CAPITOLO III.

Di D. Emmanuele di Gusman Conte di Monterey; e degl'innumerabili soccorsi, che si cavarono dal Regno di gente e di denaro in tempo del suo Governo.

Cominciò il Conte di Monterey ad amministrare il Regno con funeste apparenze, che diedero presagi d'un calamitoso governo: nella Villa del Vomero diede una donna alla luce un mirabil mostro: una spaventosa Cometa comparsa ne' principj di settembre di quest'anno diede a molti terrore; ma i tremuoti, le orribili errutazioni, le orride nubi, gli spaventosi torrenti di fuoco, le orrende piogge di cenere, che dalla notte de 15 di dicembre avea il Monte Vesuvio cominciato a spandere, non solo empiè la città ed il Regno di spavento e d'orrore, ma presagirono altri mali e nuove calamità. Vomitò il Monte fiamme con tanto empito e con tale spavento, che Napoli temè, o d'abissarsi ne' tremuoti, o di seppellirsi nelle ceneri. Lo scuotimento abbattè edificj, arrestò il corso a' fiumi, rispinse il mare ed aprì le montagne. Esalarono in fine con oppositi ed orribili effetti acque, fiamme e ceneri, dalle quali non solo restarono oppressi alcuni luoghi vicini, ma si temè, che levato il respiro dell'aria, non fosser tutti per soffocarsi. Ma placato il Cielo dalle pubbliche penitenze, spirò tal vento dalla parte avversa, che le portò a cadere oltre mare fin'a Cattaro, ed altri luoghi dell'Albania e della Dalmazia; e consumato in fine nelle viscere della Terra il sulfureo alimento, il fuoco s'estinse.

Ma non s'estinsero in noi le calamità maggiori, che ci cagionavano le guerre d'Italia. Il Conte Duca più famoso che fortunato, per gl'infelici successi delle arme Spagnuole in Lombardia, vedeva che i Ministri di quella Monarchia avevano perduta in Italia quell'autorità, che solevan prima godervi fino a tal segno, che sovente con imperiosi modi comandavano al Duca stesso di Savoia, che disarmasse. Ora li Franzesi eransi cotanto intrigati negl'interessi di quella, che avendosi resi dipendenti il Duca di Savoia per lo freno di Pinarolo, il Duca di Mantua per la custodia di Casale e del Monferrato, e gli altri Principi, chi per inclinazione, e chi per profittare, aveano posto in bilancia tra la corona di Spagna e la franzese l'Italia. Si credeva eziandio, che il Pontefice Urbano VIII per l'antiche parzialità verso la Corona franzese, per esservi stato Nunzio, e per essere compare del Re, pendesse dalla sua parte, e traversasse gl'interessi degli Austriaci; e ne diede non oscuri indizi, per vedersi il Cardinal Antonio Barberino suo nipote aver con ricche pensioni accettata la protezione di quel Regno; e dicevasi, che il Papa, quando entrarono gli Alemani in Mantova, avesse chiesto a' Cardinali soccorso per discacciarneli: e che nelle angustie maggiori, che soffriva la Religione in Germania, oppressa dagli Eretici, e calpestata dalle armi del Re di Svezia, non si fosse egli mosso, ancorchè in nome del Re Cattolico ne gli fossero state fatte in pubblico Concistoro dal Cardinal Borgia premurose istanze. S'aggiungevano le male soddisfazioni, che ricevevano in Roma i Ministri di Spagna, le quali ridussero il Cardinal Sandoval a partirsi mal soddisfatto da Roma, e ritirarsi in Napoli.

Per ciò gli animi de' Ministri spagnuoli erano pregni d'acerbi disgusti e di gravi pensieri, intendendosi esagerazioni frequenti del Conte Duca, che non sarebbe mai per godersi la pace, se non si restituisse l'Italia nell'esser di prima. A tal fine fu deliberato, che il Cardinal Infante fratello del Re passasse a Milano, per di là trasferirsi al suo Governo di Fiandra; ed a comandare nuovi apparati di guerra, ed in particolare al Regno di Napoli, che provvedesse di danaro, ammassasse gente, ed allestisse legni.

Per far argine alle male inclinazioni del Pontefice, di cui erasi sparsa voce, che avesse spedito buon numero di soldati alle frontiere del Regno, bisognò al Vicerè, che mandasse a' confini mille e cinquecento cavalli sotto il comando d'Annibale Macedonio, Marchese di Tortora; e che per fornire il Regno di nuove soldatesche comandasse a tutti i Baroni e Terre demaniali, che somministrassero buon numero di soldati.

