CAPITOLO VII.

Spedizione di D. Pietro di Toledo per l'impresa di Siena, dove se ne morì. Seconde nozze di Filippo Principe di Spagna con Maria Regina d'Inghilterra; e rinuncia del Regno di Napoli fatta al medesimo da Cesare, il quale abbandonando il Mondo si ritira in Estremadura, dove nel Convento di S. Giusto finì i suoi giorni.

Don Pietro di Toledo, posto fine alle turbolenze di Napoli, governava il Regno con piena autorità: ma siccome era da tutti ubbidito, così da molti era intrinsecamente odiato: poichè scovertasi la ribellione del Principe di Salerno, e sospettandosi che in quella vi fossero altri intesi, procedè contra i sospetti con molto rigore; e la morte per ciò data ad Antonio Grisone, e l'inquisizioni fatte per la medesima cagione con altri, avea reso il suo governo molto terribile ed odioso. Avvenne, che in quest'anno 1552 tra le molte rivoluzioni accadute in Italia, Siena parimente si sconvolgesse.

Era questa Repubblica sotto la protezione di Cesare, il quale v'avea mandato a governarla D. Diego Urtado Mendozza: costui diede a' Sanesi sospetto di voler loro togliere la libertà, perchè designava fabbricare in Siena una Cittadella così forte, che con essa potevano gli Spagnuoli in poco numero difendersi dalla città. I Sanesi per ciò determinarono ricorrere al Re di Francia, il quale accettando la lor difesa, diede ordine a' suoi Ministri, che teneva in Italia, di provvedere al bisogno. Fu tra essi conchiuso, che il Conte di Pitigliano, ed i due Conti di Santa Fiore facessero con secretezza seimila fanti e molti cavalli, il che fu tosto eseguito: il Conte di Pitigliano entrò nella città e gridando libertà, libertà, e conducendo seco tremila fanti, unitosi col Popolo, costrinse Otto di Monteaguto, il quale mandato da Cosmo de' Medici Duca di Fiorenza era entrato per soccorso degli Imperiali, a ritirarsi sotto la Cittadella, non senza morte dell'una, e l'altra parte. Il Duca Cosmo s'apparecchiava mandar ad Otto grosso soccorso: ma la Repubblica gli mandò Ambasciadori a fargli intendere, ch'essa non voleva levarsi dalla fedeltà dell'Imperadore, ma sì bene rimettersi nella libertà, della quale n'era a poco a poco stata spogliata dal Mendozza: il Duca ciò credendo, conchiuse colla medesima trattato, che gli Spagnuoli dall'una parte se ne uscissero da Siena, e dall'altra Otto se ne ritornasse salvo colle sue genti in Fiorenza; ma quando i Sanesi gli videro usciti, tosto buttarono a terra la Cittadella, e vi posero dentro presidio franzese, attendendo a fortificarsi contra gli Spagnuoli. L'Imperadore, ciò inteso, trovandosi allora all'assedio di Metz di Lorena, scrisse al Toledo, che assoldasse un esercito, e che andasse egli a far guerra a Siena; e venne ancora in quel tempo in Napoli a sollecitarlo D. Francesco di Toledo, uomo dell'Imperadore appresso il Duca Cosimo. Il Vicerè, ancorchè il tempo che correva d'un orrido inverno fosse contrario, incominciò con prestezza secretamente ad apparecchiar l'esercito; e mentre questo si faceva, fu assalito da un catarro con febbre, dal quale ogni anno era spesse volte l'inverno gravato, onde per ciò per consiglio de' Medici in quella stagione soleva dimorare in Pozzuoli; ma non per questo si rallentava l'apparecchio, e già la fama cominciava a spargersi, che quello era per la guerra di Siena, ove dovea in persona comandare il Vicerè, il quale per ciò dovea partire ed abboccarsi col Duca Cosimo suo genero. Pubblicata questa partenza, s'offerivano molti Baroni di seguirlo, ma il Vicerè a pochi il concesse, e ringraziò gli altri; e creato D. Garzia suo figliuolo Luogotenente dell'esercito, lo mandò per terra con dodicimila valorosi soldati spagnuoli, italiani e tedeschi. Partì D. Garzia nel principio di gennajo del nuovo anno 1553, e passò per le Terre dello Stato Ecclesiastico pacificamente, nel qual passaggio entrò in Roma con molti Cavalli a baciare il piede al Papa, e giunto finalmente nel territorio Sanese, senza perder tempo, prese molte Castella. In questo mezzo il Vicerè fece imbarcare nelle Galee del Principe Doria il resto delli soldati spagnuoli con la sua Corte; e lasciando per suo Luogotenente nel Regno D. Luigi di Toledo suo secondo figliuolo, entrò egli in mare, e partissi per la volta di Gaeta, ove fermatosi tre giorni passò a Civita Vecchia, nel qual viaggio per fortuna di mare se gli accrebbe il male, e smontato poi a Livorno, mandò subito a D. Garzia gli Spagnuoli ad unirsi col suo esercito, ed egli forzato dal catarro e dalla febbre si fermò ivi con la sua Corte. Ma vie più aggravandosi il male, e veduto da' Medici, che quel luogo posto in mezzo all'acqua, era contrario al clima di Pozzuoli ed al suo male, partì alla volta di Pisa, e declinando alquanto il male, se ne andò a Fiorenza; ove dal Duca Cosimo suo genero fu accolto con molta affezione e splendidezza. Vennero in quel mezzo a ritrovarlo Ascanio della Cornia ed altri Colonnelli dell'esercito a pigliar da lui l'ordine, che s'avea da tenere per quell'impresa; ed essendo già tutte le cose ben disposte, mostrando allora la di lui infermità esser alquanto in declinazione, mandata avanti per ciò tutta la sua Corte, si preparava egli per cavalcare la mattina; ma ecco, che gli sopravvenne di nuovo il catarro tanto furioso, che l'inquietò tutta quella notte, e sopraggiuntagli la febbre, ogni virtù gli andò mancando.

