CAPITOLO I.

D. Pietro di Toledo riforma i Tribunali di Napoli, onde ne siegue il rialzamento della giustizia.

Conoscendo questo savio Ministro, che il principal fonte, onde deriva il riposo de' Popoli, sia quando fra quelli la giustizia venga ugualmente a tutti distribuita, e non potendosi quella a dirittura amministrar da' Re, sian questi forzati d'esercitarla per mezzo de' loro Ministri: il primo passo che diede fu di chiamarsi a se li Consiglieri del Re, e tutti gli altri Magistrati ed Ufficiali di giustizia, incaricando loro, che avessero la giustizia sempre innanzi agli occhi: alla retta amministrazione di quella fossero rivolti tutti i loro pensieri: la distribuissero a tutti senza umani rispetti, non per favore, non per odio, ma unicamente per Dio, e per maggior servizio del loro Re.

A questo fine per maggiormente accertarsi del frutto delle sue ammonizioni, non fidandosi di niuno, dava udienza ogni giorno a tutti con grandissima attenzione, volendo egli sentire e conoscere cosa per cosa: per la qual via ebbe tosto notizia de' difetti degli ufficiali, li quali sicuri, che non vi sarebbe cosa, che al Vicerè non fosse nota, alcuni emendandosi per se medesimi, si riducevano a buona vita, altri, ciò trascurando, ne erano ammoniti, ed altri aspramente ripresi, ed alcuni anche deposti dalle loro cariche.

Ritrovò, che intorno al punire i delinquenti, era di molto impedimento il favor de' grandi Baroni e Nobili della Città, li quali, o importuni tosto correvano a dimandargli grazia, ovvero, usando della lor potenza, minacciavano i Giudici perchè li liberassero: fece per ciò lor sentire, che cessassero di tentar simili cose, perchè con lui non varrebbe ad essi nè il favore, nè le minacce. E perchè maggiormente se n'accertassero, volle con un grande ed illustre esempio porre in esecuzione questa sua deliberazione, nella giustizia che fece fare del Commendator Gio. Francesco Pignatelli il quale, ancorchè reo di molti delitti, nulladimanco per essere di gran parentado, e da molti Signori favorito, avea tenuto gran tempo impedita l'esecuzion della giustizia, i poveri offesi, ed i querelanti con minacce oppressi; il che inteso dal Vicerè, diede sicurtà a' querelanti, ed a' Giudici, che procedessero con libertà; tanto che sentenziato a morte, gli fu fatto mozzar il capo nel largo del Castel Nuovo, luogo solito a giustiziarsi i Nobili ne' casi importanti. Lo stesso accadde al secondo Conte di Policastro e ad un cittadino molto ricco, e ben imparentado, nomato Mazzeo Pellegrino, il quale per forza di denari teneva occultate le querele, perseverando ne' delitti; ma con tutto che avesse offerte somme esorbitantissime per comporsi, non fu l'offerta ricevuta, e condannato a morte, lo fece con molto rigore giustiziare.

Per togliere ancora la cagion dei delitti, fece pubblicar bando, che niuno, di qualsivoglia condizione, potesse, come erasi introdotto, tener nelle porte e sale delle lor case arme in aste, nè archibugi, nè schioppi, e che niuno ardisse portar per la città nè scoppettuoli, nè daghe, o altre arme, ma la sola spada. Ordinò che niuno, sonate le due ore di notte per sino alla mattina, potesse portar qualunque sorta d'armi; ed acciò che si togliesse ogni contrasto, che avesse potuto insorgere intorno alla determinazione dell'ore, o di non essersi inteso il tocco, ordinò che la campana di S. Lorenzo, che si sentiva per tutta la Città, dovesse, passate le due ore, sonare a martello. Ordinò parimente, che i furti notturni commessi nella Città, fossero puniti con pena di morte. E poichè allora in Napoli erano molti portici, come grotte oscure, ove la notte i ribaldi assalivano i poveri incauti, gli fece buttar tutti a terra, fra' quali furono i portici di S. Martino a Capuana, e l'altro di S. Agata, antichi edificj, che davan spavento a passarvi anche di giorno. Per quest'istessa cagione fece tor via le pennate di tavole, e li balconi degli artigiani, che tenevano sporti in fuori alle strade, ove di notte s'appiattavano i ribaldi per assalire coloro, che vi passavano. Parimente, essendo uno scoglio in mare vicino al Castello dell'Uovo, chiamato il Fiatamone, ov'erano molte grotte, nelle quali i giovani dissoluti commettevano orribili disonestà, lo fece tutto rovinare, sino da' fondamenti. E le donne disoneste, che abitavano disperse per la città, mischiate con l'oneste, le fece scacciar tutte da que' luoghi, e le ridusse ne' pubblici lupanari. Nè cessò mai di perseguitare una sorta d'uomini chiamati Compagnoni, vietando con pubblici bandi, che niuno andasse in quadriglia, infino che gli stirpò affatto dalla città.

