CAPITOLO VIII.

Stato della nostra Giurisprudenza, durante l'Imperio di Carlo V, e de' più rinomati Giureconsulti, che fiorirono a' suoi tempi.

L'imperador Carlo V, e più i suoi Vicerè, che durante il Regno suo governarono questo Reame, ci lasciarono molte leggi, delle quali per essersene, secondo la distinzione de' tempi, ne' quali furono stabilite, tessuta nell'ultima edizione delle nostre Prammatiche un'esatta Cronologia, non accade qui, per non gravar maggiormente quest'Opera, ripeterle.

La Giurisprudenza nel Regno suo, per essere stati i nostri Tribunali cotanto favoriti dal Vicerè Toledo, e ridotti in una più ampia e magnifica forma, si vide se non più culta, almeno in maggior splendore e lustro per lo gran numero de' Professori, e per la loro dottrina e scienza legale.

Per le cagioni, di sopra dette, non potè ricevere appo noi in questo secolo quella nettezza e candore, che i Franzesi l'aveano posta in Francia. Era agli Spagnuoli sospetta ogni erudizione, e si guardavano molto di non far introdurre novità nelle scienze, o nel modo d'Insegnarle e professarle. Fu continuato per ciò lo stile degli antichi; ma non per questo, se mancava l'erudizione e la notizia dell'Istoria Romana, onde poteva ricevere quel lume, che le fu data in Francia, mancarono Giureconsulti eccellenti non inferiori a quelli delle altre Nazioni.

Sembrava veramente cosa molto impropria, che avendo la Giurisprudenza per la prima volta in Italia cominciato a ricevere maggior lustro da Andrea Alciati Milanese, il quale fu il primo, che insegnò la legge con erudizione ed eleganza, questo studio si fosse poi abbandonato in Italia, ed avesse avuto costui in Francia, non già in Italia, tanti che l'imitassero e lo superassero, onde potesse perciò la Francia vantarsi di tanti famosi Giureconsulti, che fiorirono in questi tempi, e non l'Italia. Ella vantava in questi tempi il famoso Guglielmo Budeo di Parigi, Francesco Duareno suo discepolo, Professore di legge in Bourges, che morì nell'anno 1559 in età di 50 anni; il famoso Carlo Molineo, morto l'anno 1568. Il non mai a bastanza celebrato Jacopo Cujacio nativo di Tolosa, che fu Professore in Bourges, in Tolosa, in Caors, in Valenza, ed in Torino, e che fu un prodigio in questa scienza, denominato per ciò con ragione dal Tuano il primo, e l'ultimo fra' più eccellenti interpreti della legge. Antonio Conzio nativo di Nojon contemporaneo di Duareno e di Cujacio, che professò parimente legge in Bourges, e morì l'anno 1586. Francesco Ottomano, Pietro Piteo e tanti altri, dei quali il Presidente Tuano in tutto il corso della sua Istoria non tralasciò farne distinta ed onorata memoria.

Noi all'incontro, se per le Cattedre, per la riferita cagione e per altre, che s'intenderanno ne' libri seguenti di quest'Istoria, non possiamo oppore a' Franzesi Giureconsulti di tanta vaglia, per coloro però che nel Foro e ne' Magistrati impiegarono i loro talenti, non abbiamo che invidiargli, li quali nè per dottrina legale, nè per numero furono a quelli inferiori

