CAPITOLO III.

Del Governo di D. Pietro Fernandez di Castro Conte di Lemos; e suoi ordinamenti intorno all'Università de' nostri Studi, perchè presso noi le discipline e le lettere fiorissero.

Don Pietro di Castro fu figliuolo di D. Ferdinando, che morì in Napoli essendovi Vicerè, e fratello di D. Francesco, che governò pure il Regno in qualità di Luogotenente lasciatovi da suo padre in vigor di facoltà concedutagli dal Re. Giunto in Napoli trovò il Regno non pur esausto, ma il Patrimonio Reale e la pubblica Annona in debito di più milioni, in guisa, che nè la città avea modo di provveder di frumenti i granai, nè la Cassa Militare di pagar le soldatesche. Ma applicatosi egli a favorire le Comunità del Regno, acciò fossero più pronte a pagare i tributi dovuti al Re: a far rivedere i conti, così delle Regie entrate, come della città: a riparar le frodi, che si commettevano dagli amministratori di esse: a porre i libri in registro: e sopra tutto vegghiando, che si spendesse fruttuosamente il denaro, accrebbe l'Erario del Principe e la pubblica Annona, tanto che nel corso del suo governo fu goduta una compiuta abbondanza.

Applicò ancora l'animo ad una esatta amministrazion di giustizia, invigilando alla sollecita spedizione delle cause: fu severo e terribile contra a' malfattori, e pose terrore a' Ministri, perchè invigilassero a castigarli, ed attendessero con assiduità e vigilanza a' loro ufficj.

Ma sopra ogni altro, di che resta a noi perpetuo ed illustre monumento, fu l'amore, che egli ebbe verso le lettere e la stima che fece della nostra Università degli Studi. Innalzò per degno ricetto delle Muse un superbo e magnifico Edificio, di cui non può pregiarsi aver simile qualunque Università d'Europa. I Professori di quest'Università per non aver luogo proporzionato a' loro esercizj, da S. Andrea a Nido, ove anticamente dimoravano, erano stati costretti ricovrarsi nel cortile, che serve d'atrio alla Chiesa di S. Domenico de' Frati Predicatori, dove in alcune volte terrene, che formavano tre stanze, addottrinavano la gioventù: nelle due, che sono nel muro verso mezzo giorno e dirimpetto alla Chiesa nella prima si leggeva la Ragion Canonica e la Gramatica Greca, e nella seconda s'insegnavano le leggi civili: nell'ultima stanza del lato interno verso occidente era la Cattedra, che chiamavasi degli Artisti. Ma luogo angusto ed incomodo, e mal atto a tal ministerio, nè con architettura conforme al bisogno dell'opera ed al decoro e magnificenza della città: il sentirsi con poca riverenza della vicina Chiesa spesse dispute ed armeggiamenti degli Scolari: i fastidiosi ed importuni suoni delle campane che spesso interrompevano gli esercizj de' Professori, fecero, che il Conte di Lemos, affezionato agli Studi, ne' quali nell'Università di Salamanca, in tempo della sua gioventù, avea fatti maravigliosi progressi, pensasse da dovero a darvi riparo; e riputando ciò indegno di un'Università cotanto preclara, di cui non meno l'Imperador Federico II che i Re dell'Illustre Casa d'Angiò aveano fatta tanta stima, si determinò di prepararle una magnifica abitazione e degna delle scienze, che ivi si professavano. Colla direzione adunque del Cavalier Fontana, famoso Architetto di que' tempi, fece ergere un ampio edificio fuori la Porta di Costantinopoli, nel medesimo luogo, dove prima da D. Pietro Giron Duca d'Ossuna era stata edificata la Real Cavallerizza: fecevi costruire un ben ampio Teatro, per uso de' concorsi e per altre pubbliche dispute, e sale ben grandi capaci d'un gran numero di studenti; ma ciò, che rese l'opera stupenda e maravigliosa, furono li magnifici portici e le prospettive arricchite di statue di finissima scultura. Mancò solamente la perizia dell'arte nelle Iscrizioni, che in marmo vi s'addattarono nelle sue facciate e magnifiche Porte. A questi tempi erasi corrotta fra noi la Poesia, e questi studi erano passati a' Gesuiti, presso i quali era allora riputato risiedere la letteratura; quindi da' più valenti e savi critici, che in Napoli eran allora molto pochi e rari, furono in quelle notati molti errori, e leggendosi in una d'esse a lettere cubitali quell'ULYSSE AUDITORE, si diede occasione a Pietro Lasena di comporre quel suo dotto ed erudito libro Dell'Antico Ginnasio Napoletano, dove fa vedere i sogni dell'Autor dell'Iscrizione.

