CAPITOLO II.

Spedizione dell'Imperadore Carlo V in Tunisi: sua venuta in Napoli; e di ciò che quivi avvenne nella sua dimora e ritorno; e quanto da alcuni Nobili si travagliasse per far rimuovere il Toledo dal governo del Regno.

Intanto l'Imperador Carlo V, avendo racchetati, se non come volle, come potè meglio, i moti della Germania per la nuova eresia di Lutero, ed essendosi ritirata l'armata di Solimano da Ungheria in Constantinopoli, vedendo che non vi era più che temere in quel Regno, deliberò partir da Vienna, ove dimorava, per Italia, per indi poi passare in Ispagna, e nel cammino abboccarsi col Papa, siccome glie lo avea fatto intendere. Partì per tanto a' 4 d'ottobre dell'anno 1532 colla fanteria Spagnuola e la Cavalleria, lasciando la fanteria Italiana sotto il comando di Fabrizio Maramaldo per li bisogni, che potessero occorrere al Re de' Romani suo fratello. Giunse Cesare in Mantoa a' 8 di novembre, ed abboccatosi col Papa in Bologna, (dove scoperse, che il Pontefice col nuovo parentado, avea col Re di Francia stretta anche una gran lega) coll'armata d'Andrea Doria, che a questo fine avea richiamato da Levante, passò in Ispagna, approdando in Barcellona nel mese d'aprile del nuovo anno 1533 ove fermossi.

Ma non potè quivi molto godersi della sua quiete; poichè l'Imperador Solimano avendo creato suo Ammiraglio il famoso Barbarossa, celebre Corsaro di mare, gli avea dato il comando d'un'armata di 80 Galee, per rimettere Ariendino Barosso, da altri chiamato Moliresetto, nella possessione del Regno di Tunisi, e scacciarne Muleasser suo fratello, e nel passaggio assaltare la Sicilia e la Calabria. Ed in effetto nella primavera del seguente anno 1534, apparecchiandosi alla venuta, ed uscito da' suoi Porti, passò poi nella fine di luglio il Faro di Messina dove brugiò alcune navi, e approdato in Calabria, saccheggiò S. Lucido, senza lasciarvi persona. Brugiò il Cetraro de' Monaci Cassinensi, con sette Galee, che ivi si facevan fabbricare dal Toledo: e passando a vista di Napoli, con più paura che danno della Città, mise la sua gente in terra nell'isola di Procida, saccheggiando quella Terra. Nè contento di questo, assaltò poi all'improvviso Sperlonga, facendo quivi moltissimi schiavi, e mandò gente per insino a Fondi per sorprender D. Giulia Gonzaga, e presentarla a Solimano, la quale per la gran fama della sua bellezza sparsasi da per tutto, era venuta anche in desiderio a quel gran Signore. Fondi fu saccheggiata, e D. Giulia appena ebbe tempo di salvarsi quella notte sopra un cavallo in camicia, come si trovava. Allora fu, che i Napoletani per reprimere tant'orgoglio di Barbarossa, e liberar le marine del Regno dall'invasione de' Turchi, ragunati in pubblico Parlamento, a' 20 agosto, nel Monastero di Monte Oliveto, fecero un altro donativo a Cesare di ducati centocinquantamila, pagandone i Baroni cinquantamila e gli altri cento il Regno.

La medesima disgrazia intervenne a Terracina, con tanto timor della Corte di Roma e de' Romani, che si credette, che se fossero andati innanzi, sarebbe stata abbandonata quella Città. Il Pontefice Clemente, che trovavasi allora gravemente travagliato con dolori di stomaco, non potendo più resistere all'infermità, finì i suoi giorni il vigesimo quinto di settembre di quest'anno 1534.

Morto lui i Cardinali la notte medesima, che si serrarono nel Conclave, elessero tutti concordi in Sommo Pontefice Alessandro della Famiglia Farnese, di Nazione Romano, d'età di 67 anni, Cardinal il più antico della Corte, ed uomo ornato di lettere, e d'apparenza di costumi. Furono in Roma fatte gran feste, per la letizia immensa, che n'ebbe il Popolo Romano, di vedere dopo 103 anni, e dopo tredici Pontefici, sedere in quel trono un Pontefice del Sangue Romano. Fu eletto li 13 d'ottobre, e coronato li 3 di novembre, e chiamossi Paolo II.