Da questi disgusti, che passavano colla Corte di Roma, nacque a questi tempi qualche rialzamento della regal Giurisdizione, presso noi quasi che depressa; poichè la Corte di Madrid, per vendicare i disgusti co' disgusti, spedì a Roma il Vescovo di Cordova, e Giovanni Chiumazzero in qualità di Commessarj, per richieder riforma di molti abusi, che la Dataria di Roma avea introdotti in Ispagna, onde si portavano grandi aggravj a quel Regno, de' quali avevan fatto lungo catalogo, e con una dotta scrittura, rispondendo ancora ad un'altra, fatta per ordine del Papa da Monsignor Maraldi Segretario dei Brevi, li giustificavano per abusivi e intollerabili; e si stimava, che tenessero segrete istruzioni di chiedere un Concilio, ed angustiare il Pontefice con minacce e con moleste dimande. Di che accortosi Urbano, pensò con frapporre lunghezza di render vani i disegni; poichè negando in prima d'ammetterli col titolo di Commessarj, dicendo, che ciò pareva che significasse certa giurisdizione ed autorità, stancò tra queste, ed altre difficoltà e lunghezze in modo il negozio ed intiepidì anche il Vescovo con isperanza di maggior dignità, che il Re accortosene lo richiamò, e conferito al Chiumazzero il titolo d'Ambasciadore, mentre col tempo si mitigava il bollore degli animi, e per l'avversità de' successi si piegava dagli Spagnuoli sempre più alla sofferenza, svanì da se stesso il negozio.

Ma intanto fra noi, animati da questi disgusti il Vicerè ed i Regj Ministri, non tralasciavano, ne' casi che occorrevano, di procedere con fortezza e vigore; poich'essendo stato con modi barbari e crudeli ucciso da alcuni Preti il Governador della Sala fratello del Consigliere D. Francesco Salgado, ancorchè Francesco Maria Brancaccio Vescovo di Capaccio, sotto la cui Diocesi si comprende la Sala, ne avesse presa di ciò conoscenza, con aver condennati alcuni degli uccisori in galea; nulladimanco riputandosi ciò troppa indulgenza ad un così scandaloso ed enorme delitto, per la qualità e carattere dell'ucciso; il Vicerè spedì una compagnia di Spagnuoli nella Sala, dove coll'alloggio a discrezione, trattarono, alla rinfusa così Preti come laici, malamente que' Cittadini: di che avendone voluto far risentimento il Vescovo con monitorj, fu il di lui fratello D. Carlo Brancaccio mandato prigione in Castello, ed egli fu costretto sgombrar dal Regno, e girsene in Roma. Ciò che gli riuscì di maggior favore; poichè mentre trattenevasi nella Corte del Papa angustiato dalle spese e da' debiti, entrato in somma grazia del Cardinal Antonio nipote del Papa, fu per esempio degli altri (affinchè si mostrassero sempre forti nella difesa della giurisdizion Ecclesiastica, con la speranza d'esserne ben premiati) nel Concistoro de' 20 novembre dell'anno 1633 promosso, senz'aspettarlo, al Cardinalato; e per aggiungerci maggior onta e disprezzo, gli fu dal Papa conferito l'Arcivescovado di Bari, e rimandato nel Regno per prenderne la possessione. Ma il Vicerè di ciò fortemente crucciato, al suo arrivo, in vece del possesso, gli fece apprestare una Galea, perchè tosto ritornasse in Roma, nè mai più nel Regno capitasse; di che il Papa fecene gran romore, e ne ricevè sommo dispiacere: a' quali disgusti se ne aggiunsero poco da poi altri, perchè dalle genti di Corte fu fatto uccidere in Pozzuoli un Canonico di quella Chiesa: e trovandosi nelle carceri di Vicaria un ribaldo, che pretendeva, per essersi estratto dalla Chiesa di S. Giovanni a Mare, esser in quella riposto; mentre si disputava dell'articolo della reposizione, commise un nuovo delitto nelle carceri stesse, onde il Vicerè la notte de' 19 di aprile del 1633 lo fece morire su le forche, che fece piantare davanti al Palagio della Vicaria, poco curando le istanze e le censure, che l'Arcivescovo fece lanciare contra coloro, che il fecero imprigionare.