Con tutto che questa grand'opera non fosse finita si spesero dal Conte centocinquantamila ducati, ch'e' raccolse da tutto il Regno. Non potè egli aver il piacere di vederla interamente compita, essendo stato breve il tempo del suo governo; con tutto ciò, ancorchè non fosse terminata la fabbrica volle far seguire la traslazione degli studi, dal luogo ov'erano, in questo nuovo magnifico edificio, e per mostrare la stima che faceva di tal Università, volle egli intervenirvi coll'assistenza de' Tribunali, disponendo egli la celebrità con una numerosa cavalcata, la quale in Napoli non fa mai veduta simile, e la novità era, perchè v'intervennero i Dottori del Collegio ed i Professori dell'Università, vestiti all'uso di Spagna con una sorta d'insegna Dottorale, che chiamavano Capiroto, divisato con varietà di colori corrispondenti ed applicati alla varietà delle scienze, che da loro si professavano. I Teologi la portavano bianca, e negra: i Filosofi azzurra e gialla; i Legisti e Canonisti di color verde e rosso; e tutti avevano le berrette co' fiocchi de' medesimi colori. In cotal guisa si fece in quest'anno 1616 l'apertura dei Regj Studi in questo nuovo Edificio, dove il Vicerè intervenne ed ascoltò l'orazione, che per tal solennità recitossi.

Ma non bastava aver in sì magnifica forma ridotti i nostri Studi, se per ben reggergli non si provvedessero di savie leggi ed ottimi istituti. Egli riordinolli con prescrivere più Statuti, che ora si leggono nel Corpo delle nostre Prammatiche, nelli quali, confermando la Prefettura d'essi al Cappellan Maggiore, prescrisse la norma ed il numero degli altri Ufficiali, che doveano averne pensiero: ciò che s'appartenesse a' Protettori ed al Rettore, e del modo d'eleggerlo: ai Bidelli, al Maestro di cerimonie, al Capitan di guardia ed a' Portieri. E perchè il Conte meditava arricchire quest'Edificio d'una copiosa Libreria, prescrisse ancora in questi Statuti il modo da conservare i libri, e dell'uso che se ne dovea avere, e ciò che dovea essere dell'incombenza del Custode. Parimente stabilì in quelli una Cappella propria, e v'assegnò il Cappellano, e prescrisse le Feste, che si doveano ivi celebrare.

Distribuì le Cattedre e le materie che si doveano leggere, determinando ancora a' Professori i Salari in ogni facoltà: diffinì il corso dell'anno per lo studio, e quanto tempo arcano da durare le lezioni: preserisse il modo di leggere che doveano tenere i Lettori: le visite, che il Prefetto dovea fare a' medesimi: de' loro sustituti, ed in quali casi potevano concedersi; e che niuno nelle private case potesse leggere quelle facoltà, che si leggevano ne' pubblici Studi.

Ma quello, di che merita maggior lode questo savio Ministro, fu l'avere con severe leggi stabilito, che tutte le Cattedre si provvedessero per concorsi e per opposizioni. Avea il nostro Imperador Federico II, quando riformò, ed in miglior forma ridusse questi Studi, fin dall'anno 1239, per sua Costituzione ordinato, che niuno potesse assumersi titolo di Maestro, che ora diciamo Lettore, se non fosse diligentemente esaminato in presenza de' suoi Ufficiali e de' Maestri di quella facoltà, che si pretende insegnare. Questo diligente esame facevasi per opposizione: modo non già da Federico inventato, ma molto antico ed a noi da' Greci tramandato, leggendosi presso Luciano, che in Atene sotto M. Aurelio, morto il Professore, era surrogato in suo luogo chi dopo aver disputato coll'oppositore, e fatto un tal esperimento, avea il suffragio degli Ottimati. Parimente in Costantinopoli, per legge stabilita da Teodosio il giovane, l'esame e l'elezione de' Professori si faceva Coetu amplissimo judicante . Quest'istesso praticandosi inviolabilmente nelle Università di Spagna, siccome in molte altre d'Europa, volle il Conte di Lemos con leggi più strette stabilire presso di noi. Egli ordinò, che tutte le Cattedre si provvedessero per opposizione, invitandosi con pubblici Editti coloro, che degnamente si volessero opporre: prescrisse il modo, che si dovrà tenere nella pubblicazione di questi Editti: coloro, che possono opporsi alle Cattedre; gli esercizi, che avran da fare gli Oppositori e che avranno da osservare, durante la vacanza della Cattedra: determinò il numero de' Magistrati e de' Professori, che avranno da votare in quelle: il modo da tenersi: i diritti, che dovranno pagare coloro che saranno provvisti, ed il giuramento che avran da dare prima di pigliare il possesso.

