Contese insorte per li casi misti, e per la porzione spettante al Re nelle Decime, che s'impongono dal Papa nel Regno alle persone Ecclesiastiche.
Al Duca d'Alcalà parimente dobbiamo, che nel nostro Regno si fosse tolto quell'abuso, che i Giudici Ecclesiastici, sol perchè avessero prevenuto, potessero procedere contra i laici in certi casi, che per ciò appellarono misti. Infra l'altre intraprese della Giustizia Ecclesiastica, come altrove si disse, si fu questa d'avere gli Ecclesiastici inventato un certo genere di giudicio, chiamato di Foro misto, volendo, che contra il secolare possa procedere così il Vescovo come il Magistrato, dando luogo alla prevenzione; nel che veniva sovente a rimaner il Magistrato deluso, perchè gli Ecclesiastici, per la esquisita lor diligenza e sollecitudine, quasi sempre erano i primi a prevenire: onde non lasciando mai luogo al secolare, s'appropriavano di quelli la cognizione. Infra gli altri reputavano di Foro misto, il sacrilegio, l'usura, l'adulterio, la poligamia, l'incesto, il concubinato, la bestemmia, lo spergiuro, il sortilegio, ed il costringimento per le Decime e per la soddisfazione de' Legati pii.
Il Pontefice Pio, usando de' soliti modi, faceva dal suo Nunzio in Madrid importunare il Re Filippo, querelandosi del Duca, che nel Regno impediva a Vescovi, ancorchè prevenissero, di conoscere contra i secolari ne' narrati casi; tanto che il Re scrisse a' 17 luglio del 1569 una lettera al Duca, ordinandogli che avesse fatto consultare e risolvere dal Collaterale con tre o quattro altri del Consiglio di Santa Chiara, e con li due Avvocati Fiscali, queste controversie, se i Vescovi, quando prevengono, possano conoscere ne' suddetti casi. Il Duca fece assembrare i Reggenti del Collaterale con tutti gli altri Ministri, che il Re volle che intervenissero per Aggiunti, ed esattamente discusso l'affare, con pienezza di voti fu conchiuso, che quest'era un abuso: in conformità di che si scrisse dal Duca a' 19 luglio del seguente anno 1570 una solenne e piena Consulta a Sua Maestà di quel, che s'era conchiuso in Collaterale, coll'intervento di que' Ministri e de' due suoi Fiscali: cioè, che in questo Regno la cognizione di questi casi contra laici spetta privativamente a Giudici Regj, e non alli Prelati, e non si dà prevenzione, come i Vescovi pretendono: in esecuzione del quale stabilimento, accadendo il caso, che i Vescovi volevano impacciarsi ne' delitti di sortilegio, di spergiuro, d'incesto, o d'altro, rapportato di sopra o d'intrigarsi ad esazion di decime contra laici, loro si faceva valida resistenza: le cui pedate seguitarono da poi il Cardinal Granvela e gli altri Vicerè suoi successori, de' quali ci rimangono ancora presso il Chioccarello nel tom. 5 de' suoi M. S. Giurisdizionali molti esempj.
Fu antico costume nel nostro Regno, che qualora i Pontefici, o per occasione di guerra contra Infedeli o per altra cagione imponevano decime sopra beni Ecclesiastici, la metà di quelle appartenevano al Re, e di questa pratica ve n'è memoria ne' nostri Archivj sin da' tempi di Papa Sisto IV e del Re Ferdinando I. Alcune volte i Pontefici consapevoli di questo diritto per loro volontà, permettevano esigerla, altre volte senza loro espresso volere, ed i collettori di dette Decime ch'erano per lo più Vescovi o altre persone Ecclesiastiche, davano il conto delle loro esazioni nella Regia Camera, e li denari, che s'esigevano, si ponevano nella Regia General Tesoreria, parte de' quali era riserbata per detta porzione al Re spettante, altra era consignata alle persone destinate da' Sommi Pontefici. Nel Pontificato di Pio V minacciando il Turco guerre crudeli ne' nostri mari, ed ardendo allora la guerra di Malta cotanto ben descritta dal Presidente Tuano, questo Pontefice per ajutare le forze de' Principi Cristiani, affinchè s'opponessero ad un così potente ed implacabil nemico, taglieggiava sovente gli Ecclesiastici, e nel nostro Regno impose con Placito Regio più decime sopra i loro beni. Era veramente commendabile il zelo, che avea il Pontefice Pio per queste espedizioni, ma nell'istesso tempo si proccurava dalla Corte di Roma, che l'esazione di quelle pervenisse tutta intera in loro mani: cominciava a difficoltare questo dritto del Re, e fece sentire a D. Giovanni di Zunica, allor Ambasciadore in Roma, ed al Vicerè di Napoli, che mostrassero il titolo, onde veniva al Re questo diritto. Il Duca d'Alcalà rispose come conveniva, ed il Re Filippo avvisato da D. Giovanni di Zunica di questa domanda, a primo luglio del 1570, gli rispose, che facesse sentire a quella Corte, che il suo Re non teneva necessità alcuna di mostrare il titolo, col quale costumasi in Regno pigliarsi questa parte di decime: che Sua Santità voglia conservarlo in quella quasi possessione, nella quale egli stava, e stettero i suoi predecessori, perchè non consentirà mai, che sia spogliato di quella.
