CAPITOLO XLVI. Rivoluzione a Montevideo e Corrientes — Combattimento del Dayman (20 Maggio 1846).

La rivoluzione a Montevideo in favore di Rivera, diede un crollo tremendo agli affari della Republica — La guerra cessò d'esser nazionale, e si tornò alle meschine fazioni, capitanate da un uomo qualunque, generalmente senza merito, perchè un uomo di merito per interesse individuale, non trascina il suo paese in guerre intestine, le più durevoli, e più micidiali -

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Circa nello stesso tempo accadeva la rivoluzione di Corrientes, fatta dai fratelli Madariaga, contro il venerando, e virtuoso generale Paz — Quei giovani capi, che s'erano illustrati, con fatti sorprendenti, strappando la loro patria all'esoso dominio di Rosas; per gelosia, e sete di comando, imbrattaronsi colla più sozza delle congiure, e precipitarono, così, la causa del loro paese -

Il generale Paz, fu obligato di abbandonare l'esercito Correntino, e ritirarsi nel Brasile — Il Paraguay richiamò il suo esercito dopo la partenza del generale in cui aveva fiducia — ed i Madariaga ridotti alle proprie risorse — furono battutti complettamente da Urquiza — e ricaduta quindi Corrientes, in potere del feroce Dittattore di Buenos Ayres -

Le cose di Montevideo andavan niente meglio — Rivera riposto al potere dai partitanti suoi — ne allontanò chiunque, per lui non parteggiava — In bando, andarono la maggior parte di coloro che con tanto valore avevano assunto la bella difesa — e con disinteressato amore di patria — altri staccati dagli impieghi, che onorevolmente avevan coperto — eran sostituiti da inetti devoti -

Egli trovava a Montevideo, città dei miracoli — i nuovi elementi d'un esercito — dopo d'averne perduto due — e li trasportava a las Vaccas, sulla sponda sinistra dell'Uruguay — I soldati di Montevideo erano assuefatti a vincere — e lo provarono nei primi incontri col nemico, nella campagna — A Mercedes particolarmente facevan prodigi di valore — Ma il cattivo genio che trascinava Rivera all'Arroyo-grande, e all'India muerta — lo condusse a Paysandù — ove dopo d'una vittoria — egli ebbe il suo esercito disfatto intieramente — A Maldonado, egli imbarcavasi nuovamente per l'esiglio, alla volta del Brasile — non so se più disgraziato che colpevole -

Caduto il governo di Montevideo in potere di Rivera — io ne rimasi dolente prevedendo sciagure -

Il vecchio general Medina — nominato dal governo generale in capo, nell'assenza di Rivera — non solo si piegò agli eventi — ma per maggiormente rimettersi nelle grazie del nuovo padrone, tramava contro il mio povero individuo — forse per il poco da noi compito — favoriti dalla fortuna — e ci preparava nel campo nostro stesso una rivoluzione contro los gringos (gl'italiani) coll'intento di distruggerci sino all'ultimo — Ma ingannossi -

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Italiani ed Orientali, lo dico con orgoglio: mi amavano — ed io avrei potuto senza tema di nessuno erigermi indipendente, dal nuovo ed illegale potere — ma, troppo santa, mi era la causa di quel popolo sventurato — ma buono — ma generoso! perchè io lo affligessi ancora con interni dissidi.

A Montevideo per l'ascensione di Rivera al potere, s'erano insanguinate le piazze — Al Salto s'ideò la stessa farsa — ma invano — Io mi contentai in rapresaglia di assumere come prima, il comando delle forze -

Ebbe luogo allora il bel combattimento contro le divisioni di Lamas e Vergara — i nostri perenni assediatori da lontano -

Il 20 Maggio 1846 — noi sorprendemmo — al solito con una marcia di notte — quelle forze, sulla sponda del Dayman, uno dei confluenti dell'Uruguay — Esse dopo l'affare di S. Antonio, ove avean combattutto agli ordini di Servando Gomez — s'eran rifate — riforzate in uomini e cavalli — e riocuparono le posizioni antiche, circonvicine al Salto — variando gli accampamenti — ma mantenendoli sempre, ad una marcia di distanza, circa, per la fanteria — che sola quasi incuteva loro timore — essendo la cavalleria troppo poca, e mal montata -

I nemici non mancavano di molestarci, tutte le volte che lo potevano — massime quando si usciva per riunire del bestiame — che cercavano d'allontanare quanto loro era possibile -

Un maggiore Dominguez mandato dal generale Medina per riunire una truppa di vaccine, era stato intieramente sconfitto, perdendo tutti i cavalli, alcuna gente, ed obligato il resto di salvarsi nei boschi — della sponda sinistra del fiume.