Ma durò poco fra noi tal vigore, poichè per l'avversità de' successi delle armi del Re, sempre piegando gli Spagnuoli alla sofferenza, bisognò usar ogni arte per rendersi amico il Pontefice, e gli altri Principi d'Italia; e poichè i Ministri franzesi non cessavano d'imprimere ne' Principi gelosi pensieri, e d'esortarli a congiungersi insieme per discacciare, sotto il patrocinio della loro Corona, gli Spagnuoli d'Italia; all'incontro gli Spagnuoli proponevano a tutti grandi vantaggi, al Gran Duca di Fiorenza grosse pensioni, al Duca di Modena Correggio, al Duca di Parma il Generalato del Mare, ed una Vice-Reggenza: e sopra tutto per dar riputazione alle armi, studiavansi di accrescerle con nuove soldatesche, che da Napoli si sollecitavano insieme con denari ed altri militari provvedimenti.

Per ciò il Conte di Monterey era continuamente richiesto di soccorsi, onde comandò l'elezione de' Soldati della nuova milizia del Battaglione, ed unì cento e quindici Compagnie di pedoni di ducento trenta uomini l'una; e liberando i soldati d'uomini d'arme dal peso di mantenere un doppio cavallo, ridusse sedici compagnie di essi a compagnie di corazze, accrescendone il numero fino a sessanta per ciascheduna, oltre gli Ufficiali. Partì ancora in novembre del 1631 per lo Stato di Milano il Principe di Belmonte con un Reggimento d'Italiani di 14 Compagnie, assoldate a sue spese, e nel mese di gennajo del nuovo anno 1632 prese la medesima strada un altro Reggimento d'Italiani di mille e seicento soldati comandati dal Mastro di Campo Marchese di Torrecuso, col quale s'accompagnò il picciol Conte di Soriano per andare a ritrovare il Duca di Nocera suo Padre. Parimente nel luglio del seguente anno 1633 furono spediti per Milano quattrocentocinquanta fanti sotto i Maestri di Campo Lucio Boccapianola e D. Gaspare Toraldo, oltre mille cavalli comandati dal Commessario Generale D. Alvaro di Quinones, co' quali il Duca di Feria Governadore di quello Stato si portò nell'Alsazia a soccorrere Brisac.

Non solo questo Regno era riserbato per somministrar soccorsi di gente e di denaro per le guerre d'Italia; ma anche per quelle di Fiandra, di Catalogna, insino a quelle di Germania. Nell'anno 1632 s'imbarcarono quattromilasettecento soldati, comandati da' Marchesi di Campolattaro e di S. Lucido per Catalogna, e v'andarono parimente otto Compagnie di Cavalli smontati col denaro bisognevole per montarle in quel Principato. Nel mese di gennajo del seguente anno 1633 sotto il comando del Sargente Maggiore Ettore della Calce furono spediti per Catalogna settecento persone, per riempire i Reggimenti napoletani, che ritrovavansi in quel Paese.

Giunse intanto in Milano il Cardinal Infante con titolo di Generalissimo di tutte le armi della Corona, essendosegli dato per Consigliere D. Girolamo Caraffa Principe di Montenegro, al quale, morto in Milano, fu sustituito dal Re Fr. Lelio Brancaccio, che immantenente si condusse a Milano, alla qual volta il Vicerè spedì subito D. Gaspare d'Azevedo Capitan delle sue guardie a passar con l'Infante i dovuti ufficj, e nel mese di maggio del seguente anno 1634 gli mandò soccorsi tali, che non furono veduti più potenti uscire dal Regno; poichè vi spedì seimila fanti, de' quali n'erano mille Spagnuoli del Reggimento di Napoli, sotto il comando di D. Pietro Giron; gli altri erano Napoletani, comandati da' Maestri di Campo Principe di S. Severo e D. Pietro di Cardenes. Il Marchese di Tarazena Conte d'Ajala guidava mille cavalli, ed era Capo di tutto questo potentissimo soccorso, che fece risolvere il Cardinale di passare in Germania, dove avendo unite le forze della Corona con quelle del Re d'Ungheria e del Duca Carlo di Lorena, diede sotto Norlinghen quella famosa battaglia, nella quale dissipò l'esercito Svedese con morte d'ottomila persone, e prigionia di quattromila, oltre l'acquisto d'ottanta pezzi d'artiglieria e di ducento insegne. Vittoria della quale ogni anno agli otto di settembre si celebra anniversario, come quella, che preservò il resto dell'Alemagna dall'eresie e dall'invasioni de' Svedesi, e cagionò poco da poi all'armi Cattoliche l'acquisto di Ratisbona.

