CAPITOLO V.

Il Principato di Catalogna si sottrae dall'ubbidienza del Re, e si dà alla Protezione e Dominio franzese. Il Regno di Portogallo parimente scuote il giogo ed acclama per Re Giovanni IV, Duca di Braganza. Guerre crudeli, che perciò s'accendono per la ricuperazione della Catalogna; per sostegno delle quali, siccome per quella di Castro, bisognò pure dal Regno mandar gente e danaro.

Siccome la Monarchia di Spagna camminava a gran passi incontro alle sue ruine, così riempiva i Franzesi di grandi disegni; tantochè le speranze della pace universale che il Pontefice avea impreso a maneggiare, tuttavia si dileguavano; onde stanco ormai del dispendio, e del poco suo decoro di trattenere ozioso in Colonia il Legato, lo richiamò. Vie più difficili si rendettero poi questi trattati di pace per le rivolte di Catalogna e di Portogallo, che riempirono li Franzesi di più grandi speranze ed alti disegni.

Il Conte Duca, che con assoluto arbitrio reggeva in Spagna non meno il Re che i suoi Stati, con superbissimo genio e con massime severe e violenti consigli trattava gli affari. Egli s'avea proposto d'esaltare la potenza e la gloria del Re al pari del titolo, che gli avea fatto assumere di Grande; ma la fortuna con eventi infelici secondò così male il pensiere, che pareva offuscato in gran parte lo splendore della Corona; tantochè gli emoli del Conte Duca con argutezza spagnuola solevan motteggiarlo, dicendo, che il Re era Grande, come il Fosso, il quale s'ingrandiva tanto più, quanto più si scemava il terreno della sua circonferenza. Si era perciò appresso gli esteri rilasciato quel timore, che conciliato dalla potenza, soleva contenerli in rispetto; e nell'animo de' sudditi avvezzi sotto un velo di riputazione e di prosperità a venerare gli arcani infallibili del Governo, sottentrava già il disprezzo e l'odio verso il Re ed il privato.

Non era oscuro il pensiere dell'Olivares di allargare non solo la Monarchia oltre a' primi confini, ma ne' Regni medesimi stabilire assoluta l'autorità del Monarca, la quale in alcuna delle Province era circoscritta dalle leggi, dagl'indulti e da' patti. A ciò lo spingeva principalmente il bisogno del danaro e di gente, per supplire a tante guerre straniere, perchè dal censo de' Popoli convenendo dipendere, non riuscivano le provvisioni uguali alla necessità, nè pronte all'urgenza. Pensava dunque d'abolire, o almeno di restringere tanta libertà, che s'attribuivano alcuni, e principalmente i Catalani, i quali decorati da grandissimi privilegi, ed immuni da molti pesi, custodivano la loro libertà con zelo non minore che la Religione. Già alcuni anni, tenendo il Re in Barcellona le Corti, resisterono più volte alle soddisfazioni dell'Olivares, dal che irritato egli, nudrì poi sempre nel cuore di reprimerli e d'abbassarli. I Re solevano veramente rispettare quella Nazione per natura feroce, e per lo sito importante, perchè la Provincia, se dalla parte del mare per l'impetuosità è impenetrabile, da quella di terra, pare inaccessibile per le montagne; anzi queste internandosi, ed in molti rami divise, le formano altrettante trinciere e ripari, ne' quali si comprendono piazze forti, città popolate, terre, e gran numero di villaggi. La vicinanza poi alla Francia, i passi dei Pirenei, l'ampiezza del giro, la popolazione e l'inclinazione marziale degli abitanti, la rendevano considerabile e poco men che temuta.

