Contese insorte intorno all'accettazione della Bolla in Coena Domini di Pio V.
Il Pontefice Pio IV non visse gran tempo dopo la fine del Concilio, essendo morto il dì 9 di decembre dell'anno 1565. Fu in suo luogo fatto Papa a' 7 gennajo del nuovo anno 1566 il Cardinal Michele Ghisilieri soprannominato Alessandrino, perch'era nato l'anno 1504, nel villaggio di Bosco vicino ad Alessandria . Fu egli Monaco dell'Ordine di S. Domenico, e fu creato Commessario del S. Ufficio, col favore del Cardinal Caraffa, di cui era amicissimo e molto famigliare, il quale essendo fatto Papa, per aver il Ghisilieri con gran severità ed audacia esercitata quella carica, lo nominò Cardinale nel 1557. Costui essendo giunto al Pontificato, prese il nome di Pio V, e, nutrito colle massime di Paolo IV, fu terribile contra i Settari, ed in Roma, ne' primi anni del suo Pontificato, fece ardere Giulio Zoanneto e Pietro Carnesecco, sol perchè s'era scoverto, che questi tenevan amicizia e corrispondenza co' Settarj in Germania; ed in Italia con Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga sospette d'eresia. Questo medesimo infelicissimo fine ebbe per lui l'eruditissimo Aonio Paleario, il quale intesa la sua condanna disse: Inquisitionem esse sicam districtam in Literatos . Avea Pio V del Pontificato concetti troppo alti, ed all'incontro dell'Imperio troppo bassi, e sopra i Principi, non meno di quello che ne pretese Paolo IV, era persuaso poter far valere l'autorità della S. Sede, più di quello, che comportava una Potenza spirituale. Credeva sopra coloro poter tutto, e di dovere caricar la sua coscienza, se trascurava di farlo; perciò quel che operava, non era per lui indirizzato ad altro fine, che ad un puro zelo di religione e di disciplina; onde per questa severità di costumi, e per aver somministrate grosse somme nella guerra contra i Turchi, s'acquistò riputazione di santità, e l'abbiam veduto a' dì nostri essere stato canonizzato per Santo dal Pontefice Clemente XI.
Non bastandogli d'essersi fortemente impegnato a far osservare esattamente i Decreti del Concilio, per maggiormente stabilire nel Pontificato la Monarchia, opera che incominciossi dalle Decretati d'Innoncenzio III e IV, di Gregorio IX, di Bonifacio VIII e degli altri Pontefici suoi predecessori, diede fuori (appena passato il primo anno del suo Pontificato) quella cotanto famosa e rinomata Bolla, che ogni anno vien pubblicata in Roma nel Giovedì Santo in Coena Domini, donde prese il nome. La pubblicò egli nell'anno 1567. Poi nell'anno seguente ne pubblicò un'altra, dove s'aggiunsero più cose, e rendettela vie più fulminante. Comandò, che tutto il Mondo Cristiano senz'altra pubblicazione, che quella fatta in Roma, a quella ubbidisse: i Parrochi ogni anno il Giovedì Santo la leggessero al popolo in su de' pulpiti: e gli esemplari s'affiggessero nelle porte delle Chiese, ed in tutti i Confessionarj, e che quella fosse la norma della disciplina e delle coscienze, non meno a' Vescovi, che a Penitenzieri e Confessori. Contiene ella molti capi, poichè quella, che va attorno e si vede ne' Confessionarj affissa, è raccorciata e molto dimezzata. Alcuni Scrittori tutta intiera la rapportano nelle loro opere, come, per tralasciar altri, Francesco Toledo nella di lui Somma, e Lionardo Duardo Cherico Regolare vi compilò sopra un ben ampio Commentario, e lo stampò in Milano nel 1619 nella di cui Chiesa Metropolitana era stato lungo tempo Penitenziere.
Questa Bolla, oltre infiniti eccessi, butta interamente a terra la potestà de' Principi, toglie loro la sovranità de' loro Stati, e sottopone il lor governo alla censura e correggimento di Roma. Per tralasciarne molti, dal cap. 19 sino al 29, si leggono nella Somma del Toledo diciotto articoli, tutti riguardanti a questo fine.
Nel cap. 19 si scomunicano i Fautori degli Eretici, ponendosi con ciò in balìa del Papa di scomunicar i Principi cristiani, i quali o per difesa de' loro Regni, o per altro interesse di Stato, facessero leghe con gli Eretici o infedeli, dandosi ad intendere a' popoli, che quel Principe non senta bene della fede, come fautor degli Eretici e degl'infedeli, e con ciò possa disturbarsi dal trono; siccome questa massima si vide praticata in Francia nella persona del Re Errico III, Principe cattolico, il quale sol perchè prese la protezione de' Ginevrini, fu dato pretesto a' Gesuiti d'insegnare, che potessero i popoli da lui ribellarsi.
Nel cap. 20 si scomunicano tutti coloro, che dei Decreti, sentenze ed altri ordinamenti del Papa appellano, o danno ajuto e favore agli appellanti al general Concilio. Si scomunicano ed interdicono tutte le Università degli studi, e collegi e capitoli, che tenessero, ovvero insegnassero che il Papa sia sottoposto al Concilio generale. In guisa che, non solamente agli articoli stabiliti in questa Bolla, ma a tutte le Costituzioni, Decreti, e sentenze della Corte di Roma, o si deve ubbidire, ovvero che s'incorra nella scomunica, ed interdetto, se non si accetteranno.
Nel cap. 21 si scomunicano tutti i Principi, i quali nelli loro Stati, o impongono nuovi pedagi, gabelle, dazj, o accrescano gli antichi, fuori de' casi dalla legge a lor permessi, ovvero dalla licenza speziale, che n'avessero ottenuto dalla Sede Appostolica; onde Martino Bacano in conformità di quest'articolo insegnò che il Principe per ragion della sua amministrazione divien Tiranno, se tirannicamente amministra il Principato, gravando i sudditi d'ingiuste esazioni, rendendo gli Ufficj de' Giudici, facendo leggi a se comode, etc. Così in vigor di questa scomunica sarà posto in mano del Papa, quando gli piacerà, di dichiarare il Principe Tiranno, e muovergli contra, i popoli, a discacciarlo dal Trono come Tiranno, se nell'imposizione de' tributi non avrà prima ottenuta da lui la licenza. E così bisognerà, che i Principi Cristiani aprano al Papa gli arcani de' loro Stati, i bisogni che tengono, per ottener facoltà d'imporre nuove gabelle, o accrescere l'antiche. Di questo pretesto si servì Bonifacio VIII contra Filippo il Bello, infamandolo, che avea gravato i suoi sudditi d'ingiusti tributi, e che nel Regno avea diminuita la ragion della moneta. E già nel Regno, se la provida cura del Duca d'Alcalà non vi riparava, si cominciavano a sentire da' popoli susurri intorno alle imposizioni delle gabelle, riputate ingiuste, perchè imposte senza licenza del Papa, e per ciò di non esser obbligati a pagarle, come vedremo più innanzi. E nel governo del Duca d'Ossuna nel 1582 si videro pur troppo manifesti gli effetti perniziosi di questa dottrina, poichè essendosi risoluto dalle Piazze, toltane quella di Capuana e del Popolo, d'imporre una nuova gabella, ch'era di far pagare un ducato per ciascuna botte di vino, che si cominciasse a bere, il popolo tumultuando dichiarossi di non volere che si parlasse di gabella, fomentati da molti Padri spirituali, che pubblicarono peccare mortalmente tutti coloro, che si fossero intromessi all'imposizione di tal gabella, e fra gli altri vi fu un Cappuccino spagnuolo chiamato Fra Lupo, il quale declamando in ogni angolo della Città con molto fervore, e predicando e protestando a tutti, che lor soprastava un gran castigo divino, se cotal opra si metteva in effetto: fu bisogno al Vicerè di farlo uscir tosto da Napoli. Ma con tutto ciò il popolo non potè mai ridursi a consentirvi; la gabella non si pose, e nel seguente anno, quanto si potè fare, a disporlo ad un nuovo donativo d'un milione e ducento mila ducati. Quindi nacque presso di noi quella perniciosa dottrina de' Casuisti, colla quale regolano le coscienze degli uomini e la insinuano ne' Confessionarj, che fosse a' popoli lecito fraudar le gabelle a cagion del pericolo che si corre, e perchè sono imposte senza tal Papale licenza.
