Capitolo VIII. Difesa di Roma.

La permanenza della Legione in S. Silvestro — fu di breve durata — ed ebbimo, all'altro giorno, l'ordine di accampare sulla piazza del Vaticano — e quindi di guarnire le mura da Porta S. Pancrazio a porta Portese — Era imminente l'avvicinamento dei Francesi, e bisognava prepararsi a riceverli.

Il 30 Aprile doveva illuminare la gloria dei giovani ed inesperti difensori di Roma — e la fuga vergognosa dei soldati dei preti e della reazione -

Il sistema di difesa del generale Avezzana, era degno di quel veterano della libertà — Egli con attività instancabile, avea proveduto ad ogni cosa, e trovavasi su tutti i punti, che potevano abbisognare della di lui presenza -

Incaricato della difesa da S. Pancrazio e Portese — io avevo stabilito fuori di quelle porte — dei forti posti avanzati — aprofitando perciò dei dominanti palazzi di Villa Corsini (quattro venti), Vascello — ed altri punti adeguati alla difesa -

Osservando le imponenti posizioni di quei fabricati, era facile dedurne: che conveniva non permetterne il possesso al nemico — e che una volta perduti — difficile, ed impossibile sarebbe riuscita la difesa di Roma -

Nella notte che precedeva il 30 Aprile — io, non solo mandai esploratori sulle due strade, che conducevano alle porte da noi guardate — ma due piccoli distaccamenti ebbero ordine d'imboscarsi — sull'orlo della via — in distanza da poter cogliere almeno, alcuni esploratori nemici -

Al far del giorno, io avevo davanti a me, in ginocchio, [206] un soldato nemico di cavalleria, chiedendomi la vita. Io confesso: che per insignificante che fosse, l'acquisto d'un prigioniero — me ne allegrai, ed augurai bene della giornata — Era la Francia inginocchiata, facendo ammenda onorevole per la vergognosa ed indegna condotta de' suoi governanti -

Il prigioniero era stato fatto dal distaccamento, agli ordini del giovane Nicese, Ricchieri — con molta bravura e sangue freddo — Una squadra di esploratori nemici, era stata posta in fuga dai nostri — ed i fuggenti, benchè superiori in numero — abbandonarono anche alcune armi -

Conoscendo l'avvicinamento d'un nemico, è sempre proficuo eseguire alcune imboscate sulle strade ch'egli deve percorrere per avvicinarsi — Vi sono due vantaggi quasi sicuri: il primo di conoscere ove ha raggiunto la testa di collonna nemica; il secondo, di acquistare alcuni prigionieri -

Intanto dalle dominanti alture di Roma, scoprivasi l'esercito nemico che si avvicinava con precauzioni e lentamente — Seguiva la via che viene da Civitavecchia a Porta Cavalleggieri — marciando in collonna — Giunto a tiro di cannoni, stabilì alcuni pezzi di artiglieria in punti dominanti — e spiegò alcuni corpi che marciarono risolutamente all'assa[l]to delle mura -

Era veramente disprezzante il modo d'attaccare del generale nemico: don Quisciotte all'assalto dei molini a vento — Egli attaccò non in altra guisa — che se non vi fossero stati baluardi — o se questi fossero stati guerniti con bimbi — Veramente per sbaragliare quattro brigands d'Italiens — il generale Oudinot virgulto d'un maresciallo del primo impero — non avea creduto necessario: procurarsi una carta di Roma. Egli però, s'accorse ben presto ch'erano uomini che difendevano la loro città contro mercenari — che avevano il solo nome di Republicani — e cotesti prodi figli d'Italia, dopo d'aver lasciato, con molta calma, avvicinar il nemico — lo fulminarono con fuoco di moschetti, di cannoni — e ne distesero non pochi, di coloro che più s'erano avanzati -

