Capitolo I. Campagna di Sicilia — Maggio 1860.

Sicilia! Un filiale, e ben meritato affetto mi fa consacrarti queste prime parole d'un periodo glorioso — terra di prodigi e d'uomini prodigiosi!

Tu genitrice degli Archimedi — porti nella luminosa tua storia — due impronte — che si cercano invano nella storia dei più grandi popoli della terra — Due impronte del valore e del genio — che provano: la prima, che non v'è tirannide per fortemente costituita essa sia — che non possa esser rovesciata nella polve, nel nulla — dallo slancio, dall'eroismo d'un popolo — come il tuo insofferente d'oltraggi -

Questa prima: sono i sublimi — gl'immortali tuoi Vespri!

La seconda appartiene al genio di due fanciulli — che fanno probabili le scoperte della mente umana nelle sterminate regioni dell'Infinito.

Anche una volta — Sicilia! Ti toccava di svegliare i sonnolenti! Di strappare dal letargo, gli addormentati dalla diplomazia, e dalla dottrina — Coloro, che non del proprio [302] ferro armati — confidano ad altri, la salvezza della patria, e così la mantengono nella dipendenza, e nell'umiliazione -

L'Austria è potente — i suoi eserciti sono numerosi; alcuni formidabili vicini — sono contrari per miserabili mire dinastiche al risorgimento d'Italia — il Borbone ha cento milla soldati! E che monta! Il cuore di 25 millioni, palpita, freme d'amor di patria! La Sicilia che lo riassume tutto — insoffrente di servaggio, ha gettatto il guanto alla tirannide -

Essa la sfida dovunque: la combatte tra le mura del monastero — e sulle cime de' suoi estinti volcani — Ma son pochi! Le falangi del tiranno sono numerosissime — ed i patrioti sono schiacciati, rigettatti dalla capitale — ed obligati di ricoverarsi nei monti — ¿E non sono i monti, l'albergo, il santuario della libertà dei popoli? Gli Americani, gli Svizzeri, i Greci — tennero i monti, quando soverchiati dalle ordinate coorte dei dominatori -

«Libertà non fallisce ai volenti»

E ben lo provarono cotesti fieri isolani — cacciati dalle città, e mantenendo il fuoco sacro nelle montagne! Fatiche, disagi, privazioni — che importa! quando si pugna per la causa santa del proprio paese, e dell'umanità!

O Mille!..... In questi tempi di vergognose miserie, giova ricordarvi — l'anima rivolta a voi — si sente sollevata dal mefìte di quest'atmosfera da ladri, e da prostituti — pensando: che non tutti — perchè la maggior parte di voi, ha seminato l'ossa su tutti i campi di battaglia della libertà — non tutti ma bastanti ancora per rappresentare la gloriosa schiera — restate, avanzo superbo ed invidiato — pronti sempre a provare ai boriosi vostri detrattori — che tutti non son traditori e codardi — non tutti spudorati sacerdoti del ventre — in questa terra dominatrice e serva!

«Ove vi sono dei fratelli che pugnano per la libertà Italiana, là bisogna accorrere» voi diceste: ed accorreste, senza chiedere s'eran molti i nemici da combattere — se sufficiente il numero de' volenterosi — se bastanti i mezzi per l'ardua impresa — Voi, accorreste sfidando gli elementi, i disagi, i pericoli — con cui vi attraversaron la via, nemici, e sedicenti amici — Invano il Borbone col numeroso naviglio, incrociava, stringendo in un cerchio di ferro la Trinacria, insofferente di giogo — e solcava in tutti i sensi [303] il Tirreno — per profondarvi ne' suoi abissi — Invano! Vogate! vogate pure, Argonauti della libertà! Là, sull'estremo orizzonte dell'Ostro, splende un'astro che non vi lascerà smarrire la via — che vi condurrà al compimento della grande impresa — l'astro che scorgeva il grandissimo cantore di Beatrice — e che scorgevano i grandi che lo successero, nel più cupo della tempesta — la stella d'Italia! ¿Ove sono i piroscafi, che vi presero a Villa Spinola, e vi condussero attraverso il Tirreno, nel piccolo porto di Marsala? Ove? Son forse essi, nuovi Argo — gelosamente conservati — e segnati all'ammirazione dello straniero, e dei posteri — simulacro della più grande e più onorevole delle imprese Italiane? Tutt'altro — essi sono scomparsi! L'invidia, e la dapoccagine di chi regge l'Italia, hanno voluto distruggere quei testimoni delle loro vergogne!

