SCENA IV

Carlo poi Elena

Carlo – (solo. Ha un moto di liberazione. Dopo aver pensato un momento, con ansia evidente va per telefonare. Afferra il ricevitore poi rinuncia. Si abbatte in improvvise ambasce, si risolleva in improvvisi scatti. Guarda l’orologio. Va alla finestra. L’apre. La rinchiude. Prende una risoluzione. Esce un momento dalla porticina dello studio e ne rientra con cappello e bastone. Fa per uscire dalla comune ma vi compare Elena).

Elena – (con affettata indifferenza) Uscivi?

Carlo – Uscivo a cercarti.

Elena – Tu uscivi a cercarmi? E dove?

Carlo – Che so? Sono le otto, quasi...

Elena – (togliendosi il cappello e la veletta) Hai ragione. Ho perduto del tempo dalla zia. Lo sai, poveretta, quando comincia a raccontare le sue disgrazie non finisce più. Stavi in pensiero?

Carlo – Sì

Elena – Mi dispiace. Ora vado a dare gli ordini.

Carlo – No, aspetta. Parliamo.

Elena – (confusa) Di che?

Carlo – Di noi.

Elena – Di noi due?

Carlo – Sì, di noi due. (pausa) Di noi due. Sei stata dalla zia?

Elena – Carlo, dubiteresti?

Carlo – No, non ho mai dubitato di te, lo sai. Ho creduto sempre a tutto quello che tu mi hai detto. Doveva essere così per la tua e per la mia fortuna. Ora il tuo amore può diventare il mio tormento.

Elena – Carlo!

Carlo – Lasciamo dire. Da qualche giorno sei mutata. Tre giorni fa anche sotto l’incubo di una improvvisa partenza potevi ancora abbandonare il tuo capo sulla mia spalla e piangere e implorare la gioia della tua vita. Oggi mi stai innanzi fredda... non so... non posso dirti perchè, ma sento in me un mutamento profondo, uno spostamento di gravità, di cui soffro orribilmente...

Elena – Ma che cosa pensi?

Carlo – E tu, che cosa pensi? Pensi forse che io non abbia forza sufficiente per sopportare qualunque sentenza? Credi forse che nel mio cuore non sia abbastanza carità, abbastanza amore per comprendere e perdonare, abbastanza volontà per dimenticare? O pensi che io sia così cieco da non vedere? No, non ti accuso, non ti impongo la vergogna di una scena di gelosia. Non l’ho mai fatto, vero?

Elena – Per questo appunto.

Carlo – Ecco: per questo appunto devi credere alla sincerità delle mie parole. Chi mi potrebbe vietare invece di dirti: non credo alla tua visita alla zia. Mio Dio. Mi sono sempre occupato poco, è vero, di vita galante, ma mi sembra che questa bugia sia troppo semplice. Non meritavo forse qualche cosa di più geniale? No, non ti credo: tu oggi hai veduto Maurizio Moldeno che è il tuo amante... Chi mi potrebbe vietare di dirti così?

Elena – Non è vero!

Carlo – Che cosa non è vero?

Elena – Niente di quello che hai detto. Intanto non è vero che tu mi parli con franchezza. Tu ti sei sempre occupato molto poco di me. Il tuo riposo. Non mi hai mai veduta che sotto questo aspetto di soffice passività, che mi ero rassegnata a sopportare con fedeltà, sai, con tanta fedeltà, perchè sapevo, sentivo che questo ti era necessario. Quello che in tanti anni mi hai sottratto d’amore lo hai restituito generosamente alla mia vanità. Ad un tratto neghi tutto. Io, dimmi, io che cosa divento? Non so, non so: e ti stupisci della mia tristezza, della mia inquietudine, di tutta l’incertezza che è in me, per me, per te, per tutto il mondo? Oh, si vede bene che sei vissuto accanto a me, sempre come un padrone, come un dolce padrone, povero Carlo! Io invece ti conosco profondamente e so che tu non sei capace di stupirti di un mio ritardo, io so che tu non puoi pensare ciò che hai insinuato poco fa, senza che qualcuno ti abbia suggerito l’infamia. Non mi difendo, sai, non mi giustifico e non mi difendo.

Carlo – Ti difendi. Sta bene. E poi che non è possibile guardarci in faccia pietosamente come due fiaccati dalla stessa stanchezza, ma bisogna dunque essere nemici, io ti dico che tu hai mentito.

Elena – Carlo, non ti riconosco più! Che dici?

Carlo – Per la prima volta forse in vita tua, ma hai mentito! Tu oggi hai veduto Maurizio Moldeno.

Elena – Carlo, perchè pensi queste cose? Chi ti ha fatto pensare?...

Carlo – Non negare. Ho nell’anima tanta amarezza, tanta solitudine! Elena, risparmia al compagno della tua vita una bassezza.

Elena – Quale bassezza?

Carlo – Quella di provarti che hai mentito.

Elena – Che fai?

Carlo – Telefono a tua zia!

Elena – (vivacemente) Non ti risparmio una bassezza se tu non puoi risparmiarmi una vergogna! Chiama la zia! Fallo! Ma pensaci! Dalla risposta della zia dipende una condanna: o la mia o la tua!

Carlo – (lanciandosi contro la donna forsennatamente) Ma dunque cos’è che ti fa parlare così, senza umiltà contro di me? Dimmi, io posso ascoltare tutto: dimmi: ti amo! Io ti amo disperatamente!

Elena – Carlo mio!

