Capitolo IX. Ritirata.

La mia buona Anita, ad onta delle mie raccomandazioni per farla rimanere — avea deciso d'accompagnarmi -

L'osservazione ch'io avrei da affrontare una vita tremenda di disagi, di privazioni, e di pericoli — frammezzo a tanti nemici — era piutosto di stimolo alla coraggiosa donna — ed invano osservare ad essa, il trovarsi in istato di gravidanza -

Essa giunse in una prima casa, e pregò una donna di reciderli i capelli, si vestì da uomo, e montò a cavallo -

Dopo d'aver investigato dall'alto delle mura — per vedere se alcun corpo nemico, si trovava sulla strada da percorrersi, io davo l'ordine di marcia per la via di Tivoli — disposti a combattere qualunque nemico che avesse voluto fermarci -

La marcia seguì senza ostacoli — e si giunse a Tivoli la mattina del 3 Luglio — A Tivoli si pensò di organizzare [219] alla meglio, tutti i frammenti di corpi, che componevano la mia piccola brigata -

Sin qui le cose non andavano tanto male — La maggior parte de' migliori miei ufficiali mi mancava — morti o feriti: Masina, Daverio, Manara, Mameli, Bixio, Peralta, Montaldi, Ramorino, e tanti altri — ma alcuni rimanevano ancora: Marrocchetti, Sacchi, Cenni, Coccelli, Isnardi — e se lo spirito della generalità: popolo e militi, non fosse stato tanto depresso — avrei potuto per molto tempo fare una bella guerra — e porger occasione alle genti Italiane, rivenute dalla sorpresa e dall'abbattimento, di scuotere il giogo di depredatori stranieri; ma così non fu sventuratamente!

Io m'accorsi ben presto che non c'era voglia di continuare nella gloriosa e magnifica impresa che la sorte porgeva davanti a noi — Mossomi da Tivoli, verso tramontana per gettarmi tra popolazioni energiche, e suscitarne il patriotismo — non solo, non mi fu possibile riunire un sol uomo — ma ogni notte — come se avessero bisogno di coprire l'atto vergognoso colle sue tenebre — disertavano coloro che mi avean seguito da Roma.

Quando con me stesso, paragonavo la costanza e l'abnegazione di quelli Americani, con cui avevo vissuto — che privi d'ogni agio della vita, contentandosi d'ogni specie d'alimento — e sovente privi dello stesso — sostenevansi per molti anni nei deserti o nei boschi — facendo una guerra d'esterminio, piutosto che di piegar il ginocchio davanti alle prepotenze d'un despota, o d'uno straniero — Paragonando dico: quei forti figli di Colombo, cogli imbelli, ed effeminati miei concittadini — mi vergognavo di appartenere a questi degeneri nipoti del grandissimo popolo — incapaci di tener un mese la campagna — senza la cittadina consuetudine di tre pasti al giorno -

A Terni si riunì a noi il prode collonnello Forbes — Inglese, amante della causa Italiana, come il primo di noi — coraggioso ed onestissimo milite — egli ci ragiunse con alcune centinaja d'uomini ben organizzati -

Da Terni, seguimmo verso tramontana ancora — traversando l'Apennino, or da una parte, e poi dall'altra — ma nessuna popolazione rispondeva all'apello -

Per motivo delle frequenti diserzioni, rimanevano molte armi abbandonate — che si caricavano su muli — ma il numero strabocchevole delle stesse — e la difficoltà di trasporto — ci obligarono di lasciarle colle monizioni alla [220] discrezione di quelli abitanti che si credevan migliori, acciò le nascondessero — e le serbassero per il giorno in cui essi sarebbero stanchi di vergogne e di battitture -

Nella poco brillante nostra situazione — v'era nonostante di che andar superbi — Noi, avevamo lasciato le vicinanze di Roma e de' corpi Francesi, che inutilmente c'inseguirono per un pezzo — e ci trovammo poi impegnati tra corpi Austriaci, Spagnuoli, e Napoletani — quest'ultimi eran pure rimasti indietro -

Gli Austriaci ci cercavano dovunque — conoscendo senza dubbio lo stato nostro poco florido — e bramosi senza dubbio di accrescere la gloria acquistata a poco costo nel settentrione — e gelosi pure delle glorie Francesi — Che la nostra collonna, menomavasi ogni giorno, lo sapevano perfettamente dalle numerose spie — pretti — traditori indefessi di questa terra, che per sua sventura li tolera! I preti poi, padroni dei contadini e gente tutta della campagna — la più pratica, ed idonea per transitare di notte tempo — informavano minutamente i nostri nemici d'ogni cosa nostra, della situazione occupata — e d'ogni impreso movimento nostro -

Io all'incontro poco sapevo dei nemici — poichè la parte buona della popolazione era demoralizzata, impaurita, temente di compromettersi — dimodocchè, anche con oro, mi era impossibile di ottenere delle guide -

Guidati dovunque da esperti conduttori (ed ho veduto i preti stessi, col crucifisso alla mano, condurre contro di noi, i nemici del mio paese) — essi sempre ci trovavano, ad una cert'ora del giorno — essendo sempre di notte le nostre mosse — Ma ci trovavano generalmente in forti posizioni, e non ardivano di attaccarci — Ma ci stancavano e suscitavano la diserzione. Così durò per un pezzo — senza che il nemico, immensamente superiore di forze — fosse capace di attaccare e sconfiggere la piccola nostra collonna -

E ciò prova: quanto noi avressimo potuto oprare in vantaggio del nostro paese — se in luogo d'aver come sempre, i preti, e quindi i contadini nemici della causa nazionale, li avessimo avuti favorevoli — e suscitanti il patriotismo generale, contro stranieri dominatori e ladri -

Corpi di truppe come gli Austriaci, vittoriosi allora di fresco dalla battaglia di Novarra — e che avevano riconquistata tutta la parte settentrionale della penisola con sole [221] marcie — quei corpi, più numerosi assai di noi, noi tenevamo a bada senza che osassero attaccarci -