Tolse a' delinquenti gli Asili, che per la protezione de' potenti aveansi fatti ne' palagi de' principali Baroni; ed avuta notizia, che in Napoli vi erano molte case, dove si ricettavano i fuorusciti, dandosi loro non sol ricetto, ma vitto e danari, per servirsene i Protettori per loro pravi disegni, le fece diroccare, tante che niuno ebbe poi più ardire di ricettargli. Gli artigiani eran prontamente pagati; non loro s'usavano più insolenze: ed i Ministri della giustizia erano come si conveniva rispettati. Anzi perchè la Città fosse meglio guardata, creò altri Capitani di guardia, ed ordinò, che sparsi alloggiassero per la Città per maggior custodia. Creò parimente nuovi Bargelli di campagna, acciocchè i delinquenti si tenessero men sicuri nella Campagna, che dentro la Città.

Parimente trovando introdotti molti altri abusi, gli estirpò tutti. Erasi introdotto costume in Napoli, che quando le donne vedove si rimaritavano, s'univan le brigate, e la notte con suoni villani e canti ingiuriosi, andavano sotto le finestre degli sposi a cantar mille spropositi ed oscenità, e questi suoni e canti chiamavano Ciambellarie; donde ne sortivano molte risse, e talora omicidj; e sovente gli sposi per non sentirsi queste baje, si componevano con denaro, o altra cosa colle brigate, perchè se n'andassero. Durava ancora il costume tramandato dalla antica gentilità, ne' tempi delle vendemmie, di vivere con molta dissolutezza e libertà: i Vendemmiatori non s'arrossivano incontrando donne, ancorchè onestissime e nobili, Frati ed altri uomini serii, di caricarli di scherno e di parole oscene, con tanta licenza, quanta si vede nel Vendemmiatore di Luigi Tansillo. Duravano ancora le superstiziose e lugubri dimostrazioni di duolo, che si facevano ne' funerali, ove le donne, non pure nelle loro case, ma nelle pubbliche piazze accompagnando il feretro, e nelle Chiese, con smoderato strascino di abiti luttuosi, con urli, pianti e graffiature di viso, empievano la Città di doglia e di pianti. Estirpò il Toledo questi abusi, riducendo il lutto de' funerali a comportabile e buono uso; e siccome per conservazione delle loro doti fece pubblicar Prammatica, così ripresse il soverchio lor lusso nel vestire.

Fece pubblicar bandi severissimi sopra i duelli, dai quali derivavano nella Città molti e spessi disordini e rumori: stabilì, che i provocanti a duello, fossero rei di pena capitale, e coloro, che non l'accettavano, non fossero notati d'infamia.

Sterminò da poi con rigore esattissimo un pernizioso e reo costume introdotto nella Città, per cui non stavan sicuri i più casti e guardati luoghi, acciocchè l'onestà delle donzelle non fosse insidiata. Il governo del Principe d'Oranges v'avea data forza, poichè nei suoi tempi, i nobili giovani usando mille insolenze, non erano puniti de' ratti, che facevano di molte onorate e nobili donne; perchè il Principe nella preda v'avea anche la sua parte: e per procedere con sicurezza, e penetrare i più guardati e riposti luoghi, si servivano per salirvi di scale di funi, non perdonando nè anche a' Monasteri. Il Cardinal Pompeo Colonna, come in sì fatte cose indulgente, non vi provvide abbastanza; ma il Toledo detestando le corruttelle ed i pubblici scandali, fece pubblicar un severissimo bando, col quale s'imponeva pena di morte naturale senza remissione alcuna, a chiunque persona si fosse trovata di notte con scale di legno o di fune o di qualunque altra materia. Di questo bando (ancorchè non si legga nelle nostre Prammatiche) ne fece memoria il Presidente de Franchis; ma da poi nel 1560 D. Parafan di Rivera Vicerè nel Regno di Filippo II ne fece pubblicar Prammatica, che si legge sotto il titolo De Scalarum prohibitione noctis tempore: dove quel Ministro nascondendo per onestà il principal fine della legge, fece intendere, che per molti ladri ed altri, che andavano la notte con iscale scalando le case e rubando, donde nasceva alcuna sospezione della pudicizia delle donne onorate, fossero puniti con pena di morte naturale, o altra pena riservata a suo arbitrio, tutti coloro, che si trovassero di notte portar le suddette scale.