Io feci spiare la posizione del campo nemico, e nella notte del 19 Maggio, marciammo per combatterlo — Avevo cerca trecento uomini di cavalleria, e circa cento legionari (Il battaglione sacro, poveri giovani, erano stati ben decimati!) -

L'oggetto mio, era di sorprendere il campo nemico all'albeggiare — e vi riuscimmo questa volta perfettamente — Il mio bagueano (pratico) era un capitano Paolo, Americano [157] indigeno — cioè di quella razza infelice — donna del nuovo mondo, pria dell'invasione dei predoni Europei — gente che conserva sempre una peculiare pratica dei suoi campi nativi — La fanteria nostra marciò a cavallo — Marciammo tutta la notte, per venti e più miglia, e pria dell'alba, si giunse alla vista dei fuochi del campo nemico, sulla sponda destra del Dayman — Piede a terra alla fanteria, e si attaccò risolutamente in collonna senza fare un tiro -

Fu facilissima la vittoria — e la gente di Vergara nel di cui campo avevimo dato, fu precipitata nel fiume, lasciando armi, cavalli, ed alcuni prigionieri — Era però lungi dall'esser compiuto il trionfo — e me ne accorsi col chiaror del giorno -

Il campo di Lamas era diviso da quello di Vergara da un fiumicello, che avea foce nello stesso Dayman — e sentito l'attacco nel campo di questo, Lamas avea ordinato la sua gente, e preso posizione su d'una collina, che dominava i campi — Vergara colla maggior parte della gente, per il fiume avea potuto riunirsi a Lamas — Erano gente aguerrita, brava — e perciò fatta alle vicende della guerra, buone o cattive -

Dopo d'aver raccolto negli accampamenti abbandonati, tutti i cavalli servibili, perseguimmo i nemici; ma vano riuscì il proseguimento nostro — La maggior parte dei nostri cavalieri erano montati su Rodomons cavalli domati di fresco — Assai meglio montati erano i nemici, e più numerosi — Non volevo quindi arrischiare la mia giovane cavalleria — senza il sostegno dei superbi militi della legione -

Bisognò quindi desistere dal correre inutilmente dietro al nemico — e limitandosi ai vantaggi avuti, ripigliare la via del Salto — La fortuna però, volle in quel giorno favorirci maggiormente -

Noi marciavamo verso il Salto, ordinati nel seguente modo:

Uno squadrone di cavalleria, per plottoni alla testa, l'infanteria in quattro sezioni, in collonna nel centro — il resto della cavalleria alla retroguardia nella stessa guisa.

La vanguardia era comandata dal Collonnello Centurion, il centro dal maggiore Carone, e la retroguardia dal collonnello Garcia -

Due forti catene di cavalleria, comandate dai maggiori [158] Carvallo, e N. Fausto, coprivano il nostro fianco destro — su cui si trovava il nemico — La cavallada, ed i cavalli della fanteria, marciavano alla sinistra -

Il nemico, — riordinatosi, come già dissi, e riconcentrati tutti i distaccamenti, assai numerosi, considerando che cogli stessi ci assediava, benchè lontani — ammontava in numero, a circa cinquecento uomini di cavalleria. Egli riconosciuta la forza nostra, ci fiancheggiava alla destra, non lontano, tenendo una direzione parallella alla nostra — e dal suo contegno — sembrava aver l'intenzione di vendicarsi dall'insulto ricevuto di notte -

Avevo io incaricato del comando della cavalleria, il collonnello Centurione, pieno di bravura -

Comandava la fanteria il nostro Carone — a cui avevo raccomandato di tenerla intiera a qualunque costo, e sempre in collonna serrata nel conflitto — Che i movimenti, giammai fossero per conversione — ma di fianco: con un'a destra, a sinistra, o dietro fronte. A Centurion, servisse la fanteria di punto d'apogio non solo, ma di riparo, onde rifarsi a qualunque evento. Il nemico imbaldanziva — a misura che ingrossava coll'arrivo dei distaccamenti -

Noi percorrevamo amenissime colline, circa a due miglia dalle sponde del Dayman — Eravi l'erba sporgente appena, verdissima, dalla superficie del terreno, ondulato come l'Oceano, in tutta la pacifica maestà, quando non sconvolto dalle tempeste. Una sola pianta, un arbusto solo non presentava ostacolo in quei bellissimi campi — Sarebbe stato un sito ameno per un banchetto — ma in quel giorno lo fu di strage -