Dall'alto dei Quattro venti, io avevo osservato l'attacco del nemico — ed il bel ricevimento fatto dai nostri di porta Cavalleggieri — e dalle mura attigue — Un attacco sul fianco destro nemico, mi sembrò cosa da non disprezzarsi — e vi spinsi due compagnie che lo posero in molta confusione — Sopraffatte però da un numero assai superiore di [207] nemici — esse furono obligate di ripiegarsi sulle posizioni di sostegno — cioè dei casini esterni di quella parte di Roma -

In quel primo incontro, ebbimo a deplorare la perdita del prode Capitano Montaldi -

Chi ha conosciuto Goffredo Mameli, ed il Capitano De Cristoforis — si farà un'idea di Montaldi — Lo stesso fisico, e l'anima stessa — Montaldi assisteva ad un combattimento, comandando i suoi militi — collo stesso sangue freddo che al campo di manovra — od in una conversazione, con un crocchio di amici -

Egli non avea forse, tanta istruzione — quanto i due prodi campioni della libertà Italiana summentovati — ma la stessa intrepidezza, lo stesso valore — e lo stesso genio — Che stoffa da generale! Di cui l'Italia conserva sempre la stampa — ed a cui essa deve affidare i suoi figli — nel giorno del giudizio di alcuni prepotenti — o del lavacro d'alcun oltraggio.

Egli fece parte della legione Italiana di Montevideo — dal principio della sua formazione — essendo giovanissimo allora — ma partecipò ad innumerevoli combattimenti, colla consueta bravura — e fu dei primi ad iscriversi tra coloro che da Montevideo — varcavano l'Oceano per venir a servire la causa patria — Genova può con orgoglio incidere il nome di Montaldi, accanto a quello del suo vate guerriero: Mameli -

I Francesi giunti sotto le nostre posizioni dei Casini — furono ricevuti dai fuochi incrociati dei nostri posti — e si fermarono coprendosi dietro le accidentalità del terreno — e dietro ai muri delle numerose ville dei dintorni — e di là sparando a tutta possa -

In tale stato durò alquanto il combattimento; ma giunti, a noi rinforzi da dentro, si caricò il nemico con vigore, che perdette mano mano terreno — sinchè volto in precipitosa ritirata — Il cannone dalle mura ed una sortita dei nostri da porta Cavalleggieri, complottarono la vittoria — Il nemico lasciò alquanti morti — e varie centinaja di prigionieri — ritirandosi sconquassato, e senza fermarsi sino a Castel Guido -

Al prode generale Avezzana, che avea organizzata la difesa si deve il principale onore della giornata — Egli instancabile mostravasi durante la pugna — ovunque più ferveva — ed animava colla voce, e colla maschia sua presenza, i nostri giovani militi -

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Il generale Bartolomeo Galletti, colla sua legione Romana — ci furon compagni durante l'azione — e contribuirono assai alla vittoria — così il generale Arcioni con un corpo da lui comandato — benchè giunti tardi, cooperarono alla sconfitta del nemico — e fecero pure buon numero di prigionieri -

Un battaglione di giovani Universitari, ed altre frazioni di corpi, agregati alla legione durante la pugna si comportarono pure egregiamente -

Un collonnello Haug Prussiano — lo stesso che fu generale con noi nel 66 — mi servì in tutta la fazione, da ajutante di campo, con molto valore, e sangue freddo — Marrocchetti, Ramorino, Franchi, Coccelli, Brusco (Minuto), Peralta — e tutti i miei compagni di Montevideo — sostennero la loro riputazione di bravura — sì giustamente acquistata -

I valorosi Masina, Daverio, Nino Bonnet — ed altri prodi, di cui vorrei ricordare i nomi — ebbero un contegno brillante -

Questo primo fatto d'armi, contro truppe aguerrite — rialzò molto il morale dei nostri legionari — e ben lo provarono nei susseguenti -

Il giorno che seguì l'attacco dei Francesi — io ebbi ordine di osservarli — e mossi colla legione, ed alcuna cavalleria verso Castel Guido — ove stettimo parte della giornata in vista del nemico -

Verso il pomeriggio giunse un medico Francese parlamentare — e lo inviai al governo -