Fiorirono a questi tempi ne' nostri Tribunali molti insigni e rinomati Giureconsulti. Antonio Capece del Sedile di Nido si rese prima illustre nel Foro col patrocinio delle cause, e da poi dal Re Ferdinando il Cattolico nel 1509 fu creato Consigliere, non tralasciando intanto nell'Università de' nostri Studi di leggere Giurisprudenza, dove occupò la prima Cattedra vespertina del Jus Civile, e nel 1519 insegnò anche ivi il Jus feudale, dalla cui scuola uscirono Bartolommeo Camerario, Sigismondo Loffredo, e tanti altri famosi Giureconsulti. Per li moti della Sicilia insorti sotto il governo d'Ettore Pignatelli Conte di Montelione, andò egli per comandamento del Re in quell'Isola, e della di lui opera il Conte si valse per reprimere gli autori di que' tumulti, dove compose alcune sue decisioni. Ritornò poi in Napoli, e con tutto che la sua carica di Consigliere non gli concedesse molto ozio, pure distese una Repetizione sopra il Cap. Imperialem, de prohib. feud. alien. per Feder. ed avea posta mano ad un'altra opera insigne intitolata: Investitura feudalis, la quale non potè condurre al suo compito fine. Compilò varie decisioni, che ai suoi tempi si fecero nel S. C. di S. Chiara, le quali, unite insieme con quelle che distese in Sicilia, vanno ora per le mani de' nostri Professori. Morì in fine egli in Napoli nel 1545, e giace sepolto nella Cappella della sua famiglia dentro la Chiesa di S. Domenico maggiore di questa città.

Bartolommeo Camerario di Benevento si distinse sopra gli altri nello studio delle leggi, e nel 1521 diede in Napoli alla luce una Repetizione sopra il § Æque de Actionibus; ma sopra ogni altro si rese costui eminente per la grande applicazione, ch'ebbe nelle materie feudali. Egli si pose ad emendare i Commentarj de' Feudi d'Andrea d'Isernia, li quali, per difetto de' Copisti, s'erano dati alle stampe scorrettissimi, e gli ridusse a perfetta lezione; e vi si affaticò tanto nello spazio di tre anni continui, applicandovisi sedici ore il giorno, che come e' dice, vi perdè un occhio. Lesse nell'Università de' Nostri Studi ventiquattro anni i libri feudali; da poi dalla Cattedra, nell'anno 1529, passò ad esser Presidente di Camera, rifatto in luogo di Giannangelo Pisanello. Indi nell'anno 1541 fu, dall'Imperador Carlo V, creato Luogotenente della medesima. Ma venuto in odio a D. Pietro di Toledo per le cagioni altrove rapportate, e per l'inclinazione, ch'ebbe sempre a' Franzesi, diede di se gravi sospetti; onde al Toledo gli s'aprì la strada di farlo cadere anche dalla grazia di Cesare: di che egli accortosi, ricevè l'onore offertogli dal Re di Francia, che l'avea creato suo Consigliere, e se n'andò in Francia, ricovrandosi sotto la protezione di quel Re. Il Vicerè Toledo, datogli tosto il successore, che fu Francesco Revertero, fece trattar subito la sua causa: fu dichiarato rubelle, e nel 1552 gli furono confiscati tutti i suoi beni. Nel tempo che dimorò in Francia, stando quivi in gran moto le cose della Religione, e le opere di Lutero e di Calvino facendo in quel Regno danni notabilissimi, poichè egli si era ancora applicato alla Teologia, si pose a confutarle; onde nel 1556 stampò in Parigi un trattato, De Jejunio, Oratione, et Eleemosina; e nell'istesso anno diede anche alla luce un'altra opera scritta in forma di Dialogo, introducendo sè e Calvino per interlocutori, alla quale diede il titolo: De Praedestinatione, ac de Gratia, et Libero arbitrio, cum Johanne Calvino disputatio; e nel seguente anno 1557, ritiratosi in Roma, diede quivi alla luce un altro trattato: De Purgatorio igne.