Ad ogni modo il Conte Duca aspettava col pensiero l'opportunità di frenarla; ma quando stimò, che la fortuna gli aprisse la strada, non s'avvide, che insieme portava il precipizio alla grandezza ed alla salute di tutta la Spagna. I Franzesi allargando sempre da quella parte i confini, speravano di promuovere gravi accidenti, e particolarmente d'irritare gli animi dei Popoli tra gl'incomodi della guerra, ed i danni dell'armi, e così loro riuscì puntualmente; poichè avendo gli Spagnuoli perduta Salses, convenne loro per ricuperarla, piantare la piazza d'armi nella Catalogna, con lasciarvi a quartiere l'esercito; onde, se durante l'assedio fu la Provincia gravemente afflitta dal passaggio delle milizie, da poi ne sentì la licenza, tanto più dura, quanto n'erano que' Popoli meno avvezzi; si udirono estorsioni ed aggravj, profanati i Tempj, violate le donne e rapiti gli averi; a' quali eccessi i Capi non riparando, si formava concetto, che l'Olivares per imporre, sotto titolo di necessaria difesa, il giogo a quel Principato, volentieri lo tollerasse; ed è certo, che da frequenti lettere di lui, stimolato il Conte di S. Coloma Vicerè, a cavar genti e denari dalla Provincia, si valse in Barcellona di certo denaro, che s'apparteneva alla disposizione della città, senza badare a' privilegi, ed attendere l'assenso degli Stati; ed avendo uno de' Giurati, Magistrato il più ragguardevole, voluto opporsi a tanta licenza, con fare eziandio premurose istanze, che fossero corretti i trascorsi delle milizie, il Vicerè lo carcerò. Tanto bastò per commuovere un Popolo, che tollerava l'ubbidienza, ma non conosceva ancora la servitù; furono prese l'armi, aperte le carceri, e corse le strade, con sì grave ed universal tumulto, che il Vicerè impaurito stimò riporre nella fuga solamente il suo scampo. Si ridusse per ciò all'Arsenale, dove nemmeno essendo sicuro, perchè il Popolo, dato fuoco al Palazzo, lo cercava per tutto, fece accostare una Galea; ma mentre s'incamminava al lite per imbarcarsi, sopraggiunto da' sollevati, restò miseramente trucidato. Allora il Popolo, parte inorridito dal suo medesimo eccesso, parte tra le apprensioni della servitù, e le apparenze della libertà, invaghito e confuso, riputò, che non vi fosse più luogo al suo pentimento, nè alla regale clemenza.

Scosso per tanto il giogo, trascorso nell'ultime estremità, e la confusione non potendo da se stessa sussistere, fu data per ciò forma ad un independente governo col Consiglio de' Cento, e degli altri antichi Magistrati della città. A tale esempio s'alterò quasi tutto il Principato, e nelle Terre e Villaggi si presero universalmente le armi, e le genti spagnuole furono trucidate e scacciate.

A così improvviso accidente l'animo del Conte Duca commosso, non ardiva palesarlo al Re, nè poteva tacerlo; proccurò di fargli credere, che non vi fosse, che un popolare tumulto, che svanirebbe da se, e con la forza prestamente sopito, varrebbe a rendere più illustre l'autorità del comando; poichè sotto l'armi si potrebbe, non solo domare la ribellione, ma il fasto ancora de' Catalani, ed abolirsi que' Privilegi, che gli rendevano contumaci. Ma nell'animo suo con più tacite cure riflettendo all'importanza della Provincia, alla qualità del sito, ed a' danni maggiori se vi s'introducessero i Franzesi, bilanciava, se la destrezza, o la forza dovesse più utilmente impiegarvisi. Nè mancavano dubbi, che altri Regni, e l'Aragona particolarmente, fosse per seguitare un tal esempio. Tentò prima con le persuasioni della vecchia Duchessa di Cardona, che appresso il Popolo di Barcellona godeva molta venerazione, ed autorità, e col mezzo di un Ministro del Pontefice che vi risedeva, sedare gli animi, e placare il romore; ma riuscendo ciò inutilmente, deliberò di usare la forza, con tale potenza e con tanta celerità, che nè il Popolo potesse resistere, nè i Franzesi giunger opportunamente al soccorso.

Proccurò dunque d'ammassare l'esercito, comandando a' Feudatarj, ed invitando la Nobiltà, e tra questa molti de' più sospetti, particolarmente i Portoghesi, acciò servissero insieme di soldati e d'ostaggi. Le provvisioni tuttavia non poterono essere così prontamente allestite, che i Catalani non avessero tempo, e di munirsi con molta costanza, e di spedire Deputati in Francia a chiedere ajuti. Non si può dire quanto il Cardinal di Richelieu, direttore allora di quella Monarchia, e che avea già con le solite arti coltivate le prime loro disposizioni, gli accogliesse avidamente. Li cumulò d'onori, e li caricò di promesse; ma nel tempo medesimo volendo godere dell'occasione, che il caso gli presentava, non solo applicò a nutrire nelle viscere della Spagna la guerra, ma di ridurre la Catalogna alla necessità di arrendersi alla soggezione franzese. Inviò il Signor di S. Polo con alquanti Ufficiali, e per mare alcune milizie e cannoni, acciocchè que' popoli prendessero cuore d'insanguinarsi coi Castigliani; e spedì il Signor di Plessis Besanzon, Ministro eloquente, e d'acutissimo ingegno, a riconoscere la disposizione degli affari e degli animi.