Ma il bando di D. Pietro fu più severo, e fu fatto eseguire con molto rigore, siccome infelicemente avvenne nel 1549 ad un nobile, che colto di notte, mentre scendeva per una di queste scale dalla finestra di una gentildonna, lo fece decapitare, con tutto che per salvarlo si fossero interposte la Principessa di Salerno e quella di Sulmona, e quasi tutta la Nobiltà. Lo stesso sarebbe accaduto a Paolo Poderico Cavaliere molto stimato nella Città, il qual preso, mentre di notte avea appoggiata la scala sotto la finestra della sua amorosa, fu condennato a morte; ed il Vicerè, ancorchè fosse suo grande amico, non volle impedir la condanna, ma diede luogo a' parenti, che trovandosi colui Cherico, dimandassero la remissione del reo alla Corte Ecclesiastica, siccome si fece; ed il Poderico essendosi rimesso a quella Corte, in tal maniera scampò il tumulo.

§. I. Riforma del Tribunal della Vicaria

Riordinò, oltre a ciò, il Toledo molte altre costituzioni riguardanti l'esatta amministrazione della giustizia, e riformò a questo fine il Tribunale della Vicaria. Ordinò, che il reggente con tutti i Giudici e gli altri Ufficiali si trovassero insieme ad ore determinate nel lor Tribunale a ministrar giustizia. Perchè i Giudici di Vicaria a suo tempo non eran più che quattro, onde a cagion di questi suoi ordinamenti non potevano soddisfare alla moltitudine delle accuse, ve ne aggiunse egli due altri, e volle che fossero per stabilimento sei, cioè quattro criminali, e due civili. Stabilì, che si punissero con pena di falsarj coloro, i quali per calunnia, e falsamente proponessero le querele. Che nell'accuse delle contumacie dei delinquenti, ed in tutte le altre materie di giustizia, il Fisco non fosse costituito in mora. Che i voti non si pubblicassero prima d'esser uditi dal Fisco. Che a' carcerati poveri si desse il pane ogni giorno per loro vitto; e fece per li poveri infermi carcerati costruire un sufficiente Ospitale vicino alle carceri, ove s'avessero a curare gl'infermi a spese del Re, impetrandone a tal fine assenso dall'Imperador Carlo V, ed affinchè quei miserabili fosser con maggior diligenza ed attenzione difesi, fece augumentare il salario all'Avvocato e Proccuratore de' Poveri.

Ordinò, che le composizioni si facessero moderate. Che coloro, ch'escono di carcere, non pagassero cos'alcuna. Che nelle ferie estive si cavassero dalle prigioni i carcerati per debiti civili, dando sicurtà di concordarsi co' loro creditori, o di ritornare nelle carceri.

Determinò le paghe de' Mastrodatti, Scrivani ed altri Ufficiali minori di questo Tribunale, comandando perciò, che si formasse Pandetta de' loro diritti, siccome fu fatto, ed estirpò le scuole de' testimoni falsi; e fece bando a pena della vita a chi giurasse il falso, ovvero quelli producesse in giudicio; e vi diede altri savi provvedimenti, che insieme co' riferiti, vengono additati nella Cronologia prefissa al primo tomo delle nostre prammatiche.

§. II. Riforma del Tribunal della Regia Camera.

Riordinata la Vicaria, con non minor felicità passò alla Riforma della Regia Camera. Vedeva il bisogno, che alla giornata cagionavano le guerre intraprese dal suo Signore co' Turchi, la poca economia, che v'era nello spendere, le spesse contribuzioni e donativi, che indebolivano il Regno, ed il cercar sempre denari, acciocchè gli eserciti non s'ammutinassero: per riparare in parte a tanti bisogni rivoltò l'animo a riordinare, come potesse il meglio, questo Tribunale, di cui era il pensiero, e dovea esser la cura del Patrimonio Regale, d'ingrandirlo, far evitare i disordini e le ruberie, che si commettevano nell'amministrazione di quello da Ministri subalterni; e che non capitassero male le rendite e l'esazioni Regali.