Ne' capitoli 27, 28 e 29 si stabilisce l'immunità degli Ecclesiastici assolutamente, ed independentemente da qualunque privilegio di Principe, ed in conseguenza si scomunicano tutti i Presidi, i Consiglieri, i Parlamenti, i Cancellieri, in fine tutti i magistrati e Giudici costituiti dagli Imperadori, Re e Principi Cristiani, li quali in qualunque maniera impedissero agli Ecclesiastici d'esercitare la loro giurisdizione Ecclesiastica contra quoscumque. Con quest'articolo viene a cadere tutta l'autorità politica del Principe, e si trasferisce alla Corte Episcopale; poichè gli Ecclesiastici non solo vengono ad essere dichiarati immuni dalla giurisdizione politica nelle cause civili e criminali; ma potranno, secondo ciò che gli verrà di capriccio, tirare i Laici alle loro Corti; nè i Magistrati si potranno opporre, perchè come impedienti l'esercizio della Giurisdizione Ecclesiastica contra quoscumque incorrono nella scomunica.
Si scomunicano ancora in questa Bolla tutti coloro che impediranno l'estrazione delle vettovaglie ed altre cose da' loro Stati, per doversi introdurre in Roma, e nello Stato Ecclesiastico per l'annona e bisogno di quella città e Stato.
Parimente nel cap. 13 si scomunicano tutti coloro, che proibiranno l'esecuzione delle lettere Appostoliche, col pretesto, che vi si abbia prima a richiedere il loro assenso, beneplacito consenso, o esame; onde i Dottori Ecclesiastici furon presti a porre in istampa nelle loro opere, come per tralasciar gli altri, fece Reginaldo, che i Magistrati incorrono nelle censure contenute nel cap. 13 di questa Bolla, quando senza il beneplacito o esame loro impedissero l'esecuzione delle medesime, anche se si restringessero solamente ad esaminarle, senza avervi d'aggiugnere segno o nota, ma restituirle così illese ed intatte, come si esibivano. E con ciò andava a terra nel nostro Regno L'Exequatur Regium, e s'inserivano infiniti altri pregiudizj e tutti rilevanti: tanto ch'era l'istesso accettarla, che ruinare il Regno.
Tutti i Principi Cattolici ne' loro Regni di là dei Monti non la ricevettero a patto veruno, nè permisero, che in qualunque modo si pubblicasse; e narra il Presidente Tuano, che a' medesimi Principi d'Italia parve ciò un giogo troppo grave ed insolente, e precisamente al nostro Re Filippo, ed alla Repubblica di Venezia.
In Francia, per più arresti del Parlamento, sotto gravissime pene fu vietata la pubblicazione della Bolla come quella, che in più articoli s'oppone a' Regali diritti, a quelli de' suoi Ufficiali, ed alla libertà della Chiesa Gallicana.
In Germania l'Imperador Ridolfo II si oppose alla pubblicazione e la impedì con vigore. Anzi l'Arcivescovo istesso di Magonza, uno degli Elettori dell'Imperio, vietò di farla pubblicare nelle sue Terre e Diocesi.
In Ispagna il Re Filippo II parimente alla sua pubblicazione si oppose. E nella Fiandra testificano Zipeo e Van-Espen, che non fu mai ricevuta; e con tutto che il Nunzio Bentivoglio avesse fatto ogni sforzo per farla ricevere e pubblicare, con averne mandato gli esemplari a' Vescovi, non fu però quella ivi mai pubblicata, nè i Vescovi vollero in ciò ubbidire al Nunzio.
Il Duca d'Alcalà nostro Vicerè, pubblicata che fu in Roma questa Bolla, col consiglio e parere di quei savj Reggenti ch'erano allora in Collaterale, fra' quali erano i famosi Reggenti Villano e Revertera, essendo stato informato de' pregiudizj gravissimi, che quella seco portava, e che tutti gli altri Principi Cattolici ne' loro Reami l'aveano affatto rifiutata, anzi che s'usava somma diligenza e rigore di non farla a patto veruno divolgare, castigando chi la disseminava, con usar egli l'istesso rigore nel nostro Regno, proccurò, che non si ricevesse.
I Vescovi tosto ebbero ricorso in Roma, dolendosi col Pontefice Pio del Vicerè, avvertendolo come si proccurava non farla ricevere: il Pontefice scorgendo, che sarebbe stata opera perduta il tentare di rimuovere il Vicerè, usando le solite arti di Roma, col favore dei Principi non bene informati estorquere l'intento, diede incombenza al Vescovo d'Ascoli suo Nunzio in Ispagna, affinchè passasse col Re Filippo premurosi ufficj per indurlo a scrivere al Duca di far ricevere nel Regno la Bolla; ed il Nunzio colorì così bene la sua causa, lagnandosi essere in Napoli la giurisdizione Ecclesiastica malmenata, che nel medesimo anno 1567 indusse il Re, non ben informato, di scrivere una lettera al Duca, nella quale generalmente ordinava, che si dovesse tener particolar pensiero di favorire la Giurisdizione Ecclesiastica, e di non contrariarla; ma con la solita avvedutezza gli soggiunse, che la favorisse in quanto non sarà contraria la sua preminenza regale; e che per ciò per poter soddisfare al Papa con più fondamento, desiderava di aver particolar informazione di tutto ciò, che in questo Regno s'osservava: onde gl'incaricava, che informatosi da persone dotte e pratiche e di sperimentata bontà, l'avvisasse di tutto giuntamente col suo parere.