Non si lusinghino i nostri concittadini sul conto degli uomini della campagna — Mentre essi saranno dominati dal prete, sorretti da un governo immorale — i contadini, come i preti saranno sempre disposti a tradire la causa nazionale — Il governo Italiano carico d'ogni colpa — più dei dottrinari — positivo pressente la situazione instabile del paese — e piutosto che apogiarsi sullo stesso ch'egli mal governa e ruba — e che potrebbe darli ad esuberanza uomini, e mezzi per combattere qualunque prepotente — il governo Italiano dico: si umilia a cercare alleanze al di fuori, ch'è sempre impossibile a trovar disinteressate -

Collo stato depresso dei cittadini come dissi: e quello ostile della campagna in mano ai preti — ben precaria diventava la condizione nostra — e presto noi sentimmo gli effetti della reazione rinascente, in tutte le provincie Italiane -

Nella notte io ero obligato di cambiar posizione — poichè era molto naturale che fermandomi più d'un giorno in quelle occupate — mi si agglomeravano i nemici — informatissimi d'ogni cosa — e più difficili diventavano i miei movimenti — Ed io non poteva ottenere una guida in Italia — mentre gli Austriaci ne abbondavano! Ciò serva agl'italiani che vanno a messa, ed a confessarsi — da quella bella roba nera che si chiaman scarafaggi!

Pochi — per conseguenza — episodi importanti succedettero sino a S. Marino — e non vi furono che alcune insignificanti scaramuccie cogli Austriaci -

Due prigionieri della cavaleria nostra, che andavano in esploratori — furon catturati dai contadini del vescovo di Chiusi — Da un vescovo capite bene — e se non erro: Chiusi ha ancora un vescovo oggi (1872) — Io reclamai quei miei prigionieri, che certamente credevo in pericolo, nelle ugna dei discendenti di Torquemada — e mi furon negati — Feci marciar allora, per rappresaglia, tutti i frati d'un convento alla testa della collonna — minacciando di farli fucilare, ma l'arcivescovo duro — fece sapere: che molta stoffa v'era in Italia per far dei frati — e non volle restituirmi i prigionieri — Credo poi di più: ch'egli desiderava l'eccidio di quei suoi soldati — per spacciarli poi alla canaglia — come tanti santi martiri — Io sciolsi i fratti allora -

Uno dei fatti più dispiacenti per me, in quella ritirata, [222] erano le diserzioni, massime degli ufficiali — alcuni pure de' miei antichi compagni — I gruppi dei disertori, scioglievansi sfrenati per le campagne, e commettevano violenze d'ogni specie..... Eran soldati di Garibaldi!... Codardi nell'abbandonare vilmente la causa santa del loro paese — essi naturalmente scendevano ad atti osceni e crudeli cogli abitanti — ciò sommamente mi straziava, peggiorava ed umiliava non poco la già sventurata posizione nostra! ¿Come potevo io mandare dietro a quelle scellerate masnade — attorniato come mi trovavo dai nemici! Alcuni colti in flagranti erano fucilati — ma ciò poco rimediava — andando la maggior parte impuniti — La situazione divenuta disperata, io cercai d'arrivare a S. Marino — Avvicinatomi alla sede di quelli eccellenti Repubblicani, giunsemi una loro deputazione, ed avvendone avuto notizie, mi avanzai per conferire con essa — E mentre io mi trovavo conferendo colla deputazione di S. Marino — un corpo di Austriaci comparì nella nostra retroguardia — e vi cagionò confusione tale, che tutti presero a fuggire — quasi senza veder nemici — almeno la maggior parte -

Avvertito di tal contratempo — retrocessi, trovai la gente fuggendo — e la mia valorosa Anita, che col collonnello Forbes, facevano ogni sforzo per trattenere i fuggenti — Quella incomparabile donna incapace di qualunque timore, aveva lo sdegno dipinto sul volto — e non poteva darsi pace di tanto spavento, in uomini che poco tempo prima s'eran battuti valorosamente -

Qui io devo far menzione d'un piccolo pezzo nostro, d'artiglieria — che alcuni de' nostri prodi artiglieri di Roma, che tanto s'eran distinti nell'assedio — avean trascinato sin dal principio della nostra ritirata — Essi, con una costanza impareggiabile, senza cavalli ed attrezzi — con molta fatica, lo aveano condotto — per sentieri impraticabili e per montagne — In cotesto giorno di fuga, lo difesero per un pezzo da soli — perlasciati dagli altri — e non lo abbandonarono senonchè dopo d'averlo difeso sino all'estremo soccombendo la maggior parte di loro -

Quegli Austriaci assuefatti a spaventar gli Italiani fecero anche uso di quei famosi razzi — arma lor prediletta — che ci scagliavano con meravigliosa profusione — e che non ho mai veduto ferir un solo individuo — Spero: i miei giovani concittadini sapranno trattare col disprezzo che meritano, quei tali giocatoli, nel giorno, forse non lontano — in [223] cui insegneremo a quei nostri padroni del Tirolo — che l'aria meridionale delle Alpi è loro micidiale -

Giunti a S. Marino — io scrissi sul gradino d'una chiesa al di fuori della città l'ordine del giorno — espresso circa nei termini seguenti: «Militi, io vi sciolgo dall'impegno d'accompagnarmi — Tornate alle vostre case; ma ricordatevi che l'Italia non deve rimanere nel servaggio, e nella vergogna!»