Il generale Oudinot sentendosi debole per l'attacco di Roma, cercò di temporeggiare con trattative diplomatiche — aspettando intanto rinforzi dalla Francia — Noi avressimo potuto, profittando della sua debolezza e della sua paura, riccacciarlo in mare — e poi avressimo fatto i conti -

In Maggio ebbero luogo i due fatti d'armi di Palestrina, e di Velletri — In ambi la legione si coprì di gloria -

Giunti in Palestrina i soldati del Borbone di Napoli — che da tempo avevano invaso il territorio Romano — in combinazione con Francesi, Austriaci, e Spagnuoli — ci attaccarono, e furono complettamente respinti — Vi si distinsero Manara co' suoi prodi bersaglieri — Zambianchi, Marrocchetti, Masina, Bixio, Daverio, Sacchi, Coccelli, ecc. — A Vellettri, ove comandava il generale in capo Roselli, fu alquanto più serio il combattimento, per trovarsi il re di Napoli in persona con tutte le forze del suo esercito — e noi con circa otto milla uomini d'ogni arma -

GARIBALDI NEL 1849.

[209]

Partiti da Roma per porsi alle spalle dell'esercito Napoletano — seguimmo la via di Zaccarolo a Monte Fortino — Io ero destinato dal generale Roselli, al comando del corpo di battaglia — ma trovandosi di vanguardia il collonnello Marrocchetti, colla legione Italiana — a me specialmente attacata, sin dal principio della sua formazione — e composta per la maggior parte de' miei vecchi fratelli d'armi — e marciai quindi colla vanguardia — raccogliendo, dagli abitanti, notizie del nemico, che facevo pervenire al quartier generale principale -

Dalle notizie raccolte con cura, io potei dedurre: esser il nemico in via di ritirata, e non m'ingannai — Giunto colla vanguardia sulle alture che dominano Vellettri verso Monte Fortino, feci fare alto, e riconoscendo il terreno — feci spiegare la legione a destra e sinistra della strada che conduceva a Vellettri — Il terzo reggimento di linea appartenente anche alla vanguardia — rimase parte in collonna di riserva sulla strada, ed alcune compagnie scaglionate destra e sinistra nelle vigne laterali che dominavano la stessa strada incassata — Due pezzi d'artiglieria furon collocati in dietro del terzo reggimento, su d'una posizione dominante — e che infilava la strada — La cavalleria di Masina, parte in avanti come esploratori, e parte in riserva -

Il nemico avea fatto marciare verso Napoli, per la via Appia, i bagagli, e la grossa artiglieria — ma avendo ancora la maggior parte delle sue forze in Vellettri — e informato del piccolo numero delle nostre che le stavano a fronte — volle almeno tentare una riconoscenza — Fece avanzare quindi una collonna sulla strada, alla nostra direzione, sostenuta e coadjuvata da forti linee di tiratori sui fianchi nelle vigne — ed attaccò i nostri avamposti — che spinse con molta furia, e rovesciò sul grosso nostro -

Una vanguardia della sua cavalleria, aveva caricato, per la strada, i pochi cavalieri nostri che si trovavano sulla stessa in esploratori — e per sostenerli io feci caricare i cavalieri nemici dalla piccola nostra riserva di cavalleria — che bravamente li rispinsero — Ma giunta questa sul ciglione della collina, nella stessa strada, s'incontrò colla testa di collonna principale, che spuntava marciando contro di noi; e naturalmente retrocesse ricaricata dai cavalieri Borbonici — Siccome i nostri cavalli eran per la maggior parte giovani, e non aguerriti essi vennero in dietro in tutta [210] furia; ciocchè sembrandomi poco decente, in presenza di tanti amici e nemici — io commisi l'imprudenza d'attraversar il mio cavallo per frenar la carriera dei nostri — e così fecero alcuni ajutanti miei ed il mio prode nero assistente Andrea Aguiar -