Intanto Barbarossa, voltando le prore indietro navigò verso Tunisi, ed avendo con inganno sorpresa quella Città, ne scacciò Muleasser, e ripose nel Regno Barosso, e fortificatolo ivi, fortificò parimente la Goletta, e vi pose buon presidio di Mori.

Considerando perciò Cesare, che se Solimano si impadronisse di quel Regno, passando sotto un Principe cotanto formidabile, sarebbe stato origine della destruzione del Regno di Sicilia e di Napoli, e di tutte le riviere del Mediterraneo insino alle Colonne d'Ercole, determinò sturbare il suo disegno; onde s'accinse per andare egli in persona a quella impresa. Spedì ordini per tutti i suoi Regni per arrolar gente; ed in Napoli per tutto quell'inverno non s'attese ad altro, che a questi apparecchi. Il Toledo fabbricò una Galea a sue spese per dar esempio agli altri, e fu imitato da molti. Il Principe di Salerno, il Principe di Bisignano, il Duca di Castrovillari, il Duca di Nocera, il Marchese di Castelvetere, e l'Alarcone Marchese della Valle, a loro spese, fecero lo stesso. Moltissimi Baroni e Cavalieri, sentendo, che a quest'impresa avea da venire in persona l'Imperadore, tutti si misero in ordine.

Entrato il nuovo anno 1535, ne' primi buoni tempi della primavera, il Marchese del Vasto, ch'era andato a Genova ad abboccarsi, per ordine dell'Imperadore col Principe Doria, tornò a Napoli con molte Galee e grosse Navi, e molta gente. Il Papa ajutò anche l'espedizione, ed avendo creato Generale della Chiesa Virginio Orsino, gli diede il comando di ventidue Galee, le quali parimente nel mese di maggio giunsero al Porto di Napoli.

Sopra queste navi fu imbarcata in Napoli molta gente: il Vicerè Toledo vi mandò due suoi figliuoli D. Federico e D. Garzia, natigli dalla Marchesa di Villafranca sua moglie, che nel precedente anno 1534 a' 24 maggio era di Spagna arrivata a Napoli: vi si imbarcarono il Marchese del Vasto, il Principe di Salerno, D. Antonio d'Aragona figliuolo del Duca di Montalto, il Marchese di Laino, li Marchesi di Vico, e di Quarata, li Conti di Popoli, Novellara, di Sarno e d'Anversa, Scipione Caraffa fratello del Principe di Stigliano, D. Diego de Cardines fratello del Marchese di Laino, Cesare Berlingiero, Baldassar Caracciolo, Biase di Somma, Cola Toraldo, Costanzo di Costanzo, ed altri. Partirono a' 17 maggio alla volta di Palermo, dove raccolte più navi e gente, s'ancorarono a Cagliari. Sopraggiunse in questa città l'Imperadore alli 11 giugno con le Galee d'Andrea Doria, e di D. Alvaro Bazan, Generale della squadra di Spagna, ed in esse quasi tutta quella Nobiltà; ed a' 13 del medesimo mese fece vela tutta l'armata numerosissima di 300 vele, da Cagliari alla volta d'Affrica, dove con prospero vento giunse in tre giorni.

Presa terra a Porto Farina, Cesare diede il baston di Generale al Marchese del Vasto, con ordine, che tutti l'ubbidissero. Fu investita la Goletta, ed a' 4 luglio con gran travaglio e morte di molta gente fu quella presa. I Napoletani si portarono con molto valore; ed il Principe di Salerno Generale della fanteria Italiana si segnalò notabilmente: vi morirono il Conte di Sarno e Cesare Berlingiero, il Conte d'Anversa, Baldassar Caracciolo, Costanzo di Costanzo, Ottavio Monaco ed altri Napoletani. Fu anche presa Tunisi, cacciato Ariendino Barosso, fugato Barbarossa, e riposto dall'Imperadore nell'antico Seggio di quel Regno Muleasser, facendolo suo Tributario, obbligandosi mandargli per tal effetto ventimila scudi d'oro l'anno e sei cavalli moreschi.

