CAPITOLO XXXII. Ritirata su Corrientes — Battaglia del Arroyo-grande.

Noi passammo, nella notte, il fiume Espinello, e campammo sulla sponda destra dello stesso -

Nel viaggio, sino alla Esquina, primo paese di Corrientes, impiegammo tre giorni, camminando penosamente, tra isole e paludi — e ridotti alla meschina razione diaria d'un piccolo biscotto, senz'altro -

Giunti alla Esquina, migliorammo alquanto di condizione: i nostri feriti furono al coperto — ebbimo carne in abbondanza, ed ospitalità completta dalla buona popolazione di quel paese -

Vari mesi passati nella provincia di Corrientes, nulla presentarono d'interessante — Il governo della provincia progettò di armare una piccola flottiglia — ma altro non riuscì, che a farmi perdere del tempo, inutilmente -

Ebbi ordine, poi, dal governo di Montevideo, di marciare alla volta di S. Francisco, nell'Uruguay, e mettermi colla forza, agli ordini del generale Rivera — che stanziava coll'esercito in quelle vicinanze.

Traversammo dunque, tutto il territorio di Corrientes, da S. Lucia sino al passo de Higos sopra l'Uruguay — Varcammo quel passo, e scesimo sino a S. Francisco, parte per fiume, e parte per terra -

Al Salto ebbi il bene d'incontrare Anzani — fatto mercante allora — o piutosto commesso del Bresciano Rini — stabilito in quel paese da qualche tempo -

Giunto a S. Francisco, vi trovai alcuni legni da guerra nostri, di cui presi il comando -

Il generale Ribera presidente della Republica di Montevideo — era passato in Entre-rios, con tutto l'esercito nostro — ed in cotesta provincia doveva riunirvisi l'esercito Correntino — ed attaccare giuntamente l'esercito di Ourives -

Il giorno 6 Decembre 1842 — ebbe luogo nell'Arroyo-grande — la famosa battaglia, ove soccombettero i nostri — cioè [105] tre popoli combattenti per i sacri loro diritti contro un tiranno -

Io non commenterò le cause di quella sventura — perchè troppe, e lunghe a descriversi — Sicuramente però, le discordie, fomentate dall'ambizione ed egoismo di pochi aspiranti, precipitarono in sciagure immense, ed offrirono inermi, all'esterminio dell'implacabile vincitore, popolazioni intiere, e generose!

Successe all'Italia più tardi — lo succeduto alle provincie del Plata — e per li stessi elementi scaturiti dall'inferno -

In S. Francisco, ove trovai il generale Aguiar — rimasto per motivi di salute, soggiornai poco — ed ebbi presto l'ordine da quel generale — di recarmi con tutte le forze disponibili — agiungendomi alcune centinaja di militi, chiamati aguerridos — capitanati dal Collonnello Guerra — di recarmi dico: al passo di Vissillac, per cooperare all'azione dell'esercito nostro -

Giunsi coi legni a Vissillac, e vi trovai alcuni avanzi dell'esercito — cioè, materiale — ma nè un solo individuo -

Mandai alcuni esploratori, battere il campo — niente!

Era il fatale giorno 6 Decembre — sino all'ultimo uomo tutti erano stati chiamati alla battaglia — che si decideva a diciotto miglia di distanza sulle sponde dell'Arroyo-grande -

Vi è qualche cosa, oltre l'intelligenza nell'essere nostro — non si sa discernere, non si può spiegare; ma esiste — ed i suoi effetti, benchè confusi — sono un vaticinio — intendasi come si vuole tale parola — Un vaticinio, che vi reca contento od amarezza — Forse quella scintilla infinitesima — emanata dall'Infinito — e che risiede nella misera nostra scorza — ma immortale come l'Infinito pressente oltre il contatto dei nostri sensi — ed oltre la portata della nostra vista -

Nulla si scorgeva in quelle deserte campagne — quel giorno però, avea alquanto di solenne, di tetro! di desolato! — come il cuore di coloro, che spiravano, o languivano, sul campo di battaglia — calpestati dal soldato insolente! dall'ugne del destriero del truce, dell'implacabile vincitore — giubilante, per i patimenti, per le torture, per la morte del vinto! Gloria! eroïsmo! vittoria! si chiamano cotesti macelli! Ed inni e tedeum si fanno cantare da alcuni mercenari [106] chercuti! Pochissimi, furono i risparmiati in quella terribile pugna — ed il pressentimento d'un fiero disastro, da noi sentito — nulla di esagerato aveva -

Nessuno trovando, che ci dasse notizia dell'esercito — quindi nessun ordine dal capo supremo — come mi avea fatto sperare il generale Aguiar — fu deciso di sbarcare le forze tutte — lasciando piccola guarnigione nei legni — e marciare in cerca dei nostri -

Un piccolo corpo intiero, giungendo nelle vicinanze d'un esercito disfatto — può sempre essere di grande utilità ed io — ne ho fatto tante volte l'esperienza — Esso non cambierà la sconfitta in vittoria — ma potrà sempre salvare del materiale — e degli individui feriti o no che senza sostegno cadrebbero in potere del nemico -

Sovente anche — vedendo un piccolo corpo, con contegno ordinato ed impavido — benchè vittorioso il nemico — ma necessariamente anche lui disordinato dopo una battaglia è molto probabile ch'ei si fermi — e lasci ai vinti una più comoda, e men faticosa ritirata -

