immagine su "The Internet Archive" (https://www.archive.org/). Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (https://www.gutenberg.org/) tramite Distributed Proofreaders (https://www.pgdp.net/).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828103028

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze

COPERTINA: [elaborazione da] "Garibaldi sulle alture di Sant’Angelo presso Capua (olio su tela, 1861)" di Gerolamo Induno (1825–1890). – Civico Museo del Risorgimento, Milano, Italia. – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Giuseppe_Garibaldi_stands_down_in_Capua,_October_1860_by_Girolamo_Induno.jpg. – Pubblico dominio.

TRATTO DA: Memorie / Giuseppe Garibaldi. — Ed. diplomatica dall'autografo definitivo / a cura di Ernesto Nathan. — Torino : Società tipografia editrice nazionale, 1907. — XV, 444 p., [3] carte di tav. : ill. ; 23 cm

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 2 maggio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1

0: affidabilità bassa

1: affidabilità media

2: affidabilità buona

3: affidabilità ottima

SOGGETTO:

BIO000000        BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA / Generale

DIGITALIZZAZIONE:

Distributed proofreaders, https://www.pgdp.net/

REVISIONE:

Barbara Magni, bfmagni@gmail.com

IMPAGINAZIONE:

Claudio Paganelli (ODT), paganelli@mclink.it

Federico Ranieri (ePub)

Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:

Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it

Ugo Santamaria(ePub)

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GIUSEPPE GARIBALDI

_____

MEMORIE

EDIZIONE DIPLOMATICA DALL'AUTOGRAFO DEFINITIVO

A CURA DI

ERNESTO NATHAN

TORINO

Società Tipografico-Editrice Nazionale

(già ROUX e VIARENGO)

1907

PROPRIETÀ LETTERARIA

(2762)

GARIBALDI NEL 1860.

[vii]

Da quando il bipede umano ha comunicato al suo simile il proprio pensiero, per desiderio fraterno di illuminarne la buaggine, o per vanità di sopravvivere a se stesso nell'opera dell'immaginazione, tracciasse giroglifici, incidesse collo stile sulla cera o scrivesse colla penna sulla carta, quando da lui qualcosa di luminoso è emanato, non è mai mancato chi l'abbia rievocato dopo la di lui morte, sia rabberciandolo ed associandolo all'opera di altri come per la bibbia, sia commentandolo, spiegandolo, restituendolo alla «corretta lezione», come si sta facendo per Dante, sia raffazzonandolo ad uso delle famiglie, come per Shakespeare, sia divulgandolo e vivificandolo, come per le ricerche degli scienziati, ridotte ad uso dei profani dall'ammirevole ingegno volgarizzatore dei Francesi. E cotesti uffici di elucidare il pensiero denso, talvolta astruso o mistico del poeta, di rendere i ritrovati della scienza accessibili alle masse, che non hanno potuto seguire il processo lento attraverso cui si giunge al risultato finale, di riassumere fatti ed eventi, perchè in breve sintesi balzi fuori il loro significato, son lodevoli, indispensabili per la più larga diffusione del sapere.

Dove, peraltro, colle migliori intenzioni, non è lecito la intromissione della mano altrui — dove nè modificazioni, nè [viii] chiose, nè compendi sono consentiti — dove l'alterazione della forma o di parte della sostanza assume quasi aspetto di sacrilegio, mancanza di rispetto alla memoria del pensatore ed a quanti vorrebbero conoscerne il pensiero, offesa alla accuratezza storica ed all'inviolabile diritto di autore, è nella pubblicazione di memorie o di autobiografie lasciate da coloro i quali hanno conquistato il diritto di essere ricordati da' posteri; sopratutto quando siano tali da appartenere alla storia, e competa quindi alla storia di giudicarli, non attraverso le chiose, le manomissioni e le considerazioni dei contemporanei, ma dai loro atti, dai loro scritti, ove consegnarono il loro pensiero, perchè ai posteri potesse essere trasmesso. Alterare di una riga quel testamento in cui il grande dispone della sua eredità morale, equivale e supera l'alterare o stornare, in tutto od in parte, la erogazione, secondo la volontà esternata, dei suoi beni materiali.

Le edizioni diplomatiche, ogni giorno più numerose, di memorie e di autobiografie attestano più generale consapevolezza di queste evidenti considerazioni, ed hanno inoltre l'enorme vantaggio di dare allo studioso ed al lettore sicura guarentigia di avere dinanzi a sè inalterato il pensiero dell'autore, quale da lui venne formolato, e non quale possa apparire più corretto attraverso l'altrui mentalità, ritoccato, limato, accorciato od allungato per soddisfare agli scrupoli dell'altrui coscienza storica o letteraria.

