CAPITOLO II.

Governo di D. Pascale Cardinal d'Aragona.

La troppa indulgenza, ed affabilità del Conte di Pennaranda avea alquanto fra noi rilasciata la disciplina, ed avea parimente non poco pregiudicato al decoro della giustizia: i delitti eran frequenti e spezialmente gli omicidj per la facilità e comodità, che ne davano le armi corte da fuoco, e per l'usanza a questi tempi introdotta di vestire alcuni con abiti chericali, corti e larghi, chiamati mezze sottane, le quali somministravano il modo di nasconder queste armi e di portarle impunemente per la città. Applicò per tanto il Cardinale, ne' principj di questo suo Governo, l'animo a pubblicar rigorosi editti contro costoro, ed alla sollecita punizione de' delinquenti: fu dato bando a tutti i vagabondi, comandando, che fra tre giorni sgombrassero dalla città: fece far terribili esecuzioni di giustizia; fece impiccar nel suo arrivo un'adultera col suo drudo, per morte data all'innocente marito: fece morir su le forche, più ladri più omicidi, e moltissimi furon condennati a remare.

Ma con tutto ciò, tanti rigori e severità del Cardinale non bastavano a poter frenare una Città così corrotta. Alcuni si sottraevano da' dovuti castighi colla fuga, altri col privilegio del Foro Chericale e molti coll'immunità delle Chiese, la quale sempre più dagli Ecclesiastici ampliandosi, è perpetua cagione di continue brighe tra i due Fori; quindi, come altrove fu detto, fu di mestieri spedir in Roma il Consigliere Antonio di Gaeta per ottener qualche riforma agli abusi di tal pretesa immunità; ma riuscendo la missione inutile, si rimase negli antichi disordini.

Non furono meno molesti ed insolenti, con tutti questi rigori, gli sbanditi, li quali, appoggiati alla protezione di potenti Baroni, infestavano le pubbliche strade, rubando, riducendo molti in cattività, nè rilasciandogli se non con ricatti di grossissime somme, e talora, anche dopo averli straziati, barbaramente uccidendogli. I duellanti si fecero ancora sentire, nonostante le severe proibizioni e le rigorose pene imposte contro essi. Ma una nuova malizia inventata dai mercatanti in tempo di questo Governo, turbò ancora non poco il traffico e la pubblica fede. Costoro con fallimenti frodolenti, dopo avere riscosse somme importanti da chi in essi fidava, a man salva rubavano, e cotali fallimenti eran fatti così frequenti, che erano passati in usanza appresso quasi tutti i negozianti. Per estirpar un così pernizioso abuso, il Cardinal d'Aragona pubblicò una Prammatica, colla quale sottopose a pena di morte i mercadanti frodolentemente falliti, e comandò, che dovessero dichiararsi fuor giudicati, se fra quattro giorni non comparivano; e la medesima pena volle, che s'eseguisse contro agli occultatori dei loro beni e contro a tutti coloro, che si fingessero loro creditori, quando non lo fossero: vietò parimente a' Giudici di poter loro concedere salvicondotti, o moratorie di sorte alcuna, ancor che vi concorresse il consenso, non solamente della maggior parte, ma anche di tutti i creditori.

Mentre che il Cardinale era tutto inteso a dar riparo a questi disordini, ed a restituire la caduta disciplina a qualche buono stato, pervenne in Napoli, in ottobre del 1665, la funesta novella della morte del Re Filippo IV, il quale lasciando il Principe Carlo in età di quattro anni, lo raccomandò sotto la tutela ed educazione della Regina sua madre, alla quale parimente fu dal medesimo lasciata la reggenza della monarchia; ma come donna ed inesperta delle cose appartenenti al governo, fu dal Re nel suo testamento istituita una Giunta, che dovea comporsi, fra gli altri, dell'Arcivescovo di Toledo, dell'Inquisitor Generale, del Presidente di Castiglia e del Cancelliere di Aragona: comandando, che se venisse alcuno a mancare di questi quattro, gli fosse succeduto colui, ch'entrava nel ministerio di quella carica, che dal morto lasciavasi. Avvenne, che nel medesimo giorno, che mancò il Re Filippo, spirasse anche il Cardinal Sandoval Arcivescovo di Toledo; la Regina Reggente, dovendo dargli successore, nominò all'Arcivescovado di Toledo il Cardinal d'Aragona nostro Vicerè; per la qual cosa, essendo in dicembre del medesimo anno giunto l'avviso in Napoli della sua promozione a quella Cattedra, avendo prima fatto acclamare in Napoli il Re Carlo II, e fatte celebrare pompose esequie al Re Filippo, si dispose alla partenza per la Corte di Spagna, dove veniva chiamato, non solo per governar la sua Chiesa, ma ad esser a parte del governo della monarchia nella Giunta, in luogo del Cardinal Sandoval Arcivescovo di Toledo suo predecessore. Fu all'incontro sustituito al Cardinale nel Governo di Napoli D. Pietr'Antonio d'Aragona suo fratello, il quale si trovava allora in Roma Ambasciadore del Re Cattolico presso il Pontefice Alessandro VII.

Ritardò l'Aragona la sua venuta in Napoli per cagion dell'orrido inverno, che impediva al fratello la navigazione per Ispagna, differendola insino ad aprile del nuovo anno 1666. Ed intanto essendogli state spedite del Pontefice le Bolle, volle quivi farsi consegrare Arcivescovo: fu commessa la consegrazione all'Arcivescovo d'Otranto, dal quale insieme colli Vescovi di Pozzuoli, di Menopoli e d'Aversa, con le consuete cerimonie, fu a' 28 febbrajo del medesimo anno consegrato nella Chiesetta di S. Vitale, detta comunemente di S. Maria delle Grazie, della Diocesi di Pozzuoli, e soggetta a quel Vescovo, posta fuori della Grotta, che conduce a Pozzuoli. Concorsevi e per cagion del personaggio e per la rarità della funzione, rade volte veduta in Napoli, infinito Popolo, ed un gran numero di Nobili e di Magistrati; onde D. Benedetto Sanchez De Herrera Vescovo di Pozzuoli, perchè a' posteri ne rimanesse memoria, fece nella medesima Chiesetta porre un marmo con iscrizione, dove un cotal atto si legge.

Giunse finalmente in Napoli D. Pietro Antonio di Aragona a' 3 d'aprile, ricevuto con gran pompa dal Cardinal suo fratello, il quale agli 8 del medesimo mese depose il governo nelle mani del Consiglio Collaterale; ed agli 11 s'imbarcò per la volta di Spagna accompagnato dagli Eletti della città, li quali lo pregarono, che andando egli a sedere al governo della Monarchia, tenesse protezione di questi Popoli, ed egli cortesemente assicurogli, che così avrebbe fatto. Partì il Cardinal d'Aragona, dopo aver governato il Regno diciannove mesi, non potendo in così breve tempo lasciarci di se altra memoria, che cinque sole Prammatiche, per le quali, oltre d'avere severamente puniti i mercatanti frodolentemente falliti, comandò, perchè la città si tenesse monda e per li danni che cagionavano, che tutti i porci di qualsivoglia persona, che andavan vagando per le piazze della città, si cacciassero via, nè si permettesse un così stomachevol abuso: rinovò ancora i divieti a Ministri, che non potessero amministrar tutele, baliati, o eredità di particolari persone e diede altri provvedimenti, che sono additati nella tante volte rammentata Cronologia prefissa al tomo primo delle nostre Prammatiche.

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