CAPITOLO IV.

Del Governo di D. Pietro Giron Duca d'Ossuna; e delle sue spedizioni fatte nell'Adriatico contra Vineziani, ch'ebbero per lui infelicissimo fine.

Il Duca d'Ossuna, ne' principj del suo governo, mostrò un'applicazione grandissima ed una assiduità indefessa nell'ascoltare e provvedere a' bisogni del Regno, usando molto rigore perchè la giustizia fosse senza eccezion di persone rettamente amministrata, e nell'istesso tempo somma magnificenza e liberalità per cattivarsi universal applauso e benevolenza: per cattivarsi quella del Popolo fece togliere due Gabelle, poco prima per certo determinato tempo imposte; e per quietare la Corte di Spagna insospettita di ciò, diede a credere, che ciò notabilmente avrebbe giovato al Patrimonio Regale, ed alleggeriti i sudditi, e resigli più abili a soffrire le imposizioni; e per confermare questi concetti con le opere, sollecitò un donativo dal Regno d'un milione e ducentomila ducati, che mandò a presentare al Re per li bisogni della Corona.

Ma una nuova guerra accesa in Italia per la morte di Francesco Gonzaga Duca di Mantua, della quale il Cavalier Battista Nani distesamente notò i successi e le cagioni, intrigò il Duca d'Ossuna in cose più difficili e gravi. Per le cagioni rapportate da questo Scrittore, Filippo III fu indotto ad entrarvi, e ad opporsi al Duca di Savoja, al quale con sopracciglio spagnuolo imperiosamente avea comandato, che restituisse tutto l'occupato in Monferrato. Li Veneziani all'incontro favorivano il Duca con forze e denari, onde nacquero i disgusti tra la Corte di Spagna con quella Repubblica. S'aggiunse ancora, che al Re Filippo, essendosi il Senato Veneto per cagion degli Uscocchi disgustato coll'Arciduca Ferdinando, fu duopo assistere all'Arciduca cotanto a lui stretto di parentela, e di sovvenirlo. Ma non perciò s'era fra la Repubblica ed il Re dichiarata aperta guerra, nè licenziati dalle loro Corti gli Ambasciadori.

Il Duca d'Ossuna però, secondando il genio degli Spagnuoli che pubblicavano di voler movere apertamente le loro truppe contra Veneziani, nell'istesso tempo, che il Cardinal Borgia proccurava in Roma concitargli contra il Pontefice, non tralasciò quest'occasione d'ubbidire insieme a' comandi della Corte di Madrid, e di soddisfare il suo animo, che tenne sempre avverso a' Veneziani; e por opporsi al Duca di Savoja per la guerra del Monferrato, spedì al Governador di Milano replicati soccorsi, mandandovi quattro compagnie di cavalli leggieri, e sedici d'uomini d'arme, sotto scorta di D. Camillo Caracciolo Principe di Avellino, e seicento Corazze comandate da D. Marzio Caraffa Duca di Maddaloni; e per l'altra guerra, che per cagion degli Uscocchi si faceva dalla Repubblica agli Stati dell'Arciduca, armava Vascelli per infestare l'Adriatico, parte alla Repubblica sommamente gelosa. Sapeva l'Ossuna, che non poteva più nel vivo toccar i Vineziani, che col turbare il Dominio, ch'essi vantano del Mare Adriatico, infestare il commercio e romper il traffico, ancorchè da ciò ne dovessero ricevere danno i sudditi stessi del Regno, che tenevano opulente negozio nella città di Venezia; perciò fu tutto inteso, non tanto a raccoglier milizie per soccorrere il Milanese, quanto ad armar Vascelli per molestare i Vineziani; onde rotta la sicurtà de Porti, rappresagliò la nave di Pellegrino de' Rossi. Narra il Nani, che avendo la Repubblica per mezzo del suo Ambasciador Gritti fattane di ciò doglianza colla Corte di Spagna, avesse ottenuti ordini diretti all'Ossuna di rilasciarla; ma che costui con superbissimo animo li disprezzasse, non senza sospetto di connivenza della stessa Corte, la quale godesse di coprire i disegni più arcani con l'inobbedienza di capriccioso Ministro. Per la qual cosa i Vineziani risolutissimi alla difesa di quel Golfo, s'applicarono a rinforzarsi nel Mare con due Galeazze ed alcune Navi, ed elessero trenta Governadori dì Galee, acciocchè, secondo il bisogno, a parte a parte andassero armando.