Corse alla fama del suo pericolo D. Garzia suo figliuolo a visitarlo, e per dargli conto di quel che e' faceva nell'esercito; ma il Vicerè volle, che senz'aspettar l'esito della sua infermità, tornasse come suo Luogotenente a comandare a quell'impresa, e lo benedisse; e non guari da poi aggravando tuttavia il male, tra gli abbracciamenti di sua figliuola e genero, spirò l'anima a' 12 febbraio di quest'anno 1553. Fu fama che fosse stata la sua morte sollecitata con veleno dal genero, per sospetto, ch'e' avesse d'avergli il Toledo insidiata la vita: parimente, che l'Imperadore per levarlo del governo di Napoli (ciò che avea determinato di farlo fin dal tempo de' rumori di quella città) avesse trovata quest'occasione della guerra di Siena. Altri non consentono nè all'uno, nè all'altro, allegando certa lettera dell'Imperadore, capitata in Fiorenza prima ch'egli morisse, nella quale non sapendo ancora, che fosse partito da Napoli, scrivea, che in niun modo fosse andato a quella impresa, per aver inteso, che stava infermo, ma che vi mandasse D. Garzia suo figliuolo. Che che ne sia, governò egli il Regno anni venti, mesi cinque, e giorni otto, con tanta prudenza, che superò tutti i passati Governadori, e meritevolmente dal comune consenso gli è attribuito il titolo di Gran Vicerè.

Della sua prima moglie D. Maria Ossorio Pimentel, lasciò più figliuoli, poichè della seconda da lui sposata, essendo già vecchio, non ne ebbe alcuno. D. Federigo primogenito, D. Garzia, che morendo il lasciò suo Luogotenente nella guerra di Siena e D. Luigi, rimaso Luogotenente nel Regno, quando egli partì da Napoli. Ebbene ancora di quella quattro femmine, la primogenita D. Isabella la casò con D. Giovan Battista Spinelli Duca di Castrovillari e Conte di Carriati. La seconda D. Eleonora fu maritata nel 1539 a Cosimo de' Medici Duca di Toscana. La terza D. Giovanna fu moglie di D. Ferrante Ximes d'Urrea primogenito del Conte d'Aranda, e l'ultima D. Anna di D. Lope Moscoso Conte d'Altamira.

D. Luigi, rimaso in Napoli Luogotenente, non potè mostrare nel governo del Regno gli alti suoi talenti, perchè non lo tenne che pochi mesi; essendo stato dall'Imperadore, intesa la morte di D. Pietro, mandato per suo successore il Cardinal Pacecco, il quale trovandosi a Roma nel giugno di quest'anno, si portò subito a Napoli.

Il Cardinal Pacecco, rinomato non men per la sua famiglia cotanto illustre in Ispagna per lo Marchesato di Vigliena e Ducato d'Escalona, che ivi possiede, che per eccellenza di dottrina, e per li buoni servigi prestati in Trento in quel Concilio, fu dal Pontefice Paolo III, essendo Vescovo di Giaen, promosso al Cardinalato a richiesta dell'Imperadore, e dichiarato parimente Vescovo Saguntino; e trasportatosi il Concilio a Bologna, rimase egli in Roma per affari di Cesare, il quale intesa la morte del Toledo, lo mandò, come si disse, suo Vicerè nel Regno.

Il concetto che s'avea del suo rigore, spaventò prima Napoli, ma rimase poi ingannata dall'evento; poichè reso placido e soave, non solo trattò con mansuetudine i Napoletani, ma gli favorì molto presso Cesare, da cui impetrò l'esatta osservanza de' suoi privilegi, che Carlo V gli avea di nuovo spediti in Brusselles, a richiesta del famoso Girolamo Seripando, nell'ultimo giorno dell'anno 1554. Non s'intesero più carcerazioni di fatto, nè tormentare, o procedere all'esazione di pene criminali contra i delinquenti, col solo processo informativo. Furon dati provvidi ordini e norme da osservarsi nelle collazioni della Cappellania Maggiore, Prelature Regie, Protomedicato, Ufficiali di Giustizia e Castellanie del Regno; e nel suo Governo furono dalla benignità di Cesare concedute alla città e Regno molte altre grazie e privilegi.