Un'intimazione era giunta al governo della Republica di S. Marino da parte del generale Austriaco — con condizioni per noi inamissibili, e ciò cagionò una reazione benefica nello spirito dei nostri militi — che si decisero di combattere a tutt'oltranza piutosto di discendere a patti ignominiosi -

Il convenuto col governo della Republica: era di deporre le armi su quel territorio neutro — e che ognuno avrebbe potuto tornare liberamente a casa sua — Tale fu il patto conchiuso con codesto governo — e nulla si volle patteggiare coi nemici dell'Italia -

Per parte mia, però, non avevo idea di depor le armi — Con un pugno di compagni — io sapevo, non impossibile, aprirsi strada e guadagnar Venezia — E così s'era deciso — Un carissimo e ben doloroso impiccio era la mia Anita — avanzata in gravidanza, ed inferma, io la supplicavo di rimanere in quella terra di rifugio — ove un asilo almen per lei, poteva credersi assicurato — ed ove gli abitanti ci avevan mostrato molta amorevolezza — Invano! quel cuore virile e generoso si sdegnava a qualunque delle mie ammonizioni su tale assunto — e m'imponeva silenzio, colle parole: «tu vuoi lasciarmi» -

Io determinai di sortire da S. Marino, verso la metà della notte, e di guadagnare qualche porto dell'Adriatico, ove potersi imbarcare per Venezia -

Siccome molti de' miei compagni, avevano divisato di accompagnarmi, a qualunque costo — massime poi alcuni prodi Lombardi e Veneti disertori dell'Austria — Io andai fuori della città, con pochi, aspettando gli altri in un punto determinato — Tale combinazione cagionò alcun ritardo — e fui obligato d'aspettare un pezzo prima di riunire gli aspettatti -

Nella giornata stetti vagando per la campagna, a prendervi informazioni sui punti della costa più abordabili -

La fortuna in cui non ho mancato d'aver sempre qualche [224] fede, m'inviò un individuo che mi servì moltissimo in tale ardua circostanza — Galapini, giovane coraggioso di Forlì, mi si presentò in un biroccio — e mi servì di guida, e d'esploratore, correndo colla velocità del lampo, dalla parte ove si trovavano gli Austriaci — raccogliendo informazioni dagli abitanti e raguagliandomi d'ogni cosa — Dalle sue esplorazioni, io mi decisi a prender la via di Cesenatico — e Galapini mi trovò delle guide che mi accompagnarono a quella volta — Noi giunsimo a Cesenatico verso mezzanote — all'entrata del paese trovammo una guardia Austriaca — rimasero gli uomini di quella guardia stupiti dall'improvviso nostro apparire — e profitando di quel momento di esitazione, dissi ad alcuni circostanti de' miei a cavallo: «Scendete e disarmateli» — Fu l'affare d'un momento — ed entrammo quindi nel paese del quale rimasimo padroni — avendo pure arrestati alcuni gendarmi, che certo non ci aspettavano in quella notte -

Una delle prime misure — fu quella d'intimare alle autorità municipali di dar ordine: fossero messe a mia disposizione, quel numero di barche che mi abbisognavano per il trasporto della gente -

La fortuna, però, avea cessato di favorirmi in quella notte — Una burrasca innalzatasi dalla parte del mare, lo aveva agitato in modo — ed i frangenti — erano così forti nella bocca del porto — che la sortita era diventata quasi impossibile -

Qui mi valse assai l'arte mia marinaresca — Era necessario, indispensabile uscire dal porto — il giorno si avvicinava, i nemici erano vicini — e per ritirata, non restava altro che il mare -

Io andai a bordo dei bragozzi — barche peschereccie — feci giuntare alcune alzane a due ferri impennellati e provai di uscire fuori del porto con una barchetta, dar fondo ai ferri, per tonneggiare i bragozzi -

I primi tentativi furono infruttuosi — Invano si saltò in mare per spingere la barcata contro i frangenti — Invano si animavano, colla voce, e con molte promesse i rematori — Solo dopo ripetute e faticosissime prove, si [225] pervenne a portare i ferri, alla distanza dovuta, e si diedero fondo -

Tornando in porto di rebuffo — cioè: mollando le alzane, dopo d'aver dato fondo ai ferri — e giunti all'ultima alzana — questa, per esser sottile e non buona — si ruppe e tutto il lavoro perduto, si dovè ricominciarlo -

Era affare da impazzire simile contrarietà — Infine fui obligato di tornare a bordo ai bragozzi — cercare altre alzane, altri ferri — con gente sonnolenta e di mala voglia — che si doveva spingere a piatonate, per farla movere, ed ottenerne il necessario — Si ritentò finalmente la prova — e questa volta fummo più felici — e potemmo stendere i ferri quanto abbisognava -

S'imbarcò la gente divisa in tredici bragozzi — Il colonnello Forbes s'imbarcò per l'ultimo — essendo rimasto tutto il tempo che durarono i preparativi, all'entrata esterna del paese, facendo barricate, per respingere i nemici, se si fossero presentati -

Messi fuori tutti i bragozzi, tonneggiandoli uno dopo l'altro — con tutta la gente a bordo — Si distribuì a ciascun di loro, una parte dei viveri ch'erano stati requisiti dalle autorità municipali — Si diedero alcune istruzioni verbali a tutti, raccomandando di navigare più uniti che possibile — e si salpò alla via di Venezia -

Il giorno era già avanzato quando salpammo da Cesenatico — il tempo s'era abbellito e il vento favorevole — S'io non fossi stato addolorato dalla situazione della mia Anita, che trovavasi in uno stato deplorabile — soffrendo immensamente — io, avrei potuto dire; che superate tante difficoltà, e sulla via di salvazione — la condizione nostra — poteva chiamarsi fortunata; ma, i patimenti della cara mia compagna — erano troppo forti — e più forte era tuttora il mio rammarico di non poter sollevarla -

Colla strettezza del tempo e le difficoltà incontrate per uscire da Cesenatico — io non m'ero potuto occupare di viveri — Ne avevo incaricato un ufficiale — e quegli avea raccolto il possibile — Con tutto ciò, di notte, in un paesetto sconosciuto — assalito di sorpresa — solo poche [226] provviste aveva potuto procurarsi — quelle stesse che erano state divise fra i bragozzi -

Delle mancanze, la principale era l'acqua — e la mia soffrente donna, aveva una sete divorante — indizio non dubbio dell'interno suo male! Avevo sete, io pure, affannato dalle fatiche, e l'acqua da bere era pochissima!