Ma dall'altra parte il Vicerè, vedendo, che gli Uscocchi aveano perduti molti de' loro nidi, gli allettò a ricovrarsi nel Regno con Porto franco e con premj, quelli più accarezzando, che a' Vineziani riuscivano maggiormente molesti. Presero perciò costoro sotto il calore di tal protezione la Nave Doria, che con merci ed altri Navilj minori da Corfù passava a Venezia, vendendo sotto lo Stendardo del Vicerè pubblicamente le spoglie; e se bene i Gabellieri de' Porti principali del Regno esclamavano, che col traffico mancherebbero i dazj e l'entrate Reali, furono dall'Ossuna minacciati della forca, se più ardissero di dolersi. Il Nani, quanto buon Cittadino, altrettanto appassionato Istorico nelle azioni del Duca d'Ossuna, rapporta, che costui per natura vanissimo di lingua e d'animo, non solo applicava a turbar il mare, ma di continuo parlava di sorprendere Porti dell'Istria, saccheggiar Isole, e penetrare ne' recessi medesimi della città dominante: che ora in carta, ora in voce delineava e divisava i disegni, ordinava barche di fondo atto a' canali e paludi, tracciava macchine, nè più volentieri alcuno ascoltava, che coloro, i quali lo trattenessero con adulazioni al suo nome, o con facilità dell'impresa; ma che però non era tanto ciò ch'egli credeva di poter eseguire, quanto quello che desiderava, che si credesse, acciocchè si tenesse la Repubblica involta in maggiori dispendj, e distratta a tal segno, che più debolmente, ed offender potesse l'Arciduca, ed assistere a Carlo Duca di Savoja. Spinse pertanto l'Ossuna sotto Francesco Rivera dodici ben armati Vascelli nell'Adriatico: e benchè nel procinto di spiegare le vele, giungessero ordini della Corte di Spagna di sospender le mosse, parendo strano, che nel tempo d'aprire trattati di pace in Madrid, s'inferissero dal Vicerè durissime offese; egli ad ogni modo, facendo assembrare il Collaterale, fece far relazione dal medesimo alla Corte, rappresentando, che avendo alcune Barche armate della Repubblica preso un grosso Vascello, che voleva entrar in Trieste, conveniva al decoro e servizio del Re, che il Rivera partisse, e si reprimessero i Vineziani; onde fece partire i Vascelli, ed affinchè non fosse ciò imputato ad atto di romper la guerra in nome del Re colla Repubblica, fecegli partire colle sue insegne solamente.

La Repubblica perciò impose al Belegno, che comandava la sua Armata, d'unire in Lesina quella parte, che potesse avere più pronta per passar a Curzola, per coprire le Isole, ed in particolare per rompere il principal disegno dell'Ossuna di comparire a vista dell'Istria, per dar fomento all'armi dell'Arciduca Ferdinando, e divertire quelle della Repubblica. Conseguì l'intento il Belegno; poichè giunto che furono le Navi dell'Ossuna a Calamota, spinse loro la sua Armata incontro; onde il Rivera dubitando d'essere con disavvantaggio combattuto in quel sito, date le vele a prospero vento, attraversò il mare, ed a Brindisi si condusse.

Queste mosse avendo ingelositi i Turchi, gli spinsero a calare in grosso numero alla custodia, ed ai Presidj delle loro Marine; onde da ciò prese il Vicerè l'opportunità di chiedere ad altre Potenze soccorso, pubblicando non esser altro il suo scopo, che di abbattere l'inimico comune, e per ciò chiedeva, che si dovesse unir seco le Galee del Pontefice, di Malta, e di Fiorenza. Ma dall'altra parte i Ministri della Repubblica facevano altamente risuonare il contrario alle Corti di que' Principi, dicendo, che l'Ossuna al primo Visir avea inviati schiavi, e doni per allettarlo, e con ogni sorte d'uffizio incitarlo a muovere contra la Repubblica l'armi; e fecero valer tanto i loro ufficj, che non solo s'astennero que' Principi di dare all'Ossuna le loro Galee, ma proccurarono divertirlo dall'impresa, dicendo, che non servirebbe per altro, che a svegliare i Turchi e tirarli nell'Adriatico a fronte del Regno di Napoli e dello Stato Ecclesiastico.

