Capitolo II. I miei primi anni

Nacqui il 4 Luglio 1807 in Nizza-marittima — verso il fondo del porto Olimpio — in una casa sulla sponda del mare.

Io ho passato il periodo dell'infanzia — come tanti fanciulli, tra i trastulli, le allegrezze ed il pianto — più amico del divertimento che dello studio.

Non aprofitai il dovuto delle cure, e delle spese in cui s'impegnarono i miei genitori per educarmi — Nulla di strano nella mia giovinezza — Io ebbi buon cuore — ed i fatti seguenti, benchè di poca entità lo provano.

Raccolto un giorno al di fuori un grillo, e portatolo in casa — ruppi al poveretto una gamba nel maneggiarlo — me ne addolorai talmente — che rinchiusomi nella mia stanza — io piansi amaramente per più ore.

Un'altra volta, accompagnando un mio cugino a caccia nel Varo — io m'era fermato sull'orlo d'un fosso profondo — ove costumasi d'immergervi la canapa — ed ove trovavasi una povera donna lavando panni.

Non so perchè — quella donna cadette nell'acqua a testa prima, e pericolava la vita. Io, benchè piccolino ed imbarazzato con un carniere — mi precipitai, e valsi a trarla in salvo.

Ogni qual volta poi trattossi della vita d'un mio simile — io non fui restìo giammai — anche a rischio della mia.

I primi miei maestri furon due preti — e credo l'inferiorità fisica e morale della razza Italica, provenga massime da tale nociva costumanza. Del Sig.r Arena terzo mio maestro, d'Italiano, calligrafia, e matematica — conservo cara rimembranza.

Se avessi avuto più discernimento — ed avessi potuto indovinare le future mie relazioni cogli Inglesi — io avrei potuto studiare più acuratamente la loro lingua, ciocchè potevo fare col mio secondo maestro il padre Giaume — prete spregiudicato, e versatissimo nella bella lingua di Byron.

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Io ebbi sempre un rimorso: di non aver studiato dovutamente l'Inglese — quando lo potevo — rimorso rinnato in ogni circostanza della mia vita in cui mi son trovato cogli Inglesi.

Al terzo laïco istutore il signor Arena, io devo il poco che so, e sempre conserverò di lui, cara rimembranza — sopratutto per avermi iniziato nella lingua patria, e nella storia Romana.

Il difetto di non esser istruiti seriamente nelle cose, e nella storia patria è generale in Italia ma in particolare a Nizza, città limitrofa, e sventuratamente tante volte sotto la dominazione Francese.

In cotesta mia città natìa, sino al tempo in cui scrivo (1849) non molti sapevano d'esser Italiani; la grande affluenza di Francesi, il dialetto che tanto si somiglia al provenzale; e la noncuranza de' governanti nostri — del popolo occupandosi solo di due cose: depredarlo e toglierli i figli per farne dei soldati — tutti motivi da spingere i Nizzardi all'indifferentismo patriotico assoluto — e finalmente a facilitare ai preti ed a Buonaparte lo svellere quel bel ramo dalla madre pianta nel 1860.

Io devo dunque, in parte, a quella prima lettura delle nostra storia — ed all'incitamento di mio fratello maggiore Angelo — che dall'America mi raccomandava lo studio della mia — e più bella tra le lingue — quel poco che sono pervenuto ad acquistarne.

Io terminerò questo primo periodo della mia vita, colla laconica narrazione d'un fatto — primo saggio dell'avventure avvenire.

Stanco della scuola, ed insofferente d'un'esistenza stanziaria, io propongo un giorno a certi coetanei compagni miei, di fuggire a Genova — senza progetto determinato — ma in sostanza per tentare fortuna — Detto fatto: prendiamo un batello, imbarchiamo alcuni viveri, attrezzi da pesca — e voga verso levante. Già erimo all'altura di Monaco — quando un corsaro mandato dal mio buon padre — ci raggiunse, e ci ricondusse a casa, mortificatissimi.

Un abbate, avea svelato la nostra fuga — Vedete che combinazione: un abbate l'embrione d'un prete — contribuiva forse a salvarmi — ed io tanto ingrato da perseguire quei poveri preti — Comunque un prete è un impostore — ed io mi devo al santo culto del vero.

I miei compagni d'impresa di cui mi sovvengo, erano: [11] Cesare Parodi, Raffaele Deandreis — e non ricordo gli altri.

Qui mi giova ricordare la gioventù Nizzese: svelta, forte, coraggiosa — elemento magnifico per disposizioni di genio, sociale e militare. Ma condotta disgraziatamente su perverso sentiero — prima dai preti — secondo dalla deprevazione importata dallo straniero, che ha fatto della bellissima Cimele dei Romani la sede cosmopolita d'ogni corruzione.

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