Giunti al limitar d'un ruscello — ove la maciega (erba indurita) era all'altezza d'uomo — non mi piacque passarlo — poichè era forza disordinarsi la piccola collonna nel passarlo uno ad uno — poi, la collina di destra copriva il grosso del nemico, e non si vedeva sul suo vertice altrochè la sua catena di volteggiatori -

Pensai giustamente, esser attaccato in quel punto, e feci fare alto — Ordinai ai maggiori Carvallo, e Fausto — ambi valorosi ufficiali — di caricare la catena nemica, respingerla oltre la collina — ed avvisarmi delle disposizioni del nemico -

E realmente — caricata bravamente la catena nemica sino al di là dell'eminenza — si fermarono i nostri — e da un ajutante al galoppo, fui avvisato che il nemico convergeva [159] a sinistra, e marciava su di noi con tutte le sue forze al trotto, ed in disposizione di battaglia -

Non v'era tempo da perdere — I plottoni della cavalleria nostra delle ale, eseguirono la loro conversione a destra — e furono riforzati subito dalle catene nostre riconcentrate -

L'infanteria fece per il fianco destro — ed in buon [ordine] si marciò sul nemico -

Quando la linea nostra di battaglia, si presentò sul vertice dell'eminenza — la linea del nemico spuntò a tiro di pistola, marciando su di noi -

Qui devo confessare: io vidi far al nemico un movimento dal centro alle ali, di cui la sola cavalleria Americana credo capace — e che prova con qual gente aguerrita noi avevimo da fare — Egli non volendo cozzare contro la fanteria che temeva — si aprì dal centro, e convergendo i suoi plottoni: quei di destra a destra — di sinistra a sinistra, eseguendo così un semicircolo; piombarono sulle nostre due ali, sempre a galopo — e le avrebbero distrutte — senza il convergere, e la carica simultanea dei plottoni nostri -

Subito ch'io avevo scoperto il nemico — per profitar dell'impeto, ordinai la carica di fronte — Ma dai movimenti suddetti, risultò il primo cozzo di sola cavalleria, e com'era da prevedersi con la peggio dei nostri inferiori di numero e di bontà dei cavalli -

La fanteria rimase per un pezzo inutile ed isolata — Comunque restata nel centro del conflitto — or ferma e compatta com'un fortino — ed ora movente a tutta possibile celerità ove la mischia più ferveva — servì molte volte a riordinar al coperto del suo palladio — i dispersi nostri cavalieri — che benchè rotti dal nemico, pugnavan come leoni e si riformavan poi dietro di noi.

Una piccola riserva di cavalleria nostra — rimasta alla custodia della cavallada — concentrandosi sulla fanteria, servì pure molto al riordinamento dei rotti nostri plottoni.

Varie furon le cariche di cavalleria d'ambe le parti — e varia la fortuna — Era un oscillare di plottoni, or compatti, or disfatti — Non so da che parte vi era più valore -

Il nemico superiore in numero, ed in bontà di cavalli — cacciava i nostri sulla fanteria — e spesso misurava le sue lancie colle bajonette — I nostri rifatti coll'apogio [160] dei fanti — rintuzzavano quello lontano — combattendo corpo a corpo -

I giovani Italiani poi — com'eran belli in quel giorno! compatti com'un baluardo, ed agilissimi accorrevano ovunque li richiedeva il bisogno — naturalmente, sempre al più folto della mischia — fugando sempre i persecutori dei compagni cavalieri — Pochissime le fucilate, ma misurate e certe — diradavano e sconvolgevano i nemici -

Infine dalla moltiplicità delle cariche — perdendo il nemico l'ordinanza, non era più che una massa informe — Al contrario sostenuti dalla fanteria — potevano sempre i nostri facilmente riordinarsi.

Circa una mezz'ora avea durato il conflitto in quella guisa — quando non più acozzati da forze ordinate — rifacendosi i nostri in alcuni plottoni compatti — si lanciarono ad una carica decisiva — Piegò il nemico, si sbandò del tutto — e principiò a fuggire — Una nube di bollas solcò l'aria allora, e formava curioso spettacolo — se oggetto di curiosità possa esser la strage sotto qualunque forma -

Io conto il soldato Americano di cavalleria, non secondo a nessuno, in ogni specie di combattimento — In una sconfitta poi, credo non vi sia l'uguale, per perseguire un nemico e catturarlo — Vero centauro, nessun'ostacolo del campo ferma la sua corsa — Un albero non permette di passare diritto, esso si piega sul dorso del destriero — e scomparisce confuso colla sua schiena — Se un fiume — l'Americano vi si precipita coll'arma ai denti, e va a ferire il nemico nel bel mezzo dell'onde — Oltre alle bollas poi, il terribile ed indivisibile coltello — istromento compagno di tutta la vita — che maneggiano con destrezza unica — e forse un po' troppo -