Il Vicerè rispose a questa lettera con due particolari consulte, una de' 31 luglio del medesimo anno, e l'altra de' 22 decembre, nelle quali riferendogli tutti i capi della Bolla, che sommamente pregiudicavano alla Regal Giurisdizione, l'avvertiva, ch'essendo questo negozio di grandissima importanza, bisognava star attentissimo, e che egli stimava di mandar in Roma a Sua Santità un Dottore del Consiglio di Sua Maestà persona dotta, e ben istrutta delle Prammatiche, Capitoli, Stili ed Osservanze di questo Regno, il quale insieme col suo Ambasciadore in Roma trattasse col Papa per rimediare, in un negozio sì grave, a tanti pregiudicj.
Ma mentre in Ispagna si stavano esaminando queste relazioni del Duca per deliberare ciò che dovea farsi, l'Arcivescovo di Napoli ed i Vescovi del Regno, animati dal Papa, non mancavano, quando lor veniva fatto, di pubblicar la Bolla, e per tutte le loro Diocesi disseminarla, da che, particolarmente intorno all'esazione delle gabelle e del Exequatur Regium, ne nascevano gravissimi inconvenienti. L'Ambasciadore del Re Filippo, risedente in Roma, portava le doglianze col Papa, di essersi pubblicata ne' Regni del suo Re, e spezialmente in quel di Napoli, la Bolla in Coena Domini senza il Regio Exequatur; ma il Pontefice Pio rispondeva, secondo rapporta il Catena, che la Bolla in Coena Domini tanto antica, quantunque solamente in Roma ciascun Pontefice la pubblicasse, avea forza per tutto il Mondo, siccome le altre Costituzioni generali; ed aver per l'addietro i Principi e i loro popoli, che si trovavano aver contravvenuto ad alcuna proibizione di questa Bolla, dimandata l'assoluzione da' Pontefici: di essa essersi fatta menzione sempre in tutti i Giubilei ed indulgenze, e nella Bolla della Crociata, conceduta alle volte a richiesta de' Re di Spagna. Per ciò aver comandato agli Arcivescovi e Vescovi che la pubblicassero; molto più perchè avea inteso, che in diverse Province ciò non si faceva, acciocchè non istassero i popoli inviluppati nelle scomuniche, non iscusandoli l'ignoranza, etc. L'ammonire i Confessori del debito loro, convenire al vero Pastore, acciocchè essi sappiano fra lepra e lepra discernere e de' peccati massimamente ne' casi riservati al Papa giudicare.
Il Vicerè informato dall'Ambasciador di Roma dell'ostinazione del Papa, e vedendo co' proprj occhi i disordini, che per ciò accadevano nella città e nel Regno, a' 15 maggio del nuovo anno 1568, mandò al Re una terza consulta, nella quale l'informava degli inconvenienti, che ogni dì nascevano per cagion di questa Bolla, delle novità e dubbj circa l'esazioni delle gabelle, d'alcune Bolle pubblicate ed eseguite in Regno senza l'Exequatur Regium, ragguagliandolo che tanto il Nunzio Appostolico, quanto il Vescovo di Strongoli nuovamente eletto, e mandato in Regno da Sua Santità per Visitatore, aveano mandato generalmente a tutti li Confessori di Napoli, e segnalatamente al Confessore di esso Vicerè nel Convento della Croce, ed a tutti i Confessori delli Reggenti, a ratificargli la Bolla in Coena Domini, ordinando loro che non assolvessero quelli che in qualsivoglia modo contravenivano alla Bolla suddetta. E di vantaggio, che avendo la città di Napoli preso un espediente di dare alli Panettieri il grano della città a minor prezzo di quello, che a lei costava, per non alzare il prezzo che correa allora del pane, conchè li Panettieri pagassero un carlino per tomolo di pane che lavoravano, col qual avanzo la città ne ricaverebbe d'utilità più di ducati sessantamila l'anno; atteso essendosi bandito il pagamento predetto d'un carlino per tomolo, vi erano offerte per due anni di centottomila ducati, ed altri davano intenzione d'avanzare insino a ducati centoventimila, dal che la città veniva a ristorarsi di quel che avea perduto, e perdea nelli prezzi de' grani; ed essendosi deputata giornata per l'accension della candela, la Piazza di Nido erasi ritrattata, per aver osservata la Bolla in Coena Domini, per la quale si scomunicano quelli, che ne' loro Dominj impongono pedagi, o gabelle, dicendo che incorrerebbero nelle scomuniche contenute in detta Bolla; e che similmente quelli, che trattavano questo negozio stavano nel medesimo dubbio, ancorchè da questa imposizione s'eccettuassero le Chiese, Cherici e persone Ecclesiastiche; per lo che aveano differito ed appuntato di doverne cercar parere da' Letterati Teologi sopra questo punto.
Scrissegli ancora sotto l'istesso dì altra consulta, colla quale ragguagliava il Re, che gli aggravj fatti e che tuttavia si facevano da' Vescovi del Regno per cagione della suddetta Bolla (se egli colla sua potente mano non vi riparava) si sarebbero resi irremediabili; e quel, che più importava al suo regal servigio, era il remedio al capo dell'Exequatur Regium da darsi alle provvisioni, Brevi e lettere Appostoliche, poichè per detta Bolla si toglieva affatto questo costume, ed antichissima consuetudine; ed in effetto alcuni Prelati aveano già pubblicati ed eseguiti alcuni Brevi e lettere Appostoliche senza Exequatur, e ch'egli era stato costretto di simularlo, finchè avesse risposta e risoluzione da Sua Maestà, per non incorrere nella censura contenuta in detta Bolla. Gli avvisò ancora, che il Papa avea mandata la Bolla all'Arcivescovo di Napoli con un Breve particolare, che la facesse pubblicare sotto pena di santa ubbidienza; sopra di che, da parte di Sua Santità, gli avea ancora scritto il Cardinal di S. Pietro Alessandrino suo nipote, comandandogli, che la facesse subitamente pubblicare, siccome già era stata subito pubblicata dal detto Arcivescovo e dal Nunzio per le Chiese di Napoli, senza licenza del Vicerè, e senza Exequatur. Di vantaggio, che nella nuova ed ultima Bolla in Coena Domini pubblicata, in quest'anno 1568, vi si leggevano aggiunti molti altri capi pregiudizialissimi alla Regal Giurisdizione; onde pregava istantemente il Re, che ad un affare cotanto grave e ruinoso, vi desse presto rimedio; tanto più, che egli con i Reggenti erano in iscrupolo d'essere scomunicati, perchè aveano denegato l'Exequatur ad alcuni Brevi di Sua Santità.