Chi dice: essi furono distrutti in premeditati naufragi — Chi: li suppone a marcire nel più recondito d'un arsenale — E chi: venduti agli ebrei — come veste sdruscite -

Vogate però! Vogate impavidi: Piemonte e Lombardo nobili veicoli d'una nobilissima schiera — la storia rammenterà i vostri nomi illustri, a dispetto della calunnia — E quando l'avanzo dei Mille, che la falce del tempo avrà risparmiato per gli ultimi, seduti al focolare domestico, racconteranno ai nipoti, la quasi favolosa impresa — a cui ebber l'onore di partecipare — Oh! essi ben ricorderanno, alla gioventù attonita, i nomi gloriosi che componevano l'intrepidissimo naviglio -

Vogate! Vogate! Voi portate i Mille — a cui s'agregherà il millione — il giorno in cui queste masse ingannate capiranno: esser un prete un'impostore, e le tirannidi un mostruoso anacronismo -

Com'eran belli, i tuoi Mille, Italia! Pugnando contro i piumati indorati sgherri — spingendoli davanti a loro, come se fosse gregge — Belli! Belli! e variovestiti — come si trovavano nelle loro officine — quando chiamati dalla tromba del dovere — Belli! Belli erano coll'abito ed il capello dello studente — colla veste più modesta del muratore, del carpentiere, del fabbro.

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Io ero in Caprera quando mi giunsero le prime notizie d'un movimento in Palermo — Notizie incerte — or di propagante insurrezione, ora annientata alle prime manifestazioni — Le voci continuavano però a mormorare d'un moto — e questo soffocato o no, — aveva avuto luogo -

Ebbi avviso dell'accaduto dagli amici del continente — Mi si chiedevano le armi ed i mezzi del millione di fucili — Titolo che s'era dato ad una sottoscrizione per l'acquisto d'armi -

Rosolino Pilo, con Corrao, si disponevano a partire per la Sicilia — Io conoscendo lo spirito di chi reggeva le sorti dell'Italia settentrionale — e non ancora desto dal scetticismo in cui m'avevano precipitato i fatti recenti degli ultimi mesi del 59 — sconsigliavo dal fare, se non si avevano nuove più positive dell'insurrezione — Gettavo il mio ghiaccio di mezzo secolo nella fervida, potente risoluzione di 25 anni — Ma era scritto sul libro del destino! Il ghiaccio, la dottrina, il pedantismo — seminavano in vano di ostacoli la marcia incalzante delle sorti Italiane!

Io consigliavo di non fare — ma per Dio! Si faceva — ed un barlume di notizie, anunciava che l'insurrezione della Sicilia, non era spenta. Io consigliavo di non fare? Ma l'Italiano, non dev'essere, ove l'Italiano combatte per la causa nazionale contro la tirannide?

Lasciai la Caprera per Genova — e nelle case de' miei amici Augier e Coltelletti — si cominciò a ciarlare della Sicilia e delle cose nostre — A Villa Spinola poi, in casa dell'amico Augusto Vecchi — si principiò a fare dei preparativi per una spedizione -

Bixio è certamente il principale attore della spedizione sorprendente — Il suo coraggio, la sua attività — la pratica sua nelle cose di mare — e massime di Genova suo paese natio — valsero immensamente ad agevolare ogni cosa -

Crispi, Lamasa, Orsini, Calvino, Castiglia, gli Orlandi, Carini, ecc. tra i Siciliani, furono fervidissimi per l'impresa — così Stocco, Plutino, ecc. Calabresi -

Si era tra tutti, stabilito, che comunque fosse: battendosi i Siciliani bisognava andare — probabile, o no — la riuscita -

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Alcuni voci di sconforto — mancarono però di poco, a distruggere la bella spedizione — Un telegramma da Malta, mandato da un amico degno di fede — anunciava tutto perduto — e ricoverati in quell'isola, i reduci della rivoluzione Siciliana -

Si desistè quasi intieramente dall'impresa — Bisogna però confessare: che nei Siciliani suddetti — mai venne meno la fede — e che guidati dal bravo Bixio, essi erano ancora decisi di tentare la sorte — almeno per verificare la cosa sul terreno stesso della Sicilia.

Intanto il governo di Cavour — cominciava a gettare quella rete d'insidie, e di miserabili contrarietà, che perseguirono la nostra spedizione sino all'ultimo -

Gli uomini di Cavour non potevano dire: «non vogliamo una spedizione in Sicilia» l'opinione generale dei nostri popoli, li avrebbe dichiarati reprobi — e quella popolarità fittizia — guadagnata col denaro della nazione — comprando uomini e giornali sarebbe stata scossa probabilmente -

Io potevo dunque, preparare qualche cosa — per i fratelli militanti della Sicilia — temendo poco d'esser arrestato da cotesti Signori — e sorretto dal generoso sentimento delle popolazioni — commosse fortemente dalla maschia risoluzione dei coraggiosi Isolani -