Non mancò, chi giudicasse questa spedizione di Carlo con tanto apparato di guerra aver avuto infelice ed inutile successo per poco consiglio di Cesare, il quale potendosi far assoluto Signore di quel Regno, stimato da lui cotanto opportuno per salvar dall'incursione de' Turchi i Regni di Sicilia e di Napoli, e tutte le riviere del Mar Mediterraneo, avesse con renderselo sol tributario voluto lasciarlo al Re Muleasser. E Tommaso Campanella in que' suoi fantastici discorsi sopra la Monarchia di Spagna, non lascia per ciò di biasimarlo, e l'evento dimostrò, essere questa impresa stata affatto inutile, e senz'alcun profitto; poichè in discorso di tempo, mal soddisfatti i Tunisini del governo di Muleasser, aderirono ad Amida suo figliuolo, il quale aspirando al paterno Reame, non tralasciava l'occasioni di tendergli insidie: di che il Re insospettito, con imprudente consiglio, prese risoluzione di partirsi di Tunisi, e venire in Napoli per domandar soccorso ed ajuto dal Vicerè Toledo. Appena egli partito, Amida coll'ajuto degli Arabi, e di alcuni principali Mori, occupò il Regno: di che avvisato Muleasser affrettò il cammino verso Napoli, dove giunto nell'anno 1544, e ricevuto dal Vicerè con dimostrazioni reali, attese ad assoldar gente; ma non potendosi unirne tanta quanta il bisogno richiedea, il Toledo non tralasciò d'ammonirlo, che l'impresa dovea riuscirgli di grandissimo pericolo; poichè, se per riacquistare poc'anzi quel Regno, fu duopo che l'Imperadore stesso con grossa armata e forte esercito vi si adoperasse, quale speranza poteva aver egli in quei pochi soldati, che s'erano uniti, il cui numero non erano più di dumila? Ma il Re lusingato dalla fede che credeva durare in alcuni suoi Governadori, volle partire, e giunto alla Goletta, fidandosi nelle parole d'alcuni Mori, che con inganno gli dissero, che Amida era fuggito da Tunisi, si mosse con gran fretta a quella volta, dove, appena essendo comparso, fu assalito dal figliuolo, che ruppe il suo esercito, e rimaso prigione, lo fece barbaramente accecare. Così si perdè tutto, ed il Vicerè per tal nuova ebbe dispiacere grandissimo, considerando il danno, che da tal perdita avea da succedere al Regno: siccome fu, perchè perpetuamente restò esposto alle prede ed incursioni di que' barbari corsari.

§. I. Venuta di Cesare in Napoli.

Disbrigato l'Imperadore dall'impresa di Tunisi, e lasciata fortificata la Goletta con presidio di Spagnuoli, ed in Tunisi Muleasser reso suo tributario, a' 17 agosto partì con tutta l'armata per Sicilia. Il Marchese del Vasto, ed i Principi di Salerno e di Bisignano, coll'occasione di questo ritorno, fecero grand'istanza a Cesare, che venisse a Napoli a dimorarvi qualche mese per vedere la bellezza di questa Città, ed onorarla colla sua presenza. Eran, fra gli altri stimoli, mossi costoro a desiderar la sua venuta in Napoli, perchè disgustati col Toledo per cagione del suo rigoroso governo, col quale teneva abbassata la Nobiltà, potessero con tal congiuntura indurre Cesare a rimoverlo. L'Imperadore si risolse venire, e giunto ai 20 agosto a Trapani, indi dopo un mese a Palermo, venne poi a Messina. Passato il Faro si portò a Reggio, e traversando le Calabrie e Basilicata, dove dalli Principi di Bisignano e di Salerno, siccome da tutti que' Baroni per li cui Stati passava, gli furono resi onori grandissimi, giunse a' 21 di novembre a Pietra Bianca, luogo tre miglia lontano da Napoli.