Dopo avere il Lemos dati provvidi regolamenti intorno agli Ufficiali, che reggono l'Università, ed intorno a' Professori, e del modo d'eleggerli; passa a regolare ciò che s'appartiene agli Studenti, ricerca da quelli la matricola, l'esame che dovrà farsi quando dalla Gramatica passano ad altra facoltà: determina il tempo del corso de' loro studi: prescrive il modo da tenersi nelle dispute, e pubbliche conclusioni; i loro esercizj nella Rettorica, nella lingua Greca, Matematica ed Anatomia; ed in fine le Repetizioni, che avran da fare ogni anno a' medesimi li Lettori delle letture perpetue.

Queste furono le leggi Accademiche, che stabilì il Conte di Lemos per la nostra Università degli Studi, le quali partito che fu egli dal Governo di Napoli, vedendo il suo successore D. Pietro di Giron Duca d'Ossuna, che non erano con quel rigore osservate, che ordinato avea il Conte, promulgò sotto li 30 novembre del medesimo anno 1616, nuova Prammatica, nella quale inserendo tutte le sopraddette leggi, ordinò, che quelle inviolabilmente si fossero osservate.

La stima che il Conte di Lemos teneva per le lettere da lui cotanto favorite, fece sì che a questi tempi fiorissero in Napoli molti Letterati, e che si rinovellasse l'istituto dell'Accademie, incominciato in tempo di D. Pietro di Toledo. Sopra tutte le altre fioriva a questi tempi l'Accademia degli Oziosi, che nacque sotto gli auspicj del Cardinal Brancaccio, e che ragunavasi dentro il Chiostro del Convento di S. Maria delle Grazie presso la Chiesa di S. Agnello, della quale era Principe Giambattista Manso Marchese di Villa; ed alle volte in S. Domenico Maggiore, nella stanza, nella quale in memoria d'avervi insegnato S. Tommaso, è rimasta la Cattedra in piedi. Si ascrissero a quella, oltre i Letterati di questi tempi, molti Nobili e Signori, che aveano buon gusto delle lettere: fra quali erano D. Luigi Caraffa Principe di Stigliano, D. Luigi di Capua Principe della Riccia, D. Filippo Gaetano Duca di Sermoneta, D. Carlo Spinelli Principe di Cariati, D. Francesco Muria Caraffa Duca di Nocera, D. Giantommaso di Capua Principe di Rocca Romana, D. Giovanni di Capua, D. Francesco Brancaccio, D. Giambattista Caracciolo, D. Cesare Pappacoda, Fr. Tommaso Caraffa dell'Ordine de' Predicatori, D. Ettore Pignatelli, D. Fabrizio Caraffa, e D. Diego di Mendozza. Ma il maggior lustro glie lo diede il Conte istesso di Lemos, il quale sovente in quest'Accademia insieme con gli altri andava a leggere le sue composizioni, ed una volta vi recitò una Commedia da lui composta, che fu intesa con grandissimo plauso.

S'ascrissero parimente in quest'Accademia quasi tutti i Letterati, che si riputavano a que' tempi i migliori, come il Cavalier Giambattista Marini, Giambattista della Porta, Pietro Lasena, Francesco de Petris, il nostro Consigliere Scipione Teodoro, Giulio Cesare Capaccio, Ascanio Colelli, Tiberio del Pozzo, Anton-Maria Palomba, Giannandrea di Paolo, Paolo Marchese, Giancamillo Cacace, che fu poi Reggente, Colantonio Mamigliola, Ottavio Sbarra, e molti altri.

A questi medesimi tempi nel Chiostro di S. Pietro a Majella ne fioriva un'altra, della quale era Principe D. Francesco Caraffa Marchese d'Anzi, e vi s'arrolarono D. Tiberio Caraffa Principe di Bisignano, Monsignor Pier Luigi Caraffa, Giammatteo Ranieri, Ottavio Caputi, Scipione Milano, ed alcuni altri.

Ma per vizio di quest'età erano professate le lettere non da tutti con quella politezza e candore, che si vide da poi verso la fine dello stesso secolo. La nostra Giurisprudenza non mutò sembiante, ed i Professori così nelle Cattedre, come nel Foro, de' quali era il numero cresciuto, seguitavano i vestigj de' loro maggiori. La filosofia era ancor ristretta ne' Chiostri, dove s'insegnava al lor modo Scolastico. La Medicina era professata da' Galenici. Lo studio delle lingue, e spezialmente della latina, e l'erudizione era ristretta ne' Gesuiti. La Poesia, tutta trasformata, era esercitata da' stravaganti cervelli; e l'Istoria da pochi era trattata con dignità e nettezza.