In un momento nel sito da me occupato — si vide un mucchio d'uomini e cavalli rovesciati — Incapaci di frenare i loro cavalli, i cavalieri nostri — diedero con tanta furia su di noi, che ci rovesciarono, e caddero loro stessi, formando così un monticino informe in quella strada incassata — ove sarebbe stato impossibile ad un solo fante di transitare — tanto era ingombra -

I cavalieri nemici giunsero a sciabolarci — e fummo salvati dalla confusione in cui ci trovavamo — Subito dopo poi, i legionari nostri schierati nelle vigne destra e sinistra della strada — alla voce dei loro ufficiali — caricarono energicamente il nemico, lo respinsero, e ci tolsero da quel desolante impiccio — Una compagnia di ragazzi che avevo alla mia destra — vedendomi caduto, si scagliarono sui nemici da furibondi — Io credo: dovetti, principalmente, la mia salvezza a quei valorosi giovani — poichè, essendomi passati, cavalieri e cavalli sul corpo, io n'ero rimasto contuso al punto di non potermi movere -

Rialzato finalmente con molta fatica, io mi tastavo le membra per sentire, se ve n'era alcuno rotto -

La carica dei nostri, sulla destra ch'era la dominante — e quindi la chiave della posizione — condotta dai prodi Masina e Daverio — fu spinta con tanto impeto, che poco mancò, non entrassero i nostri mischiati ai nemici dentro Vellettri -

Più vicini alla città, io potei assicurarmi vieppiù, che le disposizioni del nemico, erano per la ritirata — Oltre alle notizie ch'io avevo raccolto — della marcia del bagaglio e grossa artiglieria — vedevo chiaramente la cavalleria nemica, ordinata in scaglioni — al di là di Vellettri, lateralmente alla via Appia — cioè su di quella per cui doveva ritirarsi.

Fratanto io inviavo rapporto d'ogni cosa al generale in capo — ma sventuratamente trovavasi il corpo d'esercito nostro, trattenuto in dietro, verso Zaccarolo — aspettando i viveri che tardavano a giungere da Roma — Io all'incontro — avevo fatto mangiar la gente, cammin facendo — avendo [211] fatto ammazzare dei bovi — che si trovavano in abbondanza, nelle ricche tenute contigue appartenenti a cardinali -

Finalmente il generale in capo — e le prime teste di collonne nostre, giunsero verso le 4 p.m. — avendo noi combattutto nelle prime ore del giorno -

Molto durai a far credere alla ritirata del nemico — ma invano — Nonostante il generale Roselli — ordinò al suo arrivo un attacco di riconoscenza — e fece, dopo, prendere alla truppa, le disposizioni idonee per l'assalto nella mattina seguente — Ma il nemico trovò a proposito di non aspettare il nostro comodo — e sgombrò Vellettri nella notte — facendo scalzare i soldati — e fasciare le ruote dei cannoni — per poter ritirarsi con più silenzio -

All'alba si seppe: esser la città sgombra — e dalle alture di questa — scoprivasi il nemico ritirandosi velocemente per la via Appia verso Terracina e Napoli — Da Vellettri il corpo nostro principale si ritirò a Roma — col generale in capo — ed io ebbi ordine da questo d'invadere lo Stato Napoletano, per la via d'Anagni, Frosinone, Ceprano, e Rocca d'Arce, ove giunsi coi bersaglieri Manara che facevano la vanguardia — Il reggimento Masi, la legione Italiana, e poca cavalleria seguivano il movimento -

Il prode collonnello Manara, che faceva la vanguardia co' suoi bersaglieri, perseguì il generai Viale che comandava un corpo di nemici — e che non si fermò un sol momento, per riconoscere chi lo perseguiva. A Rocca d'Arce, ci giunsero varie deputazioni de' paesi circonvicini — che venivano a salutarci quali liberatori — ed a sollecitare l'entrata nostra nel regno, ove promettevano generale simpatia ed adesione.