Tale certamente, fu il risultato del contegno dei volontari nella campagna del 1866 — alla battaglia di Custosa — Formando essi l'estrema sinistra dell'Esercito Italiano, ed incaricati della custodia del lago di Garda — alla ritirata dell'esercito, dopo la battaglia — i volontari, che in pochi occupavano la sponda occidentale del Lago — si spinsero in avanti, verso Lonato, e Rivertella — e facilitarono con tale mossa, la salvazione di materiale e di alcuni feriti, e traviati -

Io osserverò, passando, che seguendo il prediletto mio sistema del Rio-grande — non marciavo mai, in terra — senza un contingente di cavalleria — estratto dagli anfibi miei compagni di ventura — tra i quali avevo famosi cavalieri — espulsi dall'esercito di cavalleria — per irregolarità di condotta — forse per delitti — ma gente — che in generale battevasi egregiamente — e che naturalmente castigavasi quando lo meritava -

Abbenchè non trovassimo gente in quel punto — vi trovammo alcuni abbandonati cavalli — e con quelli, i miei scapestrati militi — non mancarono di riunire bentosto le sufficienti monture per il servizio d'esplorazione — l'abondanza di cavalli in quei paesi, facilita molto tale operazione -

Erimo pronti — e già si era in moto per la marcia — ma [107] un ordine del generale Aguiar ci richiamava in S. Francisco — Noi saressimo certamente rimasti vittime — trovandoci il nemico in piena campagna dell'Entre-rios — giacchè il nostro esercito rotto in quel giorno complettamente — era introvabile, ed avressimo invece trovato ruina, da cui difficilmente si sarebbe potuto scampare.

Rimbarcammo dunque, senza saperne il motivo, e senza aver potuto ottener veruna notizia degli avvenimenti -

Giunti a S. Francisco, ebbi dal Collonnello Esteves, un biglietto che principiava colle seguenti desolanti parole: «Il nostro esercito ha sofferto un contrasto» Il generale Aguiar era marciato lungo la sponda sinistra dell'Uruguay per raccogliere fuggiaschi — A me si chiedeva rimanere in S. Francisco, a proteggere il molto materiale ivi rimasto -

Nel periodo trascorso tra la battaglia dell'Arroyo-grande, ed il principio dell'assedio di Montevideo — successe quella confusione, quel prendere, lasciare, riprendere, di progetti, che accade in simili circostanze — cioè: dopo le grandi sconfitte — E fu veramente grande, intiera quasi la catastrofe dell'esercito nostro — poichè per molto tempo — non potè più ragranellarsi dello stesso, nulla che somigliasse ad un corpo di truppa — Quando si considera: che l'esercito di Montevideo andava attacare il più forte esercito, che mai si fosse veduto nell'America meridionale — insuperbito da molte e recenti vittorie — attaccarlo nella svantaggiosa posizione di trovarsi il grande fiume Uruguay alle spalle — si capisce: come i frantumi del nostro esercito, furono schiacciati, o prigionieri -

Furonvi molte paure da parte nostra, delle irresolutezze e molte defezioni individuali — come doveva necessariamente succedere, in una guerra, in cui da ambe le parti si parlava lo stesso idioma — ed i maggiori nuclei, eran della stessa terra -

Il popolo però, rispose con fermezza, con eroïsmo, all'energica voce dei generosi che lo chiamavano alla riscossa, proclamando la patria in pericolo, e chiamando tutti sotto le armi!

In breve vi fu un nuovo esercito — non così numeroso, non tanto disciplinato — ma almeno, assai più, pieno di slancio e d'entusiasmo — più penetrato dalla causa sacrosanta del dovere, che lo spingeva — Non era più, la causa d'un uomo che lo stimolava — che spingeva le moltitudini sui campi di battaglia — l'astro di quell'uomo avea tramontato [108] nell'ultimo conflitto — ed invano sforzavasi in seguito di rialzarsi — ma era la causa nazionale, davanti cui tacevano gli odi, le personalità, le miserabili dissenzioni -

Lo straniero preparavasi ad invadere il territorio della Republica — Ogni cittadino correva con armi e cavalli ad allignarsi sotto le bandiere per respingerlo — Il pericolo cresceva coll'approssimarsi dell'Esercito formidabile di Rosas, comandato dal tremendo suo luogotenente Ourives — ebbene, cresceva il brio, la devozione alla patria, di quelle popolazioni generose — Non una voce di transazione, di patteggio, coll'invasore! e già d'allora potevasi congetturare cosa era capace di costanza, di privazioni, d'eroïsmo, la nazione che sostenne nella sua capitale un assedio di nove anni — per vincere alla fine!

Io arrossisco, pensando a ciò che abbian fatto in Italia, dopo la battaglia di Novarra — Eppure l'Italia tutta bramava non soggiacere allo straniero dominio — ed anelava di combattere — ed io ho la coscienza: sia il nostro popolo suscettibile di costanza e di slancio generoso! Ma le cause!...... Oh! le cause delle nostre sciagure, sono tante!......

E tanti, sono i traditori neri neri, e moltiformi che feconda la nostra bella — e ben sventurata terra!

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