Vedendo, che in Francia i suoi meriti non erano ricompensati secondo le concepute speranze, si ritirò in Roma, dove dal Pontefice Paolo IV, fiero nemico non men di Cesare, che del Re Filippo suo figliuolo, fu ricevuto con onore; e l'ammise a' suoi Consiglj, attribuendosi a Camerario, come diremo più innanzi, che Paolo non pubblicasse la sentenza contro al Re Filippo profferita della privazione del Regno: ed avendo nella guerra, che allora ardeva tra il Pontefice, ed il Re Filippo, il Duca d'Alba assediata Roma, il Papa lo creò Commessario Generale del suo esercito, e lo fece di più Prefetto dell'Annona di Roma; onde per mostrar al Pontefice la gratitudine del suo animo, stampò allora in Roma nell'anno 1558 il suo Commentario ad l. Imperialem, de prohib. feud. alien. per Feder. e lo dedicò a lui, promettendogli nell'epistola dedicatoria, che se egli avrà ozio, gli avrebbe ancora dedicati sette altri libri feudali, da lui composti. Finì il rimanente della sua vita in Roma, dove morì nel 1564, e fu sepolto nella Chiesa de' SS. Appostoli dei PP. Conventuali di S. Francesco, dove si vede la sua tomba con iscrizione. Oltre delle riferite sue opere, si leggono di lui alcuni Dialoghi, in materia feudale, li quali mancando di quella grazia e venustà, ch'è propria di quel modo di scrivere, sono riusciti insipidi e freddissimi.

Sigismondo Loffredo discepolo d'Antonio Capece del Sedile di Capuana, si diede agli studi legali, dappoi che nelle lettere umane avea fatti maravigliosi progressi, e per la sua dottrina fu nell'anno 1512 dal Re Ferdinando il Cattolico creato Presidente della Regia Camera, ed appena furono passati cinque anni, che si vide innalzato al supremo grado di Reggente di Cancelleria, chiamato poi in Ispagna ad assistere nel supremo Consiglio d'Aragona, come Reggente di Napoli. Morì nel 1589 lasciando di se chiara memoria ne' suoi dotti Consiglj e ne' suoi Commentarj alla l. Jurisconsultus de gradibus, che furono dati in istampa in Venezia nell'anno 1572.

Rilusse a par di lui il famoso Cicco Loffredo, già rinomato Avvocato, e poi nell'anno 1512 creato Regio Consigliere. Per la sua grande abilità fu inviato Oratore in Fiandra al Re Carlo dalla città a prestargli in suo nome ubbidienza ed a cercargli la conferma de' suoi privilegi. Fu da poi nel 1522 innalzato al supremo onore di Presidente del S. C. che l'esercitò insino all'anno 1539, nel qual anno passò nel Consiglio Collaterale, dove fu fatto Reggente. Morì in Napoli nel 1547 e fu prima seppellito nel Duomo di questa città nella sua Cappella gentilizia; ma da poi Ferdinando Loffredo Marchese di Trivico suo figliuolo trasferì le sue ossa nella Chiesa di S. Spirito da lui fondata, dove si vede la sua tomba con iscrizione; e da questo famoso Giureconsulto discendono i presenti Marchesi di Trivico. Fiorirono ancora, intorno a questi medesimi tempi, Girolamo Severino: Tommaso Salernitano: Giannandrea de Curte: Scipion Capece: Marino Freccia: ancor essi celebratissimi Giureconsulti.

Girolamo Severino del Sedile di Porto, essendo ancor giovane, fu nel 1516 creato Avvocato de' Poveri, indi dal Vicerè Lanoja nel 1517 fu fatto Giudice di Vicario. Per la sua dottrina ed eloquenza, nella venuta di Carlo V in Napoli, fu eletto dalla città per suo Oratore a riceverlo, e nel 1536 lo crearon Sindico; essendosi nel Parlamento generale degli 8 di gennaio di quell'anno conchiuso per sua industria un grosso donativo da farsi a Cesare, fu dall'Imperadore in ricompensa de' suoi segnalati servigi, creato Reggente di Cancelleria, e del Supremo Consiglio d'Italia, onde gli convenne partir con Cesare per Ispagna; ma da poi nel 1541 fu innalzato al supremo onore di Presidente del S. C., ed indi nel 1549 fu fatto anche Viceprotonotario del Regno: ed avendo esercitato il carico di Presidente per quindici anni, non valendo per la sua vecchiaia a sostener più tanto peso, tornò nell'anno 1555 nel Consiglio Collaterale; da dove pure per l'età sua decrepita si licenziò, ritenendosi solo l'ufficio del Viceprotonotario, che da lui, per non obbligarlo a molta fatica, fin che visse fu esercitato. Morì finalmente in Napoli nell anno 1559 e fu sepolto in S. Maria della Nuova, nella Cappella de' suoi maggiori, dove si vede il suo tumulto con iscrizione.