Noi seguimmo tutto quel resto della giornata, la costa Italiana dell'Adriatico — ad una certa distanza, con vento favorevole — La notte pure, si presentò bellissima — Era plenilunio — ed io vidi alzare con un senso dispiacevole, la compagna dei naviganti, ch'io avevo contemplato tante volte col culto d'un adoratore! Bella come non l'avevo veduta mai — ma per noi sventuratamente troppo bella! E la luna ci fu fatale in quella notte!

A levante della punta di Goro — trovavasi la squadra Austriaca — che i patriotici governi, sardo e borbonico — avevano lasciata intatta e padrona dell'Adriatico — Dai raguagli avuti da pescatori — io sapevo dell'esistenza di detta squadra — forse ancorata dietro cotesta punta — ma incerte erano le mie informazioni -

Seguendo la nostra via per Venezia, il primo legno che scoprimmo, fu un brigantino — credo l'Oreste — e questo scoprì noi al tramonto — Scoperti che fummo, il brigantino manovrò in modo da avvicinarci — Io procurai di far intendere ai bragozzi compagni, di obliquare alquanto a sinistra verso la costa — ed uscire quindi, quanto possibile, dalla linea della luna — nel chiarore della quale, era più facile al nemico di scoprire i nostri piccoli legni — Non valse tale precauzione essendo la notte chiara, come non l'avevo mai veduta — ed il nemico non solo ci tenne alla vista — ma cominciò da lontano con cannonate e razzi — per dar segno alla squadra di noi, e del nostro avvicinare -

Io tentai di passare tra i bastimenti nemici, e la costa facendo il sordo alle cannonate a noi dirette — Ma i compagni bragozzi — intimoriti dal fracasso dei tiri, e dal numero crescente dei nemici — retrocessero, ed io con loro, non volendo abbandonarli -

Spuntò il giorno, e ci trovammo nell'insenata della punta di Goro, acerchiati da legni nemici — essi continuavano a cannonegiarci — e m'accorsi con dolore che già alcuni bragozzi s'erano arresi — Retrocedere od avanzare era divenuto impossibile, essendo i legni nemici, più assai velieri, [227] dei nostri — e non vi fu altro rimedio, che di dirigersi alla costa, ove giungemmo perseguiti dalle lancie — palischermi — e cannoneggiati — in numero di quattro soli bragozzi — Tutti gli altri erano in potere del nemico -

Io lascio pensare: qual'era la mia posizione in quei sciagurati momenti: La donna mia infelice — moribonda! — Il nemico perseguendo dal mare, con quella alacrità che da una vittoria facile — Aprodando ad una costa, ove tutte le probabilità di trovarvi altri, e numerosi nemici — non solamente Austriaci — ma papalini — allora in fiera reazione — Comunque fosse — noi aprodammo — Io presi la mia preziosa compagna nelle braccia, sbarcai e la deposi sulla sponda — Dissi ai miei compagni, che collo sguardo mi chiedevano ciocchè dovevano fare: d'incamminarsi alla spicciolata, e di cercar rifugio, ove potrebbero trovarlo — In ogni modo d'allontanarsi dal punto ove ci trovavamo, essendo imminente l'arrivo dei palischermi nemici — Per esser impossibile seguitar oltre — non potendo abbandonare mia moglie moribonda -

Gli uomini a cui mi dirigevo, mi erano pure molto cari: Ugo Bassi, e Ciceroacchio coi due figli!

Bassi mi disse: io vado cercando qualche casolare, ove trovarvi un pantalone da cambiarmi questo, certamente troppo sospetto — Egli vestiva un pantalone rosso — credo tolto al cadavere d'un soldato Francese a Roma da uno dei nostri, e regalato alcuni giorni prima ad Ugo Bassi dallo stesso — per sostituirlo ad uno cencioso — Ciceroacchio mi diede un addio affetuoso, e si allontanò coi figli -

Ci dividemmo con quei virtuosissimi Italiani per non più rivederci — La ferocia Austriaca e pretina satollava la sua sete di sangue, colla fucilazione di quei generosi — e si vendicava così — dopo pochi giorni delle passate paure -

Con Ciceroacchio eran nove compreso lui e i due figli — un capitano Parodi — de' miei prodi compagni di Montevideo — e un Ramorino sacerdote Genovese — degli Altri non ricordo -

«Cavate nove fosse» ordinò un Capitano Austriaco agli ordini d'un principe Austriaco — che comandava in quella parte d'Italia — e che avea arrestato i nove miei commilitoni — «Cavate nove fosse» diceva imperiosamente quel capitano austriaco ad una folla di contadini — che [228] grazie ai preti — avean paura dei liberali Italiani — dipinti a loro come tanti assassini — e non dei soldati Austriaci — E le fosse furon cavate in pochi minuti, in quel terreno sabbioso e leggiero!

Povero vecchio! Ciceroacchio! Il vero tipo dell'onesto popolano! Lì, con davanti a lui le fosse cavate che dovean racchiudere lui, i suoi compagni, ed i suoi figli! Un figlio di 13 anni!.....

Pronte le fosse — furon tutti moschettatti — e sepolti da mani Italiane s'intende — Il soldato straniero era padrone — comandava ai servi — e l'ubbidienza doveva esser immediata — senò verghe! Ugo Bassi fu arrestato pure — e fucilato con Levrè — uno pure dei miei di Montevideo — prode e simpatico Milanese -

Ugo Bassi fu torturato dai preti prima di fucilarlo — essendo stato prete — maggiore era la loro rabbia! Io rimasi nella vicinanza del mare in un campo di melica, colla mia Anita, e col tenente Leggiero — indivisibile mio compagno — che mi era rimasto pure in Svizzera, l'anno antecedente, dopo il fatto di Morazzone — Le ultime parole della donna del mio cuore erano state per i suoi figli! ch'essa pressentì di non più rivedere!