Carlo – Dimmi che non mi hai tradito, dimmi che non m’inganni, dimmi che mi vuoi bene...

Elena – Carlo, non t’inganno...

Carlo – Dimmi che mi vuoi bene...

Elena – Non ti inganno...

Carlo – (subitamente freddo) Non mi ami?

Elena – Non so, non so...

Carlo – Come non sai? Come non sai? Che cosa è accaduto? È dunque vero che io sono così compiutamente uscito dalla vita di tutti da non sentire più, da non capire più la vostra voce, le vostre parole, come voi non capite le mie parole? È dunque vero che io sono così lontano da me stesso, anche da me stesso, che tu, Elena mia, mio amore, non mi riconosci? E senti l’anima tua tremare nelle sue stesse radici? Dimmi che sono pazzo!

Elena – Ma perchè... perchè?...

Carlo – È vero che parliamo per l’ultima volta insieme?

Elena – Carlo, per carità...

Carlo – Vedi, potrebbe essere l’ultima volta... Che importa? Non piango più, Elena, non so più piangere... Non so più nemmeno soffrire... Io sono percosso dalla febbre della ribellione a questo peso di ghiaccio che mi soffoca...

Elena – Carlo, Carlo, non parliamo più: da due giorni non ho un solo pensiero fermo... non so nemmeno cosa risponderti per venire in tuo soccorso... ho una instabilità tormentosa qui dentro...

Carlo – (accendendosi) Ecco: lo vedi? Non mi ami più, non mi ami più! Ora, chi mi toglie dal cervello la spaventosa figura di Maurizio Moldeno, che è penetrata qui dentro, nella mia casa, qui dentro nel mio cuore, per corrompere, corrodere, rubare?...

Elena – Carlo, abbi pietà di me...

Carlo – (calmo improvvisamente come per una nuova risoluzione presa) Ecco: io non ho detto nulla... Tu sei la mia Elena... E allora puoi partire con me... Partiamo subito, domani, questa notte stessa... Quando vuoi.

Elena – (fredda) Quando vuoi!

Carlo – Così! No così! (pausa) Ma che è? Che hai? Elena... rispondimi... come uscire da questo cerchio di piombo che ci affoga? Andar via! Lo capisci che bisogna fuggire? Come vivremo? Come vivremo? Via, via, lontano, da soli!

Elena – (come un’eco ripete) Soli...

Carlo – (continuando) Via, via, per non essere preso da questa follia, per fuggire al cerchio del destino... per non soffrire più questi attimi di paralisi!

Elena – (come continuando il suo intimo discorso) Soli!

Carlo – Sì soli... Che vuol dire? Vuol dire liberi... liberi... leggeri... sciolti dai vincoli che ci legano ai piedi le costruzioni errate degli uomini... vuol dire fermarsi finalmente e riposarsi al cospetto delle stelle e di Dio... Contro ogni tormento umano... contro questa fatalità che ci pesa nell’anima...

Elena – Ma tu porterai con te dovunque questo peso... Tu sarai solo... Ma sei uomo... Non riposerai... Liberati da questo male...

Carlo – (scosso) Che male!... Che male!... Oh... se tu mi amassi... se non t’avessi perduto... oh, allora, il tormento stesso della fuga sarebbe infinitamente meno amaro.

Elena – Perduta, dici? Perchè perduta se t’amo? Io non so dire... non so dire... e ho paura che tu non m’intenda... Io t’amo... Ma tu mi fuggi... tu mi fuggi... Il tuo tormento ti porta lontano da me... lontano da noi...

Carlo – Elena... Elena...

Elena – Carlo... Carlo... Dove vuoi andare? Non fuggire... Come amarti, se fuggi?... No... no... come vuoi, come vuoi... io ti seguirò, dove vorrai... se vorrai... per obbedirti.

Carlo – (scattando senza badare più alla donna che è rimasta un attimo sorpresa) È la legge... è la legge... la nostra condanna implacabile... E avanti dunque... avanti... sui morti... sulle miserie... sulle infelicità... avanti sulle rivoluzioni... sulle guerre... su tutto... avanti... tutto è inutile... È la condanna... È la legge... per... (facendo il gesto con cui si indicano le cose piccole) per una lacrima... per un bacio... (con la perplessità che impone una cosa grande)… per l’amore... (ritornando sui suoi passi incontra, mentre dice le ultime parole, la sua donna. L’afferra tra le braccia e la bacia lungamente su la bocca. Elena cade a terra affranta dalla commozione; staccandosi improvvisamente, ha un attimo di perplessità. Guarda in alto e grida dolorosamente:) Alla catena! (va al telefono. Chiama il numero 38. La moglie si alza in preda alla più viva agitazione. Si vede che essa sta per slanciarsi su di lui) Trezzi? Roberto... siete voi... sì... precisamente... No, non ho niente... volevo dire... (prende la donna fra le sue braccia mentre continua a telefonare con la voce rotta dall’ansia) volevo dire... i francesi... no, non debbono partire... no, no... non fatemi parlare... Vi aspetto qui... non... devono partire... (una pausa) Sì... (con un grandissimo sforzo) ho detto sì... (depone il ricevitore, mentre la donna gli si inginocchia davanti in un impeto di tenerezza).

Elena – Carlo... Carlo, per me!

Carlo – Per vivere... (solleva la donna e la bacia con avidità di possesso sulla bocca, mentre per i singhiozzi il suo petto sussulta).

FINE

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