Vi sono dei momenti decisivi nella vita de' popoli - [212] come in quella degli individui — e codesta fu occasione solenne e decisiva — Vi voleva del genio -

Io opinavo, e mi preparavo a seguire per S. Germano, ove saressimo giunti con poca fatica, e nessun ostacolo — Là nel cuore degli Stati borbonici — alle spalle degli Abruzzi — le di cui forti popolazioni — erano dispostissime a pronunciarsi per noi -

La buona volontà delle popolazioni — la demoralizzazione dell'esercito nemico, battutto in due incontri — e che sapevo in disposizione di scioglimento — desiderando i soldati tornare alle loro case — l'ardore de' miei giovani militi, vittoriosi in tutte le pugne sin lì combattutte — e disposti perciò a battersi come leoni, senza contare il numero de' nemici — la Sicilia non doma ancora — incorata dalle sconfitte de' suoi oppressori — Tutto infine, presagiva molta probabilità di successo, nello spingersi audacemente avanti — Ebbene un ordine del governo Romano ci richiamava a Roma — minacciata nuovamente dai Francesi — Per palliare tale atto d'intempestiva debolezza — e tale errore — mi si lasciava l'arbitrio, tornando a Roma di costeggiare gli Abruzzi -!

Se chi mi chiamava a ripassare il Ticino in 1848, dopo la capitolazione di Milano — e che non solo mi tratteneva i volontari in Svizzera — ma me li faceva disertare, anche dopo la vittoria di Luino — facendomi dire da Medici: che loro avrebbero fatto meglio! Se colui che dietro il mio parere, mi lasciava marciare e vincere a Palestrina — Se egli, poi, non so per qual motivo, mi facea marciare a Vellettri — agli ordine del generale in capo Roselli — Se Mazzini infine, il di cui voto era assolutamente incontestabile — nel Triumvirato — avesse voluto capire: che anch'io dovevo sapere qualche cosa di guerra — avrebbe potuto lasciarlo il generale in capo a Roma, incaricarmi solo dell'impresa seconda, come lo era stato della prima — e lasciarmi invadere il regno Napoletano il di cui esercito sconfitto trovavasi nell'impossibilità di rifarsi — e le di cui popolazioni ci aspettavano a braccia aperte — Che cambiamento di condizioni! Che avvenire — presentavansi davanti all'Italia, non ancora scoraggita dall'invasione straniera!

In vece di ciò, egli chiama le forze tutte dello stato, dalla frontiera borbonica a Bologna — e le riconcentra su Roma, per presentarle così in un solo boccone al tiranno della Senna — a cui se non bastavano i suoi quaranta milla [213] uomini ne avrebbe mandato cento milla, per annientarci in una volta sola -

Chi conosce Roma, e le sue diciotto miglia di mura, sa molto bene: esser impossibile difenderla con poche forze, contro un esercito superiore in numero ed in ogni specie di materiale di guerra — com'erano i Francesi nel 1849 -

Non, tutte alla difesa della capitale — dovevano dunque impiegarsi le forze dell'esercito Romano — ma internarne la maggior parte nelle posizioni inespugnabili di cui abbonda lo stato — chiamare le popolazioni tutte alle armi — lasciarmi continuare la mia marcia vittoriosa nel cuore del regno — e finalmente dopo d'aver mandato fuori, quanto si poteva — i mezzi di difesa — uscire lo stesso governo, e stabilirsi in situazione centrale, e difendibile -

È vero: che nello stesso tempo dovevansi prendere alcune misure di salute publica contro l'elemento prete — che non si presero — e che si lasciò, per dei riguardi malintesi, onnipotente a congiurare, tramare, e finalmente contribuire alla caduta della Republica — ed alle sventure d'Italia -

¿Chi sa quali sarebbero stati i risultati delle misure salvatrici suddette? Cadendo, se cader si doveva — saressimo caduti almeno, dopo d'aver fatto il possibile, il dovere — e certamente dopo l'Ungheria e Venezia!