Il Re Filippo reputando, per queste insinuazioni del Duca, l'affare di somma importanza, ed avendo fatto esaminare in Ispagna da' suoi Consiglj e da' più famosi Teologi di quelle Università la Bolla, finalmente a' 22 luglio del medesimo anno 1568 scrisse al Vicerè una ben lunga lettera molto grave e forte, per la quale l'incoraggiava a star fermo in rifiutar la Bolla, e tutto ciò che s'attentava contra le sue regali preminenze. Mostra in prima per quella, aver inteso non senza suo rammarico, essere giunte le cose in quello stato, ch'egli rappresentava, non potendo lasciar di dirgli aver sentito molto, che abbia tanto dissimulato, e quelle leggiermente passate, ed essendo così perniziose, come sono e come egli medesimo lo dicea: che poteva ben egli aver col Papa molto giusta ed onesta scusa di non ammettere, nè dar luogo ad alcuna novità, che si pretendeva a tempo suo introdurre, con dirgli, ch'era suo Luogotenente in questo Regno, e che stando ad esso raccomandato per governarlo con que' privilegi e preminenze, nelle quali da tanti anni si trovava in possessione, in uso e costume, non poteva lasciare di non conservarli, così, come gli avea trovati: che per questa causa non dovea Sua Santità tenere a male, nè a disubbidienza, che cercasse prima consultare con sua Maestà e complire il suo carico ed ufficio: che dovea dire al Nunzio, che trattanto, che in questo Regno fosse stato esso Duca, non avesse da permetter cosa, che fosse in pregiudizio e diminuzione delle sue prerogative e preminenze, colle quali l'avea ritrovato, e che se Sua Santità pretendeva introdurre alcuna cosa in quello, poteva accudire a Sua Maestà, come a Padrone, e conveniva, che l'avesse fatto, poichè toccava a Sua Maestà ordinare quel che avesse voluto, e ad esso Duca solamente eseguirlo.
Per la qual cosa espressamente gli comandava, che per lo cammino e termini che meglio gli parrebbono, esso Duca restituisca interamente nella possessione, nella quale stava il Regno quando egli ci venne, senza permettere, che la giurisdizione e preminenza reale sia pregiudicata in un solo punto, come in lui interamente confidava, perchè altrimenti non sarebbe ammessa niuna replica e scusa.
Che faccia intendere al Nunzio Odescalchi, che frattanto, che esso Duca tenerà il Regno a suo carico, non s'avran da permettere in quello simili novità, cotanto pregiudiziali a Sua Maestà.
Che castighi severamente ed esemplarmente quelli che avranno ardimento servirsi d'alcun Breve, Bolla, o Concessione Appostolica, senza che preceda l'Exequatur Regium, che da tanto tempo, e per tante necessarie e giuste cagioni s'usa, e sta introdotto nel Regno. E che (approvando il suo parere d'inviare a Roma persona di qualità) si risenta col Papa e gli rappresenti gli aggravj ed i pregiudizi che gli fa con queste novità: gli ordina, che in tanto gli dia subito avviso d'aver eseguito puntualmente quanto gli comandava; soggiungendo ancora (per mostrar maggiormente la sua grande premura), che avendo egli data licenza ad esso Duca per le sue gravi indisposizioni di venire in Ispagna, se si trovasse forse partito dal Regno, gli ordinava di ritornar subito che avesse ricevuta quella lettera, da dove si trovava, a riordinare il Regno, e restituirlo nelle antiche preminenze, in maniera che lo lasci dello stesso modo, e con quelle medesime giurisdizioni e prerogative, che lo trovò.
Risponde ancora a ciò, che il Duca gli avea scritto intorno allo scrupolo, che coloro della città aveano di non imporre fra di loro gabella: che proccuri di levargli da questa immaginazione ed errore; poich'avendo egli fatto consultare il caso da' migliori suoi Teologi, vien giudicato errore ed inganno: onde con effetto, che facci subito imporre la suddetta gabella, affinchè Roma si disinganni, ed intendano di non giovargli in simili cose queste strade indirette.
Scrisse parimente il Re, a' 31 luglio del medesimo anno, premurosamente al Commendator maggiore, a cui appoggiò in Roma questo affare per doverlo maneggiare col Papa, al quale inviò le sue istruzioni e tutte le scritture e consulte fatte sopra il medesimo, incaricandogli dover maneggiarlo con quel calore ed efficacia, che ricerca la qualità d'un negozio tanto grave e cotanto a lui importante. Oltre a ciò in piedi di questa lettera soggiunse il Re, di suo proprio carattere, al Commendatore, che sentiva tanto questo negozio, che non s'avea voluto confidare con altri, se non con lui, assicurato della sua forza ed amore con che l'ha da trattare. E narra il Presidente Tuano, che il Re Filippo sì gravemente sdegnossi, che i Vescovi e Parrochi aveano avuto quest'ardimento di pubblicare in Ispagna ed in Italia ne' suoi Stati questa Bolla, che con severità di pene pari all'ardimento loro il proibì, dicendo, secondo che scrive il Tuano: Nolte se committere, ut ignava sua patientia majestatem Imperii a majoribus acceptam, atque adeo aerarium imminuisse videatur; videre se, nec invidere: quod Regi Francorum, qui regnum sectaria peste infectum habeat, nova quotidie subsidia a sacro ordine emungere concedatur, id vero ferre non posse, sibi qui regna ab eadem peste incontaminata servet, interdici, quominus jura ab omni aevo ad hunc diem ab eodem sacro ordine in suis ditionibus pendi solita, exigere liceat. E consimili erano le doglianze de' Veneziani, i quali per ciò non vollero nella loro Repubblica a verun patto sopportare queste novità.
Il Duca d'Alcalà, ancorchè avesse ottenuta licenza dal Re di ritornar in Ispagna, nulladimeno non era per anche partito da Napoli, quando gli giunse la sua regal carta, dalla quale fu obbligato a trattenervisi, e quando s'accertò de' risoluti sentimenti del Re, cominciò con più sicurezza e vigore ad opporsi a' Prelati; onde divenuto più animoso, per sua discolpa, era tutto vigilante ed attento in riparar i pregiudizi passati, e proccurare, che non se ne attentassero de' nuovi: fece far relazione da' Signori Reggenti di non essersi portato alcun pregiudizio alla regal giurisdizione e preminenze di Sua Maestà per la pubblicazione fatta dall'Arcivescovo di Napoli, siccome dagli altri Vescovi nelle loro Diocesi della Bolla: che le cose erano nel lor primiero stato, e da potersi riparare quando il caso avvenisse. Ed in fatti, non ostante che in Roma si trattava dal Commendator maggiore quest'affare, perchè tuttavia non cessavano i Vescovi del Regno, quando lor poteva venir fatto, di tentare delle novità; così non trascurava il Vicerè immantenente di opporsi ed impedirgli.
Il Vescovo di Venafro avea ardito di proibire l'esazion delle gabelle nella sua Diocesi; ma il Vicerè tosto in settembre di quest'anno 1566, scrisse al Commessario Barbuto ordinandogli, che le facesse esigere non ostante detta proibizione, ed avendo inteso, che i Sindici e gli Eletti di S. Germano aveano mandato in Roma per ottener Bolla ed assenso della Sede Appostolica per poter seguitare l'esigenza delle gabelle imposte in detta città gli anni passati con licenza e decreto Regio: e che avendo voluto seguitare ad esigere dette gabelle, erano state dal Vicario pubblicamente nella Chiesa proibite, notificando essere quelle riprovate sotto pena di scomunica da Sua Santità in virtù della Bolla in Coena Domini: commise al suddetto Commessario Barbuto, che contra i Sindici e tutti gli altri del governo, siccome contra coloro, che gli aveano consultati di mandar in Roma, pigliasse diligente informazione, e trovatigli di ciò colpevoli, insieme coll'informazione gli menasse in Napoli, facendo intanto continuar l'esazione.
