Capitolo III. I miei primi viaggi

Oh! come tutto è abbellito dalla giovinezza ardente di lanciarsi nelle avventure dell'incognito! Com'eri bella, o Costanza! , su cui dovevo solcare il Mediterraneo, quindi il Mar Nero, per la prima volta!

Gli ampi tuoi fianchi, la snella tua alberatura, la spaziosa tua tolda — e sino il tuo pettoruto busto di donna — rimarranno impressi sempre nella mia immaginazione.

Come dondolavansi graziosamente quei tuoi marini Sanremesi — vero tipo de' nostri intrepidi Liguri!

Con che diletto, io mi avventava al balcone per udire i loro popolari canti — gli armonici loro cori — Essi cantavano d'amore e m'intenerivano m'innebbriavano, per un affetto allora insignificante — Oh! se mi avessero cantato di patria, d'Italia! d'insofferenza di servaggio — ¿E chi aveva insegnato loro: ad esser patriota, Italiani, militi della dignità umana? Chi ci diceva a noi giovani, che v'era un'Italia, una patria, da vendicare, da redimere? Chi! I preti, unici nostri istitutori!

Noi, fummo cresciuti come gli Ebrei! E non ci additarono per premio, per mèta della vita, che l'oro! Intanto l'addolorata madre mia, preparavami il necessario per il viaggio a Odessa, col brigantino Costanza, Capitano Angelo Pesante di Sanremo — il miglior Capitano di mare, ch'io m'abbia conosciuto.

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Se la nostra marina da guerra, prendesse l'incremento dovuto, il Cap.no Angelo Pesante, dovrebbe comandarne uno dei primi legni da guerra — e certamente non ve ne sarebbe meglio comandato — Pesante non ha comandato bastimenti da guerra — ma egli creerebbe, inventerebbe ciocchè abbisogna in un barco qualunque, dal palischermo al vascello per portarli allo stato d'onorare l'Italia.

E qui devo ricordare: in caso d'una guerra marittima dover il nostro paese far capitale della sua brava marina mercantile — Semenzaio di valorosi marinai non solo — ma di prodi ufficiali, capaci del loro dovere, anche nelle battaglie.

Feci il mio primo viaggio a Odessa — Cotesti viaggi son diventati così comuni — che inopportuno sarebbe lo scriverne.

Il mio secondo viaggio lo feci a Roma, con mio padre, a bordo della propria Tartana, S. ta Reparata — Roma! E Roma..... non dovea sembrarmi se no la capitale d'un mondo! Oggi la capitale della più odiosa delle Sètte!

La capitale d'un mondo — dalle sue ruine, sublimi, immense — ove si ritrovano affastellate le reliquie di ciò ch'ebbe di più grande il passato!

Capitale d'una sètta — un dì, di seguaci del Giusto — liberatore di servi! Istitutore dell'uguaglianza umana, da lui nobilitata — benedetto da infinite generazioni — con sacerdoti, apostoli del diritto de' popoli — Oggi degenerati, trattanti — vero flagello dell'Italia, che vendettero allo straniero settanta e sette volte!

No! La Roma ch'io scorgeva nel mio giovanile intendimento — era la Roma dell'avvenire — Roma! di cui giammai ho disperato: naufrago, moribondo, relegato nel fondo delle foreste Americane!

La Roma dell'idea rigeneratrice d'un gran popolo! Idea dominatrice, di quanto potevano ispirarmi il presente, ed il passato — siccome dell'intiera mia vita!

Oh! Roma, mi diventava allora cara, sopra tutte le esistenze mondane — Ed io l'adoravo con tutto il fervore dell'anima mia! Non solo ne' superbi propugnacoli della sua grandezza di tanti secoli — ma, nelle minime sue macerie — e racchiudevo nel mio cuore — preziosissimo deposito — il [13] mio amore per Roma — E non lo svelavo, senonchè allor quando, io potevo esaltare ardentemente l'oggetto del mio culto!

Anzichè scemarsi, il mio amore per Roma s'ingagliardì colla lontananza e coll'esiglio. — Sovente, e ben sovente, io mi beava nell'idea di rivederla una volta ancora.

Infine, Roma per me è l'Italia — e non vedo Italia possibile, senonchè nell'Unione compatta, o federata delle sparse sue membra!

Roma è il simbolo dell'Italia una — sotto qualunque forma voi la vogliate — E l'opera più infernale del papato — era quella di tenerla divisa, moralmente e materialmente!.

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