Stettimo un pezzo i tre in quel campo di melica alquanto indecisi sul da farsi — Finalmente io dissi a Leggiero d'avanzarsi un po' nell'interno per scoprire qualche cosa nelle vicinanze — Egli da quell'ardito ch'era stato sempre — si mosse subito — Io rimasi un pezzo in aspettativa — ma tra non molto udii gente che si avvicinava — mi spinsi fuori del ricovero, e vidi Leggiero accompagnato da un'individuo, che riconobbi subito, e la di cui vista mi fu molto consolante -

Era il collonnello Nino Bonnet, uno dei miei più distinti ufficiali — ferito a Roma nell'assedio — ed ove egli avea perduto un valoroso fratello — S'era ritirato a casa per curarsi — Nulla di più fortunato poteva accadermi che l'incontro di cotesto mio fratello d'armi — Domiciliato e possidente in quei dintorni — egli avea inteso le cannonate, e pressentito quindi il nostro aprodo — S'era avvicinato alla sponda del mare per trovarci e soccorerci -

Coraggioso ed intelligente, Bonnet con gran pericolo di se stesso, cercò e trovò chi cercava — Ed una volta trovato tale ausiliario — io mi rimisi intieramente all'arbitrio suo — e ciò fu naturalmente, la salvezza nostra — Egli propose [229] subito di avvicinare una casipola, che si trovava nelle vicinanze, per trovarvi qualche ristoro all'infelice mia compagna -

Ci avvicinammo sostenendo Anita in due — ed a stento giungemmo a quella casa di povera gente — ove trovammo acqua, necessità prima della soffrente — e non so che altro -

Passammo da questa ad una casa della sorella di Bonnet, che fu gentilissima — Di lì traversammo parte delle valli di Comacchio — ed avvicinammo la Mandriola, ove si dovea trovare un medico -

Giunsimo alla Mandriola — e stava Anita coricata su d'un materazzo, nel biroccio che l'avea condotta — Dissi allora, al dottor Zannini — giunto pure in quel momento: «guardate di salvare questa donna!» Il Dre a me: «procuriamo di trasportarla in letto» — Noi allora presimo, in quattro, ognuno un'angolo del materazzo, e la trasportammo in letto d'una stanza della casa, che si trovava a capo di una scaletta della stessa -

Nel posare la mia donna in letto — mi sembrò di scoprire sul suo volto, la fisionomia della morte — Le presi il polzo... più non batteva! Avevo davanti a me la madre de' miei figli — ch'io tanto amava! cadavere!..... Essi mi chiederanno della loro genitrice — al primo incontro!...

Io piansi amaramente la perdita della mia Anita! di colei che mi fu compagna inseparabile — nelle più avventurose circostanze della mia vita!

Raccomandai alla buona gente che mi circondava di dar sepoltura a quel cadavere! E m'allontanai sollecitato dalla stessa gente di casa, ch'io compromettevo rimanendo più tempo -

M'avviai brancolando per S. Alberto, con una guida che mi condusse, in casa d'un sarto — povero — ma onesto e generoso -

Con Bonnet, a cui confesso di dover la vita, cominciò la serie de' miei protettori — senza di cui, non avrei potuto peregrinare per trenta e sette giorni — dalle Foci del Po, al golfo di Sterlino, ove m'imbarcai per la Liguria -

Dalla finestra della casa, ov'io mi trovavo in S. Alberto — vedevo passeggiare i soldati Austriaci — padroni ed insolenti come sempre! Abitai due case, in codesto piccolo ma eccellente paese — ed in ambe fui custodito, salvo, e trattatto con una generosità superiore alla condizione economica [230] di tale buona gente — Da S. Alberto i miei amici trovarono bene di trasportarmi nella vicina Pineta - ove soggiornai qualche tempo — cambiando di luogo per maggior sicurezza — Eran vari i confidenti del segreto, che mi occultava come in magica nube alle ricerche de' miei persecutori — non solamente Austriaci, ma papalini peggiori ancora — E giovani la maggior parte, erano cotesti coraggiosi Romagnoli — Bisognava veder con che cura, essi attendevano alla mia salvazione — quando mi credevano in pericolo, in un punto — li vedevo giungere di notte con un biroccio..... e generalmente per imbarcarmi — e trasportarmi a molte miglia di distanza — in altre situazioni più sicure

Gli Austriaci da parte loro, ed i preti, non mancavano di far le indagini possibili per scoprirmi — I primi avevano diviso un battaglione in sezioni, che percorrevano la Pineta in tutte le direzioni — I preti poi, dal pergamo e dal confessionale suscitavano le contadine ignoranti, a far la spia, per la maggior gloria di Dio -

I miei giovani protettori, avevano combinato i loro segnali di notte, con una maestria ammirabile — per movermi da un punto all'altro — e per dar l'allarme quando si conosceva un pericolo — quando si sapeva esistere qualche pericolo, iscorgendo un fuoco in un sito determinato — si passava oltre — all'incontro, non si scorgeva fuoco, in quell'assegnato sito — si tornava indietro, o si prendeva un'altra direzione — qualche volta temendo di equivoci — il conduttore fermava il barroccio — scendeva, e si avanzava lui stesso per riconoscere — oppure senza scendere trovava subito chi lo informava d'ogni cosa -

Tali misure, eran così esattamente prese, da eccittare l'ammirazione — Si osservi: che qualunque cosa fosse traspirato — qualunque cenno avessero avuto di quanto accadeva, i miei persecutori — essi avrebbero — senza processo, e senza misericordia — fucilato sino ai bambini della gente che mi favoriva — con tanta devozione -

Quanto mi duole: non poter consacrare alla storia, i nomi di quei generosi Romagnoli, a cui certamente io devo la vita — S'io non fossi deditto alla santa causa del mio paese — quella sola circostanza certamente — me n'imporrebbe l'obligo -

Così passai vari giorni nella bella Pineta di Ravenna — Un po' alla capanna d'un caro, onesto, e generoso popolano [231] nominato Savini — Altre volte coperti dai cespugli di cui non difetta il bosco -