Ma non finirono qui i soccorsi: altri maggiori se ne cercavano dal Regno per la custodia dello Stato di Milano, minacciato dall'arme del Re di Francia. Bisognò prima, che il Vicerè provvedesse di diece grossi Vascelli il Marchese di Santa Croce Luogotenente Generale del Mare, con 2200 Napoletani e molte provvisioni, spediti sotto il comando dell'Ammiraglio D. Francesco Imperiale, e di diciotto Galee con duemila Spagnuoli e mille e trecento Napoletani comandati da' Maestri di Campo Gaspare d'Azevedo e D. Carlo della Gatta; e nel seguente anno 1635, prima che il Re Franzese assalisse lo Stato di Milano, bisognò al Vicerè provvedere alla difesa, mandando in Lombardia 2800 pedoni, divisi in due Reggimenti dei Maestri di Campo Filippo Spinola e Carlo della Gatta, e mille cavalli sotto il Commessario Generale D. Alvaro di Quinones, col danaro necessario per assoldare quattromila Svizzeri ne' Cantoni collegati con la Casa d'Austria. Ed in tanto fu disposta la partenza dell'Armata navale, composta di trentacinque Galee e diece grossi Vascelli, sopra la quale montarono settemilacinquecento soldati tra Spagnuoli e Napoletani. Gli Spagnuoli erano duemilanovecento, de' quali duemilatrecento erano del Reggimento del Regno, comandati dall'Azevedo, e seicento dell'Isola di Sicilia sotto il comando di D. Michele Perez d'Egea. Gli altri erano Napoletani distribuiti in tre Reggimenti de' Maestri di Campo D. Giovan-Battista Orsini, Lucio Boccapianola e D. Ferrante delli Monti; e Fr. Lelio Brancaccio comandava a tutti con titolo di Maestro di Campo Generale. Partì l'Armata dal Porto di Napoli verso Ponente a' 10 maggio di quest'anno 1635, ma ebbe infelice navigazione, sbattuta da' venti e da procellose tempeste; tanto che il Marchese di S. Croce, lasciata buona parte delle milizie in Savona per accrescere l'esercito di Lombardia, dove i Franzesi tenevano assediata Valenza, non fece altra conquista, che quella dell'Isola di S. Margarita.

Nuovi sospetti s'aggiunsero nel nuovo anno 1636, che obbligarono il Vicerè alla difesa del proprio Regno. Per li continui timori, che dava la Francia, fu fatto arrestare un Frate Agostiniano, per sospetto d'intelligenza co' Franzesi, chiamato Fr. Epifanio Fioravante da Cesena, il quale posto fra' ceppi rivelò, che i Franzesi meditavano far delle irruzioni in diversi luoghi del Regno, e che tenevano la mira anche d'invadere la città dominante; anzi soggiunse, che il famoso bandito Pietro Mancino, di concerto, dovea impadronirsi del Monte Gargano, per consegnarlo al Duca di Mantova, e porre sossopra tutta la Puglia. Ciò saputosi, fu di mestieri al Vicerè, con esorbitantissime spese, fortificare Barletta, Taranto, Gaeta, ed il Porto di Baja, dove vi fece edificare due gran Torri, di ristorare la Fortezza di Nisita e le mura di Capua: di terminare le fortificazioni dell'Isola d'Elba, detta comunemente Portolongone, principiate già dal Conte di Benavente; di provvedere tutte le marine del Regno di soldatesca e di mettere in mare trenta vascelli e diece Tartane. E per maggior custodia della città fece prender l'armi a diecemila persone del Popolo napoletano, poste sotto il comando di D. Giovani d'Avalos Principe di Montesarchio. Ma il tempo fece da poi conoscere, che questi timori venivan dai Franzesi, non per altro fine, che obbligando il Regno alla propria difesa, venisse con ciò ad impedire i continui soccorsi, che da quello si mandavano in Milano, onde il Monterey penetrato il disegno, sollecitò nuovi soccorsi, e spedì in Lombardia sopra alcuni Vascelli e Galee i Reggimenti de' Maestri di campo D. Michele Pignatelli, Tiberio Brancaccio, Achille Minutolo, Giambattista Orsini, Pompeo di Gennaro, Girolamo Tuttavilla e Romano Garzoni, oltre a mille cavalli, che Giantommaso Bianco vi condusse per terra. Ciò che fece risolvere al Marchese di Leganes, accresciuto di sì validi soccorsi, di venire coll'inimico a battaglia in Tornavento, nella quale gloriosamente vi morì Girardo Gambacorta de' Duchi di Limatola Generale della cavalleria napoletana, siccome avvenne a Lucio Boccapianola sotto Vercelli.