Ma non per ciò il Duca si ritenne d'inviar sotto Pietro di Leyva diciannove Galee ad unirsi al Rivera, il quale passato con questo nuovo soccorso a S. Croce e trovati a Lesina i Vineziani inferiori di forze tentò di tirarli fuori a combattere: ma costoro fermi solo alla difesa, sopraggiunta la notte, obbligarono l'armata Spagnuola a ritirarsi in Brindisi con la preda d'un Naviglio di Sali e d'un Vascello d'Olanda, che navigando con alcuni soldati di quelle Levate, si trovò sopraffatto dalle navi dell'Ossuna. I Vineziani per ciò seriamente pensando all'importanza dell'affare ingrossarono la loro armata; e dall'altra parte l'Ossuna accrebbe la sua a diciotto Navi e trentatrè Galee, la quale comparse sopra Lesina, con animo di provocar la Veneta alla battaglia; ed intanto i Ministri spagnuoli, per atterrire con la fama di vasti apparecchi, avean fatto precorrer voce, che l'armata dei Galeoni solita a custodire la navigazione dell'Oceano, entrando nello stretto di Gibilterra, penetrerebbe nell'Adriatico, e che in Sicilia pure s'armavano di nuovo moltissimi Legni; le quali voci erano in parte accreditate dalle ardite procedure del Vicerè, il quale oltre d'aver ingrossata con alquante Galee la Squadra del Leyva, faceva scorrere dagli Uscocchi tutto il Golfo, i quali colle loro Barche insultavano fino in vista de' Porti di Venezia istessa con depredazioni e con danni gravissimi; tanto che obbligò il Senato a disponere qualche Galea alla guardia di Chioggia, ed a scegliere in Venezia certo numero di gente atta all'armi: ciò che riuscendo nuovo in quella città, avea posto il Popolo in non poco scompiglio; il quale per una falsa voce insorta, che, essendosi già combattuto dalle due armate intorno Lesina, i Vineziani avessero ottenuta una insigne vittoria sopra gli Spagnuoli, era corso impetuosamente per manomettere la persona e la Casa di D. Alfonso della Queva Marchese di Bedmar Ambasciadore del Re Filippo in Venezia, creduto principal instigatore de' tentativi dell'Ossuna.

Le due armate però intorno Lesina, ancorchè la Spagnuola avesse provocata la Veneta, non vennero mai a battaglia; onde il Leyva, vedendo che i Vineziani s'erano posti su la difesa del Porto s'allargò a Traù vecchio, dove incendiò il paese, e predò molte barche; indi colle Galee speditamente verso Zara trascorse, dove per una preda offertaglisi, si divertì da maggior vittoria; poichè con tutto che avesse precisi ordini di tentar la sorpresa e l'occupazione di Pola, o d'alcun altro Porto nell'Istria, egli scontrandosi a due Galee di mercatanzia, avido della preda, si trattenne ad occuparle con alcuni Legni, che conducevano provvisioni di vitto all'armata nemica; onde sopraggiunti da questa gli Spagnuoli, ed imbarazzati in oltre co' Legni predati e con le ricchissime spoglie, traversato il Mare verso il Monte Gargano, radendo le rive, finalmente a Brindisi si ricondussero e poco da poi le lor Galee uscirono dal Golfo. Il Vicerè di ciò ne rimproverò acremente il Leyva, che per quella preda si fosse perduta l'opportunità d'una più importante conquista; ad ogni modo, ostentando la preda, fece condurre a Napoli le merci ed i legni, molto godendo del dispiacere che in Venezia n'appariva.