Sopratutto per le memorie di Garibaldi, l'obbligo di seguire quel sistema s'impose, tanto più quando si ebbe la fortuna singolare di possedere l'autografo da lui ritenuto ed affermato definitivo; autografo redatto, rivedendo e correggendo le precedenti sue note e memorie, poco tempo prima ch'egli scendesse nella tomba. Così scrisse, come Egli afferma, per la storia, e la storia ha diritto di sapere quello ch'Egli scrisse.

[ix]

Un giorno venne a trovarmi un amico con una cartella sotto il braccio. Era Ferruccio Prina. Mi è grato così ricordarlo, così denominarlo ora, dopo i tristi rovesci subìti.

Il padre suo, repubblicano genovese del vecchio stampo, di quei che non conoscevano Mazzini sotto altra denominazione che quella di Pippo, fu amico fedele di Maurizio Quadrio: del Valtellinese dal carattere forte come l'intelletto, dal cuore sensibile ad ogni gentile ispirazione, ad ogni umana pietà, maestro mio, fin da quando, per sbarcare il lunario magrissimo attraverso stenti e digiuni, mi dava, fanciullo di 11 anni, a Londra, ripetizioni di latino e di francese.

Veniva dunque il Prina per dirmi di avere acquistato un autografo di grande valore, nientemeno che quello delle memorie di Garibaldi; e, aprendo la cartella, mi spiegò sotto agli occhi le 673 pagine coperte colla nitida e caratteristica calligrafia del Generale, ereditata fedelmente con altre qualità da Menotti. Assorbito negli affari, soggiunse, non voleva tenere quel documento; desiderava che l'accettassi io, che avevo già cominciato a raccogliere manoscritti riferentisi al Risorgimento. Accettare un dono di tanta importanza, che costava al donatore una somma ragguardevole, era difficile; rifiutarlo più difficile ancora. Trovai una via di mezzo: accettai, alla condizione che il prezioso manoscritto dovesse unirsi agli altri, con atto regolare da me trasferiti allo Stato e, per esso, al futuro Museo del Risorgimento Nazionale.

Così fu combinato. M'affrettai a comunicare al ministro l'aggiunta preziosissima che così s'era fatta alla mia raccolta. Soltanto pensando, fin d'allora, al vicino centenario della nascita di Garibaldi, parve a noi opera utile ed omaggio a Lui degno, il ripubblicare quelle Memorie, offrendone copia alle maggiori biblioteche d'Italia, a fin che così fossero accessibili a tutti gli studiosi.

[x]

Ripubblicare le Memorie; ma ripubblicarle con scrupolosa osservanza del testo nei più minuti particolari.

Giuseppe Garibaldi, l'Eroe di Due Mondi, era uomo di azione. Dove v'era da sostenere la causa della nazionalità e della libertà, là fiammeggiava la sua lucente spada, segnacolo agli oppressi. Egli, nato alla nobiltà del sentimento, assorto per irresistibile vocazione all'eroismo, non aveva, da ginnasio a liceo, da liceo a università, speso la fresca gioventù, d'ideali assetata, a guadagnarsi diploma da dottore: la laurea l'aveva conseguita a bordo della sua nave, a cavallo, sulle sponde del Rio de la Plata. Partiva per il glorioso viaggio attraverso la vita, munito di scarso bagaglio letterario, nè ebbe tempo ed opportunità di accrescerlo gran fatto per istrada.

Al contrario di tanti compatrioti che, nella breve carriera, seppero scalare i più alti uffici ed illustrarsi per breve tratto nel mondo del sapere e della politica; di coloro le cui figure, innalzate su cataste di carta, spariscono, logorate e disfatte dal tempo, l'azione gli era spontanea. Consegnarne il ricordo alla stampa in bella e levigata forma, perchè giganteggiasse dinanzi agli occhi dei contemporanei e fruttasse plauso e ricompensa, non era nella sua natura, nè nei suoi mezzi. Lo stile suo, dalle molte mende, è il riflesso dell'uomo: frasi brevi, dettate militarmente, e secondo le esigenze del momento; un tratto di penna per separarle, una punteggiatura cacciata lì un po' all'azzardo; talvolta errori di ortografia, che dimostravano come, tra libri tascabili, quello a cui meno teneva, era il dizionario.