La disperazione, ed il forte proposito degli uomini del Vespro potevano soli spingere avanti tale insurrezione — Lafarina delegato da Cavour per sorvegliarci — mostrava non aver fede nell'impresa — e valevasi per dissuadermi della sua conoscenza del popolo Siciliano — essendo lui stesso nativo di quell'isola — e mi alegava: che avendo perduto Palermo — gl'insorgenti comunque essi fossero, erano perduti — Una notizia governativa però, data da lui stesso contribuì a corroborarci nella risoluzione d'agire -

A Milano esistevano una quindicina di milla fucili buoni — e di più, mezzi pecuniari di cui si poteva disporre — A capo della direzione: Millione di fucili — stavano Besana e Finzi — su cui si poteva contare pure -

Besana giunto a Genova, da me chiamato, con fondi — ed avendo lasciato l'ordine alla sua partenza da Milano: che ci fossero inviati fucili, munizioni, ed agli [altri] oggetti militari che vi si trovavano — Nello stesso tempo Bixio, trattava con Fauché dell'amministrazione dei vapori Rubattino — per poterci recare in Sicilia — La cosa non marciava male — e grazie all'attività di Fauché e Bixio — e lo slancio [306] generoso della gioventù Italiana, che accorreva da ogni parte — noi ci trovavamo in pochi giorni atti a prendere il mare — quando un'incidente inaspettato, nonchè ritardarci, quasi impossibile rendeva la nostra impresa -

I mandati, per ricevere i fucili a Milano, trovarono alla porta del deposito, carabinieri reali, che intimarono di non pigliare un solo fucile! Cavour aveva dato tal ordine — Cotesto ostacolo non mancò di contrariarci ed indispettirci — non però di farci desistere dal nostro proposito — e siccome non potendo avere le armi nostre, noi tentavamo d'acquistarne altrove — e ne avressimo trovato certamente — allora Lafarina offrì mille fucili, ed otto milla lire — ch'io accettai senza rancore — Liberalità pelosa delle volpi alto-locate — E realmente: noi fummo privi dei buoni fucili nostri che restarono in Milano, e fummo obligati di servirci dei cattivissimi fucili Lafarina -

I miei compagni di Catalafimi, racconteranno con che armi pessime, essi ebbero a combattere — contro le buone carabine Borboniche — in quella pugna gloriosa -

Tutto ciò ritardò la nostra partenza — e fummo quindi in dovere di rimandare a casa molti volontari — il cui numero diventava superfluo — per l'insufficienza dei trasporti — e per non insospettire inutilmente le polizie — non eccetuate la Francese e la Sarda -

La ferma volontà di fare, però, e di non abbandonare i nostri fratelli della Sicilia, vinse ogni ostacolo -

Si richiamarono i volontari ch'eran stati destinati alla spedizione — che accorsero immediatamente, massime dalla Lombardia — I Genovesi erano rimasti pronti — Le armi, le munizioni, i viveri, i pochi bagagli — s'imbarcarono a bordo di piccole barche -

Due vapori: il Lombardo ed il Piemonte — comandati il primo da Bixio ed il secondo da Castiglia — furono fissati — e nella notte del 5 al 6 maggio — uscirono dal porto di Genova — per imbarcare la gente che aspettava, divisa tra la Foce e Villa Spinola -

Alcune difficoltà inevitabili, in tale genere d'imprese, non mancarono di contrariarci — Giungere a bordo di due vapori nel porto di Genova, ormeggiati sotto la darsena — impadronirsi degli equipaggi, e costringerli ad ajutare i predoni — Accendere i fuochi — prendere il Lombardo a rimorchio del Piemonte — che si trovò pronto — mentre non lo era l'altro — e tutto ciò con uno splendido chiaro [307] di luna; son tutti fatti più facili a descriversi, che ad eseguire — e vi fa mestieri molto sangue freddo, capacità, e fortuna -

I due Siciliani Orlando, e Campo, della spedizione — ed ambi macchinisti ci valsero sommamente in tale circostanza -

All'alba tutto era a bordo — L'ilarità del pericolo, delle venture — e della coscienza di servire la causa santa della patria — era impronta sulla fronte dei Mille — Erano Mille, quasi tutti Cacciatori delle Alpi — quelli stessi che Cavour abbandonava alcuni mesi prima nel fondo della Lombardia alle spalle degli Austriaci — e che rifiutava di mandar loro il rinforzo ordinato dal re — quelli stessi cacciatori delle Alpi, che si ricevevano nel ministero di Torino — quando disgraziatamente ne abbisognavano — come se fossero apestati — e come tali si cacciavano — gli stessi mille, che si presentavano due volte in Genova per correre un pericolo certo — e che si presenteranno sempre, ove si tratta di dar la vita all'Italia — non aspettando altro guiderdone che quello della loro coscienza -

Belli! eran quei miei giovani veterani della Libertà Italiana — ed io superbo della loro fiducia mi sentivo capace di tentare ogni cosa –

3º Periodo, 1860.

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