Esclamavano intanto i Ministri della Repubblica in tutte le Corti de' Principi di questi atti ostili dell'Ossuna, il quale in mezzo a' trattati di pace oltraggiava il Golfo creduto di lor Dominio, e che proccurava, avendo intelligenza co' Turchi, tirar le armi di quelli a' danni della Repubblica, li quali, pretendendo rifacimento del danno ancor da essi sofferto in quella preda, minacciavano di prenderne ragione coll'armi contra la Repubblica. Ma nell'istesso tempo non tralasciava il Duca ancor egli di declamare contra i Vineziani, dicendo esser pur troppo insoffribili i loro vanti del dominio, che sognano di quel mare: essere per ragion delle genti la navigazion libera e molto meno potersi pretendere di vietarla all'armata del Re Cattolico, che non conosce superiore alcuno nel Mondo. A questi tempi e per tali occasioni, narrasi, che il Marchese di Bedmar Ambasciadore del Re Cattolico in Venezia, per toccar più sensibilmente i Vineziani, avesse fatto comporre da M. Velsero, o come altri tengono da Niccolò Peireschio, (ciò che parimente si suspica da quel che Gassendo ne scrisse nella di lui vita) quel libro intitolato: Squittinio della libertà Veneta. Questo libro acerbamente trafisse i Vineziani, li quali con difficoltà poterono trovar altro condegno Scrittore, che lo confutasse; e che finalmente non trovando altri, vi facessero rispondere da Teodoro Grass-Winckd Olandese, il quale ne compose un opposto, col titolo: Majestas Reipublicae Venetae; siccome da poi fecero Scipione Errico e Raffael della Torre Genovese.

(Burcardo Struvio, ciò che conferma nel Syntagm. Juris publici Imp. R. G. cap. 2 §.17, scrisse il vero Autore di questo libro essere stato Alfonso della Queva; e dirà vero, se intende che costui, il quale era lo stesso che il Marchese di Bedmar allora Ambasciadore dei Re Cattolico in Venezia, desse commissione a M. Velsero, o ad altri di comporlo, ma non già ch'egli dettato l'avesse o composto.)

(Narrasi che il Doge di Venezia avendo data commessione a Fra Paolo Sarpi, il quale avea sì bene e dottamente confutate tante scritture uscite in difesa di Paolo V, in quella briga che prese colla Repubblica, che rispondesse anche a questo libro; Fra Paolo saviamente considerando l'arduità dell'impresa, gli avesse risposto: Serenissime, ne moveas Camarinam, immotam hanc exepedit esse.)

Scrisse parimente l'Ossuna una grave lettera al Pontefice Paolo V rappresentandogli le soverchierie dei Vineziani e la necessità, ond'era stato costretto alle spedizioni da lui fatte nell'Adriatico, e punto di ciò che coloro gli addossavano d'aver amistà ed intelligenza col Turco, gli diceva che gli Spagnuoli non avean avuta mai tregua nè pace, com'essi, col Turco, e che la guerra, che egli ad essi faceva, non era contra Cristiani, perch'essi non erano tali, se non nel nome; poichè avendogli nelle contese passate negata l'ubbidienza, perdendogli il rispetto, non potevano dirsi Cattolici; e molto più per aver discacciata da' loro Stati una Religione cotanto esemplare e zelante del servigio di Dio, quanto era quella della Compagnia di Gesù: pagando, oltre a ciò, gli Eretici di Francia, che tengono nel servizio del Duca di Savoja, e gli Eretici d'Olanda, che tengono stipendiati nelle loro armate ed eserciti, profanando le Chiese delle Terre dell'Arciduca, e che per ciò lui desiderava sapere di che Religione essi erano, e se fossero forse Cristiani, come sono li Mori e gli Eretici.

Ma mentre tra l'Ossuna, ed i Vineziani le contese erano nel maggior fervore, non si tralasciavano i trattati di pace, la quale trasferita di Spagna in Francia, finalmente si conchiuse in Parigi e si distese in Madrid, dove si conchiusero le condizioni d'essa, accettate dalla Repubblica; onde alle doglianze, che il di lei Ambasciadore fece alla Corte di Madrid contra l'Ossuna, comandò il Re al medesimo, che restituisse al Ministro della Repubblica residente in Napoli li vascelli e le merci.