Sventurato quel nemico, il di cui cavallo stanco e bolleado — non [161] può sottrarsi al coltello del persecutore — Scendere da cavallo — passare il coltello alla gola d'un caduto — e rimontare per ragiungerne altri — io impiego più tempo a descriverlo — Il costume costante di solo alimento carnivoro — e l'abitudine di spargere sangue vaccino ogni giorno — è probabilmente causa di tale facilità all'omicidio -

Tali consuetudini e con gente coraggiosa senza esagerazione — fa sì — che s'impegnano alcune volte anche dopo la vittoria — pugne singolari da inorridire — Una di quelle risse, erasi impegnata, non lontano da me tra un nemico a cui era stato ammazzato il cavallo ed i nostri — Caduto egli combattè a piedi contro chi lo avea rovesciato — e mal governo ne faceva — quando giunse un altro dei vincitori — poi un altro — finalmente contro sei pugnava quel prode — ed in ginocchio, perchè ferito in una coscia quando io giunsi — e tardi giunsi per salvare la vita d'un tanto uomo -

Il trionfo fu completto, e rotto intieramente il nemico — si perseguì per varie miglie — Il risultato immediato di quella vittoria, non fu quale doveva essere — per non aver noi migliori cavalli — e perciò molti de' nemici si salvarono — Ciononostante, per tutto il tempo che rimasimo nel Salto, ebbimo la soddisfazione di veder quel bel dipartimento libero da' nemici -

Mi sono disteso alquanto nella narrazione del fatto d'armi del 20 Maggio — per esser stato quello veramente un bel fatto ed onorevole — combattutto in magnifico terreno e sgombro da ogni ostacolo — in un clima e sotto un cielo, che ci ricordava la bella patria nostra — Qualunque mossa — qualunque gesta era all'evidenza — Contro un nemico aguerrito, e superiore in numero, e nella qualità de' suoi cavalli — principale elemento di quel genere di guerra — Varie, e singolari pugne a cavallo, con pari valore -

La cavalleria nostra, per le condizioni d'inferiorità suddette — fece veramente miracoli in quel giorno — Circa alla fanteria, io rapporterò il detto del maggiore Carvallo — il quale compagno nostro in S. Antonio, e nel Dayman, — in ambi conflitti avea pugnato da prode qual era — ed in ambi avea toccato una palla nel volto — sotto gli occhi, alla distanza di due ditta, e nella prominenza della guancia — una a destra — a sinistra l'altra — formando perfetta simmetria -

Egli fu ferito al principio della pugna — e non volle [162] abbandonare il campo di battaglia — Mi chiese poi, al termine della stessa — di recarsi al Salto, onde potersi far medicare.

Passando sotto la batteria della città — le fu chiesto dell'esito della giornata — Egli rispose: (e poteva parlar poco) «La fanteria Italiana è più solida della vostra batteria» -

Io bramo: ciò resti ben impresso nella mente dei nostri giovani Italiani — cui, credo: toccherà sventuratamente ancora — misurarsi coi boriosi nostri vicini — e che comunque sia — e comunque si voglia presumere — per colpo di governo, e di preti, noi siamo ben lontani dal possedere i requisiti morali e materiali — necessari per combattere dovutamente i prepotenti invasori -

«Cavalleria! Cavalleria!» io ho udito gridare dai nostri ragazzi — e vergogna a dirlo — gettar le armi e fuggire — sovente davanti ad un immaginario pericolo — Cavalleria!... ma gl'italiani di S. Antonio e del Dayman ridevano della prima cavalleria del mondo — E ciò in tempi — ove possedevano cattivi fucili a pietra — Che sarà oggi — con armi cotanto perfette!

Noi siamo inferiori in cavalleria a tutte le nazioni vicine, solite a calpestare i nostri diritti e che potrebbero ancora usare contro di noi delle prepotenti velleità — Senza disprezzare la cavalleria utilissima in certe circostanze di guerra — conviene assuefare i nostri giovani militi, e famigliarizzarli all'idea: che la fanteria deve non mai temere la cavalleria -

Io suppongo una compagnia di cento uomini — come si trovava al Dayman — serrata in massa — occupando uno spazio di dieci metri quadrati — Per numerosa che sia la cavalleria nemica — appena cinque cavalieri di fronte potranno caricare uno dei lati della massa, che potrà far fuoco su due ranghi — cioè venti militi — Lascio pensare: se, ove la fanteria non si sgomenti, i cinque o dieci cavalieri caricanti giungeranno mai ad incrociare i loro ferri colle bajonette — al punto di perfezione in cui sono giunte le odierne armi della fanteria –

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