Ancorchè da queste contese niente avesse ricavato Roma intorno a questo punto, con tanta costanza sostenuto, nulladimanco, per la pietà del Re, e perchè veramente il bisogno della guerra di Malta era grande, si compiacque il Re, che le decime imposte sopra le persone Ecclesiastiche del Regno per soccorso di quell'Isola, si esigessero da' Ministri Ecclesiastici, i quali dovessero tutte impiegarle a quel fine; ed affinchè quest'atto non recasse alcun pregiudizio alle ragioni del Re, si fece fare dichiarazione da Fra Martino Royes, deputato Collettore Generale sopra l'esazione di dette decime, come Sua Maestà graziosamente concedeva a detta Religione la metà di dette decime, che a lui toccava, e similmente concedeva, che i denari di dette decime non pervengano alla Regia General Tesoreria, com'è consueto, ma s'esigano per le persone deputate da detta Religione, e per esso Fra Martino in nome della medesima. Parimente, intendendo il Papa imporre tre decime sopra i frutti Ecclesiastici di questo Regno, per ajutare a complire le fortificazioni della città di Malta, quando però S. M. avesse rimessa a quella Religione la metà a se spettante, il Re benignamente vi condescese; siccome nei tempi, che seguirono, in consimili occasioni, per ajutare i Principi Cristiani, che si trovavano travagliati da Infedeli, o Eretici, senza pigliarsi cos'alcuna, ordinava a' suoi Ministri, che facessero liberamente esigere queste decime per impiegarle in spedizioni così pie.
Questa pietà del Re Filippo non fu però sufficiente a rimovere la Corte di Roma dall'impresa; poichè tra le istruzioni date al Cardinal Alessandrino nella sua Legazione vi fu anche questa, di dolersi col Re, come, così ne' Regni di Napoli e di Sicilia come nel Ducato di Milano, era gravata la Giurisdizione Ecclesiastica nell'impedimento che si dava nell'esigere le decime, che Sua Santità avea imposte sopra il Clero d'Italia, sotto colore, ch'apparteneva parte di quelle a S. M., dicendo altresì, che sebbene si fossero ottenute intorno a ciò alcune permissioni per li Pontefici passati, non s'avea da formar regola universale; e che per ciò avesse per bene Sua Maestà lasciarlo a libera disposizione di Sua Santità; e pretendendo tenere in quello alcuno diritto, se ne dasse conto a Sua Santità, acciò potesse quietare sua mente, e levarsi da ogni scrupolo.
Ma il Cardinal di Granvela successore del Duca, a cui il Re partecipò i punti della Legazione suddetta, rispose al Re con sua Consulta de' 22 marzo del 1572, che intorno a ciò Sua Santità poteva levarsi ogni scrupolo, perchè questo era un costume antichissimo, e che i Re suoi predecessori n'erano stati da tempi immemorabili in pacifica e quieta possessione con consenso de' Sommi Pontefici medesimi: onde dovea parere ora cosa stranissima, che l'amor filiale e sommo rispetto portato sempre a Sua Santità abbia da partorir contrario effetto di dimandargli il titolo di cosa cotanto chiara, ereditata da' suoi maggiori e permessa da tanti Sommi Pontefici. I medesimi sentieri furono da poi calcati dal Conte di Miranda e dagli altri Vicerè suoi successori, tanto che ora questo costume vi dura nel Regno più fermo, che mai.