Non meno al Toledo Governador di Milano, ed al Marchese di Bedmar Ambasciadore del Re Cattolico in Venezia, che all'Ossuna dispiacque questa pace, e proccuravano a tutto potere porre ostacoli in eseguire le condizioni; ma sopra ogni altro l'Ossuna, col pretesto, che i Vineziani fabbricavano un Forte a S. Croce, pubblicava per ciò di voler invadere di nuovo il Golfo; ed all'ordine venutogli di render i Legni e le merci, si mostrò pronto di ubbidire solamente in quanto a consegnare i Legni a Gaspare Spinelli Residente della Repubblica, ma non già interamente le merci, dicendo, che gran parte di quelle s'erano acquistate al Fisco Regio, per appartenersi ad Ebrei, ed a Turchi nemici della Corona di Spagna: onde non volendo ricevere il Residente il resto offertogli, si venne di nuovo alle invasioni; ed il Duca inviò con diciannove Navi da guerra di nuovo nell'Adriatico Francesco Rivera. Non minori difficoltà frapponeva il Governador di Milano all'esecuzione per ciò che s'apparteneva dal suo canto; onde il Pontefice, i Franzesi e gli altri Principi frappostisi per farli quietare, estorsero dal Marchese di Bedmar, che desse parola al Senato Veneto, che tutto sarebbesi restituito. Ma con tutto ciò sempre sorgevano nuovi ostacoli, finchè finalmente datasi esecuzione in Piemonte ed in Istria alla pace, ritirossi il Rivera nel Porto di Brindisi coll'armata; ed i Vineziani ora più che mai esclamando nella Corte di Madrid contra l'Ossuna, ottennero da quella, che, tolto da mezzo il Vicerè, l'affare della restituzione de' Legni e delle merci fosse commesso al Cardinal Borgia, con ordine, che lo componesse insieme con Girolamo Soranzo Ambasciadore della Repubblica in Roma.

Ma nel nuovo anno 1618 si scoprirono le cagioni, ond'avveniva, che non ostante la pace, l'Ossuna, il Toledo e la Queva tenevan sempre Legni armati nei Porti dell'Adriatico, li quali non tralasciavano di scorrer il mare, e con ciò tener solleciti i Vineziani, onde sovente sortivano delle rappresaglie ne' Porti con gravi doglianze de' Napoletani, che rappresentarono in Ispagna i danni, che per ciò soffrivano. Tutto nasceva dall'esito che s'attendeva d'una congiura, che il Marchese di Bedmar maneggiava in Venezia, con participazione dell'Ossuna e del Toledo. Avea il Marchese tentato in Venezia tutte le arti per accrescersi partigiani, proccurando ancora di sviar molti dall'insegne e servizio della Repubblica, e d'introdurne degli altri per valersene all'occasione. Tra questi principalmente l'Ossuna inviò un tal Jacques Pierre, Franzese di Normandia e Corsaro di professione, ma di spirito grande. Costui, finti coll'Ossuna disgusti, mostrò di voler vendicarsi, passando al servizio della Repubblica, e con facilità vi fu accolto con un compagno chiamato Langlad, perito in maneggio di fuochi. L'Ossuna, mostrandosi di ciò fieramente sdegnato, faceva custodire la moglie del Pierre, e con lettere finte proponendogli gran premj, lo richiamava al servizio. Egli all'incontro, per rendersi accetto in Venezia, mostrava le lettere istesse, proponeva molte cose speziose, simulava di propalar i disegni del Vicerè, e suggerire i mezzi per contrapporvisi. Conciliata per tanto gran confidenza, s'introdusse col Langlad nell'Arsenale ad esercitar la sua arte. In occulto teneva poi con la Queva congressi, e di continuo secretamente passavano a Napoli corrieri e spie, avendo intanto aggregati alcuni Borgognoni e Franzesi al lor partito. Il concerto era, che sotto un Inglese, chiamato Haillot, l'Ossuna spingesse alcuni bergantini e barche, capaci d'entrare ne' Porti e Canali, de' quali avevano per tutto preso la misura ed il fondo: dovevano poi seguitare più grossi vascelli, per gittar l'ancore nelle spiagge del Friuli, sotto il calor de' quali, e nella confusione, che i primi erano per apportare nel Popolo, i congiurati s'aveano divisi gli uffici, il Langlad di dar fuoco nell'Arsenale, altri in più parti della Città; alcuni manometter la zecca, prender i posti più principali, trucidar i nobili, e tutti d'arricchirsi con dare alla Città spaventevol sacco.