Entrò poi a' 25 di novembre giorno dedicato a Santa Catarina, con gran trionfo e celebrità, in Napoli; fu incontrato dalla Città e Clero, e da infinito numero di Baroni, con gran concorso del popolo. La celebrità ed apparati di quest'ingresso, le precedenze, l'ordine tenuto, le pompe, furono descritte con tanta esattezza e minuzia da molti Autori, che omai se ne trova scritto più di quel che converrebbe. Gregorio Rosso, che si trovava Eletto del Popolo, quando entrò Cesare a Napoli, ed ebbe gran parte in questa celebrità, le descrisse minutamente ne' suoi Giornali. Il Summonte e tanti altri ne empirono più carte; onde ci rimettiamo in ciò alle Istorie loro.

Non è però da tralasciare ciò che rapporta il Rosso con tal occasione della venuta di Cesare a Napoli; della pretensione, che mossero i Titolati del Regno di covrirsi innanzi a lui.

In Ispagna questa prerogativa è riputata la maggiore. I Baroni che si cuoprono sono Grandi, e coloro a' quali il Re ciò concede, divengono Grandi di Spagna, onore sopra tutti gli altri grandissimo. I nostri Re di Napoli non costituirono la grandezza de' loro Baroni in fargli coprire innanzi di loro, ma ne' titoli di Principi, di Duchi e negli Ufficj della Corona; ed i Titolati tutti innanzi al Re si coprivano.

Coll'occasione d'essersi negli anni precedenti portato Cesare in Bologna a coronarsi, essendo accorsi ivi molti Titolati del Regno, Carlo ne fece alcuni coprire ma non tutti; fra gli altri fece coprire il Principe di Salerno, il Marchese del Vasto ed il Marchese di Laino; ma poichè questo accadde fuori del Regno, era in suo arbitrio far poi ciò che egli voleva.

Ma giunto ora in Napoli, dove come Re di Napoli era stato ricevuto, pretesero tutti i Titolati del Regno di covrirsi, e d'essere trattati ed onorati, come facevano gli altri Re di Napoli predecessori di Carlo. S'allegava ancora un forte esempio del Re Cattolico, il quale, quando venne a Napoli, fece covrire in sua presenza tutti i Titolati.

Con tutto ciò l'imperadore non volle farlo; poichè trovandosi introdotto a' suoi tempi, che gli Spagnuoli questa prerogativa l'avean resa cotanto sublime, che se ne costituì il Grandato di Spagna, dignità sopra tutte le altre divenuta insigne, e che non si dava se non a' primi Signori e grandi Capitani, impedirono perciò, che Cesare, per non avvilirla, facesse tutti covrire.

Narra il Rosso, che il primo, che si pregiudicò a star discoverto innanzi all'Imperadore, fu il Marchese della Tripalda, l'esempio del quale fu poi seguitato dagli altri, i quali per non dimostrare di non volere per ciò seguitare il Padrone, se ne stavano scoverti.

Ma quello, di che i Titolati più s'offesero dell'Imperadore, fu il dispiacere che lor diede, di far con parzialità covrire alcuni ed altri no, così in Napoli, come in varie parti del Regno. Si covrirono i Principi di Squillace e di Sulmona, i Duchi di Castrovillari e di Nocera, li Marchesi di Castelvetere e di Vico ed il Conte di Conza. Ben potè essere, che ne facesse covrir altri; ma il Rosso testimonio di veduta, narra non saper egli più di questi, oltre al Duca di Montalto disceso da' Re, al Principe di Bisignano, a cui l'imperadore avea anche dato il Toson d'oro, ed a coloro, i quali s'erano coverti in Bologna e negli altri luoghi fuori del Regno, che tutti parimente si coprirono.

L'uso di Spagna era, che chi si copre una volta avanti il Re, si copre sempre; ma di questi Signori, che come Titolati si erano coverti nel Regno, dice questo Scrittore, che non si sapeva, se fuori del Regno l'Imperadore l'avrebbe fatti covrire.