Chi è occupato a fare la storia, non si preoccupa intorno alle minuzie per prepararne la lettura agli altri. Così, talvolta, le parole nelle Memorie non sono le più appropriate ad esprimere la sfumatura del pensiero; e framezzo a tutto, traspare, deliziosamente ingenua, una pretesa di letteraria [xi] eccellenza. I grandi sono tutti così; e fin da Salomone emerge cotesta auto-inscienza. Nessuno toglieva dalla mente di Federico il Grande la persuasione di innalzarsi sui contemporanei, sopratutto come scrittore e filosofo; nè a Bismarck ch'egli fosse il più dotto degli agricoltori e uomo di spirito fine e coltivato; nè a Richelieu che in fatti di strategia avesse l'intuito del genio, lo sguardo d'aquila: così in Garibaldi era nata e cresciuta la persuasione di avere singolari attitudini letterarie.

Nella prima edizione del volume, pubblicata dal Barbèra, compilata da un benemerito patriota, amicissimo del Generale, che da breve tempo, fra il generale rimpianto, ha raggiunto la forte generazione con cui a lungo operò, Adriano Lemmi — in quella edizione le Memorie sono, per così dire, vestite un po' a festa. Dove erano errori furono corretti; emendata la punteggiatura, raddrizzata la frase, steso un velo sulle mende di forma che troppo sfacciatamente si facevano innanzi. Non fu, a mio avviso, velo pietoso, sebbene steso da mano amante ed amica, e con sincero e riverente pensiero d'affetto: fu errore. La prosa di Garibaldi, per quanto si voglia pettinare, sarà sempre incolta e difettosa, sia lodato il Signore! Nè da lui altro era da aspettarsi. Meglio, dunque, le mille volte, non cercare di mascherarne le mende, come fa il maestrucolo di disegno colle provucce dei suoi esaminandi: vada, dinanzi agli occhi dell'Italia, del mondo intero, la prosa dell'Eroe qual'è, quale sgorgò dalla sua mente, quale tracciò la sua penna negli intervalli brevi nei quali la spada rimaneva nel fodero o le gloriose ferite lo confinavano a letto; vada quella prosa, nella sua rozza semplicità, evocata dal cuore e dalle reminiscenze di una vita di avventure degna della Tavola Rotonda. Toccarla è alterarne la poesia; è voler togliere di dosso all'uomo il leggendario poncho, la camicia rossa e mettergli la marsina e la cravatta [xii] bianca delle persone per bene quando vanno in società. Chi cerca in Giuseppe Garibaldi lo scrittore, il letterato; chi non capisce che i difetti stessi della sua penna rialzano la eminenza della sua gloria, non hanno mai visto o capito di quali foglie, nel Panteon della Storia, s'intrecciano le corone di lauro che la posterità riconoscente depone sulla fronte dei grandi benefattori dell'umanità. Essi hanno il gusto pettinato e profumato dal parrucchiere di moda, ed amano gli elci e le quercie coltivati in vaso, perchè così possono figurare degnamente fra i mobili del loro salotto.

Insieme a pochi altri, pochi assai della storia contemporanea, Giuseppe Garibaldi s'erge sul piedistallo della immortalità, e dinanzi sfilano le generazioni riverenti, in ammirazione crescente, man mano che i fatti leggendari s'allontanano. Come per i mezzi toscani che a preferenza fumava ed offriva a chi gli era vicino, così per la forma più o meno linda entro cui vestiva il pensiero, la luce radiosa entro cui risplende la figura leonina non s'altera nè s'attenua; come non s'attenua, anzi più rifulge, dinanzi alle tristi polemiche che si accendano intorno al santuario degli affetti suoi più intimi: è la luce degli atti suoi, dell'eroismo, del magnanimo disinteresse, delle mai smentite aspirazioni nobili, pure e generose, che lo illumina: nè mende di stile, nè tampoco mende di uomini valgono ad offuscarla.

Dell'Eroe si riproducono qui tre fotografie. Quella dei tempi del Rio della Plata, quando sfavillava d'entusiasmo giovanile; quella del 1849, quando, condottiero delle forze della Repubblica Romana, nello zenit del suo prestigio virile, condusse i suoi legionari alla vittoria del 30 aprile, alla difesa eroica, alla ritirata epica; quella infine della maturità, ad Aspromonte, a Mentana, a Digione, quando per fede, volontà, entusiasmo sfolgorava di giovane ardore attraverso il declinare degli anni. In quel ciclo dei quarant'anni, [xiii] da quelle fotografie rappresentato, è la vita, son le memorie imperiture del campione glorioso della libertà.