Non fu però, che in mezzo a tanti, alcuni nobili spiriti, allontanandosi da' comuni sentieri, non calcassero le vere strade, li quali a lungo andare dieder lume a' posteri di seguire le loro pedate; ma a questi tempi essendo pochi e rari non poterono far argine ad un così ampio ed impetuoso fiume. Rilusse Giambattista della Porta, cotanto noto per le opere, che ci lasciò. Pietro Lasena Avvocato ne' nostri Tribunali e letterato di profonda erudizione. Fabio Colonna celebre Filosofo e Matematico. Mario Schipani valente Medico e cotanto amico del virtuosissimo viaggiante Pietro della Valle. Costantino Sofia, al quale Lasena dedicò il suo libro de' Vergati; ed Antonio Arcudio, Sacerdote del Rito Greco, ed Arciprete di Soleto nella provincia d'Otranto, professori di lingua Greca, amendue Maestri del Lasena e Niccolò-Antonio Stelliola, Maestro del famoso M. Aurelio Severino. E se Francesco de Petris diede fuori a questi tempi quella sua sciocca Istoria Napoletana, ben vi furono alcuni valenti investigatori delle nostre memorie che la derisero, e che diedero saggi ben chiari di quanto sopra lui valessero: fra' quali non deve tralasciarsi qui privo della meritata lode Bartolommeo Chioccarello: costui, per la testimonianza, che a noi ne rende Pietro Lasena, che fu suo grande amico, non cedeva a uomo nelle più laboriose ricerche delle nostre antichità, tanto che s'acquistò il titolo di Can bracco. Egli per lo spazio di quaranta e più anni consumò sua vita in ricercare tutti i regj Archivj di questa città: quello della Regia Zecca, l'altro grande della Regia Camera e quello de' Quinternioni; ed anche l'altro della Regia Cancelleria: vide quasi tutti li protocolli, ed atti de' Notari antichi di Napoli: le scritture de' Monasteri più antichi, e tutti gli Archivj de Monasteri famosi, e delle Città più celebri del Regno: donde per commessione datagli nel 1626 dal Duca d'Alba Vicerè, raccolse que' 18 volumi di scritture attenenti alla regal giurisdizione. Raccolta quanto laboriosa, altrettanto gloriosa e degna d'eterna ed immortal memoria, per la quale i sostenitori della regal giurisdizione si fanno scudo e difesa contra le tante intraprese degli Ecclesiastici, che non hanno altro scopo, che d'abbatterla.

Le costui pedate seguitarono D. Ferdinando della Marra Duca della Guardia, e D. Camillo Tutini Sacerdote Napoletano, celebre ancor egli per le opere che ci lasciò. Se D. Francesco Capecelatro suo coetaneo avesse proseguito il suo lavoro, certamente avrebbe a noi lasciata una perfetta Istoria Napoletana. Ed Antonio Caracciolo Chierico Regolare Teatino diede nei suoi libri, che ci lasciò, saggi ben chiari quanto sopra questi studi intendesse. S'innalzò poi sopra tutti costoro il famoso Camillo Pellegrini Capuano, il più diligente Scrittore, ed il più savio ed acuto critico che abbiamo noi delle nostre antichità e delle nostre memorie.

Ma ritornando al conte di Lemos, dopo avere illustrata Napoli con l'innalzamento dell'Università degli studi, non tralasciò d'adornarla l'altri edificj. A lui devono i Gesuiti la fondazione del nuovo Collegio di S. Francesco Saverio. A lui dobbiamo quella grande opera de' mulini aperti fuori le mura della città presso Porta Nolana; ed a lui deve anche il Regno d'aver resi più comodi i viaggi terrestri, con far costruire nuovi Ponti. Ma furon interrotte le speranze di ricever da lui beneficj maggiori dall'avviso, che s'ebbe d'avergli li Re Filippo destinato per successore il Duca d'Ossuna, che si trovava allora Vicerè in Sicilia. Abbandonò tosto egli il governo del Regno, e lasciato D. Francesco suo fratello in sua vece, fino all'arrivo del successore, si partì a' 8 di luglio di quest'anno 1616 alla volta di Spagna, per andare ed esercitare la carica di Presidente del supremo Consiglio d'Italia. Ci lasciò ancor egli più di 40 utili e sagge Prammatiche, le quali secondo l'ordine de' tempi s'additano nella tante volte rammentata Cronologia.

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