Capitolo II. A Milano.

Il proposito nostro: dalla partenza d'America, era stato di servire l'Italia, e combattere i nemici di lei, comunque fossero i colori politici, che guidassero i nostri alla guerra d'emancipazione -

La maggioranza dei concittadini, manifestava lo stesso voto — ed io dovevo riunire il piccolo nostro contingente a chi combatteva la guerra Santa — Era Carlo Alberto il condottiero di chi pugnava per l'Italia — ed io mi dirigevo a Roverbella — quartier generale principale allora — ad offrire senza rancori il mio braccio, e quello de' compagni, a colui che mi condannava a morte nel 34 -

Lo vidi, conobbi diffidenza nell'accogliermi, e deplorai [175] nelle titubanze ed incertezze di quell'uomo — il destino male affidato della nostra povera patria.

Io avrei servito l'Italia agli ordini di quel re — collo stesso fervore, come se Republicana fosse; ed avrei trascinato sullo stesso sentiero di abnegazione quella gioventù, che mi concedeva fiducia -

Far l'Italia una e libera dalle pestilenze straniere era la meta mia — e credo lo fosse dei più in quell'epoca — L'Italia non avrebbe pagato d'ingratitudine, chi la liberava -

Io non solleverò la lapide di quel defunto — per pronunziarmi sul suo contegno — ne lascio alla storia il giudizio — dirò soltanto; che chiamato dalla posizione, dalle circostanze, e dalla generalità degli Italiani, a guida, nella guerra di redenzione — ei non corrispose alla concepita fiducia e non solo, non seppe adoperare gli elementi immensi, di cui poteva disporre — ma ne fu l'oggetto principale di ruina.

Da Genova marciavano i miei compagni verso Milano, sotto l'infausta impressione generalmente prevalsa, e senza dubbio suscitata da nemici — dell'inutilità, e perniciosa influenza dei corpi volontari -

Mentre io correvo da codesta città a Roverbella, da Roverbella a Torino — e quindi a Milano, senza poter ottenere di servire il mio paese, sotto nessun titolo -

Casati, del governo provvisorio di Lombardia, fu l'unico, che credete potersi valere dell'opera nostra, agregandoci all'esercito Lombardo — Collo stabilirmi in Milano, terminai dunque le mie scorrerie da vagabondo -

In Milano, il governo provvisorio, incaricavami dell'organizzazione di vari frammenti di corpi includendovi i pochi miei compagni d'America — e le cose non sarebbero andate male, senza l'ingerenza malefica d'un ministro reggio, Sobrero — le di cui mene, ed indefinibili procedimenti mi racapricciano tuttora -

I membri del governo provvisorio collocati dalle circostanze, in quella posizione — eran dabbene io credo, ad onta di manifestate opinioni politiche contrarie alle mie — ma certamente mancavano d'esperienza, e non erano gli uomini adeguati a quei tempi d'urgenza e di convulsioni -

Sobrero aprofittavasi della loro debolezza, e li trascinava a sua voglia — e padroneggiata da Sobrero quella buona gente senza esperienza, camminava verso il precipizio senza accorgersene -

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La febbre acquistata nel mio viaggio a Roverbella, e le conferenze con Sobrero — che fra le altre antipatie avea quella della camicia rossa — che diceva: troppo apparente alle fucilate nemiche — mi resero il soggiorno della bella e patriotica città delle cinque giornate — insoportabile — e respirai giubilante, il giorno in cui sortivo dalla capitale della Lombardia, diretto su Bergamo con un pugno di gente nuda, e mal'armata — un'altra volta per organizzare — destino niente adeguato all'indole mia — ed alle scarse mie cognizioni di teorie militari -

Si osservi: che tale mia gente, componevansi per la maggior parte di depositi, o di scarti, dei corpi volontari che militavano nel Tirolo — viziati da lunga dimora nella capitale -