In coteste ultime situazioni, succedette una volta, che mentre sdrajati, col mio compagno Leggiero, da una parte d'un cespuglio — passavano dall'altra gli Austriaci, e le loro voci, certo poco piacevoli, disturbarono alquanto la quiete della foresta, e le pacate nostre riflessioni — Essi passavano a poca distanza da noi — e l'oggetto della loro conversazione, un po' animata erimo noi certamente -

Dalla Pineta, fummo trasportati a Ravenna, in una casa, fuori di Porta (di cui non ricordo il nome) ed ove fummo accolti, colla stessa cura, e la medesima amorevolezza, come sempre -

Da Ravenna fummo trasportati verso Cervia, nello stabilimento agricolo d'un altro caro individuo, di cui ricordo perfettamente la benevola fisionomia, ma non il nome — Stettimo lì un pajo di giorni, e presimo quindi la direzione di Forlì -

Da Forlì, ove passammo una notte, ospitati in casa di brava gente — seguimmo poi per l'Apennino con guide -

Giova osservare, passando, che niuno tra quelle popolazioni generose, è capace di scendere alla delazione; e che raccogliendo un proscritto — essi lo custodiscono come cosa sacra — Lo salvano, lo mantengono, lo guidano con una benevolenza incomparabile — La lunga dominazione del più perverso, del più coruttore dei governi, non è stato capace di ammolire, e depravare il carattere di quelle maschie e generose popolazioni -

Il governo di ladri (1872) succeduto al pessimo governo dei preti, non la conosce cotesta gente, per sventura caduta sotto la sua amministrazione — e la martoria senza considerazioni — Se ne accorgerà egli nel giorno in cui dalla terra dei Vespri, e dalle Romagne alle Alpi — si chiederà conto della sua gestione -

Passammo la frontiera delle Romagne, ed entrammo in Toscana — lo stesso interesse, la stessa amorevolezza incontrammo in questa colta parte d'Italia — divisa dai preti e da lunghe sciagure, ma destinata per formare un popolo solo -

Un Anastasio, tra gli altri, ci accolse, e ci custodì in una sua casa dei monti -

Poi, un prete! Vero angelo custode del proscritto — ci cercò, ci trovò, e ci condusse in casa sua, in Modigliana -

[232]

Rammenterò qui — a chi ha la pazienza di leggere queste memorie — ch'io dissi già molte volte: odiare il falso, perverso carattere del prete — ma tolto l'individuo alla sua qualità d'impostore — e tornando uomo — io lo considero come un altro -

Il padre Giovanni Verità di Modigliana — vero sacerto del Cristo — E qui per Cristo m'intendo l'uomo virtuoso e legislatore — non quel Cristo fatto Dio dai preti, e che se ne servano per coprire l'oscenità e la fallacia della loro esistenza -

Il padre Giovanni Verità — dacchè un perseguito dai preti per amore d'Italia, si avvicinava a coteste contrade — era il fatto suo: di proteggerlo, di nutrirlo, e farlo condurre, o condurlo lui stesso al sicuro dalle persecuzioni -

Egli avea salvato, così, a centinaja, i Romagnoli proscritti, che si rifuggivano sul territorio Toscano — Condannati dall'inesorabile rabbia del clero — essi procuravano di passare in Toscana, ove se non buono, il governo — era almeno men scellerato di quello dei preti — Le proscrizioni poi, fra quelle sventurate — e coraggiose popolazioni, erano frequenti — ed ovunque nelle mie peregrinazioni, ne avevo incontrato molti dei Romagnoli proscritti — e da tutti avevo inteso benedire il nome del veramente pio sacerdote -

Stettimo un par di giorni in casa di D.n Giovanni, nel proprio suo paese di Modigliana — ove la stima e l'affetto di cui godeva generalmente servivan di palladio all'ospitale suo domicilio — Fummo condotti poi dallo stesso a traverso l'Apennino — col divisamente di seguirne le vette, per passare negli Stati Sardi -

Giunti nelle vicinanze delle Filigari, una sera — il nostro generoso conduttore — ci lasciò in luogo apartato — e si spinse verso coteste abitazioni per cercare una guida — Nacque un equivoco in questa circostanza, che ci deviò dalla cara compagnia del nostro prottettore — Una guida mandata da lui — presa forse dal sonno, essendo la notte avanzata — si smarrì e giunse da noi tardi — Entrammo nel paesello; e D.n Giovanni n'era uscito per ragiungerci — impaziente per il ritardo, non nostro, ma della guida — ed avea preso strada diversa -

Faceva l'alba — ci trovavamo sullo stradale che conduce da Bologna a Firenze — e non potevamo più rimanere in una posizione sì esposta -

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Presimo la determinazione allora di cercare un biroccio, ed incamminarci per lo stradale verso Firenze — stacandoci, con grandissimo rincrescimento dall'uomo generoso che ci avea guidati e protetti sino allora -

Seguimmo dunque lo stradale, verso la capitale della Toscana — e già era gran giorno — Noi c'intoppammo in un corpo d'Austriaci — che da Firenze marciava su Bologna — Fecimo buon contegno — per forza, e continuammo così un pezzo avanti verso la china Occidentale dell'Apennino -

Pervenuti ad una osteria, a sinistra della strada che si percorreva — il condottore si fermò — e fu conveniente rimanere in quel punto — Entrammo nell'osteria, congedammo il vetturale, e chiesimo una tazza di cafè dall'oste -

Mentre s'aspettava il cafè, io m'ero seduto a sinistra entrando, sopra una panca, accanto ad una lunga tavola — solita a trovarsi in tali stabilimenti — Seduto, ed un po' stanco, io m'apogiai sonnacchiando, sulle braccia distese sulla tavola — Leggiero toccandomi nella spalla con un dito — mi destò, e m'incontrai collo sguardo, nel volto poco piacevole di certi Croati che avevano invaso l'osteria — Era un altro, o forse parte dello stesso corpo nemico, che già avevamo incontrato più sopra -