Dall'altra parte il Conte Duca, avendo raccolto un esercito di trentamila combattenti, lo consegnò sotto il comando del Marchese de los Velez, di nascita Catalano, e destinato per Vicerè dell'istessa Provincia, verso la quale tanto è lontano che tenesse costui disposizione di affetto, che anzi aveva cagioni d'odio e d'abborrimento, essendoglisi dal Popolo in Barcellona spianata la casa, e confiscati gli averi. Si mosse adunque il nuovo Vicerè nel mese di dicembre di quest'anno 1640 da Tortosa, città partecipe della sollevazione; ma che, o per l'inclinazione degli abitanti, o per le minacce dell'armi, fu la prima a rimettersi in obbedienza; s'avanzò a Balaguer, per tutto rendendosi molte Terre inabili alla difesa. Ivi sebbene l'angustie de' passi possono essere impedite da pochi, ad ogni modo le guardie de' Catalani non ardirono d'aspettarlo; onde il Marchese spirando terrore e severità s'avanzò fino a Combriel, Piazza d'armi de' sollevati. Il luogo debole ardì per cinque giorni resistere, dopo i quali volendo rendersi, non fu ricevuto che a discrezione; restando desolata la Terra, impiccati gl'Ufficiali, e tagliate a pezzi le soldatesche. Da questo sangue pullulò la disperazione per tutto; in Barcellona particolarmente s'animavano i Cittadini, l'uno con l'altro a sofferire ogni estremo più tosto, che cadere in mano, e sotto il governo di vincitor così fiero, e di un Vicerè incrudelito. Trattandosi della libertà, e della stessa salute, fu la difesa disposta, fortificato il Mongiovino, ed unendosi gli animi pel comune pericolo, si procedè nel governo e nelle risoluzioni con vigore e concordia.

Tuttavia temevano di non potere a scossa così poderosa senza forte appoggio resistere. Dall'altro canto i Ministri franzesi fomentavano l'apprensione, e loro additavano dall'una parte imminente l'eccidio, dall'altra vicino il soccorso; ma dimostrando non convenire che la Corona di Francia, per procacciare l'altrui, abbandonasse li proprj vantaggi, insinuavano fra' timori e i discorsi, quanto complisse obbligare un Re così grande a sostenere per decoro e per interesse quel Principato. Colpì l'artificio, perchè il timore del pericolo e la speranza degl'ajuti indusse i Catalani a consegnarsi alla protezione ed al dominio franzese con molti patti, che preservavano i Privilegi, quei principalmente dell'assenso de' Popoli per l'imposte, e della collazione de' Beneficj di Chiesa, e delle cariche a' nazionali, eccettuata la suprema del Vicerè, che poteva essere straniero. A ciò diedero tutti l'assenso; la maggior parte per desiderio di cose nuove, li semplici per concetto di cambiare in meglio la sorte, e i più savj per essersi accorti, che dopo i primi passi della ribellione, qualunque si fosse la libertà, o la servitù, non poteva provarsi, che fiere stragi e calamità non disuguali. Ciò accadde negl'ultimi giorni di quest'anno, nel procinto, che il Portogallo pur anche scosso il giogo, ravvivò con nuovo Re l'antico nome del Regno.