Finite le pompe e celebrità dell'ingresso e del giuramento dato da Cesare nel Duomo per l'osservanza de' privilegj e grazie concedute da Re predecessori alla Città e Regno, l'Imperadore dimorando nel Castel Nuovo, luogo destinatogli per sua abitazione, con grande umanità cominciò a dar udienza a tutti, sentendo le querele e le lamentazioni di ognuno, particolarmente delle Terre del Regno contra i Baroni loro; e volendo una Domenica, che fu a' 28 di novembre calare alla Capella Regia del Castello, insorse una nuova contesa di precedenza; poichè nel sedere in quella, pretesero i Signori Grandi di Spagna, e quelli, che s'erano coverti fuori di Spagna a quell'uso, che dovessero precedere a tutti. All'incontro i Titolati di Napoli pretendevano, che il sedere dovesse regolarsi all'usanza di Napoli, dove i Titolati precedevano a tutti; l'Imperadore per toglier ogni briga, ordinò, che affatto nella Cappella non si ponessero sedili, e tutti coloro, che ci vennero, fece stare in piedi.

Fu dal Toledo trattenuto l'Imperadore in Napoli in continue feste, giuochi, tornei, giostre e conviti. La Città si vide ornata allora di personaggi assai illustri; oltre i Signori spagnuoli, il Duca d'Alba ed il Conte di Benevento e gli altri Signori e Principi del nostro Regno, i Capitani più famosi e gli altri forastieri di conto, che vennero ad inchinarsi a Cesare, il Duca d'Urbino, il Duca di Fiorenza, Pier Luigi Farnese, figliuolo di Paolo III, quattro Ambasciadori de' Vineziani e D. Ferrante Gonzaga Principe di Molfetta. Ci vennero ancora in quest'occasione li Cardinali Caracciolo, Salviati e Ridolfi, e vi saria anche venuto il Cardinale Ippolito de' Medici, se per strada non moriva in Itri; e trovossi ancora in quel tempo in Napoli D. Francesco da Este Marchese della Padula. Ma ciò, che la rendeva più augusta e superba, fu l'adunamento in quest'occasione delle più illustri Dame, fregiate della più rara beltà e d'altre eccellentissime doti e maniere. Eravi D. Maria d'Aragona Marchesa del Vasto, donna di singolar bellezza, di real presenza, e d'ingegno e di giudicio incomparabile, e quasi al par di lei D. Giovanna d'Aragona sua sorella moglie d'Ascanio Colonna: D. Isabella Villamarino Principessa di Salerno: D. Isabella di Capua Principessa di Molfetta moglie di D. Ferrante Gonzaga: la Principessa di Bisignano: D. Isabella Colonna Principessa di Sulmona: D. Maria Cardona Marchesa della Padula moglie di D. Ferrante da Este: D. Clarice Ursina Principessa di Stigliano: la Principessa di Squillace: D. Roberta Caraffa Duchessa di Maddaloni, sorella del Principe di Stigliano: D. Dorodea Gonzaga Marchesa di Bitonto: D. Elionora di Toledo figliuola del Vicerè; e molte altre grandi Signore e Titolate del Regno. Eravi ancora la famosa Lucrezia Scaglione, la quale ancorchè non titolata per la sua estrema bellezza, audacia e valore, era sopra tutte le altre commendata.

Ma mentre l'Imperadore in continui conviti e giuochi si sollazzava in Napoli, gli venne avviso della morte di Francesco Sforza Duca di Milano, il quale non avendo di se lasciati figliuoli, decaduto il Ducato all'Imperadore, mandò Antonio di Leva a prenderne il possesso, creandolo Governadore di quello Stato. Ciò che fe' accelerare nuove cagioni di disgusto e di rinovar nuove guerre, e contese con Francesco I Re di Francia, il quale avuto anch'egli l'avviso di questa morte, immantenente avea data commessione al suo Ambasciadore che teneva presso l'Imperadore, di dimandare a Cesare da sua parte il Ducato di Milano per doversene investire il Duca d'Orleans: di che turbato l'Imperadore, nè dandogli risposta aggradevole, intese poco da poi, che il Re di Francia trattava di movergli guerra; e di vantaggio, che oltre la pretensione promossa per lo Ducato di Milano, avea protestata la guerra al Duca di Savoia, suo Cognato, con disegno d'invadere il Piemonte; ed ancorchè apparentemente in Napoli non si tralasciassero le feste ed i conviti, nientedimeno non mancava l'Imperadore di pensar seriamente alla guerra, che fra breve avrebbe dovuto fare contra a quel Re: ed a disporsi a partire da Napoli per Lombardia, ed altrove, dove cose maggiori lo richiamavano.