L'Arcivescovo di Chieti e li Vescovi di Bitonto, di Lavello e di Venosa parimente ebbero ardimento in virtù della suddetta Bolla di proibir le gabelle; ma il Vicerè, oltre d'aver acremente ripresi i Prelati suddetti, acciò non s'intrommettessero in quest'affare e d'aver fatta continuare l'esazione de' laici, di questi attentati ne fece a' 31 ottobre del 1568 una particolar consulta al Re.
Il Vescovo di Melfi ancora erasi avanzato a procedere contra a' laici, avendo anche proibita l'esazione delle gabelle di detta città: onde il Vicerè se gli oppose con vigore, ed a' 11 dicembre del suddetto anno scrisse un'altra Consulta al Re, pregandolo de' rimedj opportuni contra questi Prelati, che usurpavano la sua regal giurisdizione.
Il Vescovo della Cava avea parimente impedita l'esazione delle gabelle di detta città, e pubblicata scomunica contra quelli che volessero esigerle. Ma il Vicerè, a' 6 febbrajo del nuovo anno 1569, mandò una grave ortatoria al Vescovo, che rivocasse la scomunica e non impedisse l'esazione: scrisse ancora una lettera Regia al Capitano ed alla città della Cava, che dovessero continuar e far continuare l'esazion delle gabelle imposte con assenso e decreto Regio, alla riserva delle Chiese e persone Ecclesiastiche, non ostante qualsivoglia proibizione fatta o da farsi dal Vescovo, e ne fece anche di ciò relazione al Re.
Avendo per tanto il Vicerè, di quanto i Vescovi attentavano e di quanto egli operava in contrario per riparare i pregiudizj fatti, mandate, come si è detto, piú relazioni al Re Filippo per intendere la sua regal mente, affinchè non mancasse d'assisterlo in cose così gravi; il Re in quest'istesso anno 1569 gli rispose con altra sua regal carta, colla quale non solo approvava la sua vigilanza, ma vie più gl'incaricava la continuazione con ogni vigore in non permettere a' Vescovi questi attentati, nè che per un pelo venga pregiudicata la sua giurisdizione e preminenza regale; per la qual cosa il Duca, assicurato di nuovo della mente del Re, scrisse una grave ortatoria a tutti i Vescovi, ed Arcivescovi del Regno, insinuando loro, che non pubblicassero, nè facessero pubblicare la Bolla in Coena Domini, nè altre Bolle senza il Regio Exequatur, altrimenti avrebbe proceduto contra di loro, come conveniva procedere contra quelli, che pregiudicano la regal giurisdizione. Scrisse ancora nel medesimo tempo a tutti i Governadori delle province, ordinando loro, che inviassero persone a posta a presentare detta ortatoria a tutti, detti Prelati, ed in loro assenza a loro Vicari; e ch'essi stassero vigilanti in non far pubblicare la Bolla in Coena Domini, e che per tal effetto ordinassero a tutti i Capitani delle Terre così demaniali, come Baronali, che subito che sentiranno doversi quella pubblicare debbano tosto levarla di mano di quel Prelato, o altro, che la pubblicasse, o se per caso la ponessero nelle porte delle Chiese maggiori, o in altro luogo, la levassero dove fosse affissa, e subito per persona a posta la debbano inviare ad esso Vicerè: di più, che debbano anche subito sequestrare li beni patrimoniali e temporali del Prelato, che presumerà far tal cosa.
Nè questi ordinamenti rimasero senza il loro effetto poichè alcuni Prelati, che ciò non ostante vollero avere questo ardimento di pubblicarla, ne furono col sequestro de' loro beni puniti. Avendo l'Arcivescovo di S. Severina fattala pubblicare in quella città, scrisse, il Vicerè al Conte di Sarno Governatore di Calabria, che gli sequestrasse i suoi beni patrimoniali e temporali. Parimente essendosi inteso che il Vicario della città di Cedogna aveala pubblicata, fu scritto dal Vicerè al Governadore di Principato ultra, che mandasse un Auditore a pigliarne informazione, e costando averla fatta pubblicare, gli sequestrasse i beni, e trovandosi la Bolla affissa nelle porte della Chiesa, o altrove, la levasse. Consimili ordini furon mandati al Governadore suddetto contra l'Arciprete d'Erboli: al Capitano della Terra delli Cameli contra il Vescovo di Bojano ed il suo Vicario: al Governadore di Principato citra contra l'Arciprete del Casale dell'acqua: al Governadore di Capitanata contra il Vescovo suddetto di Bojano ed a molti altri; ad alcuni de' quali, per essere comparsi in Napoli avanti il Vicerè, e fatto costare, che essi non aveano pubblicata la Bolla dopo la sua ortatoria, ma l'anno precedente, fu loro poi tolto il sequestro. Di tutto ciò, così dell'ortatoria generale spedita a' Vescovi ed Arcivescovi, e degli ordini dati alli Governadori delle Province, come de' sequestri fatti, e poi ad alcuni levati, ne fece il Vicerè distinte relazioni al Re in Ispagna.
Restava ancora di levare un'altra cagione, perchè questa Bolla non si disseminasse, ed era, impedire ai Librai e Stampatori, che non la stampassero e vendessero; onde il Vicerè avendo notizia, che in Napoli i Librai tenevano e vendevano gli esemplari di quella; ed alcuni Stampatori, ancorchè a voce loro si fosse fatto intendere, che non stampassero cosa alcuna senza sua licenza, con tutto ciò l'aveano stampata; ordinò che si facesse diligenza nelle loro case e botteghe, e che quante ve ne trovassero si pigliassero, ed essi fossero posti in prigione, siccome fu eseguito. Ed avendogli il Conte di Sarno Governadore della Provincia di Calabria scritto, che in Cosenza in potere de' Librai di quella città si trovavano molte di queste Bolle, e parte anche vendute, gli ordinò che facesse far la ricerca nelle loro case e botteghe, e proccurasse averle tutte in mano, e gli carcerasse appresso di se: del passo pure ne diede parte al Re nella Consulta, che gli scrisse a' 7 maggio di questo medesimo anno 1569.
Ma con tutto che il Duca d'Alcalà fosse tutto occhi per impedire la pubblicazione di questa Bolla, affinchè gli Ecclesiastici non se ne valessero nel Regno, non per questo da Roma si tralasciava tanto più insistere ai Prelati, che si fossero opposti, e che per tutte le vie la facessero valere. Il Pontefice fulminava per questi espedienti presi dal Vicerè, qualificandoli per violenze; e se deve prestarsi fede al Cardinal Albizio, minacciava di volere scomunicarlo insieme col Collaterale, e sottoporre ad interdetto la città di Napoli. Ma riputandosi allora questo rimedio più ruinoso del male, si pensò in Roma una sottil malizia, e pur troppo scandalosa (niente curandosi di allacciare le coscienze degli uomini, particolarmente de' più deboli, che sono i più) la quale fu di comandare a' Confessori, anche regolari, che negassero l'assoluzione a' loro penitenti: onde vedendo, che poco frutto si faceva con mandar la Bolla a' Prelati, ed inculcar loro l'osservanza, si pensò di mandare la Bolla a' Generali delle Religioni, affinchè la disseminassero a tutti i Confessori dell'Ordine, con impor loro, che non assolvessero persona, che avea a quella controvenuto.