Tommaso Salernitano appena giunto all'età di 18 anni diede saggi così maravigliosi di quanto intendesse nella scienza delle leggi, che fu ammesso in quell'età ad interpetrarle ne' pubblici Studi di Napoli: si diede poi ad avvocar cause, e riuscì così eccellente, che non guari da poi fu creato Presidente della Regia Camera. Nel Regno di Filippo II fu adoperato nei più gravi affari di Stato, e mandato in Germania per la famosa causa del Ducato di Bari; onde da poi nel 1567 fu creato Presidente del S. C. e da poi nel 1570 Reggente di Cancelleria. Ci lasciò di se illustre memoria per le dotte decisioni da lui compilate, le quali impresse vanno ora per le mani de' nostri Professori. Morì egli in Napoli nel 1584, e fu sepolto nella Chiesa di S. Maria delle Grazie nella Cappella sua gentilizia, ove si vede il suo tumulo con iscrizione. Paolo Regio Vescovo di Vico Equense e famoso Predicatore di que' tempi, gli compose un'orazion funebre, dove cotanto estolse le sue virtù e le famose sue gesta; ed il nostro rinomato Poeta Bernardino Rota non mancò ne' suoi versi altamente di lodarlo.

Giovan Andrea de Curte, di cui Uberto Foglietta tessè grandi encomj, secondo questo Scrittore trasse sua origine da Pavia; ma i nostri vogliono che procedesse dalla Cava. Fu egli figliuolo di Modesto, Giudice della Gran Corte della Vicaria, il quale applicatosi allo studio delle leggi riuscì un chiarissimo Giureconsulto; e dopo avere alquanti anni seduto in Vicaria, l'Imperador Carlo V lo creò Consigliere di S. Chiara. Ne' tumulti accaduti in Napoli nel 1547, per cagion dell'Inquisizione, poco mancò che dalla plebe non fosse stato, insieme co' suoi figliuoli, tagliato a pezzi; poichè vedendo egli la città tutta in arme, deliberò (seguendo le vestigia degli altri uomini pacifici e da bene) colla sua famiglia uscirsene; il che saputosi da' popolani, i quali l'ebbero sempre per partigiano del Vicerè Toledo, gli corsero furiosamente dietro, ed ancorchè si fosse egli ricovrato in un Convento di Frati, ruppero le porte, fecero violenza ai Monaci, affinchè glie lo additassero; ma essi costantemente negando essere presso di loro, e per altra via affermando essersi salvato; dopo avere spiati tutti i nascondigli del Monastero, rabbiosamente corsero insino alla Torre del Greco, dove avean inteso essersi ricovrati i di lui figliuoli, e sarebbero questi innocenti capitati male, se i paesani di quel luogo non fossero accorsi colle armi alle mani a reprimere il lor furore. Uno di questi suoi figliuoli fu Mario cotanto dal Foglietta celebrato, con cui, mentre fu in Napoli, contrasse stretta amicizia, il qual poi riuscì un gran Teologo, ed uno de' famosi Predicatori appresso il Re Filippo II, dal quale fu Giovan-Andrea, in premio della sua dottrina e de' suoi segnalati servigi, innalzato al supremo onore di Presidente del Consiglio. Morì egli nel 1576, e giace sepolto nella Chiesa di S. Severino nella Cappella sua gentilizia, dove si vede il suo tumulo con iscrizione. Di lui ancora altamente cantò Bernardino Rota, ed il Presidente de Franchis non tralasciò di farne onorata memoria.