Giunto a Roma, al ritorno di Rocca d'Arce, vedendo di che modo si maneggiava la causa nazionale — e prevedendo inevitabile rovina — io chiesi la dittattura — e chiesi la dittattura, come in certi casi della mia vita, avevo chiesto il timone d'una barca — che la tempesta spingeva contro i frangenti -

Mazzini ed i suoi rimasero scandalizzati! Però, il 3 giugno cioè pochi giorni dopo — quando il nemico che li aveva illusi — s'era impadronito delle posizioni dominanti la città — e che noi tentavamo — ma inutilmente — di riprendere, a costo di prezioso sangue — allora dico: il capo dei triumviri — mi scriveva: offrendomi il posto di generale in capo — Io ero impegnato al posto d'onore, e trovai bene di ringraziarlo — e continuare nella sanguinosa bisogna di quell'infausta giornata.

Oudinot avendo ricevuto quanti rinforzi abbisognava, dalle trattative con cui aveva addormentato il governo della Republica — si dispose a passare ai fatti — ed anunciò a Roma, ch'egli ripiglierebbe le ostilità il 4 di giugno — ed [214] il governo fidò alla parola del fedifrago soldato di Bonaparte -

Da Aprile che durava il pericolo sino a giugno — a nessun opera di difesa s'era pensato — massime nei posti importanti e dominanti di fuori — che sono la chiave di Roma — Ed io ricordo: che il 30 Aprile dopo la vittoria — il generale Avezzana ed io — in una conferenza ai quattro venti — avevamo deciso di fortificare cotesta eminente posizione — ed alcune altre laterali poco meno importanti — Ma il generale Avezzana, era stato mandato ad Ancona — ed io occupato ad altre faccende -

Poche compagnie, trovavansi fuori porta S. Pancrazio, e porta Cavalleggeri — come posti avanzati, essendo il nemico da quella parte verso Castel Guido e Civitavecchia — Io ero tornato da Vellettri — e lo confesso: addolorato per l'andamento rovinoso della causa del mio povero paese — La legione occupava S. Silvestro e non si pensava che a lasciar riposare i militi, dalle fatiche della campagna -

Oudinot che avea fatto l'intimazione per il 4 Giugno — trovò meglio di attaccare per sorpresa nella notte del 2 al 3 — Le ore antimeridiane di quella notte — ci svegliarono al suono di fucilate e cannonate verso porta S. Pancrazio — Si battè l'allarme, e benchè molto stanchi — i legionari furono in un momento sotto le armi — ed in marcia verso il rumore del combattimento — I nostri che guarnivano i posti esterni, erano stati vigliacamente sorpresi, massacrati o prigionieri; ed il nemico era già padrone, delle dominanti posizioni dei Quattro venti ed altre — quando noi giunsimo a Porta S. Pancrazio -

Senza indugio — sperando: non fosse ancora fortemente occupato — io feci attaccare il casino dei Quattro venti — Là sentivo esser la salvezza — se nostro — o la perdita di Roma, se rimaneva in potere del nemico — e fu attaccato quel punto — non con bravura — ma con eroïsmo, dalla prima legione Italiana al principio — dai bersaglieri di Manara poi — e finalmente da vari altri corpi, successivamente, e sempre sostenuti dalle artiglierie delle mura — sino a notte chiusa -

Il nemico conoscendo l'importanza della posizione suddetta — l'avea occupato con forte nerbo delle migliori sue truppe — ed invano noi tentammo con molti assalti de' nostri migliori per impadronirsene -

Gl'Italiani condotti dal valoroso Masina — entrarono nello [215] stesso Casino, e vi combatterono corpo a corpo coi Francesi — facendo piegare a molte riprese gli aguerriti soldati d'Africa — Vi s'impegnò una mischia tremenda — ma la superiorità numerica del nemico, era troppo forte — e forze imponenti fresche alternandosi successivamente, facevano inutili gli eroici sforzi dei nostri -

Mandai in sostegno della legione Italiana il corpo di Manara, compagno nostro di gloria in tutte le pugne — poco numeroso, ma valorosissimo, ed il meglio organizzato e disciplinato di Roma — La lotta durò un pezzo nella posizione — ma finalmente soprafatti dal numero, sempre crescente — i nostri furono obligati alla ritirata -