Saputosi in Roma, che il Vicerè avea per Confessore un Frate del Monastero della Croce, si cominciò da costui. Il Papa ordinò al P. Generale de' Francescani, che mandasse a tutti li Confessori del suo Ordine la Bolla: di più fece scrivere dal detto P. Generale una particolar lettera ai P. Fr. Michele Guardiano del Monastero della Croce, ch'era il confessor del Vicerè, che stesse ben avvertito d'assolvere il Vicerè, sempre che conoscesse aver impugnato la Bolla. Il Vicerè ebbe copia di questa lettera, e la mandò in Ispagna al Re insieme con un'altra sua Consulta de' 15 maggio del detto anno, pregandolo a prender forte risoluzione in cosa cotanto necessaria.
Si venne da poi a' Reggenti del Collaterale, ed in particolare a' Reggenti Villano e Revertera Consultori del Vicerè. Il Reggente Villano essendosi andato pochi dì prima di Pasqua Rosata a confessare al suo Confessore ordinario, che per sua disavventura si trovò essere dell'osservanza di S. Francesco e del Monastero istesso della Croce, non fu possibile, che colui avesse voluto assolverlo, per cagion d'aver contravvenuto alla Bolla: dicendogli di più che il Nunzio avea secretamente ripreso il Guardiano del Convento, perchè mandava ogni dì un Frate a dir Messa nella Cappella, che sta in casa d'esso Reggente, quando sapeva ch'era, per aver contrastato alla Bolla, scomunicato. Per la qual cosa fu duopo al Reggente andare ad un altro Religioso, dal quale fu per quella volta assoluto e comunicato nel dì di Pasqua; però il Frate gli disse, che avesse rimediato col Re a' fatti suoi, perchè un'altra volta non si sarebbe arrischiato di assolverlo.
Più lagrimevole fu il caso del Reggente Revertera, per aver egli voluto ricorrere a Gesuiti; andò il Reggente nella Vigilia dell'Ascensione per confessarsi al suo Confessore oridinario, ch'era della Compagnia di Gesù: non volle il Gesuita nè meno ascoltarlo, sgridandolo non poterlo assolvere, perch'era scomunicato, avendo impedito, che si pubblicassero provvisioni di Roma senza il Regio Exequatur: che avea consentito, che si carcerassero e punissero coloro, che aveano pubblicata la Bolla in Coena Domini, e che facesse continuare l'esazione delle gabelle, onde non pensasse di essere assoluto nè da lui, nè da altri, perchè il Reggente Villano intanto era stato assoluto da quel Religioso, perchè ancora non era venuto ordine al Generale della sua Religione, che non assolvessero i Reggenti; onde il meschino Revertera tutto confuso e pien di rossore bisognò andar via. Con tal occasione si seppe che in Roma s'era dato tal ordine alli Confessori di tutte le Religioni, e che per ordine del Cardinal Savelli Vicario del Papa, in nome di sua Santità, s'era imposto al General de' Gesuiti, che dovesse dar ordine a tutti i Confessori della Compagnia, che non assolvessero il Vicerè, nè i Reggenti, e che un consimile era stato già dato a tutte le altre Religioni.
L'esempio di Roma, per di lei insinuazione, era imitato da' Vescovi del Regno; poichè il Vescovo di Boiano pure s'era avanzato a dar ordini a' suoi Confessori della Diocesi, e particolarmente a quelli della Terra di Ferrazzano, che non dovessero confessare, nè assolvere li Cittadini e persone del governo di detta Terra, che facevano continuare ad esigere le gabelle: ed ancorchè il Vicerè mandasse ortatoria al Vescovo, che rivocasse gli ordini, altrimenti avrebbe proceduto come conveniva, il Vescovo non volle ubbidire: onde il Duca nella nuova consulta, che fece al Re sotto li 29 gennajo del seguente anno 1670 lo richiedeva, se fosse stato di suo gusto cacciarlo dal Regno e sequestrargli l'entrate. Scrisse perciò al Governadore di Capitanata, che facesse subito presentare al Vescovo l'ortatoria; e la rimandasse, e scrisse parimente al Capitano, ed all'Università di Ferrazzano, che attendessero ad esigere le gabelle, non ostanti gli ordini del Vescovo.
Il Duca, accertato di questi passi dati da Roma, e di quanto accadeva nel Regno, ne fece piena consulta al Re sotto li 10 giugno di quest'anno 1569, pregandolo instantemente a dar pronto riparo, ponendogli ancora sotto gli occhi, ch'egli era già di 62 anni, il Reggente Villano ne avea anni 70 ed il Reggente Revertera poco meno, e potrebbe facilmente ad alcuni di essi sopravvenir la morte con tali timori e scrupoli, che gli Ecclasiastici esageravano, i quali finalmente turbano la pace dell'anima, e maggiormente a' vecchi, che sono nell'estremo di lor vita.
Non passò guari, che il Reggente Villano cadde infermo, ed i Confessori non lo volevano assolvere: venne all'estremo di sua vita, ma non per ciò trovava da' Confessori pietà; finalmente il Nunzio, essendosi prima con usar molte diligenze accertato, che veramente era quasi in agonia, siccome in effetto poco da poi se ne morì, diede il permesso che si potesse confessare ed assolvere, ma con condizione, che se fosse vivuto non andasse più dal Vicerè, quando si trattasser cose di giurisdizione, nè s'intromettesse in quelle: così fu assoluto, e così morì il cotanto fra noi celebre Reggente Villano, Ministro non men dotto, che zelante della giurisdizione e preminenze del suo Re, il cui tumulo oggi s'addita nella Chiesa di S. Lorenzo Maggiore di questa città. Tutti li Confessori si protestavano, che a patto veruno non volevano assolvere i Reggenti, se non promettessero prima, di non intromettersi nella Bolla in Coena Domini, ma quella osservare ed eseguire. Parimente il Vescovo di Nola avea ordinato, che gli Eletti e Deputati del Reggimento di quella Città non fossero assoluti da' Confessori per cagion, ch'esigevano la gabella del pane imposta con decreto, e Regio assenso colla riserva de' Cherici, Chiese e persone Ecclesiastiche; ed essendogli stata mandata ortatoria dal Vicerè, che rivocasse gli ordini, e facesse assolverli, non curava ubbidire.