Riabassai il capo sulle braccia e feci conto di non aver veduto nessuno — Sgombra che fu l'osteria, e preso il nostro — dopo che furon serviti i padroni — noi traversammo lo stradale — e sulla parte destra dello stesso, noi cercammo, e trovammo asilo in una casa di contadini -

Dopo aver riposato alquanto, e prese le necessarie informazioni — noi ci avviammo verso Prato, coll'intendimento di guadagnare la frontiera Ligure — Dopo d'aver marciato la maggior parte della giornata, si arrivò in una valle — ove trovammo una specie d'albergo di campagna — ed ove chiedemmo allogio per la notte -

Trovavasi nello stesso albergo — un giovane cacciatore di Prato — che sembrava famigliare del luogo — e nell'intimità colla gente di casa — L'aspetto del giovane era decente, liberi i suoi modi — e con una di quelle fisionomie di onesta franchezza, che difficilmente ingannano — Io stetti ad osservarlo per qualche tempo, con significato esprimente il desiderio di conferire con lui — e lo avvicinai — Dopo poche interlocuzioni, diedi il mio nome — e vidi subito che non m'ero ingannato -

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Il giovane Pratese si commosse al mio nome — e vidi brillare negli occhi suoi la gentil voluttà di far bene — Egli mi disse: vado a Prato, che dista poche miglia — parlerò co' miei amici, e tornerò da voi in breve -

Fu molto esatto l'eccellente Pratese — Tornò presto, e noi lo seguimmo a Prato, ove gli amici con a capo l'Avvocato Martini, avevano fatto preparare un legno, che doveva condurci per la strada d'Empoli, Colle ecc. — verso le maremme Toscane, ove raccomandati ad altri buoni Italiani — noi avressimo con molta probabilità trovato barche — per esser condotti in qualche punto del territorio Ligure -

La determinazione, presa dai bravi patrioti Pratesi, di avviarci verso le Maremme, era motivata dalle molte e rigorose osservazioni, tenute dal governo del Duca sulla frontiera Sarda — per impedire il transito dei compromessi politici — allora numerosi, che cercavano salvezza al di là del limite occidentale — su quella terra Italiana — ove la prepotenza Austriaca giammai dovea trovar campo alle sue libidini di depredazioni e di assassinï.

L'avvocato Martini di Prato — tra tutti i nostri benefattori e liberatori — meritò illimitata la vostra gratitudine — Egli non solamente si adoprò per facilitare il nostro viaggio — ma ci raccomandò caldamente ai suoi amici, e congiunti delle Maremme — che ci valsero sommamente — Mi duole assai, non ricordare il nome del bravo giovine — che primo, e tanto contribuì alla nostra salvazione — ed al quale, io lasciai un piccolo anello — di poco valore — per ricordo e per segno d'affetto -

Il nostro viaggio da Prato alle Maremme — fu veramente singolare — Noi percorremmo gran tratto di paese in un legno chiuso — fermandoci per cambiar cavalli di tapa in tapa — ed in vari paesi le nostre fermate erano oltremodo lunghe — avendo, i cocchieri che ci guidavano, molto meno premura di noi di procedere avanti — Dimodocchè si dava agio ai curiosi di circondare la vettura — ed alcune volte, erimo pure obligati discendere per mangiare od altro — dovendo coprire alquanto e dissimulare, l'eccezionale condizione dei nostri individui -

Nei piccoli paesi, erimo naturalmente alla berlina degli oziosi, che congetturavano in mille modi sull'esser nostro — disposti al cicaleccio sopra individui che non conoscevano — e che i tempi difficili d'una terribile reazione attorniavano di dubbï -

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A Colle, particolarmente, oggi paese patriotico ed avanzato — fummo attorniati da una folla — che non mancò darci segni manifesti di sospetto, e di avversione alle nostre fisionomie tutt'altro che, di pacifici, ed indifferenti viaggiatori — Non altro successe però — oltre a qualche parolaccia indecorosa — e che noi dissimulammo com'era naturale -

Erimo, sventuratamente, ancora ai tempi, in cui i preti dicevano alla gente: esser i liberali una massa d'assassini (1849) — Alcuni anni dopo però io fui ricevuto nello stesso paese, con tanta entusiastica gentilezza — ch'io certamente ricorderò tutta la vita. Passammo sotto le mura di Volterra — ove trovavasi allora Guerrazzi, con parte dei compromessi politici della Toscana — e ci limitammo di calcare il cappello negli occhi, passando -

Il primo sito di sicuro rifugio — ove giungemmo nelle vicinanze delle Maremme — fu S. Dalmazio, in casa del D.r Camillo Serafini — uomo generoso, vero patriota Italiano, e dotato d'un coraggio, e d'una fermezza non comune — Deputato Toscano al parlamento in 1859 — dopo l'emancipazione del suo nobile paese, egli certamente come il bravo Giovanni Verità — partecipò a qualunque coraggiosa deliberazione di quell'assemblea — e mi figuro: si sia ritirato in disgusto come tanti, per non trovarsi al contatto di gente che non meritano di rappresentare l'Italia — Soggiornammo vari giorni, in casa di Serafini — e fummo condotti in seguito in uno stabilimento di bagni, appartenente ad un altro Martini, parente del primo — e come questo benefico -

Di lì, in casa d'un Guelfi, più vicino al mare — ed in ogni luogo, ricevemmo un'ospitalità degna della maggior gratitudine -

Fratanto si trattava da quei generosi amici — con un pescatore Genovese — per esser portati nella Liguria — Un bel giorno vari giovinotti Maremmani, di quei dintorni, armati coi loro fucili a due colpi — come i cacciatori di Ravenna — e come questi svelti, forti, e coraggiosi — vennero a cercarmi in casa del bravo Guelfi — ci diedero ad ambi un'arma uguale alla loro — e ci condussero attraverso boschi, sulla sponda del mare, a poche miglia a levante di Follonica — porto caricatore di carbone, nel golfo di Sterlino -