Non furono veduti ne' passati governi degli altri Vicerè soccorsi sì spessi e sì potenti cavati dal Regno quanto quelli, che si fecero in tempo del Conte di Monterey, non solo per lo Milanese, ma per la Catalogna, per la Provenza ed altrove; e coloro che si presero la briga di tenerne conto, calcolarono, che di gente il numero arrivò a cinquemilacinquecento cavalli, e quarantottomila pedoni; e di denaro la somma ascese a tre milioni e mezzo di scudi; oltre al denaro consumato nelle fortificazioni delle Piazze del Regno, nell'arrollamento di tanta gente, nelle spedizioni dell'Armate navali, nel mantenimento dell'Isola di S. Margherita, nella fabbrica di sei vascelli da guerra e d'alcune Galee per accrescere la Squadra al numero di sedici, e di ducentotto pezzi di cannoni, come anche in quella di settantamila archibugi, moschetti e picche per la fanteria, e delle pistole e corazze per la cavalleria.

Cotante, e sì insopportabili spese tutte uscivano dalle sostanze de' sudditi, e dalli Patrimonj della città e delle Comunità del Regno, che continuamente eran costrette a somministrar nuove somme per la necessità di tante infelici e mal fortunate guerre, e per li tanti e continui bisogni della Corte di Spagna; donde fu in buona parte cagionato il debito di quindici milioni, del quale si trovava aggravato il Patrimonio della città, la quale ne pagava l'interesse ai creditori del frutto, che perveniva delle sue gabelle. E ciò nè meno bastando furono più volte a' forastieri tolte le loro entrate, e sovente anche quelle che possedevano i regnicoli sopra gli arrendamenti, e' fiscali. S'imposero per ciò molte altre gravezze, essendosi aggiunto alla gabella della farina, prima cinque grana, poi altre sette per moggio: un grano per rotolo alla gabella della carne, ed un carlino sopra ciascun stajo d'olio. Ciò che non seguì senza contrasti ed opposizioni, considerandosi non solo le grosse somme spremute in pochi anni dal Regno, ma che buona parte andava a colare, non già nella cassa del Re, ma nell'altrui borse, e che sempre via più crescendo i bisogni, e l'un chiamando l'altro, venivano i popoli a soffrire insopportabil giogo; onde fu risoluto spedire al Re D. Tommaso Caraffa Vescovo della Volturara, perchè avesse di tante miserie ed afflizioni compassione, e vi desse conforto; ma queste missioni, per li bisogni urgenti che tuttavia crescevano, riuscivano tutte vane ed inutili. Bisognò pagare i seicentomila ducati, che il Cardinal Infante dimandò da Milano: continuare a sostenere le soldatesche, che guardavano il Regno: unir nuove milizie per reclutare gli eserciti, che teneva scarsi la Spagna in più luoghi; fornir l'armate navali, e sostenere l'Isole di S. Margherita e di S. Onorato occupate in Francia, finchè di nuovo, nel mese di maggio del 1637, costrette dalla fame, non cedessero all'armi di quel Re, e tornassero sotto il di lui dominio.

In mezzo a tante calamità non tralasciava però il Conte di Monterey i sollazzi, le commedie e le cacce, alle quali era inchinato: nè mancò, imitando i vestigj de' suoi predecessori, di lasciare a noi belle memorie della sua magnificenza. Egli rese più ampia e comoda la strada di Puglia: arricchì li fonti della città d'acque più abbondanti, e fecene innalzar un altro sul muro del fosso del Castel Nuovo; ma sopra tutto erse quel magnifico Ponte, che congiunge la contrada di Pizzofalcone con quella di San Carlo delle Mortelle. La Contessa sua moglie pur ci lasciò un monumento perenne della sua pietà, avendo fondato in Napoli il Monastero della Maddalena, per sicuro asilo delle donne spagnuole, che abbominando le passate lascivie, volessero ivi ridursi a menar vita casta.