Di vantaggio, avendo il Pontefice pubblicato, in questo nuovo anno 1570, un giubileo, per escludere da questo li Reggenti e gli altri Ministri ed Ufficiali del Re, vi avea fatto ponere clausola, che non potessero di quello godere coloro, i quali aveano violato la libertà Ecclesiastica; ed i Confessori dicevano, che per queste parole si denotavano i Reggenti e gli altri Ministri; ed il Nunzio ancora così l'avea dichiarato.
Il Vicerè di tutti questi disordini ne informò pienamente il Re con due altre relazioni, una de' 29 gennaio, l'altra de' 10 maggio del medesimo anno 1570 pregandolo, che a mali sì gravi volesse darvi remedio, atteso ch'egli non poteva resistere alle continue istanze de' Reggenti' e d'altri Ministri, che erano per ciò in grandissima agitazione.
Il Re Filippo intanto, per le Legazioni in questo tempo spedite dal Pontefice Pio di Vincenzo Giustiniano e del Cardinale Alessandrino in Madrid, delle quali parleremo più innanzi, e per gli uffici fatti in Roma dal suo Ambasciadore e dal Commendator maggiore, avea mitigato in parte l'animo del Pontefice, ed il Presidente Tuano narra, che Pio V, si raffreddò e depose il pristino fervore per le guerre di Religione, che allora più che mai crescevano in Fiandra e nella Francia; tanto che il Re assicurò il Duca con sua lettera sin de' 17 luglio 1569, che per gli ufficj passati in Roma prevedea che Sua Santità si sarebbe quietata, e non passerà più avanti, e che in questo non avrà più che dire di quel, che in Ispagna il suo Nunzio con molto secreto avea detto circa l'ordine dato da Sua Santità, che non si pubblicasse la Bolla in Coena Domini insino ad altro suo ordine: lo richiedeva per ciò, che l'avvisasse se questo si continuava, o pure fossesi dato altro ordine in contrario.
In questo stato rimasero le cose in tempo del governo del Duca d'Alcalà, che poco da poi se ne morì in Napoli: non si venne mai ad una decisiva risoluzione intorno a quest'affare, ma le cose s'andaron da poi temporeggiando, usando gli Spagnuoli i soliti rimedj. Essi non cessavano dall'un canto impedire l'esecuzione a' Prelati, quando volevan servirsi della Bolla, con tutto che non molto si curassero che coloro la facessero leggere ogni anno.
All'incontro i Vescovi e gli Ecclesiastici non cessavano di pubblicarla nel Giovedì Santo ne' pulpiti, ed affiggerla nè Confessionarj e nelle porte delle Chiese; nè molto si curavano, che poi non si praticasse. Nel Viceregnato del Duca d'Alcalà trovarono, per le forti premure che glie ne dava il Re Filippo, più resistenza e vigilanza. I suoi successori, secondo le congiunture ed opportunità, ora lenti, ora forti, si opponevano.
Il Cardinal di Granvela successore del Duca mostrò non minor fortezza che il suo predecessore; poichè fortemente crucciato il Re Filippo II, che non ostante le promesse del Nunzio fatte in nome del Papa in Ispagna, tuttavia non si cessava da Roma insinuare a' Prelati del Regno la pubblicazione ed affissione della Bolla, scrisse una molto grave lettera al Granvela, dolendosi insieme, e mostrando la sua collera per questo modo di procedere di quella Corte, dicendogli fra l'altre cose: Es fuerte cosa, que por ver que yo solo soy el que respeto a la Sede Apostolica, y con suma veneracion mis Reynos, en lugar de agradecermelo, como devian, se aprovechan dello, para quererme usurpar la autoridad que es tan necessaria, y conveniente para el servicio de Dios, y por el buen govierno de la que el me ha encomendado, y assi podria ser que me forcassen a tomar nuevo camino, y io os confiesso, que me trahen muy cansado, y cerca de acaverseme la paciencia, per mucho que tengo, y si a esto se llega podria ser que a todos pesasse dello . Per la qual cosa il Granvela usò ogni vigore e vigilanza in questo; tanto che avendo l'Arcivescovo di Rossano pubblicata la Bolla, e costandogli, che vi era intervenuto un servidore laico dell'Arcivescovo, lo fece porre in carcere, dove dopo esservi stato molti mesi, morì.
Il Duca d'Ossuna, per le memorie che ci restano, le quali tutte le dobbiamo al diligentissimo Bartolommeo Chioccarello, proccurò, quanto i tempi permettevano, imitarlo: poichè avendo presentito, che dal Vescovo d'Ugento in una Domenica nella solennità della Messa nel 1583 s'era pubblicata nella città di Ugento quella Bolla, scrisse a' 12 ottobre del detto anno una lettera regia a Francesco Caraffa Governadore di Terra d'Otranto, ordinandogli che s'informasse, se fosse vero, che si era pubblicata questa o altra Bolla senza l'Exequatur Regium, e che se vi erano intervenuti laici, procedesse alla carcerazione di quelli, e mandasse a lui copia dell'informazione per risolvere il di più, che gli parerà; ma non essendosi trovati laici, e costando per l'informazione presa e trasmessa all'Ossuna, che la Bolla non era stata affissa, ma solamente pubblicata a voce, e che il Vescovo non teneva beni patrimoniali nel Regno; il Duca nella consulta, che ne fece al Re a' 23 gennaio del medesimo anno, lo ragguagliava, ch'egli non avea in questo caso potuto far quelle dimostrazioni, che praticò il Duca d'Alcalà, ed il Cardinale di Granvela, perchè la Bolla non s'era affissa, e non vi erano intervenuti laici, onde stimava di chiamar il Vescovo di Napoli, e di sequestrargli l'entrate del Vescovato; ma egli prima di ricever gli oracoli da Sua Maestà non avea stimato allora far altro, che di chiamarlo e d'ordinare al Conte d'Ugento, che l'informasse dell'entrate e qualità d'esse, che teneva il Vescovo, affinchè se gli potesse far mandato in nome del Fisco ad ostendendum titulum, e per questa via castigarlo del suo errore.
Questi avvenimenti, che si sono raccolti dalle Consulte mandate dal Duca d'Alcalà al Re Filippo in Ispagna, e dalle lettere del Re, che sono registrate nella Cancellaria di Napoli, e la testimonianza d'uno Scrittore non men grave e fedele, che contemporaneo ai narrati successi, quanto fu il Presidente Tuano, convincono per troppo sfacciate le adulazioni del Cardinal Albizio, il quale non s'arrossì di dire, che nei Regni di Spagna e segnalatamente nel Regno di Napoli fosse stata questa Bolla ricevuta, dando una mentita non meno al Salgado , che scrisse non essere stata ricevuta ne' Regni di Spagna, che al nostro Reggente Tappia , il quale nel suo Trattato De Contrabandis Clericorum, avea con verità detto, che quella non fu mai nel nostro Regno accettata, dicendo l'Albizio: totum enim contrarium apparet ex consultationibus et literis directis ad Regem Catholicum Philippum II, o Duce de Alcalà Prorege Neapolis de anno 1567, videlicet, Bullam hanc fuisse, non solum in Civitate Neapolis, sed per totum Regnum pubblicatam; poichè da queste Consulte e Lettere, come si è veduto, tanto è lontano ricavarsi, che fosse stata ricevuta, che anzi i Vescovi ne furono castigati, quando ebbero ardimento di pubblicarla. Ebbero è vero i Vescovi questa arroganza contra il volere del Re, istigati da Roma di pubblicarla, ma furono sempre impediti i loro disegni e resi vani gli effetti: si continuò l'esazione delle gabelle, e se n'imposero delle nuove senza licenza della Sede Appostolica: l'Exequatur si ritenne: a' Magistrati non si fece dare impedimento in esercitando li loro ufficj: le tratte furon come prima vietate; nè senza Regio permesso s'introducevano vettovaglie in Roma.