Fu brevissimo il nostro soggiorno in Bergamo -

Mentre si erano prese alcune misure, ed osservazioni di difesa — mentre si trattava — con ogni mezzo possibile di chiamare alle armi quelle brave popolazioni — e si spedivano agenti nelle valli, e montagne a riunirne i robusti abitatori — per mezzo principalmente, dei nostri incomparabili Davide e Camuzzi, la di cui influenza era somma — e le di cui opere faticose, finirono per riuscire intieramente nulle dalla precipitata partenza — ordine perentorio da Milano ci richiamava, ove ragiungere l'esercito nostro in ritirata davanti agli Austriaci — e per prender parte alla gran battaglia, che doveva aver luogo presso quella città Sotto buoni o cattivi auspici — si trattava finalmente di combattere — e non vi fu tempo perduto -

Vari depositi di battaglioni Piemontesi — ed altri che si stavano formando sotto la direzione del prode Gabriele Camuzzi — con due piccoli pezzi d'artiglieria, ben disposti appartenenti allo stesso — e la piccola collonna, formata con il nome di Legione Italiana, e guidata dai veterani di Montevideo — in tutto più di tre milla uomini, marciavano ardentemente per cooperare alla decisione delle sorti della patria -

In Trecate, si lasciarono bagagli e sacchi, per poter marciare più celeremente — Vicini a Monza, si ebbe l'ordine di operare sulla destra del nemico — e già si pigliavano le disposizioni all'uopo mandando esploratori a cavallo per saperne i movimenti e le disposizioni — Ma giunti a Monza, vi giungeva contemporaneamente la notizia della capitolazione e dell'armistizio; e torrenti di fuggitivi non tardarono ad ingombrar le strade -

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Io avevo veduto poco tempo prima l'esercito piemontese sul Mincio — e l'anima mia avea palpitato d'orgogliosa fiducia, alla vista di quella bella gioventù impaziente di trovare il nemico — Io convissi tra vari ufficiali di quell'esercito alcuni giorni — già fatti alle fatiche del campo — coll'ilarità del guerriero sospirando battaglie — Oh! certo, io avrei speso la mia vita con giubilo al lato di codesti prodi — se un conflitto vi fosse accaduto, co' nemici dell'Italia -

Oggi, si diceva quell'esercito in rotta, senza sconfitte, morendo di fame nella pingue Lombardia, col Piemonte e la Liguria alle spalle; e senza munizioni, con Torino, Milano, Alessandria, Genova intatte, ed una nazione intiera, volenterosa e pronta ad ogni chiesto sacrificio -

Eppure ricadeva nel servaggio, l'Italia! Disfatta a brani — e non apparì la mano capace di raccoglierli, e spingerli in fascio contro i nemici ed i traditori! Essi riuniti e ben guidati, erano bastanti per traditori e nemici!

Armistizio, capitolazione, fuga, furon notizie che ci colpiron come fulmine l'una dopo l'altra — e con esse la paura e la demoralizzazione — tra popolo, nelle fila e dovunque -

Certi codardi, che sventuratamente trovavansi tra la mia gente, abbandonarono i fucili sulla stessa piazza di Monza — e cominciarono a fuggire in tutte le direzioni — i buoni adirati, e scandalizzati a tanta vergogna, puntavan le armi per fucilarli; e per fortuna io e gli ufficiali, potemmo prevenire l'eccidio, ed impedire un completto scompiglio — Castigaronsi alcuni dei fuggenti — altri furono degradati e cacciati -

Tale stato di cose mi decise ad allontanarmi da quel teatro di sciagure — e dirigermi verso Como, coll'intenzione di trattenermi in quell'alpestre paese, aspettando il risultato degli eventi — e deciso a far la guerra di bande se altro non si poteva -

Da Monza a Como, mi comparì Mazzini colla sua bandiera «Dio e popolo» — Egli si riunì a noi in marcia, e seguì a noi riunito sino a Como — Da Como passò in [178] Svizzera — mentre io mi disponevo di tener la campagna nei monti Comaschi — Molti dei suoi aderenti, o supposti, lo accompagnarono e lo seguirono sulla terra straniera — Ciò naturalmente servì di stimolo ad altri, per abbandonarci — e si diradarono quindi le nostre fila -

A Milano io avevo commesso l'errore, che Mazzini mai mi ha perdonato, di suggerirli: non esser bene il trattenere una quantità di giovani — colla promessa di poter proclamare la Repubblica — mentre esercito e volontari combattevano gli Austriaci -

Giunti in Como vi trovammo meno disordine — però non meno lo sgomento cagionato dai successi funesti di Milano e dell'esercito –

2º periodo.

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