§. II. Il Marchese del Vasto, ed il Principe di Salerno con altri Nobili procurano la rimozione del Toledo dal governo del Regno.

Ma nella fine di quest'anno si cominciarono a stringere e palesare le negoziazioni, che finora s'eran tenute occulte, del Marchese del Vasto, e del Principe di Salerno, con altri Nobili contra il Vicerè per farlo rimovere dal governo di Napoli. Questo concerto erasi maneggiato fin da che Cesare era in Sicilia, e nel viaggio, tanto il Marchese, quanto il Principe non mancarono di far efficacemente le parti loro, con dipingere il suo governo per troppo aspro e rigoroso, e non confacente a quel Regno, insinuandogli che dovesse levarlo; ma questi ufficj niente valsero, sapendo Cesare onde veniva la cagione di tal odio, e di quelli n'era stato anche ben avvisato il Toledo; poichè giunto l'imperadore a Napoli, veduto il Vicerè, narrasi, che gli dicesse: Siate il ben trovato Marchese; e vi fo sapere, che non state tanto grasso, come mi è stato detto. Al che sorridendo il Vicerè facetamente rispondesse: Signore, io so bene che V. M. abbia inteso, che io sia divenuto un mostro, però non son tale. Non tralasciarono ancora di muovere alcuni popolari, perchè col pretesto di due gabelle imposte, e del suo rigore, chiedessero a Cesare, che lo rimovesse; ed aveano già tirato dal lor canto Gregorio Rosso, Eletto del Popolo, il quale perciò ne' suoi Giornali non molto favorisce il Toledo, e non mancò di far le parti sue; poichè egli stesso racconta, che ai 26 novembre di quest'anno 1535 fu fatto chiamare dall'Imperadore, da cui fu domandato delle condizioni del Popolo Napoletano, e che cosa avrebbe potuto fare in beneficio del medesimo. La sua risposta fu, ch'era fedelissimo, ed amantissimo della sua Corona, e che per mantenerlo soddisfatto e contento non ci bisognava altro, che mantenerlo abbondante, senza angaria, e che ogni uno mangi al piatto suo, con la debita giustizia, e che stava per ultimo assai risentito e disgustato, per le nuove gabelle poste dal Vicerè. Questa giunta, com'egli stesso dice, fu cagione, che il giorno seguente fosse levato d'Eletto, e rifatto in suo luogo Andrea Stinca Razionale di Camera, persona dipendente dal Vicerè.

Ma non perciò s'arrestarono i suoi rivali. Nel principio del nuovo anno 1536, Carlo per ricavar qualche frutto dalla sua venuta in Napoli, fece agli 8 di quel mese intimare un Parlamento nella Chiesa di S. Lorenzo, ove in sua presenza ragunati i Baroni e gli Ufficiali del Regno, espose egli di sua propria bocca i bisogni della Corona, e che per sicurezza del Regno e per le nuove guerre, che se gli minacciavano dal Turco e dal Re di Francia, bisognava sovvenirlo. Il giorno seguente ragunati di nuovo i Baroni, conchiusero in onore di Cesare, senza misurar le forze del Regno, più tosto per vanità e fasto, che per altro, di fargli un donativo di un milione e cinquecentomila ducati, donativo in niun tempo, nè in Napoli, nè altrove, giammai inteso e così sorprendente, e di somma cotanto immensa ed esorbitante, che l'istesso Cesare, vedendo l'impossibilità dell'esazione, bisognò, che loro facesse grazia di rimetterne ducati cinquecentomila, e contentarsi d'un milione.