I. Il Regno di Portogallo scuote il giogo, e si sottrae dalla Corona di Spagna.

L'emulazione, che passava tra' Castigliani ed i Portoghesi, cotanto antica, che tramandata, come per eredità, da' loro antenati a' successori, era a questi tempi per i boriosi modi e feroci consigli del Conte Duca, assai più cresciuta, che quando convenne a questi piegare il collo sotto la dominazione della Castiglia, divenne ora abborrimento ed impazienza: tantochè avevano i Portoghesi applicata più volte l'attenzione e la speranza a vari accidenti, che potessero far cambiare la fortuna presente. Ma la potenza e la felicità de' Castigliani, avevano fino ad ora, o tenuti gli stranieri lontani, o dissipati l'interni disegni; ad ogni modo cresceva maggiormente il desiderio, e serviva ad incitarlo l'oggetto de' Duchi di Braganza, che discendenti da Odoardo, fratello di Errico Re, erano appresso molti altrettanto preferiti nelle ragioni, quanto alla forza del Re Filippo avevano convenuto soccombere. Il presente Duca Giovanni, osservando sopra di lui l'occhio de' Castigliani aperto, si dimostrava altrettanto alieno da ogni applicazione e negozio; ed essendo pochi anni addietro accaduto tumulto in qualche città, uditosi acclamare il suo nome, egli si era contenuto con tale modestia, che fu creduto ugualmente alieno dall'ambizione e dall'inganno. Il Conte Duca però considerando, e le ragioni della Casa, ed il favore del Popolo, oltre alle ricchezze e gli Stati, che eccedevano la condizione di vassallo, per assicurarsi di lui, l'invitava alla Corte con premj ed impieghi, e con simulata confidenza gli conferiva cariche e titoli: il che si credè mirasse non per adornarlo di dignità, ma per esporlo a pericoli, acciocchè esercitando particolarmente il suo impiego di Contestabile, salisse sopra l'armata o entrasse nelle Fortezze, dove fossero ordini occulti d'arrestarlo prigione. Giovanni con varie scuse schivando di condursi a Madrid, con tali riserve in tutto si governava, che se non poteva sfuggire gli altrui sospetti, almeno divertiva i suoi rischj. L'Olivares si valse della rivolta di Catalogna, e della fama, che il Re volesse uscire a debellarla, per invitare la Nobiltà Portoghese, e tra questa con maggior premura il Braganza a concorrere con la persona e con le forze in così segnalata occasione: ma la stessa congiuntura servì a' Portoghesi per isvegliare in loro gli antichi pensieri; onde molti nelle private conversazioni soliti a frequentemente lagnarsi, che un Regno famoso ed esteso nelle quattro parti del Mondo, fosse ridotto in provincia, e divenuto appendice al Dominio de' loro naturali nemici, ora consideravano la Nobiltà oppressa, il Popolo conculcato; e per le gelosie del Conte Duca snervato il Paese, i Grandi perseguitati, infranti i Privilegi e sfigurata quell'immagine, che al Portogallo restava di libertà e d'apparente decoro. Passando poi dalle querele de' tempi al rimprovero di loro stessi, quasichè ne' Portoghesi mancasse quell'ardire e quel cuore, che così altamente nobilitava il Popolo catalano, divisavano la facilità di eseguire ogni grande attentato, retti da una donna e da un odiato Ministro con pochi presidj e provvisioni minori, in tempo, che era tutta la Spagna commossa, le forze distratte, il Re impotente a resistere in tante parti, e pronta la Francia al soccorso.

Margherita Infanta di Savoja sosteneva il titolo di Viceregina, il governo però risedeva in alcuni Castigliani, ed in particolare nel segretario Vasconcellos, che l'assisteva, e che confidente dell'Olivares e dal suo favore innalzato, tutto tirava alle di lui massime d'abbassar i Grandi e d'esercitare assoluto comando. Per le congiunture veramente pareva, che per sollevarsi fosse maggior pericolo in iscovrire i pensieri, che in praticargli; onde ridotti alcuni Nobili in Lisbona nel giardino d'Autan d'Almada, considerate le congiunture presenti, tutti si risolsero di tentar l'impresa dandosi reciprocamente la mano e la fede di segretezza e di non mai abbandonarsi. Stavano alquanto perplessi sopra il risolvere, qual forma si dovesse scegliere del nuovo governo. Ad alcuni, con l'esempio de' Catalani, aggradiva l'istituto delle Repubbliche; ma si considerò dalla maggior parte la confusione, che seco porta l'innovare comando in un paese avvezzo all'arbitrio di un solo. Si voltarono perciò al Braganza, nel quale, per giustificare la causa, e tirare i popoli, concorrevano i requisiti più principali, e per ragione al Regno e per distinzione di fortuna; gli spedirono dunque separatamente Pietro Mendozza, e Giovanni Pinto Ribero a rappresentargli i voti comuni ed offerirgli lo scettro; e perchè s'avvidero questi, che al Duca s'affacciavano tra varj pensieri l'immagini di molti pericoli, proccuravano di sgombrargli ogni dubbiezza: ed il Pinto particolarmente tramettendo alle ragioni ed alle preghiere minacce e proteste, gli dichiarò, che anche contra sua voglia sarebbe Re proclamato, senzachè dalla sua renitenza, ed a se ed agli altri fosse per accogliere, che rischj maggiori di più certe perdite. Il Duca ad oggetto sì grande, ed improvviso della Corona, titubava ne' suoi pensieri; ma sua moglie, sorella del Duca di Medina Sidonia, essendo d'altissimi spiriti, lo rincorò, rimproverandogli la viltà di preferire alla dignità dell'Imperio la caducità della vita. Nè mancarono i Franzesi conscj di quanto si tramava, con segretissimi messi di confortarlo ed animarlo con ampie promesse d'assistenze e soccorsi, facendogli credere tanto più ferma dover essere la Corona sopra il suo capo, quantochè gli additavano vacillanti le altre sopra quello del Re Filippo. Dunque s'indusse a prestarvi l'assenso e fu concertato il tempo ed il modo per dichiararsi.