Assai più favoloso è ciò che questo Autore soggiunge, che il Re Filippo II avesse ceduto a questo punto, e che nelle istruzioni date al Marchese de las Navas mandato a Roma nell'anno 1578 avesse confessato in tutti i suoi Regni essere stata la Bolla pubblicata ed accettata; poichè il Presidente Tuano rapporta il contrario, d'avere il Papa rimesso il suo fervore, ed il Re Filippo al Duca d'Alcalà scrisse, che il Pontefice avea ordinato, che sino a nuovo ordine non si pubblicasse la Bolla, e dopo la missione del Marchese de las Navas, il Cardinal Granvela e D. Pietro di Giron Duca d'Ossuna, che fu Vicerè, dall'anno 1582 insino al 1586, si opposero agli attentati de' Vescovi, siccome fecero i loro successori: ancorchè per le circostanze de' tempi, non con quel medesimo vigore e fortezza del Duca d'Alcalà.
Se gli Spagnuoli avessero usati i rimedj praticati in Francia per guarir queste ferite, non già impiastri ed unguenti, non si sarebbe data occasione agli assentatori della Corte di Roma di scrivere queste ed altre maggiori esorbitanze, in grave scorno della potestà e giurisdizione de' nostri Re; ma l'aver sovente trascurato di punire la pubblicazione che si faceva da' Vescovi e da' Parrochi, e solo accorrere a casi particolari, impedendo a' Vescovi, quando volevan con effetto eseguirla e metterla in uso, ha portato questo, che gli Autori Ecclesiastici, perchè la sentivano pubblicare da' Vescovi e da' Parrochi e la vedevano affissa nelle porte delle Chiese e ne' Confessionarj, abbiano scritto che questa Bolla fosse stata nel Regno pubblicata e ricevuta, siccome fra gli altri fece il Cardinal Albizio, il quale per ciò, come testimonio di veduta, dice: Et ego, qui per triennium exercui officium Auditoratus Nunciaturae Neapolis, sub fel. rec. Urbani VIII Pontificatu, testor acceptationem et ejus usum in praedicta Civitate et Regno. Ma egli dovea sapere ancora, che quando i Vescovi volevan quella porre in pratica, tosto il Collaterale ed il Delegato della giurisdizione vi s'opponeva e dava riparo: che a' suoi tempi si ponevano nuovi dazj senza licenza della Sede Appostolica: che si proibiva in Roma e nello Stato Ecclesiastico mandar vettovaglie ed altre cose, senza Regio permesso, tutto che per la Bolla non si potesse ciò loro impedire, anzi gli Ecclesiastici ne dimandavano le tratte ogni anno, ed in tutto il resto niente fu variato di quel che prima della Bolla si faceva.
Da ciò ne nacque ancora, che i Vescovi del Regno ne' Sinodi Diocesani, stabilendo in quelli i loro decreti, si servissero della Bolla, e spesso l'allegassero; ma non per ciò i Sinodi erano per quelli capi ricevuti, ma s'impediva loro di mandarli in esecuzione. Sono piene le nostre Province di questi Sinodi, ma non s'ardisce però niuno metterli in pratica.
Quindi nacque ancora, che gli Scrittori Ecclesiastici, e particolarmente i Casuisti (poichè con gran trascuraggine non molto vi si bada) abbiano empiti i loro volumi di massime quanto false, altrettanto pregiudizialissime alla giurisdizione del Re, con sostenere come per tacer altri, fecero Marta, Diana, del Bene e tanti altri, la Bolla in Coena Domini, come tutte le altre, aver forza ed obbligar le coscienze degli uomini anche ne' Regni, nelli quali non è stata ricevuta, per non esser necessario alle Bolle del Papa pubblicazione o accettazione alcuna, ma che basti che siano quelle pubblicate in acie Campi Florae, ad valvas Basilicae D. Petri e negli altri luoghi soliti di Roma, per obbligare tutti i Principi e tutte le Nazioni del Mondo Cristiano: che tenendo il Papa la sua autorità immediatamente da Dio, non ha bisogno la sua legge di accettazione o pubblicazione: che questo istesso lo diffinisce la Bolla medesima in Coena Domini, e tante altre esorbitanze. Come se al Papa, ancorchè eccedesse i limiti della sua potestà spirituale, mettendo ciò che vuole nelle sue Bolle, abbiano i Principi ciecamente ad ubbidire, ancorchè per quelle si trattasse di levargli la loro potestà e giurisdizione, che parimente essi la riconoscono da Dio. E come se non fosse il Principe in obbligo, per la custodia de' suoi Stati, invigilare a ciò, che s'introduce da Roma in quelli, ed opporsi a' pregiudizj de' suoi regali diritti e de' suoi vassalli: intorno a che è da vedersi Van Espen , dotto Prete e celebre professore de' Canoni nell'Accademia di Lovanio, il quale sopra ciò compose un particolar trattato, confutando gli errori di costoro, stampato in Brusselles l'anno 1712. Anzi questi assentatori della Corte di Roma erano trascorsi insino a dire, che chi sente altrimenti è sospetto d'eresia, e può denunciarsi al S. Ufficio, e di vantaggio (ciò che non può sentirsi senza riso insieme ed indignazione) sono scorsi sino a dire, che controvertire del fatto, cioè se in tale provincia sia ricevuta o no questa Bolla, s'incorra nel medesimo sospetto, ed il Cardinal Albizio narra, che a' suoi tempi per comando d'Alessandro VII, s'era da tutti i Qualificatori del S. Ufficio, nemine excepto, qualificata per falsa, temeraria, erronea, ingiuriosa all'autorità del Santo Pontefice, e che prepara la via allo Scisma, questa proposizione: Bulla, quae promulgatur in Coena Domini, non est in Belgio usu recepta juxta probabilem multorum opinionem: e ne cita il decreto profferito sotto li 20 settembre del 1657. E qual documento maggiore dell'inosservanza potevano avere, che da quest'istessa Bolla; dove si proibisce a' Principi di metter nuovi pedagi e gabelle senza licenza della Sede Appostolica, dove si scomunicano i loro Ufficiali che impedissero a' Giudici Ecclesiastici d'esercitare la loro giurisdizione contra quoscumque, dove finalmente l'imperio si sottopone interamente al Sacerdozio ed il Papa fassi Monarca sopra tutti i Re e Principi della Terra?