Ma mentre i bergantini s'apprestavano per unirsi insieme, alcuni furono presi da Fuste Corsare, altri dissipati da fiera tempesta; onde non potendo i congiurati raccogliersi al tempo concertato, loro convenne differire l'esecuzione al prossimo Autunno. Il Pierre ed il Langlad, comandati a salire sopra l'armata, non poterono negare di partire col Capitan Generale Barbarigo. Gli altri, rimasi in Venezia, non cessavano di ruminar i modi dell'esecuzione, impazientemente attendendone il tempo; ma frequentandosi tra loro i discorsi, e per aggregarsi compagni, dilatandosi tra altri delle loro nazioni la confidenza ed il segreto; Gabriele Montecasino e Baldassar Juven, gentiluomini, quegli di Normandia e questi del Delfinato, discoprirono al Consiglio de' Dieci il concerto: carcerati per ciò alcuni cospiratori, restò il tradimento comprovato, e da scritture che si trovarono, e dalla confessione de' medesimi rei, che ne pagarono con pubblico e severo supplicio la pena: alcuni però, dall'arresto de' compagni, si sottrassero colla fuga, ricorrendo al loro asilo, ch'era appunto l'Ossuna; ma il Pierre ed il Langlad, per ordine spedito al Capitan Generale, furono affogati nel mare. La Città di Venezia inorridì allo scoprimento di tal congiura, ed al pericolo corso di veder ardere i Tempj e le case; onde il Marchese di Bedmar, che era riputato il direttore ed il ministro di così pravi disegni, vedendosi in grande pericolo di essere dal furore del Popolo sagrificato al pubblico sdegno, deliberò ritirarsi nascostamente a Milano. Aveva già il Senato con espresso corriere risolutamente richiesto al Re Filippo, che lo rimovesse; onde disapprovandosi dalla Corte di Madrid, essendo solito, che a' Principi, di tali negoziati piacciano più gli effetti che i mezzi, fu all'Ambasciador Veneto risposto, che già essendosi destinato al Queva Luigi Bravo per successore, dovea egli passare in Fiandra, per assistere all'Arciduca Alberto.

Il nostro Vicerè, scoverta la congiura, negava d'esserne stato a parte, tuttavia il Mondo lo condannava per reo, vedendo, che appresso di lui s'erano ricovrati i fuggitivi, e la vedova del Pierre, posta in libertà, essere stata inviata a Malta con onorevole scorta; ma egli niente di tali romori sgomentandosi, non lasciava di tener sempre pronti ed armati li suoi legni in suo nome con dispendio immenso, e con isprovvedere d'artiglierie le Fortezze principali del Regno: di che se ne facevano acerbe doglianze alla Corte, alle quali unendosi gli ufficj, che di continuo si facevano dall'Ambasciador Veneto, si pensava di levarlo dal Governo; ma egli coll'aiuto de' suoi congiunti ed amici che teneva in Madrid, e colle spesse rappresentazioni che faceva al Re de' suoi segnalati servigi, costantemente difendeva le sue procedure; ed intanto non tralasciava di molestare i Vineziani nell'Adriatico.

Crescevano tuttavia le accuse contra il Duca di trattar il Regno crudelmente, facendolo sopportare gl'incomodi di soldatesche: dipinsero ancora al Re la scandalosa sua vita, che ad onta della Duchessa sua moglie, non contento delle pubbliche meretrici, si faceva lecito di conversare con troppa libertà con le Dame più principali, dando con ciò motivo al volgo di lacerar l'onore delle famiglie più cospicue del Regno, con somma indignazione de' mariti e de' parenti, li quali finalmente si sarebbero risoluti a qualche strano eccesso: istavano per tanto i Nobili al Re a toglierlo dal Regno; e deliberarono di inviare secretamente alla Corte F. Lorenzo di Brindisi Cappuccino, il qual avea fama di santissima vita, e dal Re Filippo tenuto, per la sua pietà, in grande stima. Proccurò il Duca impedir la missione, per averne avuta notizia, onde fece per ordine del Cardinal Montalto, Protettore dell'Ordine Francescano, arrestar il Frate in Genova; ma ottenuta dopo qualche tempo licenza di seguitare il viaggio, giunto a' piedi del Re gli rappresentò le opere del Duca; ed alle costui relazioni essendosi unite le querele di molti Nobili, furtivamente andati a Madrid, ancorchè l'Ossuna non tralasciasse di muovere ogni mezzo per difendersi dall'imputazioni fattegli, non poterono i suoi fautori sostenerlo più a lungo; onde fu da quella Corte risoluto di chiamarlo.