Quel combattimento del 3 Giugno 1849 — uno de' più gloriosi per le armi Italiane, durò dall'aurora alle ore prime della notte — Vari furono i tentativi per riprendere il casino dei Quattro venti — e micidiali tutti — Nella sera al bujo, io feci tentare l'assalto da alcune compagnie fresche del Reggimento Unione, sostenute da altre — Esse, con molta intrepidezza giunsero al casino — e v'impegnarono zuffa terribile — ma troppa era la calca del nemico — e quei prodi dopo d'aver perduto il loro comandante — e gran parte della gente, furon pure obligati di retrocedere — Masina, Daverio, Peralta, Mameli, Dandolo, Ramorino, Morosini, Panizzi, Davide, Melara, Minuto! che nomi!..... e tanti altri eroi che non ricordo — furon le vittime dei preti, e dei soldati d'una Republica fratricida — ¿Roma libera dalla negromanzia e dai ladri — lo erigerà un monumento a cotesti superbi figli d'Italia sui frantumi del mausoleo eretto dai preti allo straniero depredatore ed assassino?

La prima legione Italiana che contava apena mille uomini, perdette ventitrè ufficiali — quasi tutti morti — Molti il corpo di Manara, ed il reggimento Unione — che avevano combattutto con pari valore — senza contare ufficiali d'altri corpi ch'io non ricordo -

Il 3 giugno decise della sorte di Roma — I migliori ufficiali, e sott'ufficiali eran morti o feriti — Il nemico era rimasto padrone della chiave di tutte le posizioni dominanti — e fortissimo com'era di numero e d'artiglierie — vi si stabilì solidamente — siccome nei punti forti laterali, ottenuti per sorpresa e tradimento — e cominciò i suoi lavori regolari d'assedio — come se avesse avuto da fare con una piazza forte di prim'ordine — Ciocchè prova: aver egli incontrato degli Italiani che si battevano -

[216]

Passerò sopra i lavori d'assedio, parallelle, batterie di breccia — bombardamento co' mortaj, ecc. — Tuttociò, lo credo assai minuziosamente raccontato da molti e non potrei io farlo con molta esatezza, mancando in questo momento di dati, e documenti, che potrebbero servirmi a tale narrazione -

Ciocchè posso assicurare però, si è: che contro un esercito aguerrito, d'assai superiore in numero — meglio organizzato, e con immensi mezzi — i nostri giovani militi, hanno combattutto molto lodevolmente da Aprile a Luglio -

Il terreno fu difeso palmo a palmo — in ogni posizione — e non vi fu un solo esempio di fuga davanti a sì formidabile nemico, nè uno scontro, in cui si cedesse alla forza ed al numero — senza combattimenti omerici -

Come dissi: i corpi eran menomati dei migliori ufficiali e militi — Nei corpi di linea — cioè antichi papalini — alcuni s'eran ben comportati da principio — ora, vedendo andare a rompicollo ogni cosa — presentavano quell'aspetto inerte e di mala voglia, che precede la diffidenza od il tradimento — ciocchè manifestavano gesuiticamente, secondo la scuola dei preti — colla resistenza ai servizi loro comandati -

Ufficiali superiori, particolarmente, che speravano nella ristaurazione papale — e che il governo della Republica non avea voluto o saputo eliminare — non solo opponevano resistenza ai comandi — ma suscitavano la svogliatezza in tutti gli ordini delle loro milizie — ciocchè al prode e bravo Manara, mio capo di Stato maggiore, cagionava degli immensi dissapori — ed era nello stesso tempo precursore non dubbio di rovina -

Si tentò una sortita di notte — ma un panico tra coloro che marciavano in testa — comunicandosi in tutta la collonna annullò intieramente l'impresa — Dei punti esterni se ne tenevan più pochi — per mancanza di forze sufficienti a guarnirli — Il Vascello solo si sostenne fino all'ultimo per la bravura di Medici e della sua gente — e quando si abbandonò alla fine, non rimaneva di quell'esteso edifizio, che un mucchio di macerie -