Là trovavasi la barca peschereccia, che ci aspettava — Noi [236] c'imbarcammo commossi dalle prove d'affetto, che ci prodigarono i nostri giovani liberatori -

Com'ero fiero d'esser nato in Italia! — In questa terra di morti! Fra questa gente che non si batte — dicono i nostri vicini: ove da molti secoli — perchè caduti dal trono da cui i nostri padri dominavano il mondo — pur ricordandosi dell'indole nostra — cotesti protervi limitrofi — c'imponevano il rettile nero della teocrazia — per umiliarci — depravarci — corromperci d'anima e di corpo — acciochè curvi, cretini non udissimo più il fischio della verga — a cui ci avevano dannato in eterno — Come se il loro regno di pigmei — fosse per durar sempre — mentre il tempo con sue fredd'ali, spazzava anche il gigante di tutte le grandezze umane, passate, presenti, e future — le di cui macerie risorgono oggi sui sette colli -

Fiero d'esser nato in Italia, dico: ove ad onta di star sotto il dominio di preti e di ladri — sorge, una gioventù, che disprezzando i pericoli, le torture, e la morte — marcia impavida al compimento del dovere — all'emancipazione dello schiavo!

Imbarcati nel golfo di Sterlino — a bordo d'un pescatore Ligure — veleggiammo verso l'isola d'Elba — ove si dovevano imbarcare attrezzi, ed alcune provviste — Passammo parte del giorno ed una notte a porto Longone — Di là, costeggiando la Toscana, giunsimo sulla rada di Livorno — e senza fermarci continuammo verso ponente -

Io non dubitavo della sfavorevole accoglienza, che per parte del governo — m'aspettava negli Stati Sardi — e mi venne l'idea, sulla rada di Livorno, di chiedere asilo a bordo d'un vascello Inglese, che vi si trovava ancorato — Il desiderio, però, di veder i miei figli, prima di lasciar l'Italia — ove sapevo di non poter stare — prevalse — e verso settembre sbarcammo in salvo a Porto Venere -

Da porto Venere a Chiavari, nulla di nuovo — e fummo ospitati in quest'ultima città, in casa di mio cugino Bartolomeo Pucci, di carissima memoria -

Fummo festeggiati dalla buona famiglia di mio parente come pure da cotesta cara popolazione di Chiavari — e dai numerosi Lombardi che vi si trovavano rifuggiati dopo la battaglia di Novarra -

Ma il generale Lamarmora, allora commissario regio a Genova, sapendo del mio arrivo — ordinò fossi trasferito in quella capitale — scortato da un Capitano di carabinieri travestito -

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Io non trovai, affatto strano il procedimento del generale Lamarmora — Egli era istromento della politica, prevalente allora nel nostro paese; ed istromento intimo — nemico poi per propensione di chiunque, fosse come me, macchiato del suggello Republicano -

Fui rinchiuso in una segreta del palazzo ducale di Genova — e quindi trasportato di notte, a bordo della fregata da guerra il S. Michele — In ambi luoghi, però, trattatto con deferenza, sia da Lamarmora, come a bordo dal cavalleresco comandante Persano — Io, altro non chiesi, che 24 ore per andare a Nizza ad abbracciare i miei figli — e tornare poi a prendere il mio posto di reclusione — Sulla mia parola mi permise ogni cosa il generale Lamarmora -

Non so, se vi furono — a bordo del piroscafo S. Giorgio che mi condusse — altri travestiti — ma sicuramente al mio arrivo in Nizza, vi si trovavano avvisi preventivi, ed i carabinieri in alerta — che secondo le consuetudini delle autorità regie — mi fecero ritardare varie ore per sbarcare — e quindi non ebbi altro tempo, che di giungere a Caras, ove si trovavano i miei figli, passarvi la notte, e ripartirne subito -

La vista de' miei figli, ch'io ero obligato di abbandonare chi sa per quanto — mi addolorò sommamente — Essi rimanevano in mano amiche è vero: i due maschi con mio cugino Augusto Garibaldi — e la mia Teresa con i conjughi Deidery, che ad essa servirono di genitori — Ed io dovevo allontanarmi indefinitamente! Sì, indefinitamente — poichè mi si propose di scegliere un luogo d'esiglio!

Qui, non devo passare sotto silenzio, la maschia difesa che presero della mia causa, i deputati della sinistra nel parlamento Piemontese — Baralis, Borella, Valerio, Brofferio, alzaron potentemente la voce in mio favore — e se non pervennero a sottrarmi all'esiglio — mi sottrarono certamente ad alcunchè di peggio -

V'era, come sempre, insaziabile sete di sangue nel partito Austro-prete — ed era stato vittorioso dovunque nella penisola -

Richiesto di scegliere un luogo d'esiglio — io scelsi Tunis -

La mia speranza su migliori destini del mio paese — mi facea preferire un sito vicino — A Tunis trovavasi un Castelli di Nizza amico mio d'infanzia — ed un Fedriani [238] amicissimo mio dal 34 — e compagno della prima mia proscrizione -

M'imbarcai dunque per Tunis sul vapore da guerra il Tripoli — A Tunis, il governo, subordinato alle ispirazioni della Francia — non mi volle — e fui trasportato indietro, e depositato nell'isola della Maddalena — ove stetti una ventina di giorni — Cosa ridicola! Non mancò chi m'accusasse al governo Sardo — o lo stesso governo lo finse: ch'io tramavo rivoluzioni — In quell'isola, ove la metà della popolazione — era in quel tempo a servizio regio — o pensionata — Buona popolazione d'altronde — che mi trattò molto bene -

Dalla Maddalena, fui imbarcato per Gibilterra sul brigantino da guerra Colombo — Il governatore Inglese di cotesta piazza — mi diede sei giorni di tempo per evacuarla — Con tanto affetto — e con ragione — com'ebbi sempre per quella nazione generosa — non posso dissimulare: che molto scortese, futile, ed indegno mi sembrò tale procedimento –

2º Periodo.

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