Sebbene in questo affare il segreto fosse grande, ad ogni modo la notizia essendo sparsa tra molti, ne traspirò qualche cosa alla Viceregina, la quale non mancò d'avvertire il Conte Duca più volte de' discorsi e disegni de' congiurati; ma egli solito di prestar fede a se stesso, più tosto che ad altri, lo credè troppo tardi. Adunque il primo di dicembre di quest'istesso anno 1640 molti Nobili essendo andati a Palazzo, al battere delle nove ore della mattina, ch'era il segno accordato, ad un colpo di pistola, snudarono le armi, e caricarono le guardie della Viceregina, le quali inermi e sbandate, ogni altra cosa attendendo, cedettero facilmente. Occupato il palazzo, i Nobili gridavano Libertà, insieme acclamando il nome di Giovanni IV, per Re; ed altri nelle piazze, chi per le strade, alcuni dalle finestre e tra questi Michele Almedia di veneranda canizie, animando il Popolo e concitandolo all'armi, fu sì grande in pochi momenti il concorso, che, come se un solo spirito movesse la moltitudine, non vi fu chi dissentisse, o titubasse. Una Compagnia di Castigliani, che entrava di guardia al Palazzo, fu dal furore della plebe costretta alla fuga. Antonio Tello con altri seguaci, sforzate le stanze del Vasconcellos, che inteso il romore, s'era in certo armario rinchiuso, lo ritrovò, e trucidato, lo gittò dalle finestre, acciocchè nella piazza fosse spettacolo all'odio del vulgo, e testimonio insieme, quanto poco sangue costasse la mutazione di un Regno. L'Infanta, custodita in potere de' congiurati, fu trattata con molto rispetto, astretta però a comandare al Governadore del Castello, che s'astenesse di tirare il cannone, altrimenti i Castigliani nella città sarebbero stati tutti tagliati a pezzi. Egli non solo ubbidì all'ordine di sospender l'offese, ma subitamente, o per timore, o per necessità, trascorse alla resa, allegando d'essere così sprovveduto, che all'invasione del Popolo non avrebbe potuto resistere. Fu maraviglia vedere una città, come Lisbona, grande, popolata, commossa, restare in brevissimo tempo in potere di se medesima, ma con tanto ordine e con tal quietudine, che nessun comandando, ogni condizione di persone, al nome del nuovo Re, prontamente ubbidiva.

Giovanni, inteso l'accaduto di Lisbona, fattosi proclamare Re ne' suoi Stati, entrò in quella città il sesto giorno del medesimo mese di dicembre con indicibile pompa; e ricevuto il giuramento da' Popoli, lo prestò reciprocamente per l'osservanza de' Privilegj. Sparsasi per quel Regno la fama di tal accidente, non vi fu luogo, che tardasse a seguitare l'esempio della Capitale, con tanta unione degli animi, che non pareva mutazione di governo, ma che solamente al Re si cambiasse nome, con insolito gaudio de' Popoli. I Castigliani sparsi in alcuni presidj e quelli di S. Gian, Fortezza d'inespugnabile sito, sorpresi da fatale stupore, n'uscirono senza contrasto. L'Infanta fu accompagnata a' confini, ed alcuni de' Ministri Castigliani restarono prigioni, per sicurtà di que' Portoghesi, che fossero in Madrid trattenuti. In otto giorni si ridusse tutto il Regno ad una tranquilla ubbidienza. Fino nell'Indie dell'Oriente, nel Brasile, nelle coste d'Affrica e nell'Isole, che si numerano tra le conquiste de' Portoghesi, quando da Caravelle, in diligenza spedite, ne fu portato l'avviso, quasichè fosse stato atteso, abjurata con universal consenso l'ubbidienza a Castiglia, il nome di Giovanni IV fu riconosciuto ed acclamato.