Intanto a Filippo Principe di Spagna, essendo rimaso vedovo di Maria di Portogallo sua prima moglie, s'aprì, secondo la felicità di questa augustissima Casa, una ben ampia via d'unire alla Monarchia di Spagna il Regno d'Inghilterra; e se la morte di Maria senza lasciar prole di questo matrimonio, e le tante rivoluzioni accadute in Inghilterra, non avesser frastornato sì bel disegno, la impresa erasi condotta a fine; poichè proclamata a' 20 di luglio dell'anno 1553 per Regina d'Inghilterra Maria, prima figliuola d'Errico VIII, ed incoronata Reina con solennissima pompa nel primo d'ottobre in età di trentasette anni non avendo marito, da' Baroni del Regno fu fatta istanza, che per assicurare la successione del Regno, dovesse tosto maritarsi. Ella per ciò s'elesse per isposo Filippo Principe di Spagna; onde in gennajo del nuovo anno 1554 mandò Ambasciadori a Cesare notificandogli il suo pensiero. Con incredibile contento accettò l'Imperadore l'offerta, e senza perdervi tempo fu tosto il matrimonio conchiuso, e chiamato Filippo dalle Spagne, acciò si conducesse a tal effetto in Inghilterra: i Baroni Inglesi di quest'elezione fatta dalla Regina, ne rimasero mal contenti, e perchè odiavan gli Spagnuoli, e perchè aveano a male, che quel Regno venisse ne' discendenti dell'Imperadore.

Parti ciò non ostante, a' 16 luglio di quest'anno 1554, Filippo di Spagna dal Porto di Corugna con grossa armata e splendidissima Corte, e giunto al Porto d'Antonasi, diece miglia distante da Vincestre, ove la Regina l'aspettava, quivi si celebrarono le nozze con gran festa e trionfo.

Ma l'Imperadore, reputando mal convenire ad una sì gran Regina sposarsi Filippo, che non era ancora Re, mandò Figurino Reggente di Napoli in Inghilterra a portargli la cessione del Regno di Napoli e di Sicilia e dello Stato di Milano. Così Filippo, reso più augusto con questi titoli Regj, accrebbe l'allegrezza ed il giubilo delle nozze. I nuovi Sposi trattenutisi molti giorni in Vincestre in giuochi e tornei, ai 19 d'agosto si partirono, e con doppia Corte, e quasi con tutta la nobiltà di Spagna e d'Inghilterra, con pompe e ricchi apparati fecero la loro trionfale entrata nella Real città di Londra, dove i mal contenti Baroni, sperimentata la dolcezza e mansuetudine di Filippo, rimasero soddisfatti.

Filippo, avuta la cessione dal padre del Regno di Napoli, mandò subito il Marchese di Pescara a prenderne in suo nome il possesso, che con pubblica celebrità, e grandi applausi dal Cardinal Pacecco Vicerè, a' 25 di novembre del medesimo anno, gli fu data: nel medesimo tempo che l'Imperadore Carlo V, o fastidito dalle cose mondane, o per iscansare i colpi della fortuna, ch'egli credeva cominciare a mostrarsegli avversa, meditava abbandonare i tedj del secolo.

Era allora egli in Fiandra afflitto da continue e fastidiose podagre, e stanco ormai di sostener più il peso dell'Imperio, onde deliberò ritirarsi dalle cure mondane. Chiamò per tanto a se da Inghilterra il Re Filippo suo figliuolo, e giunto in Brusselles ove dimorava, prima d'ogni altro lo fece Capo dell'Ordine de' Cavalieri del Toson d'oro: poi in una gran sala, al cospetto di tutti i Consiglieri di Stato, di tutti i Cavalieri degli Ordini e Nobiltà, a' 25 ottobre del nuovo anno 1555, fece il gran rifiuto, rinunziando al Re suo figliuolo tutti i Paesi Bassi, con gli Stati, Titoli e Ragioni di Fiandra e di Borgogna. Gli rinunziò li Regni di Spagna, di Sardegna, di Majorica e Minorica, e tutti i nuovi Paesi scoverti nell'Indie, con tutte l'altre Isole e Stati appartenenti e dependenti dalla Corona di Spagna.

Rinunziò colla medesima solennità il governo dell'Imperio a Ferdinando suo fratello, eletto già Re de' Romani, e tre anni da poi, pochi mesi prima di morire, mandò la rinunzia dell'Imperio al Collegio Elettorale, il quale, il dì 14 marzo del 1558, elesse in suo luogo il medesimo Ferdinando.

Ritiratosi poi nella città di Gant sua patria, licenziò tutti gli Ambasciadori de' Principi, ch'erano appresso di lui, e tutti i Capitani d'armate; ed imbarcatosi nel seguente anno 1556 a' 17 settembre navigò per Ispagna, e si ritirò in Estremadura, dove dimorò il rimanente de' suoi giorni in un Convento abitato da' Monaci di S. Girolamo, chiamato San Giusto. Menò quivi vita solitaria, e morivvi il dì 21 di settembre dell'anno 1558 l'anno 59 di sua età.

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