La situazione si faceva più difficile ogni giorno — Il nostro valoroso Manara incontrava sempre maggiori difficoltà per ottenere il servizio di posti e di linea — indispensabile per la sicurezza comune — ed il difetto di tale servizio contribuì certamente, alla facile entrata delle breccie, [217] già praticate coi cannoni dai mercenari di Bonaparte — Esse furono superate di notte, e con pochissime perdite, perchè mal guardate -

Se Mazzini — e non si deve incolpare ad altri — avesse avuto la capacità pratica — com'era prolisso nel progettare movimenti ed imprese — e se avesse poi ciocchè pretese sempre di avere, il genio di dirigere le cose di guerra — se di più, egli si fosse tenuto ad ascoltare alcuni de' suoi, che dai loro antecedenti, si potevan supporre conoscitori di qualche cosa — egli avrebbe commesso meno errori — e nella circostanza che sto narrando, avrebbe potuto senò salvare l'Italia almeno ritardare la catastrofe Romana indefinitamente — e ripeto forse: avrebbe potuto lasciar Roma, fregiata dell'onore d'esser caduta l'ultima, cioè: dopo Venezia e l'Ungheria -

Il giorno prima della sua morte gloriosa — Manara era stato mandato da me a Mazzini, per suggerirli di sortire da Roma — e marciare con tutte le forze disponibili — materiali, e mezzi che non eran pochi — verso le forti posizioni degli Apennini — E non so perchè ciò non si fece! La storia non manca di antecedenti di tali risoluzioni salvatrici — Una, l'ho testimoniata io, nella Republica del Rio-grande — Un'altra degli Stati-Uniti d'America — e di non lontana data — Che non fosse possibile, non è esatto — giacchè io sono uscito da Roma pochi giorni dopo — con circa quattro milla uomini, senza incontrare ostacoli — I rappresentanti del popolo — per la maggior parte giovani ed energici patriota — amati nei loro dipartimenti — potevano inviarsi negli stessi — suscitare il patriottismo delle popolazioni — e così tentare ancora la fortuna -

Invece si disse: che la difesa diventava impossibile e i rappresentanti rimanevano al loro posto -

Risoluzione coraggiosa che onorava gli individui; ma mediocre per il decoro e l'interesse della patria — non lodevole, quando rimanevano ancora molti armati per combattere — e che tuttora pugnavano contro i nemici dell'Italia, l'Ungheria e Venezia -

Intanto si aspettava l'ingresso dei Francesi, per consegnar loro le armi — che dovevano servire a prolongar un doloroso, e vergognoso periodo di servaggio — Io contando su d'un pugno di compagni — pensai di non sottomettermi, prender la campagna — e tentare ancora la sorte -

Il Sig. Cass Ambasciatore Americano (2 Luglio 1849) [218] conoscendo lo stato delle cose — mi fece dire: che desiderava parlarmi — Io fui da lui che trovai in istrada — Egli, gentilmente mi disse: esservi una corvetta Americana in Civitavecchia a mia disposizione, se desideravo imbarcarmi con quei compagni che potevano esser compromessi -

Io risposi a lui: ringraziare il generoso rappresentante della grande Republica — ma esser disposto di sortire da Roma, con coloro che volevano seguirmi — e tentare ancora la sorte del mio paese ch'io non credevo disperata — Mi avviai in seguito verso piazza S. Giovanni, per ragiungere la mia gente, cui avevo dato ordine di marciare a quella direzione, e prepararsi alla sortita -

Giunto su quella piazza trovai la maggior parte dei miei, ed il resto veniva arrivando — Molti individui di differenti corpi, indovinando il divisamento nostro, ed altri avvertiti, giungevano pure a riunirsi — per non sottomettersi all'umiliazione di depor le armi a' piedi dei soldati di Bonaparte, guidati dai preti –

2º periodo.

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