Ma con tutto che il Conte di Monterey fosse cotanto benemerito al Re per li tanti soccorsi mandati, mancò poco però, che il Conte Duca per vantaggiar la sua Casa, non lo richiamasse, non avendo ancor finito il secondo triennio del suo governo. La cagione si fu il matrimonio da lui ambito di D. Anna Caraffa Principessa di Stigliano col Duca di Medina las Torres. Questa Signora per la morte di D. Antonio Caraffa Duca di Mondragone suo padre, e del Principe Luigi Caraffa di Stigliano suo avolo, era rimasa unica erede di floridissimi Stati. Isabella Gonzaga sua avola figliuola, ed erede di Vespasiano Gonzaga Duca di Sabioneta, l'avea ancora arricchita di questo titolo e «di queste ragioni: per ciò il Conte Duca non avendo potuto perpetuar la sua Casa ne' discendenti della figliuola, che fu moglie di D. Ramiro Gusman Duca di Medina las Torres, e morì senza prole, desiderava per questo suo Genero, ch'egli da semplice Cavaliere avea innalzato cotanto, di trovare una sposa, niente inferiore alla prima. Fece credere al Re, essere questo matrimonio espediente per poter ripetere Sabioneta, di che già i Principi d'Italia se n'erano insospettiti; e per ciò, ancorchè trovasse durezza nell'avola, sollecitò le nozze colla madre della sposa per mezzo del Cardinal suo fratello: la quale, colla promessa del Viceregnato, che s'offeriva al Duca, fu facilmente guadagnata: la sposa, ambiziosa di vedersi Viceregina, vi condiscese parimente; onde partitosi di Spagna il Duca con carattere di Vicerè e di Castellan perpetuo del Castel Nuovo, giunse colla squadra delle Galee di Spagna in Napoli, dove nel palagio della Principessa, presso la Porta di Chiaja, fur celebrate le nozze.

Intanto il Conte di Monterey accingevasi alla partenza, ma avvisato il Conte Duca essere già seguito il matrimonio, scrisse al Monterey, che non conveniva per le fastidiose congiunture delle guerre d'Italia partire, non essendo ancor terminato il suo secondo triennio; onde gli sposi rimasero delusi, e convenne al Medina trattenersi nel Regno da privato, con dispiacere non ordinario, non men suo che della moglie, e molto più della Duchessa di Sabioneta, la quale, avendo sempre dissuasa la nipote a far tal matrimonio, non mancava di mordere pubblicamente l'azioni del Conte Duca, e biasimare la soverchia semplicità della Duchessa di Mondragone, del Cardinale e degli altri congiunti della nipote, che s'erano fatti ingannare dalle promesse dell'Olivares. Ma passato un anno, parendogli non poter più trattenere, mandò il Conte Duca ordine della Corte, che si desse al Medina il possesso. Così depose il Monterey il Governo, dopo averlo esercitato sei anni; ed a' 12 novembre di quest'anno 1637 ritirossi a Pozzuoli, donde proseguì poi il suo cammino per la Corte. Ci lasciò il Monterey molte savie e prudenti leggi insino al numero di quarantaquattro, per le quali riordinò i nostri Tribunali e quelli della Bagliva, e delle Regie Audienze; riordinò gli affitti e le vendite delle rendite e beni fiscali, i cambj e gli apprezzi: proibì severamente i duelli e l'esportazione di qualsivoglia sorta d'armi: fece diverse ordinazioni per ovviar le fraudi che si commettevano nella Dogana, e maggior Fondaco di Napoli: vietò l'uso smoderato delle vesti, servidori e carrozze: impose su la testa del famoso bandito Pietro Mancini una taglia di tremila ducati, oltre la facoltà d'indultare quattro persone: tolse le Gabelle delle Carte e del Tabacco, ancorchè da poi fossero state di nuovo imposte; e diede molti ordini pel Governo e disciplina de' soldati del Battaglione, e pel grado di Dottorato da darsi, così in Legge, come in Medicina, ed altri provvedimenti che vengono additati nella Cronologia prefissa al primo tomo delle nostre Prammatiche.

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