Si giuntarono spesso i Deputati in San Lorenzo per trovare il modo della soddisfazione, e si determinò, che dovessero pagare i Baroni tre adoe, ed il rimanente i popolari. Parimente s'unirono per consultare quali altre nuove grazie e privilegi dovessero, in ricompensa di tanta profusione, cercare a Cesare. Se ne concertarono molte, e perchè questa Deputazione era maneggiata da Nobili, si pensò con tal opportunità chiedere a Cesare la remozione del Vicerè. Ma perchè dimandandogliela alla svelata, oltre al poco decoro del Ministro, eran certi di riceverne una ripulsa; fu proposto fra le cose principali, di dimandare in grazia all'imperadore di far rimuovere tutti i Ministri, così maggiori, come minori, per includervi con ciò anche tacitamente il Vicerè. A questa proposizione per se stessa imprudentissima, ancorchè vi concorressero la maggior parte de' Deputati Nobili, si opposero il Duca di Gravina, il Marchese della Tripalda, Cesare Pignatello e Scipione di Somma. Ma sopra tutti fortemente ripugnarono Andrea Stinca Eletto del Popolo, e Domenico Terracina, che, per essere stato Eletto negli anni precedenti, era stato fatto anche Deputalo del Popolo. Per ciò non si conchiuse niente, e furonvi gravi contese tra 'l Marchese del Vasto e Scipione di Somma, che vennero fra di loro sino a parole ingiuriose e piene di contumelie.

Mentre che queste cose si dibattevano in S. Lorenzo, l'Imperadore si tratteneva in quel Carnovale in feste, giuochi e maschere; ed una sera accompagnandolo il Marchese del Vasto, mentre si ritirava al Castello, postosegli vicino, gli esagerò per molte ragioni quanto compliva al suo servizio di levare il Toledo dal governo di Napoli; ma comprendendo dalle risposte dell'Imperadore, che avea poca voglia di levarlo, prese resoluzione di non andar più alla Deputazione a San Lorenzo, ma andarlo sol servendo nelle feste e giuochi, che ogni giorno si facevano. Ciò che riuscì di gran servizio del Vicerè, perchè non venendo alla Deputazione più il Marchese, s'intepidì il suo partito; anzi l'Eletto Stinca ed il Deputato Terracina, sapendo gli ufficj fatti dal Marchese con Cesare contra il Toledo, andarono a parlare all'Imperadore, e introdotti, l'Eletto Stinca cominciò ad esagerare a Cesare, che i Nobili intanto si sforzavano far ogni opra con S. M. perchè rimovesse il Toledo, perchè sono stati sempre soliti di opprimere e vilipendere il Popolo: che la loro insolenza era giunta a tanto, che maltrattavano non solo il Popolo Napoletano, ma i Capitani di guardia ed i Ministri di Giustizia: che tenendo uomini facinorosi ne' Portici delle loro Case, non temevano perseguitare molti, con straziarli ed insin ad uccidergli: toglievano a forza dalle mani della giustizia i ribaldi, ritenevano nelle loro case uomini facinorosi: i poveri artigiani non erano pagati delle loro fatiche, anzi con ingiurie e ferite malmenati; ma ora, che il Toledo avea estirpate queste tirannidi, con aver riposta la giustizia al suo luogo, per ciò i Nobili si movevano a rifiutarlo; che se sarà levato, tosto si tornerebbe all'antiche depressioni ed abusi.

Queste parole, che trovarono l'animo ben disposto di Cesare, lo fecero maggiormente confermare nella opinione di non rimoverlo; laonde certificato del vero, acciò non rimanesse in cos'alcuna macchiata la riputazione di quel Ministro, volle che per mezzo suo, anche stando egli in Napoli, tutto si facesse, e per le sue mani passassero tutti gli affari più gravi, e ricolmollo di più favore, che prima. E poco da poi, affrettandosi tuttavia il suo ritorno, nel partir poi da Napoli per Roma, lo lasciò con maggior autorità di prima. E con ciò terminata la Deputazione in S. Lorenzo, non si pensò più a questo, ma concertati, e conchiusi 31 Capitoli e Grazie, che si doveano cercare a Cesare per la Città di Napoli, e 24 altre in beneficio d'alcune province e particolari, furono quelle dall'Imperadore nel nuovo Parlamento, che in sua presenza si tenne a S. Lorenzo, a' 3 di febbrajo di quest'anno, concedute, le quali ora si leggono infra i Capitoli della Città e Regno di Napoli, conceduti dagli altri Re suoi predecessori.

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