Del Governo di D. Errico di Gusman Conte di Olivares: Sue virtù. e leggi che ci lasciò.
Il Conte di Olivares fu uno de' più savj e prudenti Ministri ch'ebbe in questi tempi la Spagna, e per la grande perizia e facilità che avea nell'espedizione degli affari politici e più gravi della Monarchia, s'acquistò presso gli Spagnuoli il soprannome di Gran Papelista. Fu egli perciò dal Re Filippo II, savio discernitore dell'abilità de' soggetti, impiegato nelle cariche di maggior confidenza e più gravi, avendolo in tempi cotanto difficili mandato suo Ambasciadore nella Corte di Roma, appresso la persona del Pontefice Sisto V, con cui, per l'ingegno di questo Papa cotanto stravagante e bizzarro, per lo spazio di molti anni ebbe a trattare affari molto fastidiosi e difficili. In tempo di questa sua ambasceria gli nacque D. Gaspare di Gusman, chiamato poscia il Conte Duca: quegli che sotto il Regno di Filippo IV governò con titolo di privato per lo spazio di ventidue anni la Monarchia. Di Roma passò poi a governar la Sicilia, donde dal Re Filippo fu destinato successore del Conte di Miranda. Giunse egli in Pozzuoli nel mese di novembre di quest'anno 1595, e dopo alcuni giorni entrò in Napoli ricevuto con molto applauso, e con le solite cerimonie del Ponte, Sindico e Cavalcata.
Non passò lungo tempo, che ciascuno s'accorse del suo genio serio e severo, e lontano da' passatempi. Non curava molto, che i Nobili lo corteggiassero nelle anticamere: diede bando alle danze, alle commedie, ed alle feste, solite farsi in Palazzo da' suoi predecessori. Tutta la sua applicazione era in dar udienza ad ogni ora; soprantendere con vigilanza alla retta e rigorosa amministrazione della giustizia: e quello, che lo distinse sopra tutti gli altri fu lo studio grande, che pose nell'economia del Governo, cosa non molto curata dagli Spagnuoli, anzi dell'intutto da loro sempre trascurata.
A questo fine pubblicò molte Prammatiche, colle quali riformò molli abusi, e particolarmente la vanità de' Titoli, che in iscritto, ed a voce molti superbamente arrogavansi, ed i lussi smoderati negli abiti delle donne. Al suo genio severo s'accoppiò quello di Lodovico Acerbo, Giureconsulto genovese di nazione, da lui creato Reggente di Vicaria, il quale non meno delle gravi, che delle colpe leggiere era giusto vendicatore. Si sterminarono per ciò i ladri ed i giocatori, e le campagne furono in riposo. Vegghiava, perchè nella città e nel Regno l'abbondanza non mancasse, dandovi provvidi ordinamenti, facendo a tal fine costruire quel Palazzo, che chiamiamo la Conservazione delle farine, per riporvi li frumenti e le farine, che vengono per via del mare, per servigio della pubblica annona; e poste in assetto queste due importantissime faccende, s'applicò ad abbellire la Città, colla scorta del Cavalier Domenico Fontana famoso Architetto di que' tempi. Egli fece appianare la strada, che dal Molo grande conduce al picciolo, ed ergervi una fontana: diede principio all'altra, che dalla marina del vino conduce alla Pietra del Pesce, ridotta poi a perfezione dal Conte di Lemos suo successore. Fece appianare ed allargare e porre in linea retta la strada, che dal Convento della Trinità di Palagio conduce a S. Lucia, volendo che dal suo cognome si chiamasse Via Gusmana. Egli diede l'ultima mano all'ampio edificio del maggior Fondaco, o sia Regia Dogana di Napoli, ed oltre molte altre magnifiche sue opere, che adornano questa città, rialzò il tumulo di Carlo Martello Re d'Ungheria, e lo ridusse in quella magnificenza, che ora veggiamo sopra la porta del Duomo di Napoli.
Ma la morte accaduta a' 13 di settembre del 1598 del Re Filippo II (della quale diremo più innanzi) di cui egli in gennajo del nuovo anno 1599 fece celebrare pompose e superbissime esequie, abbreviò gli anni del suo governo; poichè non avendo trovato presso il nuovo successore Filippo III quella grazia, della quale egli interamente godeva con suo padre, diede a' suoi emoli campo di querelarlo al nuovo Re, per un'occasione che diremo. Per li fallimenti seguiti di diversi Banchieri con grandissimo danno di non poche persone, che tenevano il denaro nelle loro mani, fu proposto al Vicerè dal Mercatante Salluzzo genovese l'espediente di istituire in Napoli una Depositaria generale, nella quale si dovessero fare tutti i depositi della città e del Regno: vi si opposero i Deputati della città, affermando, ch'essendovi molti Banchi fondati da' Luoghi Pii, e governati con sommo zelo, ne' quali potevano farsi sicuramente simiglianti depositi, non era ragionevole violentare l'arbitrio dei Cittadini a confidare il denaro in mano de' forastieri. Ma perchè l'espediente pareva al Vicerè, che fosse molto profittevole al pubblico, interpetrando l'opposizione de' Deputati per un emulazione invidiosa alla sua gloria, fece imprigionare il Principe di Caserta, Alfonso di Gennaro, ed Ottavio Sanfelice, come quelli ch'erano stimati fra Deputati di maggiore autorità. Offese da ciò le Piazze di Capuana, Porto e Montagna, dopo avere eletti altri Nobili per empire i luoghi de' prigionieri, spedirono segretamente alla Corte di Madrid Ottavio Tuttavilla de' Conti di Sarno, affine di rappresentare al Re le violenze usate dal Conte per opprimere nelle persone de' Deputati le ragioni della città. Il Vicerè informato, che ogni cosa era cagionata da' consigli di D. Fabrizio di Sangro Duca di Vietri, allora Scrivano di Razione, fece imprigionarlo, pigliando il pretesto dell'accuse fattogli promovere contra dal Marchese della Padula Giovan-Antonio Carbone nemico del Duca. La nuova carcerazione del Sangro accrebbe alla Corte le querele contra il Vicerè, e diede maggiormente spirito al Tuttavilla d'esclamare a' piedi del Re, e dipingere a suo modo i rigori e le violenze, ch'e' diceva praticarsi dal Conte contra la Nobiltà e suoi fedeli vassalli, per soddisfare alla propria vendetta con pregiudizio della giustizia. Il Re nuovo al governo de' suoi Regni, deliberò per tanto di rimuoverlo, e gli destinò per successore il Conte di Lemos, il quale venuto in Napoli all'improvviso, obbligò l'Olivares a partirsi tosto, e ritirarsi in Posilipo nel Palagio del Duca di Nocera. donde, a 18 di luglio dell'anno 1599, s'incamminò alla volta di Spagna. Fu creduto, che il suo governo sarebbe stato più lungo, se non fosse accaduta la morte del Re Filippo II; poichè non poteva desiderarsene uno più giusto, ed una provvidenza più saggia, ed una applicazione più indefessa di quella, che ammirossi nel Conte. Lo dimostrano le leggi, che ci lasciò, avendo egli in questi quattro anni del suo governo promulgate intorno a trentadue Prammatiche, tutte utili e sagge, le quali potranno leggersi nella tante volte mentovata Cronologia prefissa al tomo primo delle nostre Prammatiche.