Fu fama confermata poi da alcuni successi, ed il Nani l'ha per cosa certa, che avendo il Duca penetrato, che gli soprastava mutazione di posto, meditava cambiare il Ministerio nel Principato. A questo fine, servendosi del mezzo di Giulio Genuino Eletto del Popolo, uomo d'ingegno acre, di spirito pronto, inventore di novità, ed avido di turbolenze e di sedizioni, s'avea con lusinghe obbligata la Plebe: teneva in oltre milizie straniere al suo soldo, e legni armati da se dipendenti: proteggeva contra i Baroni indistintamente i Popoli, e dava voce di moderare gli aggravj e levar le gabelle; anzi passando un giorno, dove per aggiustare l'imposte si pesavano i viveri, tagliò alla bilancia colla sua spada le funi, dando ad intendere di voler liberi ed esenti i frutti della Terra, come sono gratuiti i doni dell'aria e del Cielo; ed il Nani soggiunge, che sperando, che i Principi d'Italia fossero per secondare il pensiero, con secretissimi mezzi tentò il Duca di Savoja ed i Vineziani: questi con insinuar loro d'aver tutto operato per ordini precisi della Corte di Madrid, e quello con invitarlo a cospirare nel disegno di cacciare gli Spagnuoli d'Italia; ma la Repubblica, aliena da simili atti e sempre cauta, nè meno volle prestarvi orecchio: il Duca ne conferì alla Corte di Francia il progetto, e dal Duca di Dighieres Contestabile di Francia fu inviata persona a Napoli, che osservasse lo stato delle cose.

La Corte di Spagna, che per la lontananza da molti suoi Stati, avea per massima la diffidenza dei Ministri che li governavano, attentissima alle procedure dell'Ossuna, penetrò facilmente le pratiche, e deliberò senza frapporvi la minor dilazione di presto levarlo, ma dubitando, che con ispedirgli successore di Spagna, si valesse della dilazione per fortificare la sua inobbedienza, ordinò al Cardinal Borgia, che da Roma con celerità e cautela si portasse a Napoli, ed introducendosi nel Governo, scacciasse l'Ossuna. Ma non si potè ciò eseguire con tanta cautela e prestezza, sì che volendo partir il Borgia nel mese di maggio di quest'anno 1620, il Duca nol penetrasse; ed avendo egli tentato invano il Cardinale, che prorogasse la sua venuta insino ad ottobre, quando vide, che il successore era giunto a Gaeta, pensò nel restante cammino tendergli insidie ed aguati: fecegli apparecchiare in Pozzuoli, dove credeva dovesse soggiornare quel dì, agiata stanza; ma il Cardinale postosi in sospetto, invece di posar in Pozzuoli, andò nell'Isola di Procida a trattenersi.

Intanto il Genuino, esagerando alla plebe i beneficj ricevuti dall'Ossuna, e che partendo sarebbero dagli Spagnuoli più severamente trattati, avea commossa una sedizione affin d'impedire al Cardinale l'entrata nella città, ed ottener per questo mezzo la continuazione del governo dell'Ossuna: di che avvisato il Cardinale, per non esporsi a' popolari insulti, risolse di nascostamente entrar nella città, e concertato il modo col Castellano del Castel Nuovo, pronto ad aprirgli le porte del Castello, montato in una picciola barchetta, e sbarcato a Pozzuoli, dentro un cocchio di notte furtivamente s'introdusse nel Castello, e la mattina poi per tempo lo sparo del cannone avvertì la città, che giunto il nuovo Vicerè, era deposto l'Ossuna. Con tutto ciò non mancò costui nella brevità del tempo tentar con lusinghe la plebe e le milizie con doni; e scrisse al Re accagionando il Cardinale di questa sua furtiva entrata, quando egli aveagli offerto con prontezza le Galee: ma ch'egli questo affronto, ed il non vendicarsene lo riponeva fra gli altri suoi servigi importanti prestati alla Corona, perchè, siccome con facilità gli avrebbe potuto vietare l'entrata in Napoli, così dopo l'ingresso con le forze della sua armata di mare e dei seimila Spagnuoli, ch'erano sue creature, avrebbe potuto scacciare l'intruso, che tale dovea riputarsi, del possesso illegittimo e clandestino, preso in luogo insolito e senza le consuete cerimonie: che avrebbe ancora potuto punire l'attentato del Castellano, che aprì di mezza notte le porte della Fortezza, ed i Reggenti del Collaterale, e gli Eletti della Città per la potestà arrogatasi di levare, e porre a lor posta i Vicerè; ma che sagrificava ogni cosa al servigio della Corona, e partiva per sostenere la sua giustizia avanti il suo cospetto nella sua regal Corte. Gli convenne per tanto partire nel giorno 14 giugno di quest'anno 1620 alla volta di Spagna, lasciando in Napoli la moglie co' suoi figliuoli, avendo prima mandato in Piombino il Genuino travestito da Marinaro, per sottrarlo dalle debite pene, donde presolo poi nel suo passaggio, il condusse in Ispagna; ma per dar tempo, che lo sdegno del Re si placasse, proseguiva il viaggio a lenti passi, e giunse a Marsiglia dopo due mesi, dove trattenevasi in feste e balli con poca volontà di seguitare il viaggio.