Il Conte Duca accortosi, che in vece di ingrandire la Monarchia e la prepotenza, conveniva essa della propria salute contendere, non potendo contrastare da due parti, stava in dubbio dove s'avessero a rivolgere le maggiori cure e gli sforzi. In fine giudicò meglio contra la Catalogna applicarsi, sperando, che non riuscisse lunga l'impresa ed insieme temendo, che col dar tempo, la fortezza del paese, la ferocia del Popolo, ed il soccorso de' Franzesi, la difficultassero maggiormente. All'incontro, essendo aperti i confini, più lontani gli ajuti, i popoli meno agguerriti, ed in Lisbona sola potendosi debellare tutto il Regno, si figurava, che lasciati i Portoghesi in sicurezza ed in ozio, non applicarebbero a premunirsi, e che i Nobili, superbissimi per natura, non sofferirebbono a lungo il comando di uno a diversi emolo, ed a molti uguale. Proseguendosi pertanto in Catalogna la guerra, il Portogallo vie più si stabiliva, tanto che riusciti vani i presagj dell'Olivares, rimase, siccome tuttavia ancor dura, staccato ed indipendente dalla Corona di Spagna.

In Catalogna adunque proseguendosi eziandio nel verno la guerra, los Velez si portò ad espugnare Terracona, che dopo la Metropoli del Principato, tiene per l'ampiezza e per la nobiltà il primo luogo. I Catalani animati da' Franzesi sprezzavano gli sdegni e l'armi del Re, tanto che pronti alla difesa, sostennero lungamente la guerra, la quale non meno agli altri Stati della Monarchia, che al nostro Regno costò sangue e tesori. A questo fine si proccurava dal Medina nostro Vicerè nuovo donativo per la Corte, s'allestivano nuove soldatesche, e s'armavano nuovi legni, gravando con ciò i sudditi e le Comunità del Regno con nuove tasse ed imposizioni.

Ma non terminando qui le nostre miserie, una nuova guerra, che s'accese pure a questi tempi in Italia, dal Papa contro al Duca di Parma, per lo Stato di Castro, portò pure al Vicerè, ed al Regno nuove cure e nuove spese, e maggiori se ne sarebbero sofferte, se gli Spagnuoli non si fossero raffreddati, e ne' proprj mali, per le rivoluzioni di Catalogna e per la perdita di Portogallo, occupati, non avessero più modo d'ingerirsi negli affari altrui, se non con mediazioni, ed ufficj, onde al nostro Vicerè avendo il Pontefice richiesto i novecento cavalli, per l'investitura del Regno dovuti in caso d'invasione dello Stato Ecclesiastico, gli furono denegati, per non essere questa causa della S. Sede, ma della sua Casa e de' suoi Congiunti. Fu mestieri con tutto ciò al Medina, a spese del Regno, guarnir le Piazze della Toscana, ed i Confini del Regno dalla parte degli Apruzzi, dove mandò il Maestro di Campo Generale Carlo della Gatta, e commise ad Achille Minutolo Duca di Belsano, che si trovava Governadore di quella Provincia, che invigilasse alla custodia della medesima. Molte Compagnie di Tedeschi, fatte venir d'Alemagna per la via di Trieste, furono ancor ivi alloggiate, e da poi, ricevute dal Mastro di Campo D. Michele Pignatelli, fur fatte venire in Napoli, e fu loro assegnato alloggiamento nello Spedale di S. Gennaro fuori le mura della città.

Ma non perchè doveansi riparare i proprj mali del Regno, si rallentavano le richieste di nuovi soccorsi nel Milanese; bisognò al Vicerè spedirvi tremila pedoni sopra galee; ed affinchè le Università del Regno avessero corrisposto con maggior prontezza al pagamento de' donativi fatti al Re, comandò, che in ciascheduna d'esse si fosse fatto il nuovo Catasto (così chiamano il libro, dove si notano gli averi de' sudditi) con deputarsi un Ministro del Tribunal della Camera, acciocchè l'esazione si fosse regolata con la guida di esso, e ciascuno avesse portato il peso a misura delle sue forze.

Gli sbanditi pure in questo nuovo anno 1644 vie più che mai infestavano le Province, inquietavano i Popoli e disturbavano il traffico; nè bastando le genti di Corte a far loro argine, fu duopo al Medina spedire il Principe della Torella D. Giuseppe Caracciolo con titolo di Vicerè Generale della Campagna, per reprimere le loro insolenze.

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