Proccurò a questo fine, che da Carlo V istesso fossero stabiliti più statuti attinenti alla buona amministrazione di quello, li quali egli pubblicò tutti in Napoli, comandando, che fossero esattamente eseguiti. Stabilì da poi egli diversi altri provvedimenti, onde diede molte norme a questo Tribunale intorno alla vigilanza dell'esazione.

Ordinò, che le cause appartenenti al Fisco, o dove quello avesse interesse, si trattassero in Camera, e che gli altri Tribunali dovessero prestargli, occorrendo, ogni ajuto. Che al Fisco non fosse limitato il tempo di ricomprare. Che non si cavasse oro, nè argento dal Regno. Che la moneta fosse di giusto peso, e che si rifacesse la logora, acciò non venisse meno, e vietò, che s'estraesse dal Regno; ed oltre molti altri regolamenti; che si leggono impressi nelle nostre Prammatiche ed altrove, invigilò, che i ministri, che doveano regger questo Tribunale, fossero i più dotti, i più integri, i più probi, ed indefessi de' suoi tempi. Per ciò leggiamo nel suo governo essere stati preposti a questo Tribunale per Luogotenente un Bartolommeo Camerario, e per Fiscale un Antonio Baratucci, Giureconsulti, siccome diremo al suo luogo, i più insigni di que' tempi, ed i più dotti e diligenti. E fu cotanto il zelo ch'ebbe questo Vicerè, e la vigilanza che teneva sopra questo Tribunale, e sopra i Ministri di quello, che una delle cagioni, per le quali il Toledo si mostrò poi poco amorevole del Camerario, fu che costui, mentre era Luogotenente, andando spesso a villeggiare a Somma, avendogli il Vicerè ammonito, che non conveniva ad un Ministro, a cui stava appoggiata carica sì laboriosa, allontanarsi dal suo Tribunale, egli avendogli replicato, che maggior inconveniente era ad un Vicerè lasciar Napoli, e sollazzarsi a Pozzuoli, come spesso faceva il Toledo, se l'alienò in maniera per questa indiscreta risposta che lo fece cader anche dalla grazia di Cesare; donde, come diremo, nacque il principio della sua ruina. Ed in fine diede l'ultima mano al maggior decoro di questo Tribunale, quando nell'anno 1537, levatolo dalla Casa del Marchese del Vasto, dove si reggeva, come a Gran Camerario, lo collocò con tutti gli altri nel Castel Capuano.

§. III. Riforma del S. C. di Santa Chiara.

Non meno alle cause criminali e del Fisco, che a quelle civili de' privati badò questo Ministro, che si amministrasse esatta e spedita giustizia, e con maggior decoro, non meno de' Ministri, che del Tribunale. Reggevasi a' suoi dì questo Tribunale nel Chiostro di S. Chiara, e ristretto in una sola stanza, non faceva che una Ruota: per ciò sovente leggiamo nelle decisioni di Matteo degli Afflitti, che talora essendosi votata qualche causa con uniformi voti, soleasi dire, che quella fossesi decisa per totum S. C. non già che per esser tutto, si dovessero unire, come si fa ora, tutti gli Consiglieri dell'altre Ruote, ma perchè tutti risedevano in una Ruota. Questo Ministro per la più facile e pronta spedizione delle cause, ordinò, che dovessero dividersi, e formare due Ruote, ciascuna delle quali nel medesimo tempo trattasse le sue cause, e che il Presidente soprastasse ora ad una, ora ad altra, secondo la gravità dell'affare che si trattasse.

Rilusse in tempo del suo governo questo Tribunale per lo famoso Cicco Loffredo, che vi presideva, e per tanti insigni Consiglieri, che lo componevano, fra' quali tennero il vanto Giovanni Marziale, Antonio Capece, Antonio Barattuccio, Giovan-Tommaso Minadoi, Scipione Capece, Marino Freccia, ed alquanti altri, de' quali il Toppi tessè lungo Catalogo. In fine gli diede maggior splendore, quando toltolo dai brevi chiostri di S. Chiara, l'unì con gli altri in luogo più decoroso ed illustre, come nel Castel Capuano.