Intanto il Cardinal Borgia, partito l'Ossuna, s'applicò a punire i colpevoli de' passati tumulti, e delegando le loro cause al Consigliere Scipione Rovito, furono contra costoro fabbricati più processi, e molti posti in carcere, ed il Genuino fu prima dichiarato contumace, e poscia bandito di pena capitale, e confiscati tutti i suoi beni, e venduti i mobili, ancorchè per impedirne la vendita fosse stato opposto da' suoi congiunti, ch'egli era Cherico. Per disfare ciò che il suo predecessore avea imperiosamente fatto, fece riponere quelle stesse gabelle, che erano state tolte dal Duca; e diede altri provvedimenti, che si leggono in tre sue Prammatiche, nel breve tempo del suo governo lasciateci.

Ma giunto l'Ossuna in Madrid, dopo un così lento viaggio, avendo in tanto placato l'animo del Re per mezzo del Duca d'Uzeda e degli altri Favoriti suoi amici e congiunti, seppe sì ben discolparsi di ciò, che gli era stato imputato, ed aggravare all'incontro la condotta del Cardinal Borgia, che si fece ardito di domandare, che si levasse il Cardinale, e tornasse egli in Napoli a continuar l'esercizio della sua carica. Il Consiglio di Stato, che secondo lo stato deplorabile di quella Corte era governato a capriccio de' Favoriti pose l'affare in dispute, e se l'Ambasciadore della città di Napoli non si fosse gagliardamente opposto alla pretensione del Duca di voler tornare, sarebbe seguita peggiore determinazione: pure, ancorchè non si risolvesse il ritorno dell'Ossuna, fu disapprovata la maniera usata dal Cardinale, e risoluto che il Cardinal si rimovesse, non ostante le doglianze della Duchessa di Candia di lui madre, la quale altamente lamentavasi col Re del pessimo trattamento, che si faceva al suo figliuolo, dopo averlo così ben servito; e perchè ostinatamente contendeva il Duca per ritornare, si prese espediente di sospendere l'elezion del Vicerè, ed in luogo del Borgia, mandar per Luogotenente in Napoli il Cardinal Antonio Zappata, che si trovava in Roma, come fu eseguito nel mese di novembre di quest'istesso anno 1620.

Ma succeduta indi a poco la morte del Re Filippo III, mancò il modo a' Favoriti di poterlo più proteggere; poichè pervenuto alla Corona il Re Filippo IV, e caduta l'autorità della privanza al Conte d'Olivares poco amorevole dell'Ossuna, fu ordinata dal Re una nuova Giunta di Ministri per esaminare con termini giudiciali l'imputazioni, che si davano al Duca, contenute ne' processi, stati fabbricati dal Consigliere Scipione Rovito, e mandati alla Corte per ordine del Cardinal Borgia. Ne fu fatto rigoroso esame e trovatosi il Duca colpevole fu fatto arrestare e con buone guardie fu condotto nel castello d'Almeda, dove dopo una lunga prigionia, afflitto da passioni d'animo, finì la vita a' 25 settembre dell'anno 1624. L'incontinenza nei piaceri del senso, e più la smoderata ambizione di dominare, corruppe l'altre belle doti del suo animo, corruppe il pregio del suo valor militare, la sua singolare abilità per comandare e la sua prudenza civile. Ci lasciò egli per ciò molti saggi e lodevoli regolamenti che pur si leggono ne' volumi delle nostre Prammatiche additati, secondo l'ordine de' tempi, nella Cronologia prefissa al primo tomo delle medesime.

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