Le Memorie sono un'opera pensata, l'ultima redatta in forma definitiva dal Generale. Che fosse in mente sua raccogliere fin dai primi anni della vita avventurosissima i suoi ricordi, emerge dal lavoro stesso, dalle note su cui è steso. Talvolta il pensiero primitivo, registrato sommariamente nei primi anni, subisce variazioni nella forma: l'appendice ultima porta la data: Civitavecchia 25 luglio 1875. Niun dubbio che si tratti, in mente sua, di un testamento storico e letterario, consegnato ai contemporanei ed alla posterità. Il manoscritto è tutto a penna, quasi senza una cancellatura od una correzione, la diligente copia di una minuta; e quella minuta, in lapis, esiste; è fra i documenti alla biblioteca Vittorio Emanuele, attestando, nella sua evidenza, tutto l'amore, tutto lo studio posti da Garibaldi a dare impronta precisa al suo pensiero. Dalle note, redatte o scarabocchiate nell'uno o nell'altro emisfero, alla minuta, dalla minuta al manoscritto che serve alla stampa, il processo di elaborazione si svolge semplice e chiaro sotto gli occhi nostri.

Abbondano i giudizi e le impressioni su di uomini e di eventi; nè altrimenti poteva essere in chi fra tanti uomini ed eventi aveva vissuto, cercando di guidarli verso gli alti fini ai quali aveva consacrato l'esistenza. Coteste personali osservazioni, espresse attraverso la narrazione, saranno tutte dalla storia convalidate, ovvero, quando franchi la spesa, da essa subiranno rettifica, laddove influenze esterne o predisposizioni interne valsero a velare od a contraffare in parte il vero? Comunque ciò sia; si confermi o si modifichi questo o quel giudizio, resta e resterà sempre intatto ed intangibile quanto egli scrive nella prefazione: «Nell'apprezzamento del merito individuale di ognuno che mi fu compagno — non [xiv] pretendo certo all'infallibilità — e se commisi errore — ripeto: fu involontariamente».

Dissapori, dispareri, malintelligenze non di rado sorsero fra Garibaldi e Mazzini: sugli eventi, sull'attitudine da assumersi v'era spesso divergenza di apprezzamento, e il giudizio di quegli su questi, espresso nelle Memorie, è duro ed ostile. Giustificato? Allo storico imparziale il pronunciarsi, non all'editore; ma è lecito esprimere la convinzione che in parte quelle divergenze si sarebbero evitate o non avrebbero durato qualora i rapporti fra i due fossero stati sempre diretti e personali, non turbati dall'opera di intermediari che artatamente od inconsciamente il pensiero dell'uno o dell'altro coloriva col proprio. E quando, tolte le occasioni di malintesi, avessero di conserva agito, le sorti d'Italia sarebbero quali oggi sono?

Così nelle relazioni fra Vittorio Emanuele ed il Generale. Ancor là le politiche e le politichette, i generali vecchio stile, come il calendario russo, che potevano invidiare non capire quel fulmine di guerra, gli uomini di Stato, devoti al Regno piemontese, troppo devoti perchè il loro sguardo potesse spaziare qua e là, abbracciare l'Italia tutta: questi e quelli, intromettitori e confidenti, non confusero, non turbarono, nei momenti più critici, i rapporti fra quei due grandi fattori della unità? E, se questi rapporti fossero stati limpidi, diretti, ininterrotti, le sorti delle guerre, le sorti del paese sarebbero state quali erano, sarebbero quali sono?

L'uno e l'altro sono punti interrogativi su cui noi, della generazione vicina al tramonto, non possiamo dogmatizzare; sono troppe le correnti che sviluppa il pieno della vita vissuta, perchè non ne siano alterati gli strumenti di precisione nell'osservatorio della nostra intelligenza; sono troppo vicini gli uomini e gli eventi per poterli dall'alto [xv] collocare nel nostro campo visivo e dare ad ognuno il posto ed il peso che ebbe nel risolvere od attraversare le battaglie del Risorgimento nostro: è còmpito della storia. Finito il giuoco, scomparsi per sempre i giuocatori, le simpatie, le antipatie che le loro personali relazioni svegliavano e determinavano, dirà chi esaminerà serenamente i ricordi dei tempi e da essi saprà desumere quali mosse assicurarono agli uni la vittoria, per quali errori od imprevidenze gli altri furono disfatti.

Roma, 20 maggio 1907.

Ernesto Nathan.

[1]

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