§. IV. Unione di tutti i Tribunali nel Castel Capuano.

Ancorchè molte delle riferite Prammatiche e regolamenti, siccome eziandio questa unione de' Tribunali, non si facessero dal Vicerè Toledo ne' principj del suo governo, ma nel corso di quello, e quest'unione non prima dell'anno 1537, dopo aver ingrandita e abbellita la Città, e dopo tante altre sue famose gesta, che si diranno in appresso; nulladimeno per non tornar di nuovo a parlare di quanto questo Ministro adoperò per riforma de' Tribunali e della giustizia, abbiam riputato in questo luogo collocarle tutte insieme, perchè in uno sguardo si vegga, quanto in questa parte egli valesse, ed avesse superati gli altri Vicerè suoi predecessori.

Tornato che fu egli da Puglia, ove diede vari provvedimenti per riparare le spesse incursioni de' Turchi in quelle marine, come diremo, cominciò ad edificare un Palazzo, dedicandolo alla Giustizia, nel luogo ov'era il Castel Capuano, ridotto allora a Casa privata di delizie, non come era prima per abitazione Reale. Riordinò le logge in forma di ben grandi sale, e fecevi molte ampie e numerose camere sufficienti a' Tribunali, che vi dovea unire.

In questo Palazzo vi chiuse tutti i Tribunali di giustizia: quel del S. C. della Regia Camera della Summaria, della G. C. della Vicaria, della Bagliva, e della Zecca. Vi s'affaticò molto per ridurre a fine questa grande impresa, alla quale fu anche stimolato, come molti credettero, dalla poco buona corrispondenza, che il Toledo avea allora col Marchese del Vasto; poichè con tal occasione veniva a levarsi dalla sua Casa il Tribunal della Camera Summaria, dove, come Gran Camerario, era sempre dimorato.

Fecevi nelle lamie di sotto del palazzo costruire anche le carceri, e fece ivi portare a cento e ducento tutti i prigioni, ch'erano nella Vicaria vecchia, e tutti quegli, che stavano in diverse carceri racchiusi.

Ordinò, che in questo Palazzo alloggiassero il Presidente del S. C., il Luogotenente della Summaria, ed il Reggente della Vicaria, con un Giudice criminale.

Non si può esprimere quanta comodità portasse quest'unione a' negozianti, che quando prima doveano andar a tante parti della Città, ove stavano dispersi, ora ridutti tutti in quel Castello, con facilità spedivano i loro affari. Apportò ancora altre comodità, poichè quella contrada era prima poco men che disabitata, ed ora si rese frequentatissima e popolata.

Potè ancora, ridotti tutti i Tribunali insieme, stabilire, come fece, che due Consiglieri ordinari del S. C. presidessero come Giudici criminali in Vicaria, affinchè come uomini di più esperienza, acciò la giustizia non patisse dimora, attendessero alla spedizione delle cause. Stabilì, che ogni Sabato il Tribunale della Vicaria fosse visitato da uno de' Reggenti suoi Collaterali; ed a questo fine della più pronta spedizione delle cause e della giustizia, limitò le feste di vacanza, riducendole al manco che fosse possibile.

§ V. Ristabilimento della giustizia nelle Province del Regno, e nelle loro Udienze.

Non bastava a questo prudentissimo Ministro aver rialzata la giustizia ne' Tribunali della Città Metropoli, bisognava, che lo stesso si facesse nelle Province, onde si compone il Regno, e nelli loro Tribunali.

Incominciò dagli Ufficiali, che li reggevano: ordinò per tanto che non meno gli Auditori che i Presidi fra quaranta giorni dessero Sindicato. Vietò sotto gravi pene agli Ufficiali Provinciali di prender cosa alcuna di commestibile, quando per negozj a loro commessi andavano per le Province.

Che nelle Province non si dasse esecuzione ad alcun ordine, prima di notificarlo a' Governadori. Che le provvisioni de' Tribunali non avessero bisogno dell'Exequatur delle Regie Audienze.

Che quelli, che ottengono il privilegio di Cittadini Napoletani, abitando nelle Terre di dette Province, portassero ancora il peso di quelle.

Che tutte le scritture fatte fuori del Regno non s'eseguissero senza licenza del Vicerè; e diversi altri provvedimenti vi diede, che sono additati nella suddetta Cronologia fra le Prammatiche, che da questo Vicerè furono in vari tempi stabilite.

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