Ma sopra tutti costoro, non meno per dottrina legale, che per varia e profonda letteratura, rilusse Scipion Capece figliuolo d'Antonio. Fu ne' suoi primi anni dato allo studio delle lettere umane e della filosofia, e nel poetare e nell'orare riuscì eminentissimo, tanto che fu riputato per uno de' più culti Poeti de' suoi tempi. Compose egli due libri De Principiis Rerum, che dedicò al Pontefice Paolo III, cotanto lodati dal Cardinal Bembo e da Paolo Manuzio, che non ebbero difficoltà di paragonarli a' libri di Tito Lucrezio Caro. Scrisse ancora in versi eroici la vita di Cristo e le lodi del suo precursore Giovan-Battista, in tre libri, che intitolò: De Vate Maximo: li quali da Giovan-Francesco di Capua Conte di Palena furono dedicati al Pontefice Clemente VII. Ed alcune sue Elegie ed Epigrammi meritarono il comun applauso de' più insigni Letterati di que' tempi, de' quali il Nicodemo tessè lungo catalogo.

Non meno in questi studi, che ne' più rigidi e severi delle nostre leggi riuscì eminente. Egli non men nel Foro che nelle Cattedre tenne a suoi tempi il vanto: ne' nostri supremi Tribunali fu riputato il primo fra gli Avvocati, e nell'Università degli Studi occupò nell'anno 1534 la Cattedra primaria vespertina del Jus civile, che la tenne insino all'anno 1537. Venuto in Napoli l'Imperador Carlo V, a Scipione fu dato il carico di fargli l'orazione pel suo ricevimento; onde Cesare in ricompensa della sua dottrina, e di sì eminente letteratura, lo creò Consigliere di S. Chiara. Compose egli molti Commentarj sopra vari Titoli delle Pandette, da lui esposti nell'Università de' nostri studi, de' quali solamente si vede impresso quello, che compilò sopra il titolo De Aquirenda Possessione, che fu dedicato a D. Lodovico di Toledo figliuolo di D. Pietro Vicerè, nel quale promette fra breve darne alla luce un altro sopra il titolo Soluto Matrimonio. Compose eziandio un breve trattato intitolato, Magistratuum Regni Neapolis qualiter cum antiquis Romanorum conveniant, Compendiolum, il qual prima fu impresso in Salerno nel 1544, e da poi in Napoli nel 1594. Morì quest'insigne Scrittore nell'anno 1545, e giace sepolto nella Chiesa di San Domenico Maggiore nella Capella sua gentilizia, dove si vede il suo tumulo.

Bisogna unire al Capece Marino Freccia, che oltre alla Giurisprudenza, ebbe buon gusto dell'istoria, e fu il primo fra noi, che di questo difetto riprese i nostri Scrittori, li quali, avendola trascurata, inciamparono in mille errori: fu egli vago delle nostre antiche memorie, ed a lui dobbiamo alcuni frammenti d'Erchemperto, che furono da poi impressi da Camillo Pellegrino nella sua Istoria de' Principi Longobardi. Il libro ch'egli compose De subfeudis e dedicò al Cardinal Pacecco, mentre governava il Regno, dimostra quanto gli fosse a cuore d'illustrare le cose del nostro Regno, e quanto fosse benemerito delle nostre antichità. Trasse egli sua origine da Ravello e per la sua eminente dottrina legale, e spezialmente de' feudi, da lui prima nelle Cattedre de' nostri studi esposti, fu dall'Imperador Carlo V nel 1540 creato Consigliere del nostro Sacro Consiglio, di cui parimente da poi fu Propresidente. Compose ancora un altro trattato De formulis Investiturarum, il quale, prevenuto dalla morte, non potè ridurlo a perfezione: ed essendo ancor giovanetto di venti anni distese il trattato De Praesentatione Instrumentorum, che corre ora per le mani de' nostri Professori. Morì egli nell'anno 1562 e fu sepolto nella sua Cappella gentilizia in S. Domenico Maggiore, ove s'addita il suo tumulo con iscrizione.

Fiorirono ancora intorno a' medesimi tempi Jacobuzio de Franchis, Antonio Baratuccio, Giovan-Tommaso Minadoi, Tommaso Grammatico, Giovan Angelo Pasinello e tanti altri, i quali, per non tesserne qui una più lunga e nojosa serie, possono vedersi presso il Toppi nella Biblioteca Napoletana, e ne' suoi libri dell'Origine de' nostri Tribunali, dove di lor fece lunghi e copiosi cataloghi.

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